UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

martedì 28 gennaio 2014

I HAVE A DRINK

di Giovanni Bianchi


Consumatori

Ovviamente il titolo e il tema non rifanno indecentemente il verso all'espressione epocale di Martin Luther King. Stanno piuttosto a indicare il corrompimento prima della visione e poi del linguaggio nella stagione del grande disordine storico e mediatico. Dei troppi che, ignari di obbedire a un comando da sopra e da fuori, si esibiscono e sdottorano succubi di un nuovo etilismo ideologico. Nel senso che non poco i media vanno contribuendo a disordinare il mondo: instaurando un ordine apparente e fittizio, una neolingua, l'illusione di un pianeta altro e pacificato. Vale ancora beffardamente l'antico: tutto in ordine e niente a posto. Ovviamente ciò accade quando si è riusciti a sostituire al cittadino lo spettatore, o più precisamente ancora il consumatore di immagini. Tutti esposti, nuclei familiari e legioni supine, alla manipolazione quotidiana di giornalisti e politici – anzi più spesso di commentatori o analisti che non alzano il culo dalla sedia e gli occhi dal computer – che non hanno capito che il testo fondamentale della cosiddetta Seconda Repubblica è Il più mancino dei tiri[1] di Edmondo Berselli.
Il loro è soltanto vuoto da pose e da immagine, corredato di parrucca, anche quando ostentano il cranio rasato. L'unico che si salva (perché lavora per mappe e viene dalle Acli) è Ilvo Diamanti.
C'è solo un modo probabilmente per evadere da questa gabbia di plastica e cellophane: recuperare il flaneur e perdere tempo; a zonzo per la strada guardando i passanti al posto delle vetrine, osservando da entomologo verista come in metropolitana tutte le nuove generazioni – giovani immigrati multinazionali e badanti comprese – non stacchino gli occhi dai giochini  del tablet e dal telefonino. Inutile fingere culture politiche: sono tutte consumate. È rimasto il richiamo della foresta, ma non c'è più la foresta.
Bisogna tuttavia intendere che il personale è tornato ad essere politico, in senso rovesciato rispetto al Sessantotto. La Ministra dell'Agricoltura finalmente dimissionaria giace lì, in questo incrocio confuso e stagnante, in larghissima compagnia di casta e controcasta, generazionale e non. Nel Mezzogiorno che Cavour evitò di includere nei confini della Nazione, tardivamente  rammaricandosene nel delirio dalla morte. E infatti – narra una vulgata ironica che si diverte a rifare il verso alla diceria nordista e protoleghista – chi provvide a risolvere tutto con un colpo di mano e di nave fu Giuseppe Garibaldi (le cui letture non erano molto estese) con i suoi Mille, la gran parte di Bergamo e Brescia, ponendo in tal modo le radici della ribellione generazionale dei trisnipoti.
Un Paese per vecchi? No: un Paese per cani. Affacciatevi all’ora canonica e vedrete antichi pensionati fordisti e nuove partite Iva alla passeggiata. Dopo il capolavoro di Umberto Eco su la fenomenologia di Mike Bongiorno[2], è tempo di una fenomenologia della pisciata canina quotidiana. Rigorosamente plurale: almeno tre volte al giorno, generalmente dopo i pasti. Allegra e cicloide, perché si formano capannelli d'amicizia non solo tra i quadrupedi di diversa taglia (in ascesa i mignon vista l'esiguità di troppi appartamenti) ma anche tra i proprietari, che dimenticato finalmente il tablet, fraternizzano: una stupenda combriccola di buontemponi che perdono finalmente tempo, aprendo spiragli alla creatività non soltanto canina.
Non tutti hanno letto Lorenz, ma quando il caso urge eccoli correre dallo psicologo-veterinario-comportamentista o trovare il tempo per gli interminabili scaffali dei cibi per animali, che resistono nel loro estensivo chilometraggio alla crisi dei consumi che pur affligge da tempo i supermercati. Stabilito che l'uomo è il miglior amico del cane – con gli imperdonabili abbandoni estivi causa vacanze – esternerò il mio ultimo mantra: amo il cane, ma odio i padroni (del cane).
Perché? Perché il cane non ha generalmente un cucciolo d'uomo col quale condividere i suoi umori e le scorribande, e magari allenarsi alla pet theraphy. Quel che mi addolora è che il quadrupede ha sostituito il cucciolo bipede dell'uomo. Non facciamo più figli da europei colti e  "detronizzati" (Carl Schmitt, 1971) e ci riduciamo agli animali da  appartamento, neppure più da cortile. E’ un segno tangibile di quella decadenza che la politica non riesce ad esorcizzare con la ripresina del prossimo anno dietro l'angolo del prossimo anno.
L'amore e il sesso continuano a interessarci, ma i figli non ce li possiamo permettere. E non è un problema di morale sessuale né tantomeno cattolica, se in recupero da anni troviamo la natalità degli svedesi e dei francesi, un tempo noti per la libertà dei costumi e una interpretazione separatista della laicità.








I corpi degli Italiani

Saltiamo d'un balzo tutta una serie di passaggi doverosi e diciamo ex abrupto che le riforme non sono affare di popoli decrepiti e avviati sul viale dell'estinzione. Come può sopravvivere una Repubblica tanto a lungo attaccata e alfine svuotata dagli stessi soggetti che dovrebbero esserne parte ricostituente? Il problema cioè è tornare a riflettere non soltanto sull'indole degli italiani – lo hanno fatto Machiavelli, Guicciardini, Leopardi, Prezzolini – ma sul rapporto carsico tra le energie antropologiche della società civile e il suo destino politico. L'emergenza antropologica è dunque la prima e più inquietante tra le molte emergenze che quotidianamente ci affliggono. A che punto siamo nel rapporto tra i corpi degli italiani e gli scenari della politica?
Non è neppure un problema di avvicinamento alle esistenze quotidiane, se quanti si occupano lodevolmente dei percorsi di cittadinanza attiva ci informano che nel rapporto tra volontariato e istituzioni monitorato dal Cinque per Mille, ben 40.000 associazioni si candidano alla tabella delle entrate. Quanta strada compiuta nel tempo! Il volontariato contemporaneo nasce nel 1975, in un gennaio napoletano nel quale si danno convegno otto persone intorno alla leadership mite e determinatissima di monsignor Giovanni Nervo. Con un processo di adattamento rapido delle istituzioni. (Il forum nasce nel 1994.) Mentre il sistema dei partiti italiani è alla deriva, impegnato in un ripiegamento corporativo e castale per assorbire o resistere alle pressioni del sistema economico.
Il tutto in una crisi in corso la cui natura resta tutto sommato indefinita e senza plausibile spiegazione. La crisi del 1929 durò un paio d'anni e fu subito individuata come crisi di sovrapproduzione di merci. Noi viaggiamo da cinque anni in una sorta di terra di nessuno, avendo al massimo inteso che non si tratta di crisi del vecchio sistema nel quale sarà poi possibile rientrare, ma di crisi piuttosto che sospinge alla creazione di un nuovo modello di sviluppo e di civiltà.
In grado di sinceramente rallegrarsene pare fosse soltanto Albert Einstein, che però è deceduto qualche decennio fa. Diceva lo scopritore della relatività nel 1931: "Non possiamo pretendere che le cose cambino se facciamo sempre le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. È nella crisi che sorgono  l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e le difficoltà violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è la crisi dell'incompetenza".[3]
È così che dalla solidarietà costituzionalmente e istituzionalmente supportata si è passati a una politica come luogo esteso e tumultuoso del rancore. Dilaga l'invidia. Tutto ridotto alla categoria dell'emergenza. Mentre la capacità innovativa della politica tende a zero perché  scarso e sempre insufficiente è il tempo che le è concesso per capire, programmare, intervenire (vedi Luigino Bruni). È dunque prevedibile che il dramma esploderà ancora più drammaticamente tra 10 o 15 anni, e morderà sicuramente nel vivo le carni delle nuove generazioni.
Alcide De Gasperi poteva suggerire sacrifici: andate all'estero a cercare lavoro (anche nel Belgio delle miniere e di Marcinelle) e trovate modo di aiutarci... D'altra parte nessuno al mondo riesce più a fare riforme, da Cameron, alla Merkel, a Obama, ma tutti si cimentano in manovre di adattamento nel breve periodo. Mentre il dovere dell'ora sarebbe non tanto quello di vincere la prossima competizione elettorale, quanto quello di riformare queste democrazie esauste.








