UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

martedì 21 luglio 2015

UN PIANETA IN PASTO ALLE MULTINAZIONALI
"EXPO: NUTRIRE IL PIANETA O LE MULTINAZIONALI?"
di Vittorio Agnoletto

Vittorio Agnoletto
Pubblichiamo l’intervento di Vittorio Agnoletto al Convegno Internazionale tenutosi a Milanoil 26 e il 27 di giugno scorso, sotto il titolo “Expo: nutrire il pianeta o le multinazionali?” Segnaliamo gli scritti precedenti di Emilio Molinari, Gianni Barbaceto, Basilio Rizzo.

Un sant'uomo ebbe un giorno da conversare con Dio e gli chiese: «Signore, mi piacerebbe sapere come sono il Paradiso e l'Inferno». Dio condusse il sant'uomo verso due porte. Ne aprì una e gli permise di guardare all'interno. C'era una grandissima tavola rotonda. Al centro della tavola si trovava un grandissimo recipiente contenente cibo dal profumo delizioso. Il sant'uomo sentì l'acquolina in bocca. Le persone sedute attorno al tavolo erano magre, dall'aspetto livido malato. Avevano tutti l'aria affamata. Avevano dei cucchiai dai manici lunghissimi, attaccati alle loro braccia. Tutti potevano raggiungere il piatto di cibo e raccoglierne un po', ma poiché il manico del cucchiaio era più lungo del loro braccio non potevano accostare il cibo alla bocca. Il sant'uomo tremò alla vista della loro miseria e delle loro sofferenze.
Dio disse: "Hai appena visto l'Inferno".
Dio e l'uomo si diressero verso la seconda porta.
Dio l'aprì. La scena che l'uomo vide era identica alla precedente.
C'era la grande tavola rotonda, il recipiente che gli fece venire l'acquolina.
Le persone intorno alla tavola avevano anch'esse i cucchiai dai lunghi manici.
Questa volta, però, erano ben nutrite, felici conversavano tra di loro sorridendo. Il sant'uomo disse a Dio: «Non capisco!»
“È semplice”, rispose Dio, “essi hanno imparato che il manico del cucchiaio troppo lungo, non consente di nutrire sé stessi, ma permette di nutrire il proprio vicino. Perciò hanno imparato a nutrirsi gli uni con gli altri! Quelli dell'altra tavola, invece, non pensano che a loro stessi... Inferno e Paradiso sono uguali nella struttura, La differenza la portiamo dentro di noi! Mi permetto di aggiungere: "Sulla terra c'è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti ma non per soddisfare l'ingordigia di pochi. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo".
Mahatma Gandhi
Gandhi
Ho scelto di iniziare con questo testo perché credo che rappresenti proprio il dramma che vive il pianeta in questo momento, abbiamo cibo per sfamare tutti e abbiamo quasi un miliardo di affamati. Qual è la situazione nella quale si svolge tutto quello che abbiamo ascoltato fino ad ora? Abbiamo già avuto modo di analizzare qual è e come si è modificata la distribuzione della ricchezza nel pianeta.


Nel 2001 a Porto Alegre e a Genova noi contestavamo un mondo dove il 20% della popolazione controllava l’80% della ricchezza. Sono passati 14 anni e i dati forniti da Credit Suisse, una banca che di economia e finanza legale e non solo se ne intende, fotografano questa situazione: lo 0,7% della popolazione controlla il 44% della ricchezza, e se osserviamo le due fasce più ricche della popolazione scopriamo che l’8,6 controlla l’85,3% della ricchezza del pianeta. Ma la cosa più sconvolgente è che il 70% della popolazione possiede meno del 3% della ricchezza mondiale. Ecco perché abbiamo ragione quando con gli indignados diciamo che siamo il 999 x mille. Allora che allora appare chiaro chi si sta confrontando in questi giorni in Grecia: da una parte i poteri economici/finanziari, dall’altra parte un popolo trasformato in una massa sempre più impoverita. È sufficiente rivedere velocemente questa diapositiva per comprendere qual è la concentrazione attuale del potere economico/finanziario nel mondo: questa diapositiva illustra come è cambiato il mondo bancario in vent’anni negli Stati Uniti, per strada vediamo ancora tutte i nomi delle banche qui rappresentate, ma alla fine come potete vedere afferiscono solo a quattro grandi gruppi.


