UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

mercoledì 30 ottobre 2013

Il falco continua a volare, la volpe va e viene.
A che punto siamo nella campagna “pini oltre il pioppeto”

A un anno dalla mappatura del bosco e dall’inizio della raccolta firme per chiedere la variante al piano del governo del territorio per salvare gli orti comunitari all’interno del Paolo Pini, parte dell’area dell’Istituto di agraria V. Pareto, e circa 10 ettari di bosco di quello che una volta era il pioppeto e che si è ricostituito come bosco varietale, tutto messo in pericolo dal progetto di vendita ed edificazione da parte della Provincia di Milano. Dopo un anno di iniziative dei “seminatori di urbanità” e grazie alla grande partecipazione di tutti coloro che hanno firmato la petizione per la variante e alla rete che intorno a queste mobilitazioni si è creata, crediamo che tutti sappiano che la Provincia – dopo che il Comune di Milano con il sindaco e la assessore all’urbanistica Ada De Cesaris hanno alla fine dichiarato che sul comparto Litta Modignani non si costruisce – ha dovuto ritirare il progetto di edificazione. Questo non vuol dire che la Provincia abbia rinunciato a edificare, soprattutto sul bosco (che abbiamo chiamato Pini Oltre il Pioppeto o Parco POP). Sappiamo che ha intenzione di incaricare altri progettisti per un piano di edificazione nuovo e questa volta incentrato soprattutto e ancor di più sul bosco. Nel frattempo il Comune di Milano ha presentato il vincolo paesaggistico per tutto il comparto Litta-Modignani, dunque tutto il rettangolo che comprende il Paolo Pini fino alla via Bovisasca, Via Assietta e Via Litta Modignani. La proposta di Vincolo è stata approvata dal consiglio di zona 9, seguirà il passaggio in giunta comunale e poi deve passare con un lungo iter (di mesi) alla sovrintendenza…
È una delle iniziative istituzionali.

L’altra iniziativa del Comune sarà quella di cominciare a lavorare sulla variante che è stata chiesta con la raccolta firme. Ma il percorso che tutti stiamo facendo intorno alla difesa di tutto il luogo si sta intrecciando con altri percorsi di tante altre persone che si stanno mobilitando contro il consumo di suolo. Difendiamo gli orti, il parco, il bosco, ma soprattutto stiamo – insieme – cercando di immaginarci una nuova urbanità in cui ci sia posto per tutta la complessità degli esseri viventi. In cui “ambiente” non sia solo la casa “propria” degli umani ma comprenda anche gli altri animali e tutto il sistema del mondo vegetale. La raccolta di idee per il parco POP è uno degli strumenti che ci siamo dati per rendere partecipi tutte le persone: immaginare il bosco così come vogliamo che resti, o con dei piccoli interventi, o con delle installazioni naturali, o…, o…, o…                               Abbiamo quindi prolungato la scadenza della raccolta di idee per la fine del febbraio prossimo. Apriamo un confronto di idee su come intendiamo vivere quel luogo: “non da soli”, o “non unici”. Nel frattempo ci siamo dati dei passaggi di approfondimento sul monitoraggio dell’avifauna ed altre tematiche ambientali. Ma soprattutto continueremo ad essere presenti nei luoghi.

La politica dell'accoglienza, tra "integrazione" e "multiculturalismo", nel Bel Paese che cola a picco.

   Più volte l'avv. Alfonso Luigi Marra, comunicatore mediatico ora più in Rete che in una televisione controllata dai "poteri forti", lo ha scritto e lo ha detto: fino a quando di politica  non si occupi una classe di intellettuali con intelligenza superiore alla media e qualificati, non andremo da nessuna parte. Siamo ora in una nazione in miseria, culturale ed economica, con una corruzione ancora altissima e una pressione fiscale insostenibile.

     Ma intanto siamo condizionati dall'obbligo dell'accoglienza e a genufletterci alla globalizzazione, come se ci parlasse uno Stato florido che può anche occuparsi di opere benefiche. Quando ormai fanno cronaca pressoché quotidiana gli italiani licenziati, gli imprenditori suicidi perché oppressi da tassi bancari usurari, i falliti, i cassaintegrati, gli esodati. Sì perché c'è lo jus soli, sbandierato dalla ministra Kyenge Kashetu, la quale è una rispettabile medico specializzata in oculistica, ma non una giurista, qualifica che per un ministero all'immigrazione sarebbe il minimo necessario. Il nostro Paese dovrebbe cioè passare dal principio dello jus sanguinis - chi è figlio di italiani è italiano - al principio dello jus soli - chi nasce in Italia diventa italiano. La storia ci insegna, come osserva il politologo Giovanni Sartori[1], che lo jus soli si applicava al Nuovo Mondo e ai Paesi sottopopolati che avevano bisogno di nuovi cittadini, mentre lo jus sanguinis valeva per le popolazioni da secoli stabili su determinati territori. Ma oggi si vuole aprire le porte a tutti, anche quelle dei Paesi sovrappopolati e afflitti, e con un'altissima disoccupazione. 

    L'"integrazione" e il "multiculturalismo" sono ora imposti all'opinione pubblica italiana ed europea come la panacea di tutti i mali, come se il caritatevole populismo e le dichiarazioni di principio del nostro "nuovo" Papa contribuissero a facilitare il processo di integrazione di tanti malcapitati sulle nostre sponde, mentre già i nostri connazionali senza tetto dormono la notte per strada e muoiono di freddo perché intanto le splendide e riscaldate cattedrali restano chiuse ai nostri poveri e bisognosi. Iniziamo pure dalle schiere di poveri stranieri che la Chiesa ha contribuito a introdurre in Italia, apriamo i battenti delle basiliche italiane e del Vaticano! Basta che alle dichiarazioni di principio seguano i fatti, basta che all'etica dei princìpi si accompagni l'etica delle responsabilità (ad iniziare da ciò che si dice agli italiani dalla finestra della Basilica di San Pietro). Se avessimo realizzato il principio libera Chiesa in libero Stato voluto da Cavour, il Papa avrebbe solo rivolto a tutti, credenti e non credenti, l'invito - anche cristianamente più corretto - a pregare per tutti quei poveri morti. E non avrebbe detto altro. 

   Ha ragione allora Lidia Sella[2] a scrivere che "dietro la rassicurante maschera dei diritti umani, veicolati dalla stampa di regime asservita al pensiero politically correct, si nasconda un moderno cavallo di Troia, costruito dai sacerdoti del mercato globale" al fine di amputare quel poco di sovranità che ancora ci resta. Possibile che siamo privi anche del sacrosanto diritto ad autodeterminarci? che dobbiamo fare appello ora all'Europa, come se noi non fossimo già noi europei, per chiedere agli altri Stati di risolvere problemi che non siamo più in grado di risolvere?  Ma agli italiani - si chiede ancora Lidia Sella - è ancora concessa la facoltà, se non il diritto, di decidere che cosa fare in casa propria? Non sarebbe meglio indire un referendum sul reato di clandestinità, per sapere che cosa pensano veramente, a questo punto, gli italiani? 