La fatica d’apprendere

Da che cosa si apprende? Generalmente dal dolore. "Nessuno più dovrà patire quel che ho provato io", ripetiamo nella sventura che ci ha appena colpiti. Senza solidarietà non se ne esce (e neppure si capisce). Le idee del resto non stanno più sui libri. Si tratta piuttosto di sperimentarle in maniera molecolare e diffusa per individuare vie nuove di sortita. Le ricerche sono necessarie e aiutano, ma si è anche fatta evidente l'insufficienza delle ricerche. Non tutta colpa delle istituzioni. Non tutta colpa dei partiti che da vent'anni hanno lasciato la scena. Non tutta colpa di un volontariato che continua contro le apparenze a crescere: i suoi numeri infatti sono passati a 301 mila realtà nel 2011 rispetto alle 235 mila del 2001. La voglia e la competenza a partecipare non si sono dunque estinte.
Aumenta il tessuto della cittadinanza attiva. Il volontariato non dipende più dalla crisi fiscale dello Stato analizzata da Klaus Offe. Le foreste camminano davvero... Nonostante le resistenze e le controtendenze istituzionali che hanno sviato riforme destinate ad essere "epocali" nelle intenzioni. È in tal modo che le Regioni hanno assunto la sussidiarietà come esternalizzazione dei Servizi Sociali consentita dal titolo V della Costituzione. Lo stesso dicasi ancora una volta della latitanza dei partiti. I partiti costituenti non ci sono più, e i loro resti furono tiepidamente presenti nel referendum del 2006 nel quale gli italiani decisero di mantenere la Costituzione del 1948.

Drinko anch’io








Rompo cautele ed indugi. Mi fingo dinanzi un buon bicchiere di rosso, e da antico ufficiale degli alpini provo a esporre il nucleo del mio pensiero. Comincio malauguratamente dall'onda dei ricordi. Era la primavera del 1996 ed ero candidato nelle liste dell'Ulivo per la circoscrizione di Sesto San Giovanni e Bresso. Alla chiusura della campagna elettorale fu organizzato al Cinema Rondinella un confronto tra i tre candidati della costituency: una giovane leghista, uno stimato chirurgo di proclamate ascendenze fasciste e il sottoscritto. Alla fine del dibattito, tanto vivace quanto urbano, il moderatore invitò i tre candidati a lanciare un messaggio sintetico agli elettori. Toccò a me per ultimo. (Chi legge tenga conto che anche in quella occasione il pericolo da esorcizzare risultava l'astensionismo, con i soliti profittatori che invitavano al mare al posto del seggio.) Dissi pressappoco così: Avete certamente misurato quanto grande sia la distanza tra le nostre posizioni. Eppure mi sento di dirvi: preferisco chi vota per uno dei miei avversari a chi diserta il seggio per una piccola vacanza. Grande fu lo sconcerto tra i miei supporter, pari forse al mugugno: "Cosa ti salta in mente! Vai sempre a caccia di difficoltà inutili". E invece avevo semplicemente reso omaggio alla mia fede democratica, che veniva prima del successo, che d'altra parte mi fu decretato abbondantemente dalle urne.
Vale la spesa porre a questo punto un problema di sistema, fattosi cronico per la latitanza della politica quotidiana. Bisogna ripetere ancora una volta che il nostro è l'unico Paese al mondo, che, a far data dal 1989, ha azzerato tutto il precedente sistema dei partiti di massa. Non è successo così in nessun altro Paese europeo. Neppure nel Belgio che ha battuto ogni record di durata dell'assenza di governo.
Anche l'importazione benefica della pratica delle primarie rischia di essere alla lunga logorata dall'assenza di partiti gestori e collettori. Le primarie, che sono un comportamento collettivo, non possono fare da toppe per tutti gli sbreghi dell'abito della democrazia. È curioso che il partito che le ha importate, il PD, non si sia neppure interrogato sulle conseguenze derivanti dalla circostanza che si tratta di un comportamento americano innestato su un corpo partitico in ogni caso europeo. Quasi che difficoltà, anomalie, crisi di rigetto non dovessero comunque affiorare. In un quadro dove gli sforzi in direzione del bipolarismo si scontrano con una consolidata conformazione dell'elettorato in quattro parti evidenti: un quarto non vota più; un quarto si pone totalmente fuori dal sistema invocando ed aspettando una propria investitura ad unico rappresentante del popolo; gli altri due quarti si dividono il campo tra Partito Democratico e nuova Forza Italia, destinati in queste condizioni dai rapporti di forza e dalla forza del destino ad affrontarsi, opporsi, accordarsi...
Esiste tuttavia al fondo di tutto una questione di sistema che dovrà pur essere affrontata. È quantomeno dal 1994 che il tema centrale intorno al quale ruota la politica italiana è costituito dalla governabilità. Governabilità è un termine ereditato dal 1974, quando la Commissione Trilaterale in Giappone lo mise all'ordine del giorno a fronte di una condizione che presentava, secondo il suo giudizio, "un eccesso di democrazia". L'Italia in particolare pareva rientrare in questa "anomalia" messa sotto le lenti da Huntington – lo studioso che poi avrebbe assunto un ruolo di evidenza mondiale con la teorizzazione dello scontro di civiltà – e preparata dalle analisi di Niklas Luhmann. In Italia le relazioni del convegno furono raccolte in un testo prefatto da Gianni Agnelli.
Vent'anni di sperimentazioni non proprio fortunate per non dire fallimentari ci hanno condotti in una sorta di Waste Land dove le macerie della Prima Repubblica superano di gran lunga i cantieri della Seconda. Pare a questo punto di poter dire che la governabilità non è la soluzione dei problemi della nostra democrazia, ma un problema interno alla nostra convivenza democratica. Mettendo la governabilità al principio e al primo posto si creano problemi e difficoltà in primo luogo alla democrazia e in secondo luogo alla stessa governabilità.
Discriminante è sempre la circostanza che il nostro Paese è l'unico ad avere azzerato tutti partiti di massa della Costituzione repubblicana. Fu inattesamente lapidario il rappresentante in Italia del popolo Saharawi che, mio ospite dopo una conferenza, alla colazione del mattino mi propose non richiesto la sua sintetica visione delle cose: "Negli altri paesi cambiano gli uomini e restano i partiti. In Italia cambiano i partiti restano gli uomini". Lucido candore africano...
Orbene le prove di un ventennio, sia nel campo della destra come in quello di centrosinistra, hanno testimoniato che senza partiti strutturati la gestione del governo incontra difficoltà insormontabili. Non dunque i ritmi della democrazia discendono dalla governabilità, ma la governabilità è conseguente al funzionamento complessivo – partecipazione popolare inclusa – del sistema democratico. Le difficili performance governative di Berlusconi e Prodi sono a questo punto testimonianze incontrovertibili.
Ovviamente non si tratta di ripristinare le vecchie case partitiche con le loro culture e le loro sigle. Anche se il confronto con le altre nazioni europee suggerisce che dal dopoguerra in poi in Germania come in Francia come in Gran Bretagna si sono continuati a votare i partiti dalla tradizione, con poche variazioni. Può essere che ancora una volta giochi e funzioni l'anticipo italiano. Pare comunque evidente che senza partiti non si dia democrazia e neppure governabilità. Senza partiti o un loro analogo e succedaneo: una struttura organizzativa e culturale che colleghi i cittadini e la società civile ai canali istituzionali. Possiamo definirli diversamente. Chiamiamoli pure "motociclismo". Ma pare improbabile prescindere da una loro rinnovata presenza. Non risultano cioè sufficienti per la democrazia e per la governabilità formazioni riconducibili alla logica e al funzionamento delle liste elettorali, disponibili ad un rapido smantellamento una volta conseguito il risultato.