LA CONCENTRAZIONE DELLE BANCHE NEGLI USA
Vediamo ora cosa accade nel campo del cibo. Vediamo chi sono “I padroni del nostro cibo”. 


Anche qui la situazione non è diversa, una decina di grandi gruppi controllano completamente il mercato. Ad ognuno di questi gruppi afferiscono decine di loghi diversi, ognuno di noi quando va a fare la spesa si illude di poter scegliere, ma alla fine chi ci guadagna sono sempre loro, “i soliti noti”. Potete vedere ad esempio che l’acqua di Expo, la S.Pellegrino è una controllata Nestlè . Queste multinazionali controllano il cibo e lo trasformano anche in prodotto finanziario: nel 2003 il mercato dei futures sui generi alimentari era stimato intorno ai 13 miliardi di dollari, cinque anni dopo, durante la crisi, divenne 20 volte più elevato; il 50 % di questo aumento, secondo fonti non ufficiali, era dovuto ad investitori riconducibili più o meno direttamente a Wall Street. Per ricostruire il potere delle multinazionali durante tutta le filiera della produzione del cibo ci facciamo aiutare dalle diapositive di un utilissimo lavoro di ricerca svolto da Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Francuccio Gesualdi, che in gioventù fu allievo di don Milani alla scuola di Barbiana.
La diapositiva precedente illustrava chi controlla il mercato finale le merci. Questa diapositiva illustra chi controlla la filiera della produzione mondiale dai campi, dai semi alla nostra tavola. Come potete vedere ci sono tutte le sigle delle grandi multinazionali: Syngenta, Du Pont; Baer; Cargill, Barilla, Nestlè, Ferrero ecc.


Per forzare la produzione dei terreni l’agricoltura industrializzata ricorre ai fertilizzanti, in particolare a quelli azotati, prodotti in impianti industriali che richiedono una grande quantità di idrocarburi per produrre l’energia necessaria alla loro produzione. Potete vedere le principali aziende. Per fare un esempio delle conseguenze di questo tipo di agricoltura è sufficiente ricordare che in India, le coltivazioni di riso che ricorrono alla chimica necessitano di circa 2500 millimetri di pioggia l'anno, mentre per quelle tradizionali la dose necessaria è attorno ai 300 millimetri.


Il glifosfato è un erbicida, di proprietà intellettuale della Monsanto fino al 2001. In pochi giorni distrugge ogni pianta infestante, tranne un particolare tipo di soia, quella appunto che si vuole coltivare (Roundup Ready). L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente collocato il glifosato tra i prodotti che potrebbero provocare tumori. Il glifosato è diffusissimo non solo nell'agricoltura OGM e non solo in agricoltura ma ad esempio anche nei giardini. La Monsanto ha definito le ricerche sule quali si è basata la decisione dell'OMS “scienza spazzatura”. Proseguendo nel ciclo alimentare il mercato delle sementi è di 40 miliardi di dollari 5 multinazionali controllano il 60% del mercato: Monsanto, Du Pont; Syngenta, Bayer,Dow. Il mercato dei pesticidi vale 41 miliardi di dollari e 6 multinazionali controllano il 76% del mercato mondiale: Monsanto, Du Pont; Syngenta, Bayer,Dow e Basf come vedete 5 su 6 sono le medesime.
Dupont il 15 settembre 2014 è stata condannata dalle autorità USA ad una multa di quasi 2 milioni di $ per aver fornito rapporti non veritieri su l’erbicida Imprelia: Nel 2013 e 2014 ha speso circa 20 milioni di $ per attività lobbistica verso i partiti statunitensi. Se ora passiamo velocemente ad analizzare la situazione degli OGM possiamo vedere come alcuni prodotti sono ormai in gran parte prodotti solo OGM: la soia al 74%, il cotone al 70%, il mais al 32% e la colza al 24%. Negli Stati Uniti la Monsanto (Monsanto e Syngenta 54% mercato) organizza gruppi simili ad una polizia privata, conosciuta come 'polizia dei geni' (con riferimento ai semi e non alle capacità intellettive!), che organizzano controlli a sorpresa verso chi coltiva soia per verificare se alcune colture si sono contaminate casualmente con geni OGM. Dopo di che la Monsanto porta in tribunale i malcapitati portando al fallimento numerose aziende. Su una confezione di sementi della Monsanto in India era scritto “Attenzione: i semi sono trattati con il veleno. Non usare come alimento, mangime o come olio”; se lo dicono loro…