    Come dice Sartori, la società moderna è aperta, tollerante, pluralistica. Ma il "pluralismo", alla base di una democrazia che rispetta le diversità, non deve confondersi con una politica che promuova le differenze etniche e culturali. Anzi, il multiculturalismo può diventare il nemico mortale di una società aperta, e la molteplicità incontrollata delle culture può portare alla balcanizzazione della società. Fino a che punto la società pluralistica può accogliere, senza disintegrarsi, estranei che la rifiutano? che hanno una visione del mondo di tipo teocratico? che ancora non prevedono la separazione tra politica e religione?  
    Poniamoci la domanda: in questa situazione di drammatico sfacelo politico e di emergenza economica, i rispettabilissimi "diritti umani" sono solo i diritti degli altri o anche i nostri, di noi italiani?

                                                                                                         Giovanni F F Bonomo


[1] "L'Italia non è una nazione meticcia. Ecco perché lo ius soli non funziona", in Corriere della Sera 17 giugno 2013
[2] "La politica pensa ai clandestini: perché non indireun referendum?", in affaritaliani.it 14 ottobre 2013

martedì 29 ottobre 2013

LA PESTE DEL CONFORMISMO       

Intervento dell'avv. Giovanni Bonomo in occasione della presentazione del nuovo libro narrativo di Angelo Gaccione La signorina "volentieri", Milano 28 ottobre 2013 (Biblioteca Vigentina)


Penso che in tutte le persone che incontriamo e conosciamo c'è sempre una parte di noi che si riflette. Tra i personaggi narrati da Gaccione, che fanno da specchio ai caratteri dell'Autore, vorrei richiamare l'attenzione su “Sandra”. Perché è in Sandra - sul tema del conformismo e dell'ipocrisia - che, più che in ogni altro racconto, si riflette l'impegno e il libero pensiero di Angelo Gaccione, che trova espressione nella sua rivista “Odissea”, impervio ad ogni accomodamento intellettuale a vantaggio di altri. Per quanto si debba riconoscere che -e uso le stesse parole dell'Autore- : “l'ipocrisia è il mastice che tiene unita la società, che favorisce vantaggiosi rapporti umani, e non solo”. E allora il servilismo ributtante degli intellettuali venduti di oggi non gli è affatto congeniale. Riflettete, riflettiamo, su queste parole. Anche io ne so qualcosa.
  
Nessuna società, che non sia liberale e meritocratica, vuole che tu pensi liberamente! Nessuna società vuole che tu diventi saggio. E badate che la saggezza nulla ha a che fare con la conoscenza, ha qualcosa a che fare piuttosto con l'innocenza. È necessaria una certa purezza di cuore e di animo, con la quale questi racconti sono scritti, è necessario un certo spazio dell'essere perché la saggezza possa crescere.  

Se le persone hanno valore e sono sagge non possono essere sfruttate!
Se sono intelligenti, non possono essere sottomesse!
La libertà di pensiero si forma con la saggezza e nessuna società vuole che la gente sia libera, nessuna società, comunista, fascista, capitalista, musulmana, cristiana, nessuna società -che non sia liberale e meritocratica- lo vuole.
Ma può esistere una società liberale e meritocratica?

Nel momento in cui gli individui iniziano ad utilizzare la loro intelligenza diventano pericolosi.
Pericolosi per il sistema.
Pericolosi per le persone che sono al potere.
Pericolosi per le chiese.
Pericolosi per tutti i tipi di oppressione e sfruttamento.

In effetti, un uomo libero, un uomo saggio è come un fuoco, un leone… una fiamma! Non venderà mai la sua vita, preferirà piuttosto morire che essere schiavo. Dobbiamo ringraziare Angelo Gaccione soprattutto per questo suo impegno.
                                                                                                 
                                                                                                avv. Giovanni Bonomo
                                                                                                Centro Culturale Candide

 


lunedì 28 ottobre 2013

DONNE: LE USANO SEMPRE ALLO STESSO MODO

Ciao Angelo 
C'è una nuova petizione su Change.org che crediamo possa interessarti:
Chiedi alla Fiat di ritirare lo spot della Cinquecento Abarth in cui la figura femminile
 è equiparata ad un’auto

Firma la petizione
Fiat ritiri lo svilente spot sessista della 500 S

Spettabile Fiat, Spettabile Giurì dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria,

ROMA. La Fiat ha creato uno spot particolarmente svilente per donne e uomini, nel quale una figura femminile è equiparata a un’automobile. Un uomo scorge la 500 S e immagina che sia una donna passionale che prima lo aggredisce e poi lo seduce. Quando riapre gli occhi, la seduttrice si rivela essere una Cinquecento Abarth, e la persona con la quale l’uomo interagisce è in realtà un oggetto. A miraggio svanito il messaggio è chiaro: comprami.
http://www.youtube.com/watch?v=H-fH73qIvsQ
Il claim, contenente le parole “seducente e sexy”, è uno degli elementi che concorrono a creare una sovrapposizione di immagini e concetti il cui fine è suggerire che acquistare la Fiat 500S equivalga ad avere un rapporto sessuale con una bella donna. Le réclame che utilizzano l’immagine di donna sexy per vendere qualsiasi prodotto rinforzano i vecchi stereotipi, influenzano negativamente il modo in cui la donna è percepita e costituiscono un ostacolo verso la parità dei generi. Segnalazioni all’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria sono già partite dal gruppo che ho fondato su Facebook, “La pubblicità sessista offende tutti”
http://www.facebook.com/home.php?sk=group#!/home.php?sk=group_139046259478883&ap=1
Il Comitato di Controllo dello Iap ha giudicato la réclame lesiva della dignità della donna, “posta sullo stesso piano dell'automobile come desiderio dell'uomo, sfociando in una commistione tra donna e prodotto che condurrebbe alla mercificazione della persona.” Di parere contrario il Giurì, che con giudizio finale non lo ha ritenuto sanzionabile perché lo spot mostra “una donna di personalità, forte e indipendente” e perché, anche se “la metafora donna-macchina esiste senz'altro” l'automobile viene "innalzata a donna".  Per il Giurì lo spot sarebbe “ironico, allegro e con script innovativo”. Questo è nonsense! Quale che sia la personalità che il pubblicitario sceglie di dare alla figura femminile, se la usa per creare una metafora con l’automobile compie un’operazione svilente. Ma poi che personalità avrebbe una donna che sul collo ha tatuato il logo dell'Abarth, come la marchiatura di un animale, e veste degli stessi colori della carrozzeria? In questo spot non c'è nessuna donna, esistono solo una carrozzeria d'auto e una figura femminile sessualizzata interscambiabili. Tutte le note caratteriali espresse dalla modella non sono ascrivibili a una donna soggetto, ma a un modello di automobile! Il messaggio è, per il target maschile: scambia il tuo desiderio di possesso per una donna sexy con quello per un’automobile di un certo modello. Al target femminile si chiede invece di immedesimarsi con la modella seducente e accettare che donne e automobili siano viste allo stesso modo, come oggetti di desiderio di un uomo. Non c’è nulla di innovativo in questa réclame, c’è al contrario il solito vecchio sessismo, e il trattamento della figura femminile mette solo tristezza!
Chiedo alla Fiat di ritirare immediatamente lo spot e allo Iap che tenga conto della diversa sensibilità emersa in materia di pubblicità sessista, allineandosi in questo modo agli organismi di disciplina pubblicitaria della maggioranza dei Paesi europei. Più di cento Comuni italiani hanno aderito alla moratoria UDI per bannare le immagini sessiste. Diverse associazioni di pubblicitari si battono per un uso rispettoso della figura femminile. Le segnalazioni allo Iap sono in aumento e sempre più voci, come quella della Presidente della Camera Laura Boldrini, si uniscono al coro di chi chiede che la prima preoccupazione dei pubblicitari sia il rispetto della dignità della donna. Firma anche tu per dire alla Fiat che è ora di cambiare registro.