Crisi dei partiti e crisi della politica






Ci siamo lasciati alle spalle quella che Palmiro Togliatti definiva una Repubblica fondata sui partiti, chiamati a surrogare una storica debolezza dello Stato italiano. Non solo per questa ragione la crisi dei partiti si risolve in crisi della politica e contribuisce al suo dilatarsi. Non poco ha pesato la circostanza che le classi dirigenti italiane hanno da subito abbandonato il testo costituzionale nella vicenda della politica politicante quotidiana.
Un ultimo problema e un'ultima frizione si evidenziano. Essi consistono nel rapporto problematico tra la leadership e il partito. Scorre sotto i nostri occhi tutto il film dei capi populisti, di un narcisismo esasperato nei decenni, del partito personale. E torna alla mente l'ammonizione di Norberto Bobbio che considerava una contraddizione in termini il partito personale: proprio perché lo strumento partito indica da sempre un'impresa collettiva.
Resta il fatto che così come sono problematiche le riforme dall'alto, ancora più problematico appare il vezzo di assegnare la riforma della politica ai leaders, pensati in grado di produrla dall'alto per una sorta di emanatismo plotiniano. Il partito, comunque pensato e ristrutturato, è destinato ad essere in ogni caso una impresa collettiva. Destinato a precedere, accompagnare, seguire il governo quando l'avvicendamento democratico lo assegna alla parte avversaria e concorrente.
Il resto assomiglia in tutto alle liste elettorali, costringendoci ogni volta a ricominciare daccapo e a richiamare un uso dei partiti che ricorda la celebre espressione di Enrico Mattei, che gli assegnava la funzione e il prezzo di un taxi. Né cambia se al posto del taxi si è sostituita la metafora del pullman.
L'interrogativo finale è se dopo aver tanto puntato sulla governabilità per restaurare la democrazia, non sia pensabile di instaurare la governabilità attraverso la ristrutturazione della democrazia e del suo funzionamento in termini di partecipazione. Sostengo da tempo che dobbiamo avere il coraggio di porci domande per le quali sappiamo di non avere risposte. E l'interrogativo appena formulato può non essere uno dei più ardui che ci inseguono in questa fase storica. Anche perché se è vero che la democrazia è commisurata all'uomo comune, è altresì vero che essa suscita risorse che al comune buon senso fanno riferimento e dalla prassi quotidiana traggono ispirazione.





Non è del tutto vero che siamo rimasti all'anno zero della forma partito e che le soluzioni non siano state cercate. Non è casuale l'accorciamento della distanza tra gli ambiti dell'amministrazione e quelli della politica. Non solo i politici più avvertiti, ma anche la pubblica opinione si sono ben presto resi conto che, archiviati i partiti e chiuse le scuole di partito insieme alle sezioni territoriali, un qualche banco di prova andava comunque trovato per produrre cultura politica condivisa e selezionare la classe dirigente. L'unico luogo disponibile a un qualche training, a percorsi di acculturazione e avvicinamento alla cosa pubblica, a tecniche necessarie nello spazio pubblico è rimasto quello dell'ente locale, di quelli che la dottrina sociale della Chiesa continua a chiamare "corpi intermedi".
Qui il confronto con le esigenze della popolazione e le difficoltà di soluzione è obbligato e quotidiano. Qui le capacità vengono comunque messe alla prova ed allenate. Non a caso a far data dal 1994 i movimenti che fanno riferimento ai sindaci hanno di tempo in tempo guadagnato la cresta dell'onda e il favore dell'opinione pubblica.
Detto in breve e alla plebea: si sono notevolmente accorciate le distanze tra l'amministrazione e la politica. Una sorta di "via francese": perché in Francia nessun leader è tale e può sperare di arrivare all'Eliseo senza aver prima fatto il sindaco della propria città. Ci imbattiamo addirittura nella figura del deputé-maire.
Rutelli fu sindaco di Roma. Veltroni diventa leader del PD dopo aver occupato la medesima carica. Matteo Renzi è sindaco a Firenze. Le competenze altrove smarrite per la dissipazione della tradizione e la mancata organizzazione di percorsi formativi e selettivi, hanno dunque l'amministrazione come banco di prova. Una base estesa e certamente non priva di competenze. L'immaginazione politica può attingervi energie, stili di vita, leadership. È un augurio, ma anche una realtà in movimento. Perché la democrazia non è un guadagno fatto una volta per tutte. E perché la democrazia si occupa anche di quelli che non si occupano di lei.


Note

Edmondo Berselli, Il più mancino dei tiri, Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma 2010.
Umberto Eco, Diario minimo, Bompiani, Milano 1992
Albert Eistein, Il mondo come io lo vedo, Newton Compton, Roma 2012






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lunedì 27 gennaio 2014

INVITO



Aggiornamento su come è morto mio fratello #Giuseppe Uva su Change.org
Giuseppe Uva muore il 14 giugno 2008 dopo essere stato portato in caserma con Alberto Biggiogero. Il giorno successivo Alberto Biggiogero presenta un esposto in cui racconta quello che ha visto e sentito. Verrà ascoltato dalla procura solo cinque anni e mezzo dopo, il 26 novembre 2013, quando il pm Agostino Abate interroga per la prima volta il testimone oculare. Le quasi quattro ore di interrogatorio, descrivono perfettamente il clima che si è respirato nella procura di Varese in questi lunghi anni. Ecco leimmagini dell'interrogatorio che parlano da sole, guarda e condividi:
https://www.facebook.com/Change.orgItalia/posts/10153778464205430?stream_ref=10

La vicenda di Giuseppe Uva merita magistrati che finalmente compiano il proprio dovere.

domenica 26 gennaio 2014

Mauro cerca partner per far la guerra ai migranti
di Antonio Mazzeo



Afghanistan, Siria, cacciabombardieri Joint Strike Fighter F-35 ma soprattutto “emergenza migranti” e sicurezza nel Mediterraneo. Sono stati questi i temi dell’incontro tenutosi a Washington il 15 gennaio scorso tra il Segretario della difesa Usa Chuck Hagel e il ministro italiano Mario Mauro. “Mr. Hagel ha espresso pieno apprezzamento per il contributo dell’Italia al rafforzamento delle democrazie emergenti in Medio oriente e Nord Africa e per l’addestramento avviato a favore delle forze di sicurezza libiche”, ha dichiarato il Capo ufficio stampa del Pentagono, ammiraglio John Kirby, a conclusione di un vertice pressoché ignorato dai media italiani. “I responsabili alla difesa dei governi d’Italia e Stati Uniti - ha aggiunto Kirby - si sono trovati d’accordo a sottoporre la questione dei rifugiati del Mediterraneo all’attenzione del prossimo meeting del Comitato militare della Nato previsto a Bruxelles a fine gennaio”.
Il pericolo migrazioni è stato enfatizzato dal ministro Mauro nel tentativo di ottenere un fattivo supporto statunitense all’operazione “Mare Nostrum”, lanciata nell’ottobre 2013 dalle forze armate italiane nel Canale di Sicilia. “Gruppi criminali con potenziali legami con il terrorismo stanno facendo profitti con le imbarcazioni che trasportano migranti attraverso il Mediterraneo sino alle sponde europee”, ha esternato il ministro ad alcuni giornalisti di Washington. “Per questo chiediamo agli Usa di fare massima attenzione al risorgente terrorismo islamico nella regione. L’Italia sta usando anche i droni e i sottomarini contro il lucroso traffico di migranti provenienti dal Nord Africa, che probabilmente sta finanziando il terrorismo”. “I governi europei e l’opinione pubblica considerano quanto accade come un problema d’immigrazione illegale, ma non è questa la mia visione”, ha aggiunto Mauro. “Credo cioè che si tratti di un problema strettamente legato alla sicurezza internazionale. È importante che gli Stati Uniti comprendano meglio ciò che sta accadendo nel Mediterraneo”. Secondo il ministro, al “flusso” d’imbarcazioni provenienti dalla Libia si è aggiunto quello dall’Egitto, “gestito da organizzazioni criminali multinazionali”, con oltre 25.000 migranti trasportati nel 2013. “I trafficanti stanno utilizzano navi madri che rimorchiano imbarcazioni più piccole e meno idonee alla navigazione, su cui, a 200 km dalle coste italiane, vengono stipati sino a 1.000 passeggeri”, ha aggiunto. “Ognuno di essi paga circa 3.000 dollari, cioè 3 milioni di dollari per ogni viaggio, profitti che vanno nelle mani di organizzazioni criminali internazionali con possibili legami con gruppi terroristici in Siria e Somalia”. Le imbarcazioni, secondo Mauro, potrebbero essere utilizzate pure per trasferire “terroristi” in Europa. “In Libia è difficile individuare le differenze tra gruppi terroristici e gruppi criminali coinvolti nel traffico di essere umani. Ci sono 28 brigate che possiamo definire jihadiste, ma dedite al crimine. Alle frontiere meridionali della Libia regna il caos, e sono migliaia i terroristi attivi”.