Se poi passiamo al commercio dei prodotti agricoli ci imbattiamo nell'ABCD le quattro multinazionali così chiamate per le loro iniziali: ADM (Archer Daniels Midland); Bunge, Cargill e Dreyfus (Luis) che si gestiscono la quasi totalità del commercio di cerali, soia e oli di semi.

La situazione non è molto diversa se analizziamo l’industria della carne. Potete vedere che le sigle sono più o meno le stesse Servono 15.415 litri di acqua per produrre 1kg di manzo, 4325 per 1 kg di pollo mentre solo 336 litri per 1 kg di fagioli.


Le due diapositive che seguono illustrano prendendo ad esempio il caffè e le banane come viene ripartita la suddivisione dei guadagni provenienti dal prezzo di vendita, il salario del lavoratore pesa per le banane solo il 6,7 % e per il caffè il 7%.





Come potete vedere anche in questo caso il controllo di gran parte del mercato è nelle mani di pochissime aziende, alcune tristemente note per il trattamento riservato ai lavoratori. Se poi diamo un occhio alla distribuzione sia a livello mondiale come in Italia ci accorgiamo che anche questa è controllata da un numero molto limitato di aziende alcune con un fatturato da capogiro pensiamo alla Walmart, azienda statunitense con un fatturato nel 2011 di 318,9 miliardi di dollari. Siamo quindi di fronte a degli oligopoli, ad un meccanismo a “clessidra”, tanti sono i lavoratori sparsi nel mondo, pochissimi sono i padroni dei semi, fertilizzanti, pesticidi, pochissimi sono i signori del commercio, e della distribuzione, mentre superato il collo di bottiglia, miliardi sono i consumatori. È evidente come qualunque ipotesi di cambiamento negli assetti di potere economico e finanziario e quindi qualunque ipotesi di cambiamento politico possa derivare solo da un’alleanza tra coloro che stanno agli estremi della clessidra: i produttori e i consumatori. Questo schema vale a livello globale ma vale anche in Italia e non solo tra produttori e consumatori di beni materiali, ma anche tra produttori e consumatori di servizi. È difficile condurre una battaglia vincente nel campo dei pubblici servizi senza un’alleanza tra i lavoratori e i cittadini che usufruiscono di tali servizi. Questo vale per la scuola e lo vediamo con le grandi mobilitazioni di questi giorni, vale nei servizi soci-assistenziali e in quelli previdenziali. Lavoratori e utenza devono riuscire a trovare obiettivi in comune tra loro per vertenze complessive. Ovviamente prodromico a questo è la capacità dei lavoratori situati in collocazioni differenti nella filiera produttiva di trovare tra loro punti di contatto, interessi comuni e piattaforme condivise, evitando di cadere nelle trappole che il capitale dissemina costruendo contrapposizioni artificiali. Questo vale a livello internazionale come a livello nazionale e locale. E’ evidente il tentativo del capitale di contrapporre vecchi e giovani, lavoratori dipendenti e partite IVA, precari ecc. Di tutto ciò abbiamo esempi quotidiani basta penare alla vicenda e al ricatto verso i precari della scuola e o le vergogne dei licenziamenti politici ad EXPO. Questa capacità di costruire alleanze e reti tra lavoratori e tra lavoratori, consumatori e cittadini utenti è fondamentale per la costruzione di qualunque coalizione sociale, Come ben sa Maurizio Landini. 