Annamaria Arlotta

giovedì 24 ottobre 2013

DALLA CARTA ALLA RETE
di Fulvio Papi

Il passaggio di “Odissea” dalla carta alla Rete, offre al filosofo Fulvio Papi lo spunto per un’analisi non solo sullo strumento, ma per mettere a fuoco una serie di elementi di riflessioni di natura economica, sociale, culturale molto utili per riaprire il dibattito su molte questioni che ci riguardano da vicino.

Se guardo oggi alla decennale storia di “Odissea” credo abbia ragione il direttore: la rivista si è schierata contro poteri di ogni sorta che condizionano negativamente, e più di una volta tragicamente, l’esistenza sociale. In epoca di svendite professionali e di mercati dell’intelletto, più o meno consapevoli, non è proprio poco. In prospettiva sarà una storia minore, ma conserverà il suo spazio se la memoria sociale non sarà completamente appassita. Odissea dunque passa dal “cartaceo” alla Rete. Molti amici e anche esperti fanno notare che in questo modo le inchieste e le prese di posizione della rivista avranno un’eco e un’attenzione incomparabilmente più ampia. Vorrei soltanto aggiungere un riflessione che potrebbe risultare utile per il nostro lavoro. Ricorrerò all’ormai antica proposizione secondo cui il mezzo crea il messaggio che, così condizionato, ha effetti rilevanti sulla forma e sui contenuti della comunicazione. Il libro ha rivoluzionato una sua modalità di lettura che è stata una forma di culturizzazione molto rilevante, e probabilmente lo sarà ancora, e, forse, nemmeno in una quantità molto ridotta. Sarà invece certamente ridotto il suo “peso” culturale e sociale. La radio ha educato a una particolare modalità di “informazione” e di affidabilità relativa al messaggio. La televisione, per lo più, ha abituato alla dimensione dello spettacolo passivo. La Rete consente l’intervento plurimo e un rapporto tra la modalità del messaggio e la sua ricezione, Stabilisce, in altri termini, la modalità della comunicazione che dà la  parola a chiunque, ma anche consente, purtroppo, sotto l’apparenza di una vera agorà del demos, il transito di volgarità intellettuale e di stili discorsivi che non sono tali solo per se stessi, ma inquinano lo stesso costume della comunicazione. È utile del resto conoscere l’ambiguità specifica di ogni innovazione tecnologica e avere un corretto  sospetto, come del resto aveva il nostro Leopardi, sulla linearità del “progresso”. Per quanto riguarda il lavoro di “Odissea” consiglierei di mantenere intatta la forma della nostra comunicazione, in genere ben argomentata, anche se naturalmente sarà essa a selezionare la platea dei destinatari.
Oggi abbiamo a che fare con l’estensione di quella “microfisica dei poteri” di cui scriveva Foucault anni fa, e che oggi, proprio tramite la connivenza tra interessi privati e cricche politiche, costituisce il reticolo dominante della vita sociale, quello entro la quale deve prendere forma la nostra vita sociale. Il “motore ascoso”, come diceva Croce, è la finalità del profitto come identità sensibile di ogni valore, mentre come tutti sanno la forma invisibile, la potenza pressoché illimitata, è costituita dal capitale finanziario. Al quale gli stati riconoscono, e devono riconoscere, una piena autonomia e una capacità di dominio di assoluto rilievo. Žižez, capovolgendo un poco teatralmente Marx, ne fa un fantasma che s’aggira nel mondo, e fa di noi personaggi di un ambiente universalmente virtuale. Del resto non ho alcun dubbio che questa relazione tra l’unità del capitale finanziario e le differenze della sua recezione nelle diverse formazioni sociali e condotte politiche (la Germania, per esempio, in relazione all’Italia), costituisce il quadro che possiamo dare dell’attuale storia del mondo. Un quadro tecnico, tuttavia così astratto nella sua verità, che non può avere né facile né difficile rappresentazione nelle forme ovvie della comunicazione. Se guardiamo a questa situazione, a voler essere vetero-heideggeriani, potremmo dire che siamo prigionieri, e necessariamente prigionieri, dell’infinita chiacchiera, e a voler essere spinoziani-marxisti potremmo parlare di un segno razionalizzato della immaginazione. Il potere invisibile che corre per via telematica non riguarda questa babele della parola nella quale si gioca la nostra stessa vita. In realtà non c’è mai stata una tendenziale coincidenza tra potere e linguaggio comune - tutta la storia sociale e i progetti di emancipazione lo mostrano – ma oggi la distanza è quella che corre tra un mondo e un altro mondo.
È una situazione che capita ovunque, e che ogni stato cerca di governare, ma è ancora più disarmante in un paese come il nostro dove esistono diseconomie strutturali che sono state coltivate storicamente nel processo di unificazione del paese. E per stare in tempi più prossimi i bilanci negativi di molte industrie a partecipazione statale non derivano certamente dall’essere pubbliche, ma dall’essere politicamente privatizzate. Il problema non è la privatizzazione che consenta l’efficienza tramite i calcoli del profitto, ma una classe politico-amministrativa che unisca competenza amministrativa e operativa, l’onestà del servizio e una propria indipendenza relativa dal potere politico. E qui tocchiamo un problema fondamentale: siamo riusciti a superare inerzie intellettuali e mancanze etiche che sembrano costituire, con volti diversi, l’autobiografia del paese?
Siamo riusciti a costruire una vera comunità nazionale indispensabile per garantire la forza e la sicurezza a riforme sociali nell’ordine della giustizia e dell’efficienza? Al contrario – dobbiamo chiederci – come è disseminata la potenza, l’ignoranza e la corruzione dei poteri particolari, della spartizione dei vantaggi, e anche delle illusioni particolari? Se si paragona la situazione italiana a quella tedesca si scopre che in Germania la disoccupazione giovanile è al 7,5 per cento e che i contratti di solidarietà, per quanto potevano, hanno limitato molto la disoccupazione e hanno privato i lavoratori del 5% del salario poiché l’altro 5% non pagato dall’azienda è integratola una spesa dello stato che è notevolmente inferiore a quella della cassa integrazione italiana. Esaminando questa situazione un celebre economista della tradizione di sinistra concludeva dicendo: meno polemiche contro la Merkel più conoscenza del tedesco. A livello di una informazione che non sia la chiacchiera banale, l’osservazione è perfetta. Ma da un punto di vista teorico perché quello che altrove è possibile, qui è impossibile? Ho parlato un poco teatralmente del capitale finanziario fantasma, ma un’analisi seria mostrerebbe che qui sono in gioco elementi sociali con forte effetto causale che derivano dalla cultura e dall’etica che sono state ulteriormente degradate nell’ultimo ventennio e che si sono consolidate da chi si trova in posizioni di comando, locali, vocalissime e nazionali e, o non sa, o non vuole esercitarle per il bene pubblico, ma di solito in un intrico di benefici privati.