Per il ministro italiano, le tensioni e i conflitti esistenti in Nord Africa e Medio oriente impongono ai partner occidentali scelte e impegni precisi. “Sono determinato nel voler convincere i nostri alleati a condividere una visione comune a medio e lungo termine”, ha dichiarato. “Probabilmente abbiamo bisogno di una nuova strategia per l’area ed elementi cruciali sono il ruolo degli Stati Uniti e una partnership più forte tra Usa ed Europa”. Mauro non nasconde tuttavia la delusione per quanto fatto sino ad oggi dall’Unione europea per contenere e contrastare l’immigrazione “illegale”. “Lampedusa è la frontiera dell’Europa e non solo dell’Italia, e siamo convinti che l’Europa possa e debba fare di più per garantire la sicurezza nel Mediterraneo”, ha dichiarato. Alle operazioni aeronavali di “Mare Nostrum” solo la piccola Slovenia ha offerto il proprio contributo con la nave multiruolo “Triglav 11” (classe Svetlyak ). L’unità, in grado di raggiungere i 30 nodi di velocità ed armata di mitragliere e cannoncini, ha lasciato il porto di Koper lo scorso 12 dicembre ed è approdata ad Augusta (Siracusa) tre giorni dopo, integrandosi nel “dispositivo attivato per incrementare il livello di sicurezza della vita umana e concorrere al controllo dei flussi migratori via mare”. La marina militare slovena, oltre all’equipaggio di 44 uomini, ha inviato anche un team di collegamento presso la sede del Comando delle forze da Pattugliamento (COMFORPAT) di Augusta. “Il compito delle forze armate slovene è quello di sorvegliare la situazione in acque internazionali”, spiga una nota del ministero della Difesa. “Il settore di sorveglianza assegnato alla nave Triglav si trova a est della costa siciliana e comprende un’area di dimensioni di 30 x 30 miglia nautiche (approssimativamente 3.100 chilometri quadrati)”. Ignote tuttavia le regole d’ingaggio e le modalità di consegna alle autorità italiane delle persone tratte in salvo in mare.
La decisione slovena di partecipare all’operazione “Mare Nostrum” è maturata durante un incontro - il 18 ottobre 2013 a Roma - tra il ministro Mario Mauro e l’omologo alla difesa, Roman Jakic. Il 22 gennaio, il Primo ministro della Repubblica Slovena, Alenka Bratusek, ha raggiunto Augusta per visitare il contingente delle forze armate impiegato nella vigilanza del Canale di Sicilia. Ad attenderlo, l’instancabile Mauro, che ha accompagnato Bratusek pure per un sopralluogo al “centro di prima accoglienza” Umberto I di Siracusa, uno dei tanti non luoghi dell’Isola dove sono stipati in condizioni igienico-sanitarie sempre più critiche centinaia di migranti e richiedenti asilo “salvati” in mare dalle unità da guerra.
In attesa che Usa e Ue accolgano l’appello a condividere nel Mediterraneo l’intervento militare di contrasto all’immigrazione, al vertice italo-russo di Trieste del 27 novembre 2013, il governo Letta ha chiesto al presidente Vladimir Putin un “impegno comune” per affrontare l’emergenza umanitaria dei rifugiati siriani. “Abbiamo discusso anche di Libia ed abbiamo messo in comune le nostre preoccupazioni per la situazione di instabilità che investe l’area a sud e a est del Mediterraneo”, ha spiegato Letta a conclusione del summit.
           


sabato 25 gennaio 2014


Cari tutti,
vi segnalo lo scritto del filosofo e musicologo Gabrielle Scaramuzza
che troverete nella rubrica "Il Pane e le Rose"

Per Claudio Abbado
di Gabriele Scaramuzza

Non starò a ripercorrere la storia, nota, e ripetuta in questi giorni su tutti i giornali, di Claudio Abbado. Mi soffermo piuttosto su alcuni punti cardine della lezione che ci ha lasciato, ed è di valore duraturo. Abbado lavora fino alla fine, inseguendo un sogno non di solo perfezionamento professionale del suo lavoro, bensì soprattutto di testimonianza dell’alto valore, culturale, esistenziale e civile insieme, della musica. Non a caso Fulvio Papi, che lo conobbe, lo ricorda tuttora con ammirazione e affetto.
Non so più quale è stata la prima volta che ho visto Abbado alla Scala; l’ultima volta fu nel concerto del ritorno, nel novembre del 2012, in giorni in cui è mancata la sorella Luciana Pestalozza, pure musicalmente assai impegnata: seguo ogni anno Milano Musica, da lei fondata.
A chi ascolta resta il senso che Abbado imprime alle sue esecuzioni, e trascina dall’inizio alla fine; qualcosa di simile mi accade con Furtwängler. Pochissimi giorni fa ho potuto ascoltare il video della sua direzione dell’ultimo tempo della Nona di Mahler: l’intensità emotiva del suo volto si trasmetteva nei volti dei giovani esecutori che lo attorniavano, con profonda gratitudine. 
Tra Milano e Pesaro ha contribuito alla rinascita di Rossini: hanno fatto epoca le sue esecuzioni di Cenerentola, di Il viaggio a Reims. Ma restano indimenticabili, per citare le opere cui mi sento più intimamente legato, Mahler (a partire dalla Seconda, con cui si è presentato e ha preso congedo dalla Scala), Wozzeck. E tanto Verdi: il Requiem, il Ballo in maschera; il Macbeth e il Simon Boccanegra con Strehler; il Don Carlo con Ronconi; per tacere di Otello e Falstaff. In anni più recenti rivisto Abbado nel Simon Boccanegra a Firenze, con l’orchestra che letteralmente volava, presa dall’unità di senso che le sapeva imprimere. Indimenticabile anche l’attimo di silenzio finale, la sospensione prima di abbassare la bacchetta e ricevere gli applausi. Un momento di alto raccoglimento per non disperdere l’intensità dell’ascolto e lasciar vibrare il dramma dentro di noi.

Quanto al suo modo di dirigere sono grato a Alice Cappagli (violoncellista nell’Orchestra della Scala fin dai primi anni ’80, ha suonato sotto la direzione di Abbado più volte) per avermi offerto una testimonianza di prima mano, e competente, in proposito. La riporto qui sotto con le sue parole...
(Leggi tutto l'articolo nella rubrica "Campi Elisi)

Cari lettori, cari lettrici,
vi segnalo sulla pagina di apertura della rubrica
"Il Pane e le Rose", il bel racconto di Annalisa Bellerio.
Buona lettura a tutti.
(Il Direttore)

venerdì 24 gennaio 2014


Villaggi per la guerra a Teulada e ammissione del rischio radioattivo riemergono dalla naftalina.
(Riferimento: “Progettazione definitiva-esecutiva relativa ai lavori di realizzazione del primo villaggio per l’addestramento negli abitati” elaborata dalla 14a Direzione Genio Militare, datata 29/09/2000, codice di priorità “Alta”).