Torniamo al cibo.
Quello che abbiamo visto in queste diapositive è ciò che sta dietro a molti dei prodotti che vengono pubblicizzati ad Expo e che vengono venduti nei ristoranti lì collocati. Alcune di queste aziende sono presenti in forze con i loro loghi, alcune sono addirittura sponsor. Non è difficile capire come vi sia un legame stretto tra tutto ciò e il TTIP, ossia un accordo commerciale che consegna il potere alle multinazionali. E non è certo il primo caso. Il NAFTA l'accordo di libero mercato entrato in vigore nel 1994 tra Canada, Messico e Stati Uniti per la maggior parte dei contadini poveri è stata una batosta: il prezzo del mais delle multinazionali statunitensi era nettamente inferiore, 1,3 milioni di messicani sono stati costretti a lasciare le loro terre, i salari sono precipitati e per esempio dove a causa dell’emigrazione sono rimaste solo donne e bambini, i nuclei familiari sotto il livello di povertà sono cresciuti del 50 %. È risaputo che la produzione alimentare odierna sarebbe sufficiente per sfamare 12 miliardi di persone, eppure, anche se siamo meno di 7 miliardi, vi sono 850 milioni di persone che soffrono la fame e le ragioni stanno nei meccanismi del mercato, nel ruolo di multinazionali che non esitano distruggere il cibo quando tale atto è utile per far crescere i prezzi e i profitti. L’enciclica di Francesco "LAUDATO SI" è molto chiara denuncia l’attuale situazione ma già nel 1992, l'allora Papa Giovanni Paolo II, aveva parlato del "paradosso dell'abbondanza": da una parte, cibo a sufficienza; dall'altro, la persistenza di fame. Il paradosso continua. Nulla è cambiato.
Il 2015 è l'anno nel quale si concludono gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio lanciati dall’ONU e nel quale vengono lanciati gli obiettivi di Sviluppo Sostenibile, destinati, stante la situazione attuale, anch’essi ad un sicuro insuccesso. In questo campo fortissimi e di lunga data sono gli intrecci tra multinazionali e potere politico. Ad esempio John Block, segretario dell'agricoltura degli Stati Uniti
sotto la presidenza Reagan sosteneva. “() l'idea che i Paesi in via di sviluppo debbano riuscire a sfamarsi da soli è un anacronismo di un'epoca ormai lontana. Potrebbero garantirsi meglio la sicurezza alimentare affidandosi ai prodotti agricoli statunitensi, che sono disponibili nella maggioranza dei casi a prezzi inferiori”.