Sono certo che seguendo alcune parti centrali del mio discorso, anche un orecchiante di filosofia potrebbe dire che eredito la concezione marxiana dalla trasformazione della filosofia in critica dell’economia politica. È semplice rispondere che la critica dell’economia politica è una filosofia. Anzi credo che l’ontologia regionale dell’economia politica costituita dalla matematizzazione dei fenomeni, è destinata a fallire persino il suo oggetto economico che ha relazioni molto più ampie con l’ecologia, le forme sociali di vita, la formazione psicologica mercantile, il sistema pubblico di simbolizzazione, l’equilibrio complessivo dei valori sociali. Questo è un gioco teorico abbastanza facile, tuttavia poco diffuso da quando tende a scomparire il pensiero come tecnica e fatica concettuale, o, semplicemente, l’emittenza dei poteri comunicativi avvisa che non c’è niente da pensare, un vizio antico che è stato guarito dalla nostra età. Questo non significa credere banalmente che da una forma di pensiero bene organizzata, possa derivare una buona politica. Questi sono i sogni di una metafisica, visione onirica almeno di una parte della filosofia del Novecento. In realtà è molto più difficile fare della politica economica poiché qui ci si incontra con complicate condizioni oggettive, poteri immensi, bisogni diffusi, risorse disponibili, autonomie economiche e finanziarie, privilegi feroci, pregiudizi ideologici, immaginazioni insensate. Si risponde: “Facciamo quello che possiamo fare”. Ora “possiamo” ha a che vedere con potere, e qui nascono problemi serissimi. Dalla rivoluzione inglese in poi “potere” è il problema centrale della politica che, con la sua strategia,vuole difendere la possibilità individuale di avere un proprio spazio economico nel sistema dello stato. Questa rivoluzione ha vinto totalmente. Sono passati secoli e con l’espansione economica, ultima la forma della globalizzazione, i poteri politici degli stati si sono ridotti o sono stati fortemente condizionati. Al punto che in qualche paese, come il nostro, l’esercizio politico è divenuto spesso un privilegiato potere privato che pone un problema di liberazione. In ogni caso si può sempre tentare di conquistare la dimensione politica tenendo insieme i semi del pensiero, gli obiettivi etici, le azioni pratiche e fattibili, le necessità obiettive. Questo proposito è tutto il contrario che facile, forse è persino un proposito utopistico, ma, almeno per ora, non vorrei proprio chiedermi come un celebre personaggio romanzesco della caduta dell’impero asburgico: “E ora dove devo andare?”   
In questa prospettiva (che desidera ancora una sua positività), per chiudere cercherò di chiarire il significato corretto e vivo che possono avere tre termini di cui si sente sempre parlare: crescita, formazione, consumi. A “crescita”, per lo più usata nel significato quantitativo che deriva da una visione economica obsoleta e oggi anche dannosa, non risponderò con il modello della decrescita  (secondo Latouche). Crescita ha un senso rinnovato se passiamo da una crescita quantitativa che è insostenibile a tutti i livelli, a una crescita qualitativa. Il discorso sarebbe molto lungo. Mi basta pensare al problema fondamentale di attrezzare le nostre città per le variazioni climatiche, per la dimensione del consumo energetico, per migliori condizioni di vita quotidiana. Basta pensare a tutte le deficienze – l’acqua in primo piano- , il territorio fragile e pericoloso che interessano tutto lo spazio nazionale. Un cantiere immenso per la tecnologia, l’occupazione, l’intervento pubblico e privato che, in un contesto positivo, può realizzare il profitto.
La “formazione”: è fondamentale un impegno per una formazione tecnologica che possa agire positivamente in una economia dove la conoscenza è fondamentale. Ma abbiamo una visione relativamente adeguata intorno ai prodotti, ai prezzi, ai mercati, agli scambi, ai costi di produzione?
Altrimenti la parola (che già guasta il suo significato originale) rischia di essere solo un modo di dire. E poi, in generale, dovrebbe essere noto che l’estensione del capitale fisso (la tecnologia produttiva) conduce in genere a una dimensione del capitale variabile nel ciclo produttivo, e quindi a una disoccupazione che, nel nostro caso, potrebbe addirittura essere tecnologicamente qualificata. Con il rischio di creare una vita sociale ancora meno qualificata priva di coesione, una competitività necessaria ma estranea alle convinzioni morali diffuse, un privilegio nel mercato e una emarginazione sociale. Così quando si parla di formazione si dovrebbe intendere la capacità di partecipare ai vari aspetti della vita sociale, della produzione a forme di vita che integrino conoscenze tecnologiche indispensabili e stili di esistenza aperti alle risorse della cultura.
Non sono così ingenuo da pensare che i miei amori filosofici, letterari, artistici, oltre una eredità da custodire come un valore da spendere bene, siano la sola forma possibile di cultura sociale. La cultura è un continuo processo di trasformazione e di interpretazione.
Consumi. Anche qui il problema è quello di una equa distribuzione di consumi essenziali e, contemporaneamente, una ricostruzione qualitativa del consumo. Difficile uscire del tutto dal ciclo della merce. Ma c’è merce e merce. Esistono consumi che sono fruizioni e non dimensioni mercantili utili solo al profitto? C’è un consumo dell’esistenza che può avvenire senza il principio della riproduzione allargata del capitale? Si può dire “diritto a uno stile di esistenza”?
Poi vi sono temi relativi all’attuale consumo di merci che lasciano più che perplessi. È possibile che contemporaneamente si lamenti un calo dei consumi e uno spreco degli alimenti sufficienti per contrastare la fame nel mondo? È una assurdità che va spiegata nell’analisi dei consumi sociali.
Poiché al fine, senza estremismi verbali, bisognerà pur dire che lo spreco è omogeneo alla volontà di circolazione della circolazione del capitale investito in un determinato tipo di consumi che creano il mercato che conta. Si potrà anche aggiungere che c’è un gioco speculare (valido prevalentemente in una determinata area di consumi) tra la pubblicità come dominio dell’immaginario (quanto incide la pubblicità sui costi di produzione?) e grande distribuzione come omologazione del prodotto e sicurezza del profitto. Non sto immaginando il ritorno agli antichi negozi specializzati in determinate merci. Si può fare della letteratura su queste cose non dell’analisi. Vorrei solo che sapessimo chi siamo quando prendiamo il nostro carrello pensando che la nostra spesa è solo una questione privata. Non sono tanto presuntuoso e sciocco da pensare che forze sociali così potenti possano essere cambiate con buone analisi discorsive. E tuttavia hanno una loro importanza se vengono diffuse. E poi c’è persino l’imprevedibile che, mi dicono, sia maggiore passando dalla carta alla Rete.