Sardegna. Di recente le Forze Armate hanno tolto dalla naftalina e ripresentato il Progetto del 2000 di costruzione del PRIMO villaggio (ma quanti ne prevedono?) in stile balcanico e mussulmano allo scopo di conferire maggiore realismo ai giochi di guerra. Il Progetto annunciava anche “un approfondito studio per ridurre al minimo l’impatto ambientale”, sorprendentemente, tra i fattori da esaminare indicava l’inquinamento radioattivo (pag 23, punto D ). Uno studio su questo aspetto, oggi, 2014,  è del tutto normale, non considerarlo susciterebbe uno scandalo. E’ invece singolare che sia stato previsto nel settembre 2000. L’anacronismo è shoccante. Allora, infatti, le richieste di chiarezza e accertamenti sulla contaminazione radioattiva si contavano sulle  dita di una mano e cadevano nel vuoto totale. In Sardegna le sole voci erano quelle del Comitato Gettiamo le Basi, delle famiglie del caporalmaggiore Salvatore Vacca e del soldato di leva Giuseppe Pintus, uno in servizio nel teatro di guerra bosniaco, l’altro a Capo Teulada, entrambi uccisi dallo stesso tipo di tumore, leucemia linfoblastica acuta. Nella penisola il silenzio era sovrano. Eppure gli estensori del Progetto del 29/09/2000 denotano la consapevolezza “anacronistica” del rischio radioattivo allora ignoto alla quasi totalità della popolazione civile e militare. Inoltre, nei quattordici anni trascorsi, man mano che i sospetti crescevano fino a diventare certezza diffusa, Istituzioni, ministri della Difesa, vertici militari e politici hanno ostinatamente negato e categoricamente escluso l’uso di armamento radioattivo e conseguente contaminazione nei poligoni sardi. I vari Capi Supremi delle Forze Armate hanno pilatescamente scansato il problema.
 La sola ipotesi plausibile  della “preveggenza” del rischio radioattivo è la svista involontaria e accidentale che fa trapelare il “segreto”  gelosamente custodito e da custodire costi quel che costi. Sarebbe l’ennesima conferma delle menzogne che ci hanno propinato e ci propinano,  della lucida quanto criminale decisione di lasciare esposti alla contaminazione letale militari, popolazione, flora, fauna, terra, aria, acqua e la catena alimentare. L’involontaria ammissione del problema contaminazione radioattiva potrebbe chiarire anche l’anomalia della veloce ibernazione e riesumazione dopo quattordici anni  del piano di costruzione dei villaggi da war games. Non basta a spiegarla, infatti, il parere negativo (non vincolante) della componente civile del CoMiPa (Comitato Misto Paritetico Stato Regione) anche in considerazione del codice di priorità “Alta” assegnato ai lavori. Ripugna lo sperpero di denaro pubblico per costruire case da bombardare (circa 8 milioni di euro, più di 15 miliardi di lire nel 2000). Agghiaccia il silenzio della caterva di politici e pseudo esperti che promettono bonifica e pronto smantellamento del poligono “inutile” di Teulada in cambio del potenziamento del poligono della morte Salto di Quirra a rischio chiusura per intervento della Magistratura. Rimane una ferita sanguinante lo stupro sistematico della nostra terra e la perdurante strage di Stato per creare paradisi di guerra.
Comitato sardo Gettiamo le Basi


giovedì 23 gennaio 2014

Tariffa idrica: il Tar della Lombardia
rinvia la discussione sul ricorso presentato dal Forum



Roma.Il TAR della Lombardia ha disposto oggi il rinvio della discussione al 20 febbraio sul ricorso presentato dal Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua e da Federconsumatori contro il metodo tariffario del servizio idrico elaborato dall'Autorithy per l'Energia Elettrica e il Gas che viola palesemente l'esito del secondo referendum sul servizio idrico del giugno 2011, quello che ha abrogato la remunerazione del capitale investito nelle tariffe.
Il metodo tariffario dell'AEEG ripristina infatti questo elemento nelle tariffe del servizio idrico, semplicemente cambiandogli la denominazione.
Visti alcuni articoli comparsi sulla carta stampata in questi giorni, a partire da quelli pubblicati su Il Sole24Ore, ci preme far presente che sarebbe utile concentrarsi sul tema oggetto (il ricorso al TAR) invece di evocare lo spettro della "nazionalizzazione" del settore.
Distorcere le posizioni del Forum Italiano dei Movimenti per l'acqua in tema di finanziamento del servizio idrico è solo un tentativo maldestro di evitare di confrontarsi sul tema da noi sollevato davanti al TAR della Lombardia. Se si vogliono poi conoscere con precisione le nostre posizioni sulla tariffa e sugli assetti che riguardano il servizio idrico, basta interpellarci direttamente.
Luca Faenzi
Ufficio Stampa Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua
ufficiostampa@acquabenecomune.org
+39 338 83 64 299
Skype: lucafaenzi
Via di S. Ambrogio n.4 - 00186 Roma
Tel. 06 6832638; Fax. 06 68136225 Lun.-Ven. 10:00-19:00
www.acquabenecomune.org



I PIÙ NON SONO I MIGLIORI
Sul concetto di “governabilità”
di Fulvio Papi




                                                     Andreani: opera

Eliminare l’ambiguità di certi concetti che a prima vista appaiono del tutto evidenti, è un compito, nel complesso, più morale che teorico per la semplice ragione che l’evidenza è in realtà un modo interessato che sottintende altre finalità. Consideriamo il concetto di “governabilità”. Credo che sia nato in una congiuntura che ha visto una maggioranza relativa “ricattata” da una forza politica minore che chiedeva prezzi e compensi di vario genere al fine di confluire in un’unica decisione. Questa considerazione è tanto vera perché ancora oggi l’argomento del ricatto da parte di formazioni politiche minori è il tema principale per sostenere la governabilità.
Le persone ragionevoli hanno sempre risposto che per evitare una situazione del genere è più che sufficiente stabilire una norma che nessuno può mettere in crisi un governo se non è in grado di presentarne un altro con una maggioranza precostituita quanto ai numeri e ai programmi. Segue naturale la domanda: come mai nel nostro paese non è mai stata fatta una legge del genere con la quale il sistema del “ricatto” non può funzionare? Inoltre: non è vero che la riduzione delle formazioni in competizione a due sole garantisce la governabilità. Per la semplice ragione che ciascuno dei due contendenti è formato da gruppi che hanno rapporti con interessi e poteri particolari che sono in grado di far valere in occasione di qualsiasi provvedimento. La complessità della governabilità viene così dall’interno e non dall’esterno. A meno che non si parli di partiti governati al loro interno da una disciplina quasi militare che risponda a un capo supremo.
Il caso della difficile governabilità “dall’interno” è stata per esempio sperimentata in più di una circostanza, e non delle più banali, da Obama stesso. In secondo luogo bisogna vedere con chiarezza analitica (e non con fracasso mediatico) non quali sono i simboli o i leader carismatici in competizione, ma quali sono i problemi da risolvere, con quali mezzi e in quali tempi. Per esempio dire chiaro e tondo che le risorse sono x e che possono essere usate secondo determinate scelte. Per esempio risanamento idrogeologico del paese o uso privato del territorio? Scuola pubblica gratuita o scuole private ben fatte e costose ma riservate a minoranze? Non ci vuole una grande fantasia per trovare molte e molte altre alternative. Temo tuttavia che non sia questa la differenza sulla quale i cittadini possano scegliere consapevolmente, e temo ancora che a livello programmatico compaiono solo temi del tutto generici che tuttavia dal punto di vista mediatico hanno una risonanza totale poiché fanno genericamente riferimento agli immaginari privati degli elettori, quindi secondo lo stile tipico della demagogia. In terzo luogo (ne abbiamo illustrati due) i partiti in competizione vengono dominati da forti centralità e, nello stesso tempo, da tutt’altro che indifesi localismi, gli uni in dipendenza con gli altri. In questo caso ci troveremo di fronte a una autonomia della politica completamente rovesciata rispetto al suo senso originario, nel senso cioè della formazione di un ceto politico per così dire autosufficiente e “impermeabile”.
Questa situazione crea una selezione di natura cooptativa della partecipazione politica che ovviamente è naturalmente destinata a due esiti: 1) la diffusione di un conformismo totale; 2) l’esclusione di ogni idea o di ogni cultura che ponga problemi e soluzioni diverse da quelle di poteri riconosciuti. L’uso quindi propagandistico della governabilità comporta più o meno queste conseguenze che, nell’insieme, provocano una direzione totalitaria della vita sociale, poiché l’importante non è (nei limiti del possibile) l’autogoverno democratico, ma la direzione indiscutibile di una centralità decisionale secondo criteri che certamente corrispondono a interessi oggettivi, ma non a quelli che possono essere culturalmente rappresentati senza avere tuttavia una forza politica nel sistema esistente.  
Dal punto di vista biologico questa prassi assomiglia alla riduzione artificiale delle specie per creare un ambiente regolabile artificialmente. Ma come un sistema biologico è tanto più ricco quanto più differenziato nelle specie che lo compongono, così dovrebbe avvenire anche in un sistema politico.
L’antico proporzionale con il collegio unico nazionale era una buona legge. Ma vorrei finire con una domanda: ammettiamo che sia possibile che nel paese si formi una minoranza (la buona storia d’Italia è sempre stata scritta da minoranze) colta, omogenea, attiva che tuttavia è elettoralmente debole, perché non deve far sentire la sua voce laddove si prendono delle decisioni?