Un’idea in netto contrasto con la logica della sovranità alimentare. Pochi anni dopo Block entrerà a far parte dell'esecutivo della John Deere e diventando presidente della Food Distributors International, multinazionali, delle macchine agricole e della grande distribuzione. Non c’è solo la denutrizione. C’è anche quella che viene definita la “fame nascosta”, quando nella nutrizione vi è una carenza di minerali e/o vitamine di quelli che vengono definiti micronutrienti. Ci si riferisce a questo con il termine “cibo spazzatura” (junk food o trashfood), ossia prodotti ad alto contenuto calorico ma di scarso valore nutrizionale. Ed è questo il cibo dei poveri il cibo dei fast food che può ad esempio condurre all'obesità, che in tal caso non è certo un esempio di buna salute. Secondo i dati ufficiali sono circa 2 miliardi le persone che soffrono di malnutrizione o di fame nascosta. Questo è uno dei problemi nel quale ci si imbatte anche nelle mense scolastiche o quando c’è un’alimentazione a base di merendine ecc. Con una simile alimentazione si abbassa la spesa ma anche la qualità dell’alimentazione. Ma non sembra questa una delle principali preoccupazioni del nostro governo, considerato che è stato l’unico ad opporsi in sede OMS ad un documento che invitava i Paesi a limitare la presenza di zuccheri nell’alimentazione per bambini. Da difendere prima dei bambini c’erano gli affari della multinazionale di casa dei dolci che non a caso ha inondato con la sua presenza EXPO. Ma le aziende non si fermano davanti a nulla, nemmeno nella pubblicità. A Natale, Oscar Farinetti, ha messo sul mercato le bottiglie “Bolla ciao” e “Barolo Resistenza”. È partita una petizione per chiedere a Eataly di ritirarle dalla commercializzazione; consideriamo blasfemo l'uso in chiave commerciale di questi nomi che fanno riferimento a momenti fondativi della convivenza repubblicana e della storia italiana piegandoli violentemente alle ragioni del mercato. Credo che non ci sia nulla da aggiungere a quanto detto recentemente da Stedile a proposito di EXPO: “Certamente non si risolverà il problema della fame, realizzando esposizioni per migliorare l'immagine delle imprese che causano la fame.” Ed infatti la “Carta di Milano” e il documento sulla “FOOD POLICY” proposta dal Comune di Milano non mettono in discussione nulla di tutto questo. Sono documenti vuoti che hanno rubato il linguaggio ai movimenti ma ne hanno ignorato le ragioni. La “Carta di Milano” non parla del diritto all’acqua per ogni essere vivente, non critica gli OGM e la proprietà dei semi, non parla del Land Grabbing ossia dell’accaparramento della terra da parte di stati e multinazionali quegli stessi che invece espongono tranquillamente ad EXPO. Dal 2007-2008 più di 20 compagnie italiane hanno acquistato centinaia di migliaia di ettari di terreno agricolo in giro per il mondo, principalmente in Africa per cominciare i test per produrre biomasse. La domanda mondiale di biocarburanti non tende a diminuire, e le previsioni dicono che nel 2020, salirà fino a 172 miliardi di litri. Con questo andamento crescente, saranno necessari ulteriori 40 milioni di ettari di terreno da convertire in coltura di biocarburanti. L'Europa è il motore centrale di land grab, perché importa gran parte delle materie prime che utilizza per la produzione di biocarburanti. La “Carta di Milano” non parla della finanziarizzazione della filiera agroalimentare, non spiega che c’è chi si augura che i prezzi salgano perché in tal modo guadagna, non parla delle sovvenzioni dell’Unione Europea alle multinazionali dell’agrobusiness col risultato che, attraverso una concorrenza sleale, obbligano migliaia di piccole aziende europee a chiudere e condannano alla miseria milioni di contadini africani. Sono documenti centrati principalmente sulla lotta allo spreco consumato nella vita quotidiana dai singoli cittadini. Obiettivo giusto ma non certo l’unico, né il principale.