               
SPIGOLATURE
di Michelangelo Coviello

COS’È LA PUBBLICITÀ

Uno dei luoghi comuni più radicati nell’opinione pubblica è quello di considerare la pubblicità non come parte intrinseca del prodotto e del lavoro a cui si riconduce ma come decorazione: quel qualcosa in più che lo abbellisce. In fondo la pubblicità è un quasi lavoro, una pratica da intellettuali, creativi, artisti della dome­nica ecc. Forse appare proprio così, ma se si scava un po’ nel passato ci si rende conto che senza la pubblicità (i famosi classified dei giornali inglesi dell’Ottocento) non ci sarebbe stata la rivoluzione industriale, la velocizzazione delle scoperte, delle novità, della distribuzione delle merci, la produzione di massa in cerca di comunicazione cioè di mercato e, da ultima, la democrazia: l’annuncio rende tutti uguali. Neppure lo sviluppo della moderna economia è pensabile senza la pubblicità che informa, consiglia, denuncia e controlla i consumatori globali. È come la punta di un iceberg che segnala il lavoro nasco­sto, la produzione che non si vede, appunto il sommerso. Dove c’è pubblicità c’è garanzia di qualità e di controllo. Lo sguardo della concorrenza non perdona bugie e fal­sità, un prodotto che mente su di sé viene liquidato dal mercato stesso attraverso l’informazione e la denuncia pubblica da parte della concorrenza.
La pubblicità nasce con l’avvento dei mass-media, cioè con la comunicazione di massa che muove i suoi primi passi all’inizio dell’Ottocento con i giornali per poi cre­scere in modo esponenziale con l’invenzione della radio e poi della televisione. In principio il suo compito ricalca quello della notizia, dell’informazione. La notizia è sem­pre buona per definizione perché risolve un problema, soddisfa un bisogno. Una seconda fase registra il passag­gio dall’informazione alla persuasione. Non basta più la notizia, bisogna convincere i consumatori e, per raggiun­gere tale obiettivo, occorrono prove e argomentazioni che inducano a scegliere un prodotto piuttosto che un altro. Nasce il regime di concorrenza (il concetto stesso di con­correnza è nuovo ed è un portato della pubblicità), che accelera l’evoluzione della comunicazione. Con l’innesto della retorica nella pubblicità si assiste alla famosa “ri­voluzione creativa” che sposta la fase della persuasione a quella della seduzione: dagli stili di vita all’ironia, dal te­stimonial al viral.  Nelle puntate che seguiranno prenderà forma una nuova disciplina, degna di studio e approfondi­mento, che apre la strada, attraverso suggestioni e sugge­rimenti, ad una diversa coscienza del mondo in cui vi­viamo e dei linguaggi che ci sommergono.
Michelangelo Coviello

           

  

domenica 20 ottobre 2013


PROMESSE ELETTORALI
VIGNETTE DI VITTORIO SEDINI 
                                    "DALLA PARTE DEL TORTO"                                     
PAROLE

sabato 19 ottobre 2013

PER RIMANERE UMANI


Milano. Sabato 26 ottobre alle 14.30 presso il Circolo ARCI  Bellezza di via Bellezza 16, nella sala "palestra", dove Luchino Visconti girò alcune scene di Rocco e i suoi fratelli, il Forum Cultura di Sinistra Ecologia Libertà promuove un incontro per discutere di cultura a Milano; la conclusione dei lavori è prevista entro le ore 19.

Obiettivo dell'incontro è confrontarsi in particolare sul tema delle memorie urbane condivise, uno dei progetti-argomento a nostro avviso più interessanti e caratterizzanti del programma culturale del sindaco Pisapia nella vittoriosa campagna del 2011.

Parteciperà ai lavori l'assessore Filippo Del Corno.

All'incontro sono invitati tutti i presidenti delle Commissioni Cultura delle nove Zone, comitati, associazioni e soprattutto cittadini, che abbiano voglia di partecipare alla costruzione di una nuova proposta culturale per la città di Milano.

Il pomeriggio verrà organizzato in tavoli di lavoro su diversi temi: cinema, teatro, letteratura, fotografia, musica ecc. nei quali pensare, usando il vettore delle memorie urbane condivise, a concreti progetti politici relativi al futuro a breve della città (es.: la necessità d'un cinema civico, la rivalutazione di vecchi e nuovi teatri soprattutto periferici, l'ottimizzazione delle biblioteche e il mantenimento delle attuali case/scuole di poesia, il mantenimento di importanti archivi fotografici esistenti nella città metropolitana, una maggiore fruizione da parte dei giovani di musica live) e proporre alcuni itinerari/eventi culturali sulla falsariga di quanto avvenne durante la campagna elettorale del 2011.

Per agevolare gli organizzatori dell'incontro si prega di confermare la propria presenza a questo indirizzo email memorie@selmilano.it

Sinistra Ecologia Libertà- Milano
Ufficio Stampa
MOBILE: 340 4188359 UFFICIO: 02 43411300
20124 Milano - Via Pierluigi da Palestrina 33
www.sellombardia.it/milano

P.S. Vi chiedo la cortesia di inviarmi il contatto di  persone e associazioni, che, secondo voi, potrebbero essere interessate all'iniziativa, Cordiali saluti
per Forum Cultura Sel Milano