Non credo sia una domanda letteraria se anche nei classici greci si può leggere la proposizione secondo cui “i più non sono migliori”.  
Mauro cerca partner per far la guerra ai migranti
di Antonio Mazzeo




Andreani: opera

Afghanistan, Siria, cacciabombardieri Joint Strike Fighter F-35 ma soprattutto “emergenza migranti” e sicurezza nel Mediterraneo. Sono stati questi i temi dell’incontro tenutosi a Washington il 15 gennaio scorso tra il Segretario della difesa Usa Chuck Hagel e il ministro italiano Mario Mauro. “Mr. Hagel ha espresso pieno apprezzamento per il contributo dell’Italia al rafforzamento delle democrazie emergenti in Medio oriente e Nord Africa e per l’addestramento avviato a favore delle forze di sicurezza libiche”, ha dichiarato il Capo ufficio stampa del Pentagono, ammiraglio John Kirby, a conclusione di un vertice pressoché ignorato dai media italiani. “I responsabili alla difesa dei governi d’Italia e Stati Uniti - ha aggiunto Kirby - si sono trovati d’accordo a sottoporre la questione dei rifugiati del Mediterraneo all’attenzione del prossimo meeting del Comitato militare della Nato previsto a Bruxelles a fine gennaio”.
Il pericolo migrazioni è stato enfatizzato dal ministro Mauro nel tentativo di ottenere un fattivo supporto statunitense all’operazione “Mare Nostrum”, lanciata nell’ottobre 2013 dalle forze armate italiane nel Canale di Sicilia. “Gruppi criminali con potenziali legami con il terrorismo stanno facendo profitti con le imbarcazioni che trasportano migranti attraverso il Mediterraneo sino alle sponde europee”, ha esternato il ministro ad alcuni giornalisti di Washington. “Per questo chiediamo agli Usa di fare massima attenzione al risorgente terrorismo islamico nella regione. L’Italia sta usando anche i droni e i sottomarini contro il lucroso traffico di migranti provenienti dal Nord Africa, che probabilmente sta finanziando il terrorismo”. “I governi europei e l’opinione pubblica considerano quanto accade come un problema d’immigrazione illegale, ma non è questa la mia visione”, ha aggiunto Mauro. “Credo cioè che si tratti di un problema strettamente legato alla sicurezza internazionale. È importante che gli Stati Uniti comprendano meglio ciò che sta accadendo nel Mediterraneo”. Secondo il ministro, al “flusso” d’imbarcazioni provenienti dalla Libia si è aggiunto quello dall’Egitto, “gestito da organizzazioni criminali multinazionali”, con oltre 25.000 migranti trasportati nel 2013. “I trafficanti stanno utilizzano navi madri che rimorchiano imbarcazioni più piccole e meno idonee alla navigazione, su cui, a 200 km dalle coste italiane, vengono stipati sino a 1.000 passeggeri”, ha aggiunto. “Ognuno di essi paga circa 3.000 dollari, cioè 3 milioni di dollari per ogni viaggio, profitti che vanno nelle mani di organizzazioni criminali internazionali con possibili legami con gruppi terroristici in Siria e Somalia”. Le imbarcazioni, secondo Mauro, potrebbero essere utilizzate pure per trasferire “terroristi” in Europa. “In Libia è difficile individuare le differenze tra gruppi terroristici e gruppi criminali coinvolti nel traffico di essere umani. Ci sono 28 brigate che possiamo definire jihadiste, ma dedite al crimine. Alle frontiere meridionali della Libia regna il caos, e sono migliaia i terroristi attivi”.
Per il ministro italiano, le tensioni e i conflitti esistenti in Nord Africa e Medio oriente impongono ai partner occidentali scelte e impegni precisi. “Sono determinato nel voler convincere i nostri alleati a condividere una visione comune a medio e lungo termine”, ha dichiarato. “Probabilmente abbiamo bisogno di una nuova strategia per l’area ed elementi cruciali sono il ruolo degli Stati Uniti e una partnership più forte tra Usa ed Europa”. Mauro non nasconde tuttavia la delusione per quanto fatto sino ad oggi dall’Unione europea per contenere e contrastare l’immigrazione “illegale”. “Lampedusa è la frontiera dell’Europa e non solo dell’Italia, e siamo convinti che l’Europa possa e debba fare di più per garantire la sicurezza nel Mediterraneo”, ha dichiarato. Alle operazioni aeronavali di “Mare Nostrum” solo la piccola Slovenia ha offerto il proprio contributo con la nave multiruolo “Triglav 11” (classe Svetlyak ). L’unità, in grado di raggiungere i 30 nodi di velocità ed armata di mitragliere e cannoncini, ha lasciato il porto di Koper lo scorso 12 dicembre ed è approdata ad Augusta (Siracusa) tre giorni dopo, integrandosi nel “dispositivo attivato per incrementare il livello di sicurezza della vita umana e concorrere al controllo dei flussi migratori via mare”. La marina militare slovena, oltre all’equipaggio di 44 uomini, ha inviato anche un team di collegamento presso la sede del Comando delle forze da Pattugliamento (COMFORPAT) di Augusta. “Il compito delle forze armate slovene è quello di sorvegliare la situazione in acque internazionali”, spiga una nota del ministero della Difesa. “Il settore di sorveglianza assegnato alla nave Triglav si trova a est della costa siciliana e comprende un’area di dimensioni di 30 x 30 miglia nautiche (approssimativamente 3.100 chilometri quadrati)”. Ignote tuttavia le regole d’ingaggio e le modalità di consegna alle autorità italiane delle persone tratte in salvo in mare.
La decisione slovena di partecipare all’operazione “Mare Nostrum” è maturata durante un incontro - il 18 ottobre 2013 a Roma - tra il ministro Mario Mauro e l’omologo alla difesa, Roman Jakic. Il 22 gennaio, il Primo ministro della Repubblica Slovena, Alenka Bratusek, ha raggiunto Augusta per visitare il contingente delle forze armate impiegato nella vigilanza del Canale di Sicilia. Ad attenderlo, l’instancabile Mauro, che ha accompagnato Bratusek pure per un sopralluogo al “centro di prima accoglienza” Umberto I di Siracusa, uno dei tanti non luoghi dell’Isola dove sono stipati in condizioni igienico-sanitarie sempre più critiche centinaia di migranti e richiedenti asilo “salvati” in mare dalle unità da guerra.
In attesa che Usa e Ue accolgano l’appello a condividere nel Mediterraneo l’intervento militare di contrasto all’immigrazione, al vertice italo-russo di Trieste del 27 novembre 2013, il governo Letta ha chiesto al presidente Vladimir Putin un “impegno comune” per affrontare l’emergenza umanitaria dei rifugiati siriani. “Abbiamo discusso anche di Libia ed abbiamo messo in comune le nostre preoccupazioni per la situazione di instabilità che investe l’area a sud e a est del Mediterraneo”, ha spiegato Letta a conclusione del summit.
           


mercoledì 22 gennaio 2014


IL FANTASMA DELLA FAME
L'Italia che si rivela tra le corsie
del supermercato
di Antonio Lubrano  

Con questo scritto Antonio Lubrano inizia la sua collaborazione con "Odissea"



Nei corridoi delle stazioni metropolitane quelli che tendono la mano sono ormai una moltitudine. Chi tace mostra invece un cartello con una scritta perentoria: “Ho fame”. E ogni volta che mi imbatto in questa dichiarazione spudorata mi torna in mente la jonta. Avevo dieci anni nel 1942, un'epoca che per chi l'ha vissuta vuol dire guerra, tessera annonaria, pane razionato; e mia madre aveva assegnato a me l'incarico di andare al forno ogni mattina. Alla nostra famiglia toccava un chilo di pane ma il palatone non era mai un chilo, sicché per raggiungere il peso giusto occorreva una giunta, poco più di una fetta. Ovvero la jonta. Guai a mangiarla per strada, tornando a casa: erano schiaffi sicuri. La signora Clotilde ne faceva una questione di giustizia: “Che forse la tua fame ha più diritti di quella delle tue tre sorelle..?”
     Ecco: la jonta nel mio paesino d'origine rappresentava tutta la nostra involontaria miseria di cittadini trascinati in guerra dal fascismo. Il simbolo stesso della fame. Dopo l'armistizio ci sono voluti almeno due decenni per far sparire la parola fame dal nostro vocabolario quotidiano. Gli Anni Sessanta infatti sono passati alla storia come quelli del benessere. Ma ora che cosa sta succedendo: siamo un paese di disperati o di ostinati fiduciosi?