SI È PERSA UN’OCCASIONE


Con questa iniziativa che segue quella del 7 febbraio, abbiamo osato sfidare il reato di lesa maestà che sembra colpire tutti coloro che osano criticare EXPO. Si rischia di essere incriminati per alto tradimento, accusati di mettere a rischio l'immagine del Paese, quindi gli interessi economici delle “nostre” aziende ed infine, se hai delle simpatie di sinistra, di attentare alla stabilità della giunta milanese. “Tutti pazzi per EXPO” è il grido che unisce il mondo scientifico, le università, le numerosissime fondazioni e gran parte della mitica società civile milanese. Trionfa il pensiero unico, nessuno vuole rimanere fuori dalla torta o almeno dal cono di luce che lo potrebbe sfiorare. Il testimone passa da una mano all'altra senza alcun imbarazzo tra chi tutela interessi economici di qualche multinazionale e chi ha nel proprio DNA la storia del pensiero critico milanese e nazionale.
Le istituzioni di qualunque colore beatificano l'evento che con le sue proprietà taumaturgiche risolverà le difficoltà dell'economia lombarda e dei cittadini milanesi. Ma la realtà ci racconta una storia diversa. In EXPO si trovano opere belle e brutte, come in ogni fiera, ma nulla che abbia a che fare con l'impegnativo titolo “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Si denuncia la drammatica situazione attuale ma poi si dà spazio ad alcuni tra i maggiori responsabili che hanno creato quella stessa situazione. Si dice: c'è un miliardo di persone che soffre la fame e ci si affida alla McDonald's o Eataly due facce della medesima medaglia, cibo globalizzato e di scarso nutrimento per le masse, cibo d'eccellenza per l'élite; si ripete che 1,5 miliardi di esseri umani non hanno accesso all'acqua, ma ci si consegna alla Nestlè posta sotto accusa dall'UNICEF per le politiche commerciali aggressive per le forniture di latte in polvere ai neonati. Si scrive la “Carta di Milano” ma si dimentica l'accaparramento delle terre, la privatizzazione dell'acqua e dei semi, le sovvenzioni alle grandi aziende dell'agro-business. Che poi qualcuno con EXPO riesca a mangiare di più è vero. Lo raccontano le quotidiane iniziative della magistratura: ma forse non si pensava a costoro quando si è scelto il titolo di EXPO. Ancora una volta è emerso l'inestricabile intreccio tra politica, imprenditoria corrotta, affaristi di ogni sorta e l'immancabile presenza della criminalità mafiosa.

Non c'è traccia delle decine di migliaia di posti di lavoro che EXPO avrebbe lasciato in eredità a Milano, mentre sono evidenti i diritti calpestati quando a decidere il licenziamento di centinaia di lavoratori, senza fornire alcuna motivazione, sono prefettura e questura. La disoccupazione giovanile raggiunge cifre mai viste, ma migliaia di giovani vengono fatti lavorare gratuitamente in EXPO con l'illusione di rafforzare in tal modo il proprio curriculum. Quale sarà il destino futuro dell'attuale sito di EXPO non si sa, il rischio è che alla fine prevalgano appetiti speculativi. Non viene comunicato quanti sono i visitatori, quasi fosse un segreto di stato. Il timore sui risultati economici è legittimo; se tutto andasse bene suonerebbero le fanfare a Palazzo Chigi, al Pirellone e a Palazzo Marino. Non si tratta di “gufare”, il rischio è che a nove mesi dall'inaugurazione, con il sorgere del nuovo anno, ci si ritrovi con un pesante debito sulle spalle dei cittadini milanesi, lombardi e di tutto il Paese. Senza che l'EXPO per altro abbia nutrito nessuno in giro per il Pianeta. Per queste ragioni pensiamo che si sia persa un’occasione fondamentale in particolare, vista la sua collocazione politica, da parte della giunta milanese. C’era l’opportunità di fare di Milano il centro di una discussione di proposte in grado di confrontarsi con il destino dell’umanità, di raccogliere le sfide più alte del pianeta, fatte d’ingiustizie inaccettabili e di sofferenze inenarrabili ma almeno in parte evitabili. Nulla di tutto questo, con sofferenza ne prendiamo atto. È per tutte queste ragioni che abbiamo scelto di organizzare iniziative come questa, di portare al livello più alto possibile le nostre critiche ad EXPO stando ben attenti a non essere utilizzati come specchietti per le allodole, per giustificare qualcosa che è una via di mezzo tra Dysneland e una grande fiera. Dove tutto è mercato.




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