Adelio Rigamonti

giovedì 17 ottobre 2013

FERROVIE DELLO STATO  
di Jacopo Gardella

Poche settimane fa Mauro Moretti, Amministratore Delegato delle Ferrovie dello Stato (oggi chiamate “Trenitalia” per una frenetica mania di cambiar nomi) è stato riconfermato alla carica che deteneva da molti anni. La notizia è passata inosservata; in realtà avrebbe dovuto suscitare stupore e sdegno. Mauro Moretti è convocato dal Tribunale di Lucca per dare testimonianza della tragica vicenda avvenuta alla Stazione Ferroviaria di Viareggio il giorno 29 Giugno 2009, e conclusasi con la morte di alcune decine di persone. E’ molto probabile che Moretti non abbia responsabilità dirette nell’incidente mortale, ma indirettamente ne ha molte. Il vertice di una qualsiasi organizzazione, privata o pubblica, è tenuto a rispondere della condotta tenuta dai dipendenti ed a farsi carico delle conseguenze del loro operato. La lauta retribuzione che viene elargita a Presidenti e ad Amministratori Delegati non tanto è giustificata da effettive difficoltà di lavoro, che in gran parte si accollano i loro collaboratori, quanto dalla assunzione di obblighi legali a cui essi devono rispondere; l’alto stipendio viene riconosciuto come tutela cautelativa per le responsabilità che essi devono assumersi, come titolari degli Enti che rappresentano. Quando arriva il momento in cui devono rendere conto dell’operato svolto da quanti sono alle loro dipendenze essi hanno l’obbligo civile di non mancare all’appello e presentarsi alla Giustizia, ma anche il dovere morale di non accettare temporaneamente il conferimento di nuovi incarichi.
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Implicato nel processo per la strage di Viareggio, Mauro Moretti non avrebbe dovuto essere riconfermato nel suo precedente ruolo, fino a quando, a processo ultimato, non si fosse dimostrata la sua completa innocenza. La riconferma della carica è un grave atto di leggerezza, o peggio, un gesto di complicità imprudentemente (o consapevolmente) commesso dal Governo oggi in carica: un “atto di leggerezza” nei confronti di chi esige giustamente condizioni di partenza paritarie per tutte le persone implicate nel processo, e quindi non può tollerare che siano create posizioni di privilegio a dibattito già iniziato; un “atto di complicità” a vantaggio di chi, gratificato dal rinnovo del mandato, può servirsi dell’autorità riconfermatagli per sostenere la propria estraneità ai fatti. “Se mi hanno rieletto”, può infatti affermare l’interessato, “ciò significa ovviamente che non mi considerano colpevole”.
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Ma la peggiore colpa del Governo è l’offesa, anzi l’insulto, rivolto alle famiglie delle vittime. Si può immaginare la loro mortificazione ed il loro sdegno nel vedere premiato un possibile responsabile della morte dei loro cari. La tragedia infatti è tutta attribuibile alle Ferrovie dello Stato, a chi vi lavora stabilmente, a chi la dirige. L’esplosione dei vagoni e la successiva morte di chi si trovava nelle vicinanze non è la conseguenza di un avvenimento non prevedibile, di un incidente non attribuibile alle Ferrovie; è al contrario l’effetto di un tragico errore, di una colpevole leggerezza, di una gravissima disattenzione non altrimenti imputabile se non alle Ferrovie stesse.
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Le considerazioni sull’incidente di Viareggio offrono l’occasione per lamentare molteplici e permanenti disfunzioni dei nostri servizi ferroviari; disfunzioni di cui, in ultime analisi, è responsabile quello stesso l’Amministratore Delegato, che è stato riconfermato di recente con decisione troppo avventata.
In questi ultimi anni le Ferrovie hanno incrementato il numero e l’efficienza dei Treni ad Alta Velocità; ed hanno ottenuto senza dubbio risultati soddisfacenti; ma questi sarebbero encomiabili se non fossero accompagnati da un pessimo servizio di treni secondari, di convogli pendolari, di linee a bassa velocità tenute a servire le stazioni di minore importanza. Sono disfunzioni divenute croniche; a tutti note; lamentate da anni; eppure tuttora persistenti. Il fatto è grave perché un servizio efficiente di treni pendolari tra città e territorio circostante ridurrebbe il traffico cittadino di automobili, sia in ingresso che in uscita; migliorerebbe le condizioni abitative delle nostre metropoli; abbatterebbe l’inquinamento atmosferico.
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Luca Cordero di Montezemolo ha inaugurato da poco tempo un servizio di Treni ad Alta Velocità; e per farli viaggiare affitta allo Stato l’uso dei binari. Un ennesimo treno veloce, in aggiunta a quelli già in funzione, non è certo la necessità più urgente per un servizio ferroviario che voglia essere buono ed efficiente. È invece impellente e non più procrastinabile rinnovare il servizio delle inadeguate linee locali, migliorare gli scadenti treni impiegati su distanze brevi. Lo Stato avrebbe dovuto concordare con Montezemolo una rete privata, a raggio extra-metropolitano, da mettere a disposizione dei lavoratori pendolari. Avrebbe dovuto esigere la fornitura non di treni veloci ma di treni a velocità ridotta ed a frequenza più alta. Il vantaggio dell’investimento non sarebbe stato minore; il flusso di passeggeri non sarebbe né diminuito né mancato; il provente dei biglietti si sarebbe mantenuto costante; il legittimo profitto di Montezemolo non sarebbe venuto meno. Le Ferrovie dello Stato, proprietarie dei binari, avevano tutto il potere per concordare con Montezemolo una fornitura di treni più utile per i viaggiatori, e nello stesso tempo più vantaggiosa per il gestore del servizio. Le Ferrovie non hanno colto l’occasione che veniva loro offerta; non hanno previsto i benefici che potevano ottenere; non hanno agito nell’interesse del bene pubblico e dei loro utenti.
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La miopia della gestione ferroviaria dilaga e peggiora. Difficile esentare Mauro Moretti dalle sue responsabilità. Negli ultimi anni molte linee ferroviarie sono state soppresse: in parte cancellate drasticamente, in parte sostituite con autocorriere. La leggendaria ed eroica linea Milano-Lecce – vitale collegamento fra le due Italie, il Nord più ricco, il Sud meno sviluppato – non esiste più; è stata cancellata. Eppure, se fosse stata trasformata in linea ad alta velocità, avrebbe fatto concorrenza agli aeroplani e avrebbe costituito un utile collegamento fra le principali città adriatiche, oggi neglette ed emarginate perché non servite neanche da linee aeree.
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Ciò che lascia attoniti è la sempre più diffusa sostituzione di treni con autocorriere su distanze di piccola-media lunghezza. La linea Novara-Arona; equipaggiata ed ancora adeguatamente attrezzata, è stata drasticamente decurtata di molte corse e sostituita con un servizio di automezzi stradali; la stessa sorte sta subendo la linea Colico-Chiavenna; e la stessa era capitata anni fa alla romantica linea Varese-Valganna. Il fenomeno presenta un risvolto paradossale. Abbandonando al degrado linee tuttora funzionanti e costruite con notevole fatica e con spese ingenti si diventa colpevoli di un irresponsabile spreco; si rinuncia all’evidente vantaggio offerto dal trasporto su binari, che evita l’incrocio con altri mezzi; e quindi garantisce la massima regolarità e sicurezza di crociera;  ci si affida ad un trasporto stradale insicuro, aleatorio, incostante; si rischia di incorrere in ingorghi ai crocevia, di subire arresti stradali, di accumulare ritardi sulla tabella di marcia; infine si infligge ai viaggiatori un pesante disagio, perché si impedisce a loro di leggere, scrivere, lavorare: attività consentite in un vagone ben ammortizzato ma impedite su di una ondeggiante autocorriera. In treno il tempo può sempre essere occupato; non è mai perso. In autocorriera è forzatamente inutilizzabile e quindi sprecato. Per migliorare l’utilizzo del tempo trascorso sulle ferrovie ed evitare che diventi tempo morto, sarebbe consigliabile offrire alcuni servizi di facile gestione. Oggi esiste il mini-bar o il vagone ristorante; domani potrebbe esserci una vendita di giornali o di libri; sarebbe un modo concreto per dimostrare che si pensa non solo alla pancia, ma anche alla cultura.
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Quando non ci si sposta per turismo, per divertimento, per ricreazione, ma per lavoro, non tutti i mezzi di trasporto offrono gli stessi vantaggi; non tutti forniscono le stesse prestazioni. Vi sono casi in cui l’itinerario previsto richiede l’uso di due o più mezzi di tipo diverso. Se per esempio ci si deve muovere per affari e recare in località molto lontane e raggiungibili solo in automobile, oggi la scelta quasi obbligata è il trasferimento con l’auto personale fino alla località di arrivo. Un colossale spreco di tempo, di energie, di danaro; una scelta insensata ed irrazionale. Più saggio sarebbe raggiungere in treno la città più vicina alla meta desiderata; e alla Stazione noleggiare un’auto. Il noleggio tuttavia ancora oggi è costoso, disagevole, poco gradito.
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I treni statali dovrebbero studiare un abbinamento ferrovia-auto da coprire con uno stesso biglietto; e organizzare, per i luoghi non serviti dal treno, una nuova formula di viaggio che implichi l’uso anche dell’automobile. Si otterrebbe una felice integrazione di entrambi i mezzi.
Nei giorni scorsi Mauro Moretti si è offerto come possibile acquirente della nostra malconcia Compagnia aerea: ha sbagliato. Non è con Alitalia che le Ferrovie devono creare un gemellaggio, ma con il trasporto su gomma, con le automobili. L’aereo non sarà mai alleato delle Ferrovie, ma suo inevitabile concorrente. L’auto invece può integrare e completare il trasporto ferroviario; può diventare un prezioso aiuto a migliorare i viaggi in treno.
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Alla mancanza di fantasia delle Ferrovie pubbliche, occorre tuttavia aggiungere la povertà di inventiva degli industriali privati. La vendita delle auto nei paesi ricchi sta calando. Sergio Marchionne, amministratore delegato della FIAT dovrebbe affrettarsi a proporre un accordo fra la sua industria privata e la gestione dei  treni statali.
Occorre introdurre un nuovo uso dell’automobile non più concepita come bene soltanto personale, come proprietà privata per uso ricreativo o famigliare, ma vista come strumento di utilità pubblica, abbinata alla ferrovia ed utilizzata per scopi di lavoro nei viaggi di lunga distanza verso mete non raggiungibili con il treno. L’automobile servirà a nuove funzioni fino ad oggi non ancora soddisfatte. Diventerà più razionale perché introdotta non dove è superflua ma solo dove è indispensabile. Coprirà fasce di mercato ancora oggi non servite.