     Mi colpì alcuni mesi fa il rilievo dato dai quotidiani milanesi alla notizia di un anziano sorpreso a rubare in un supermercato. Gli bloccano due borse piene di cibo per un valore di 36 euro. “Con la pensione non vivo”, dichiara l'ottantenne appena riesce a risalire dall'abisso della vergogna. Eppure le fredde statistiche ci dicono che casi del genere dal 2008 in poi sono aumentati del 40%. Sta di fatto che il titolone ha avuto per me la violenza di uno schiaffo in faccia. Forse perché improvvisamente attraverso questo triste episodio si è materializzato ai miei occhi il fantasma della fame, un fantasma che sembrava dissolto per sempre, cancellato più che dimenticato. Di sicuro c'è che la piccola storia del “pensionato-ladro” può essere letta oggi come la spia dolorosa di una indigenza collettiva, pronta a dilatarsi  oltre ogni misura.
  Le cifre, del resto, sono fin troppo crudeli.
 L'Eurispes, istituto europeo di studi sociali, sostiene che due milioni e mezzo di famiglie vivono al di sotto della soglia di povertà, il che vuol dire 8 milioni di persone. Altri due milioni e mezzo vivono al di sopra di questa soglia e sono altri otto milioni di individui. Dunque, siamo a sedici. Non bastasse, lo stesso centro di ricerche afferma che “a chi vive nel disagio bisogna aggiungere circa 25 milioni di persone appartenenti al ceto medio in una costante condizione di instabilità e precarietà”. Vale a dire quelli che sono stati definiti “i poveri in giacca e cravatta”.
      Se so fare bene i calcoli venticinque più sedici fa 41. Ossia quarantuno milioni di italiani, su una popolazione di sessanta milioni, che campano male. Una intera nazione allo stremo, dove i privilegiati rappresentano sì e no un terzo degli abitanti. Possiamo crederci o c'è qualcosa che non funziona? Il dubbio nasce da una considerazione dello stesso Eurispes: “La verità è che in Italia manca un sistema di rilevazione serio che prenda in considerazione parametri più aderenti alla realtà. Se si pensa, infatti, che il parametro per stabilire la soglia di povertà è 990,88 euro di reddito per un nucleo familiare formato da due persone vuol dire pensare che una famiglia che tira avanti con mille euro al mese sia benestante. Un’assurdità”.
   Sta di fatto che il fantasma della fame prende corpo oggi per troppi italiani. Le telecamere dei supermercati ci raccontano con freddezza il travaglio psicologico del vecchietto che ruba. Intanto che cosa ruba: la confezione di prosciutto crudo, quella da due fettine di carne, un trancio di grana padano o di reggiano, la scatoletta di tonno… E comunque sceglie sempre tra le offerte il prodotto che costa di meno, quasi a tacitare la sua coscienza.


    Subito dopo il furto è preso dal rimorso: c'è chi lascia sul primo scaffale che capita la confezione rubata e chi riporta la merce laddove l'ha prelevata. Il “telescrutatore” ci dice che questi tentennamenti durano dai dieci ai 15 minuti. E chi li studia da anni  rileva l'ingenuità degli anziani quando infrangono(o tentano) la barriera dell'onestà. Si presentano alla cassa e cominciano a tremare dalla paura. Pagano quel che hanno messo nel carrello e si avviano all'uscita sperando di averla fatta franca. Di solito il sospettato viene fermato da una commessa con la scusa che forse nello scontrino c'è un errore. E qui il povero pensionato (nel senso più vero dell'aggettivo) confessa subito. “Per carità, non ditelo ai miei figli”, è poi la patetica raccomandazione di qualcuno.
   Ma basta a salvarci il sentimento di pietà che tutti noi - cittadini, lo Stato, i politici - nutriamo o diciamo di nutrire per questi ladri involontari?
                                    
                                   



martedì 21 gennaio 2014

Segnaliamo ai nostri lettori lo scritto del filosofo Fulvio Papi
sulla poesia di Sereni nella Rubrica "Agorà"

FARE POESIA IN SERENI
di Fulvio Papi


Non ricordo esattamente l’anno, ma di certo la “Fondazione Corrente” non era da molto in attività. Il mio compito allora, come adesso, era quello di organizzare delle conversazioni che, in modo piuttosto vago, possiamo dire di estetica. Era in questa circostanza che costrinsi, con molto garbo e non minore affetto, Sereni a parlare del  “mestiere del poeta”. La conferenza ebbe poi una larga risonanza perché fu ripresa in sedi universitarie italiane e straniere. Avevo un grande interesse per quella conversazione perché la composizione della poesia di Vittorio aveva avuto certamente trasformazioni stilistiche che chiunque percepiva chiaramente, ma in ogni caso esse nascevano sul terreno stesso del “fare poesia” considerato come un settore di cultura che non ha dipendenze da altre zone del sapere, o, peggio, da campi ideologici. (Leggi l'intero articolo nella Rubrica Agorà)





Decisione storica sul clima entro 48 ore
USA.Tra pochi giorni, il Commissario UE italiano potrebbe essere l'uomo responsabile del fallimento dello storico accordo europeo per il clima: ma a pochi mesi dalla fine del suo mandato, sta già pensando al suo futuro. Pressiamolo affinché metta i cittadini prima delle grandi multinazionali dell'inquinamento se non vuole mettere in pericolo la sua carriera. Sommergiamolo ora di messaggi: potrebbe essere un italiano a fare a pezzi un fondamentale accordo per salvare il pianeta, ignorando addirittura la posizione del nostro governo. Abbiamo solo pochi giorni per evitare un ennesimo disastro causato dalla assurda politica italiana. La Commissione Europea sta mettendo proprio ora nero su bianco gli obiettivi per tutta l’UE  sulle emissioni di CO2 e sulle energie rinnovabili fino al 2030! E’ un accordo dall'impatto enorme, poiché delle regole forti a livello europeo avrebbero un effetto domino su Cina, USA e altri paesi, al fine di raggiungere un accordo globale sul clima il prossimo anno. Un accordo al ribasso non solo renderebbe inevitabile il fallimento del vertice di Parigi, ma sarebbe anche una enorme opportunità persa per l’Europa di diventare un leader mondiale nel settore della green economy. In questo momento il commissario europeo Antonio Tajani è uno dei personaggi chiave che si oppongono all’accordo. Ma il suo mandato si esaurirà tra qualche mese, e volendo tornare a fare politica in Italia, guarda con grande attenzione l’opinione pubblica in Italia. I negoziati sono in corso proprio in questo momento a Bruxelles e abbiamo solo pochi giorni per convincerlo. Sommergiamolo di messaggi per mostrargli con quanta forza i cittadini chiedono che venga trovato questo accordo per salvare il pianeta:
http://www.avaaz.org/it/save_eu_climate_legacy_it_sam/?bhvKTcb&v=34526
Si tratta di un negoziato complesso e la Commissione Europea ha un ruolo cruciale, che poi si dovrà confrontare con i governi. In molti stanno facendo pressione per spingere Bruxelles a fare una proposta iniziale che sia così poco ambiziosa, da lasciar tranquillamente friggere il pianeta. Ufficialmente l’Italia si è unita a Francia, Germania, Spagna, Gran Bretagna e Olanda nel sostenere l’obiettivo minimo di un taglio del 40%. Gli scienziati dicono che abbiamo bisogno di un taglio delle emissioni del 50% entro il 2050. Tutto questo significa che per evitare uno scontro politico, la Commissione farà partire i negoziati partendo da un compromesso di basso livello che consenta di raggiungere un accordo velocemente. Ma possiamo cambiare la situazione se mostreremo che c’è questa debolezza avrà delle ripercussioni di immagine pubblica. Tajani sostiene che un taglio ambizioso delle emissioni di CO2 danneggerà l’industria dell’UE. Ma molti esperti dicono l’opposto e cioè che, questo accordo è fondamentale per sbloccare decine di migliaia di investimenti per le industrie a basso impatto ecologico, che usa l’innovazione per spingere l’occupazione e la crescita economica. Non abbiamo molto tempo. La commissione prenderà la decisione finale tra pochi giorni. Clicca sotto per mandare ora un messaggio al Commissario Europeo Tajani:
http://www.avaaz.org/it/save_eu_climate_legacy_it_sam/?bhvKTcb&v=34526
Non riusciremo a evitare gli effetti più drammatici del cambiamento climatico se lasceremo che i nostri leader la passino liscia nel fissare degli obiettivi che semplicemente non sono utili. La nostra comunità ha giocato un ruolo fondamentale nel far cambiare la politica sul clima in paesi chiave come Brasile, Germania e Giappone. Ora abbiamo una grande battaglia in Europa, facciamo il possibile per vincerla!

Con speranza e determinazione,
Meredith Alexander - Avaaz.org.
Luca, Lisa, Iain, Julien, Ricken, Alice e tutto il team di Avaaz

ULTERIORI INFORMAZIONI
Europa, la battaglia delle emissioni. Sul tavolo il taglio del 40 per cento (Corriere della Sera)
http://www.corriere.it/economia/14_gennaio_14/europa-battaglia-emissioni-tavolo-taglio-40-cento-b436b932-7d08-11e3-851f-140d47c8eb74.shtmlS'infiamma il settore energetico europeo.
Europa, energia batte clima. Nuovo regalo al nucleare (Linkiesta)
http://www.linkiesta.it/ue-guerra-del-clima-regalo-nucleare
Obiettivo emissioni 2030. Commissione divisa (Italia Oggi)
http://www.italiaoggi.it/news/dettaglio_news.asp?id=201401151011051244&chkAgenzie=OGGIEUROPA&sez=newsPP&titolo=Obiettivo%20emissioni%202030:%20Commissione%20divisa




IL GRIDO DI DOLORE DALLA SIRIA






Siria. Sono Siriana, e in questo momento ho bisogno dell’aiuto di tutti voi. Tra 24 ore, le principali potenze si incontreranno e potrebbero porre un freno alle sofferenze del mio popolo, se verranno messe faccia a faccia con una richiesta Siriana di cessate il fuoco sostenuta da milioni di persone in tutto il mondo. Clicca per unirti subito a questa richiesta: Avaaz porterà in diretta streaming le vittime Siriane nel bel mezzo dei negoziati: Sono originaria di Homs, in Siria: una città sotto assedio, in cui perfino bambini e neonati sono stati torturati e hanno subito bombardamenti. E’ l’inferno sulla terra, ed è quasi impossibile riuscire ad avere una speranza, ma in questo momento c'è un piccolo spiraglio e abbiamo urgentemente bisogno dell'aiuto di tutti.
Tra 24 ore, per la prima volta, le maggiori potenze coinvolte in questa guerra si incontreranno. Dicono di voler ascoltare le richieste del popolo siriano, e dovranno in qualche modo mostrare alle loro opinioni pubbliche che stanno facendo qualcosa. E allora noi ci vogliamo prendere “un posto al tavolo dei negoziati” ed ecco come faremo: tramite un sondaggio che abbiamo commissionato in Siria, con una diretta in streaming con cui siriani potranno avanzare le loro rivendicazioni direttamente ai negoziatori, e tramite la richiesta di un milione di noi da tutto il mondo per un cessate il fuoco subito. Ci sono voluti tre anni e un enorme bagno di sangue per arrivare a questo vertice, e ora abbiamo solo poche ore per riuscire a farci sentire. Ma se in tutto il mondo saremo tantissimi nel richiedere una tregua, e facendoci vedere sugli schermi della conferenza, potremo dare il nostro contributo alla fine di questo massacro. Più numerose saranno le nostre voci, maggiore sarà l’attenzione che riceveremo, e maggiore sarà la pressione che metteremo sui negoziatori per ottenere una risposta. Clicca qui sotto per chiedere il cessate il fuoco in Siria, ora:

http://www.avaaz.org/it/syria_ray_of_hope_loc/?bhvKTcb&v=34549

Troppo a lungo il mondo ha perso tempo mentre dei bambini venivano massacrati, decine di migliaia di persone sparivano nel nulla, intere città venivano bombardate fino a divenire macerie, e 10 milioni di uomini e donne venivano cacciati dalle loro case: è l’equivalente dell’intera popolazione della Grecia! Ora, finalmente, le fazioni iniziano a dialogare, ma a meno che non ci facciamo sentire pretendendo che si ascolti la tragedia umana causata dal conflitto, potrebbero finire a parlare solo di dispute geopolitiche, e ignorare soluzioni reali per fermare questo orrore.
Chiariamo una cosa: questa è una guerra contro i civili. Il regime di Assad non solo ha lanciato armi chimiche sulle nostre comunità, ma ha anche preso d’assedio intere regioni, come la mia, bombardando un giorno sì e uno no e negando l’ingresso delle scorte di cibo. Le famiglie della mia città stanno morendo di fame mentre due delle potenze del Medio Oriente, Iran e Arabia Saudita, fanno piovere armi e denaro sui gruppi armati di entrambe le fazioni. Queste nazioni hanno trasformato una rivoluzione pacifica e popolare in una guerra da incubo di cui sono burattinai, e che hanno dato in mano alle frange più radicali. La mia casa è ora il loro campo di battaglia e la mia gente le loro vittime. Per me, sostenere questi negoziati con il regime siriano in mano a dei criminali di guerra, è una medicina amara da ingoiare, ma se non supportiamo queste trattative spingendoli ad accordarsi per una tregua, questa guerra potrebbe durare per decenni. Questo vertice è l’unica speranza all'orizzonte, e con la giusta pressione, esiste la possibilità di cominciare a porre fine a questa disperazione. Dobbiamo però partire subito: clicca qui sotto per chiedere un immediato cessate il fuoco:

http://www.avaaz.org/it/syria_ray_of_hope_loc/?bhvKTcb&v=34549

Mi sono unita al team di Avaaz oltre un anno fa, quando questa comunità ha raccolto i fondi per inviare strumentazioni per le comunicazioni a molti coraggiosi attivisti siriani. Ricordo ancora l’incredibile gratitudine che ho provato per questa nostra comunità che ha fatto ascoltare e vedere al mondo la nostra disperata richiesta di aiuto. Ora sono qui a chiedervi urgentemente di sostenere i miei compagni siriani ancora una volta, per far sì che il mondo capisca che la maggioranza del mio popolo vuole solamente del cibo, e una notte senza gli spari dei cecchini, e un piano che possa aiutarci ad andare verso la pace e la democrazia.

Con speranza,
Mais insieme al team di Avaaz

P.S. Molte delle campagne di Avaaz partono dai membri della nostra comunità! Crea una petizione e vinci su temi locali, nazionali o globali: http://www.avaaz.org/it/petition/start_a_petition/?bgMYedb&v=23917

FONTI

Guida alla conferenza di pace sulla Siria (Il Post)
http://www.ilpost.it/2014/01/20/conferenza-ginevra-siria/
Siria. Damasco approva tregua ad Aleppo, opposizione divisa su Ginevra 2 (Internazionale)
http://www.internazionale.it/news/siria/2014/01/18/damasco-approva-tregua-ad-aleppo-opposizione-divisa-su-ginevra-2/
Siria, negoziati in salita (Il Sole 24 Ore)
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-10-23/siria-negoziati-salita-064309.shtml?uuid=Ab6evpwI
Siria, Onu decide di interrompere il conteggio delle vittime di guerra civile (Corriere della Sera)
http://www.corriere.it/esteri/14_gennaio_07/siria-onu-decide-interrompere-conteggio-vittime-guerra-civile-efbb0d1a-778a-11e3-823d-1c8d3dcfa3d8.shtml
Russia: forse domani trilaterale con Usa e Onu su Siria (Il Mondo)
http://www.ilmondo.it/esteri/2014-01-20/russia-forse-domani-trilaterale-usa-onu-siria_394816.shtml
Siria, primi aiuti alimentari in campo Yarmouk dopo 46 morti per fame (La Press)
http://www.lapresse.it/mondo/asia/siria-primi-aiuti-alimentari-in-campo-yarmouk-dopo-46-morti-per-fame-1.447052
Siria, la contabilità dell’orrore. Uccisi oltre undicimila bambini (La Stampa  http://www.lastampa.it/2013/11/24/esteri/siria-la-contabilit-dellorrore-uccisi-oltre-undicimila-bambini-ZDi3fG9tTHCTchEW6fQ3tL/pagina.html

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