Tutto ciò sarà possibile se nascerà la collaborazione fra due soggetti ugualmente interessati: da un lato le Ferrovie dello Stato che potrebbero arricchire la loro offerta ed estenderla al di là del tradizionale viaggio su vagoni; dall’altra i produttori di automobili che dovrebbero affrettarsi a cercare uno sbocco per nuovi mercati.

INVITO IN BIBLIOTECA


Clicca qui per scaricare l'invito e il programma completo dell'evento. Vi aspetto numerosi.

Angelo Gaccione

domenica 13 ottobre 2013

È MORTA SARA BIANCHI

Sara Bianchi
Un gravissimo lutto ha colpito il nostro fraterno amico e collaboratore di “Odissea”, Giovanni Bianchi. All’età di 45 anni si è spenta oggi, stroncata da un male infame, l’adorata figlia Sara.
Giornalista, Sara Bianchi aveva cominciato la sua carriera nelle televisioni (diversi anni fa mi aveva anche intervistato in occasione della pubblicazione di un mio libro, ma allora ignoravo che fosse la figlia di Giovanni) ed era poi approdata a “Il Sole 24Ore”. Personalmente ignoravo il dramma che Sara stava vivendo e assieme a lei i genitori Giovanni e Silvia. È stato venerdì 11 che un altro amico e collaboratore, Renato Seregni, mi ha telefonato da Cinisello per dirmi che Giovanni non avrebbe preso parte alla presentazione del libro di Federico La Sala alla Libreria Popolare di via Tadino dov’era programmata, perché la figlia stava poco bene. Giovanni era uno dei relatori assieme a me e a Nicola Fanizza; Renato era stato molto discreto ed io non immaginavo che la cosa fosse così grave. Oggi invece la drammatica notizia.
Giovanni non aveva voluto mancare all’incontro per i 10 anni di Odissea, alla Sala del Grechetto della Biblioteca Sormani il 27 settembre scorso, dove aveva fatto un appassionato e vigoroso intervento. In quella occasione aveva avuto modo di incontrare il filosofo Fulvio Papi, Nando Dalla Chiesa, Roberta De Monticelli e altri amici del giornale, che si apprestava a cominciare una nuova avventura sul Web, dopo 10 meravigliosi e faticosi anni cartacei. Gli siamo ancora più grati: nonostante il dramma personale che viveva come padre, era venuto lo stesso, era stato con noi  assieme ad un pubblico attento e numeroso. In casi come questo le parole sono inadeguate, ma vogliamo lo stesso dirgli della nostra vicinanza e del nostro commosso dolore.

Angelo Gaccione 


GIULIO STOCCHI

Una dolorosa e ammonitrice poesia
Del poeta milanese Giulio Stocchi
         *

Ormai li tirano
su a pezzi

dal fondo del mare
i pescatori

braccia
gambe
tronconi

qualche volta una testa

smangiati dai pesci
incrostati di sale

Poi li ributtano all’onda

Il loro nome
affondò con loro

Hassan
Mriam
Alì

“Fleba il fenicio”
dice il poeta

“dimenticò il guadagno
e la perdita”

La perdita
fu loro

Di altri

il guadagno.

venerdì 11 ottobre 2013

CORRIERE DELLA SERA NEWS


AI DANNATI E ALLE DANNATE DELLA TERRA

Ove non sono mari
a lasciar morire spiaggiati
si ergono muri
a respingere isolare
uomini donne bambini
in fuga da una diversa morte.


Maria Carla Baroni
La terra promessa

(da ‘Tsunami’- Piccola Biblioteca di Odissea)

Arranca la carretta
verso la terra promessa
si agita, s’affanna
nel mare in tempesta
come orca marina
in lotta per la vita
e ad ogni onda
si dilata la pupilla
nei mille occhi
della mostruosa testa.

Dopo giorni e giorni

di digiuno e angoscia
si avvista la costa.
‘Tutti a terra’
urla l’aguzzino
gettando in acqua
l’umana zavorra.
Ma la terra è lontana...
Nel mare affonda
l’ultima speranza
rintocca a morte
vicina, una campana.

“… Never send to know for whom the bell tolls; it tolls for thee”
John Donne

 Livia Corona




giovedì 10 ottobre 2013

CONCERTO DI GALA


Concerto di Gala della Associazione Giapponesi residenti nel Nord Italia
20 Ottobre 2013 -ore 16-
Salone d’Onore di Casa Verdi, piazza Buonarroti 29, Milano
Concerto dell’Amicizia 2013

Prima Parte
J. Brahms Trio op.114 - I movimento
Edoardo Lega, clarinetto
Issei Watanabe, violoncello
Megumi Nakamori, pianoforte
F. P. Tosti “Sogno”
Non t'amo più
Sano Satzuki, soprano
Barbara Boni, pianoforte
J. Hotteterre le Romain
Premiere Suitte de Pièces à deux dessus
Gravement
Gay
Allemande
Gigue
SeikoTanaka, flauto a becco
Daniele Bragetti, flauto a becco
A. DvorakInno alla luna” dall'opera Rusalka
Kaori Nagase, soprano
Yoshitaka Tahara, pianoforte
S. Thalberg “Casta Diva” da Lʼart du chant appliquè au piano op. 70
Miho Mangiacotti, pianoforte
G. PucciniSe come voi piccina io fossi” dallʼopera Le Villi
Rie Takaesu, soprano
Colette Cavasonza, pianoforte
“Fantasia su Sakura”
“Kojo no tsuki”
Machiya Ijyusho, koto
Seconda Parte
H. Villa-Lobos Bachiana Brasileiras nr.5
Michiko Mori, soprano
Ivana Milanja, chitarra
Claudio Ballabio, chitarra
G. DonizettiPiangete voi?” dallʼopera “Anna Bolena”
Chikako Nagase, soprano
Yuka Gohda, pianoforte
A.Vivaldi Sonata in sol minore or. 42
Erika Italiani, violoncello
Andrea Cavalazzi, violoncello
G.PucciniQuesto amor” dallʼopera “Edgar”
Seiji Ueda, baritono
Yuka Gohda, pianoforte
G. MiluccioRhapsody per clarinetto solo
Takayo Hiramatsu, clarinetto
G. PucciniUn bel dì vedremo” dallʼopera “Madama Butterfly”
Kaori Okanda, soprano
Yoshitaka Tahara, pianoforte
A. Vivaldi Concerto in la minore
Ensemble Kaguya
Sayuri Miyashita, flauto
Emiliana Parenzi Colombo, flauto
Nicolas Moureaux, flauto
Guido Parma, violoncello
Luigi Correnti, contrabbasso
Colette Cavasonza, pianoforte

QUATTRO OPERE DI TEATRO DA NON PERDERE


Clicca qui per scaricare la locandina con il programma completo della Compagnia Teatrale del San Cipriano.

mercoledì 9 ottobre 2013

Per le vittime del naufragio di LAMPEDUSA

Quello che è successo nel mare di Lampedusa ci ha annichiliti.
Siamo rimasti sgomenti e muti, privi di parole perché non ci
sono parole per dire l’orrore, lo sgomento, l’empietà. Ogni parola
ci è parsa suonasse falsa, inadeguata, disumana.
Un giovane poeta afghano, Amin Wahidi, mi ha mandato questo testo.
Ho deciso di pubblicarlo qui in prima pagina e di non toccare nulla:
la lingua italiana non è la sua lingua, ma a me bastano gli echi che
questa lingua imperfetta ci rimanda. (Angelo Gaccione)


I fratelli di "sangue bianco"!
Piango per voi fratelli miei,
Con un pesante dolore nel cuore,
Per il vostro mal-destino,
E un caldo sorriso sul viso,
Per la vostra immortalità!

Liberi voi, fratelli miei!
Che avete liberato,
Le vostre anime, da questo mondo ingiusto
Nella grandezza del mare,
In cerca di pace e tranquillità,
Deridendo alle facce di tutti coloro,
Che fanno finta di far parte della razza umana,
Ma non sono che grandi lestofanti,
E mercanti di “sangue bianco”, come il vostro e come il mio.

Beati voi, fratelli miei di sangue bianco,
Che con la vostra partenza,
Avete fatto scoprire, dietro le quinte,
Di questo grande spettacolo mondiale,
Che si chiama,“ protezione dei diritti umani”
Che ha milioni e milioni di spettatori nel mondo.

Ma fin dove bisogna fuggire,
E fin quando bisogna correre,
Verso nessun-dove, nessun-luogo,
Verso gli orizzonti non chiari,
A cercare l’umanità, le mani di carità
e un po’ di pietà?!!!

Amin Wahidi
Milano, Italia
4- Ottobre - 2013


martedì 8 ottobre 2013

CLAUDIA AZZOLA

 Sii a me vicino

 Sii a me vicino come la vita
ora che non c'è più il carbone
da seminare, la polvere d'oro
degli almanacchi si stinge in fondi
di cortili, portiamo a casa sporte
di spaesamento. Il mio cuore
fu quello che non ero io, per la
sapiente opera del servo arbitrio;
la mia voce si chiama Sibilla, Titania,
ma anche Oberon, e Amleto;
è stato pagato il prezzo dei saecula
saeculorum il divenire, così ti getto
nel sogno di una notte la poesia:
lo scambio è tra l'àugure che smangia
pezzi di destino, e la colomba
col ramo della pace del tempo
ormai passato, passato via,
con taluni punti oscuri preclusi
                      alla memoria.
          ***

 Il mondo vivibile

 Il mondo è desiderabile, inimitabile,
                                formidabile
                                vivibile
secondo chi c'è nel mondo
a viverlo, ad arricchire due vasi
di conoscenza, intuitiva e intellettuale,
a tenere il male del sangue lontano;
il sangue: s'inspessisce all'avventarsi
di un uomo su un altro uomo,
quando il grido del corvo è incline
alla forma predatoria del becco,
e attorno la natura è còrrea.
La natura è desiderabile
                                formidabile
                                vivibile
se non è, fino all'osso, spendibile,
coltivabile, imitabile, sfruttabile,

quando il grido del corvo è innocente,
d'uccello non rapace ma fine,
incorrotta la sostanza intuitiva,
la forma, non quella letale, abissale,
                                  del male,

                                  del capitale.


LUNEDI 28 OTTOBRE ORE 18:00 

FELTRINELLI ,VIA MANZONI 12

ALESSANDRO QUASIMODO, FABRIZIO CALEFFI, BIMBA SELVAGGIA LANDMANN

PRESENTANO :

FALSTAFF O L’INCONSUETO

ExCogita Editore

di


CESARE VERGATI


Clicca qui per scarica l'invito con il programma completo.
ACQUA PUBBLICA
UN ALTRO GOVERNO INFAME

Ministro Zanonato non ci provare! No alla svendita dei servizi pubblici locali

Roma. Il Ministro Zanonato incontrerà giovedì 10 ottobre le grandi multiutility dell'acqua e dei servizi pubblici. All'ordine del giorno la proposta di escludere dal patto di stabilità le somme che i Comuni ricaverebbero dalla vendita delle società di gestione dei servizi pubblici locali.
Dopo aver strangolato per anni gli enti locali, oggi si chiede loro la definitiva capitolazione, consegnando l'acqua e i beni comuni ai grandi capitali finanziari.
Ancora una volta, si fa finta di non sapere come sull'acqua e i servizi pubblici la maggioranza assoluta degli italiani abbia già deciso: sono beni comuni da sottrarre al mercato e ai profitti.
Per questo, al Ministro Zanonatto, al governo Letta-Alfano, a Pd e Pdl, diciamo chiaramente "non ci provate!"

FORUN ITALIANO DEI MOVIMENTI

PER L’ACQUA 
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