UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

domenica 31 luglio 2016

MILANO. LA GOCCIA SCAVA…

Il Consiglio di Stato accoglie la richiesta del Comitato la Goccia e sospende i lavori della cosiddetta bonifica di Bovisa. Adesso vogliamo vera progettazione partecipata.



Con decisione n. 01625/2016 il Consiglio di stato ha accolto l’istanza del Comitato la Goccia ed ha sospeso i lavori della cosiddetta bonifica del primo lotto di Bovisa.
Duole osservare che tutti gli argomenti esposti nel ricorso al Consiglio di Stato erano stati preliminarmente, lungamente e ripetutamente esposti dal Comitato ai responsabili politici e tecnici del procedimento (gli ex assessori Ada Lucia De Cesaris e Alessandro Balducci  e il responsabile Mario Lagorio) senza ottenere nessun riscontro positivo, e che per fermare un procedimento di cosiddetta bonifica palesemente in contrasto con le procedure di legge e con i criteri di logicità, economicità e tutela ambientale che dovrebbero guidare la pubblica amministrazione, si sia dovuto ricorrere alla suprema giustizia amministrativa.
La bonifica del primo lotto, oggi sospesa, è stata avviata dal Comune in carenza di un progetto generale di bonifica e addirittura in carenza del piano urbanistico per l’intero Ambito di Trasformazione Urbana, (almeno per quanto riguarda piani e progetti resi pubblici). È difficile credere che si sia trattato solo di un’anticipazione stralcio per ragioni di motivata fretta operativa e non di un caso da manuale di politica dello “sfogliamento del carciofo”. Il Comitato la Goccia chiede con fermezza che si proceda rimettendo le cose al loro posto e cioè partendo da due ipotesi complessive tra loro interconnesse: un progetto generale di bonifica fondato su un piano urbanistico generale per tutta l’area. Questo piano urbanistico, che è dunque il punto di partenza finora omesso o comunque non reso noto, dovrà essere costruito tramite un processo di vera e piena interlocuzione politica tra Amministrazione e Cittadini.  Non si tratta infatti di un’area qualsiasi ma di una delle principali valenze urbanistiche ancora libere e della più grande risorsa di verde urbano e di archeologia industriale di Milano e dell’area milanese, che dunque va conservata gelosamente e totalmente attivando  un processo di progettazione partecipata e di condivisione  a scala metropolitana.
Comitato La Goccia


DOPO EXPO
di Jacopo Gardella


Primo piano dell'urbanista Jacopo Gardella con Gaccione
nella sede di "ChiAmaMilano"


A circa dieci anni dal giorno in cui è stata assegnata all’Italia la Esposizione Internazionale (EXPO 2015) il fatto che si sia deciso solo ultimamente ed affrettatamente la destinazione dei terreni in precedenza occupati dalla manifestazione è un fatto grave. Troppo lungo è stato il tempo necessario per avviare un programma che doveva e poteva essere tracciato già parecchi anni fa. Ancora più grave è il fatto che la recente decisione sia stata portata a termine senza una esauriente disamina dei pro e dei contro che essa comporta. Ed infine gravissimo il fatto che di tutte le possibili destinazioni quella scelta sia la peggiore.
Sui terreni lasciati liberi dai padiglioni si è deciso di costruire “Human Techno-pole” ossia un “polo tecnologico di eccellenza”, senza che mai si sia spiegato in termini chiari in che cosa consista concretamente questo “polo”. Ci si domanda di quali discipline è previsto l’insegnamento e la ricerca; in vista di quali sbocchi lavorativi i corsi verranno orientati? Sono tutte domande legittime e ragionevoli ma per ora rimaste senza una chiara ed esauriente risposta.
Se si pensa alle condizioni attuali delle nostre Università, al basso livello delle loro attrezzature, alla scarsità di personale docente, alla insufficienza dei loro servizi culturali, non si può che restare stupiti di fronte alla ingiustificabile scelta prevista per i terreni della EXPO. Perché invece di aprire nuovi costosissimi Atenei non si pensa di potenziare quelli già in funzione?

Una veduta di Expo

Avviare dal nulla una nuova Università non è compito da poco. Non consiste soltanto nella costruzione di immobili e di relative attrezzature; significa formare un corpo di nuovi docenti, preparati e capaci; studiare programmi di studio aggiornati ed approfonditi; prevedere una rete di collegamenti con Università di altri paesi. Annunciare la nascita di una Nuova Università senza prima avere illustrato come si pensa di farla nascere né avere spiegato come si intende farla vivere è una dimostrazione di scarsa serietà, un atto di leggerezza.
Stupisce anzitutto il fatto che i convinti sostenitori del polo tecnologico non abbiano mai presentato un conto dettagliato di costi e benefici, un calcolo preliminare dei finanziamenti necessari. Stupisce inoltre il fatto che non si sia fatta una previsione del numero complessivo di futuri studenti e neppure una analisi delle loro diverse provenienze. Infine stupisce che la nascita di un organismo scientifico e culturale di tanta importanza sia stato prospettato senza una seria e preventiva valutazione geografica estesa a tutto il territorio nazionale; senza una esauriente e dettagliata mappa dei centri universitari attualmente distribuiti nelle varie regioni d’Italia.
Con la decisione di inaugurare un nuovo centro nella Expo si aumentano i già numerosi poli universitari esistenti nel Nord Italia, mentre si dimenticano le regioni del Sud ancora oggi non sufficientemente servite di adeguate strutture scientifiche e culturali. Mentre ai giovani che abitano nel nord Italia sono offerte ampie possibilità di accrescere e completare il proprio corso di studi superiori, i giovani del sud Italia si trovano ancora in condizioni di altissima disoccupazione. La preoccupante mancanza di offerte lavorative è dovuta tra l’altro anche allo scarso livello di cultura posseduto dai molti giovani meridionali aspiranti ad un impiego fisso.
Ci si pone la legittima domanda – ovviamente retorica – se il “polo” proposto sui terreni dell’EXPO sia il modo giusto di attenuare il gravoso divario socio-economico tra Nord e Sud; se sia la via corretta per ridurre lo squilibrio fra due Italie tanto disuguali.

Una veduta di Porta Nuova

Dal momento che il “polo tecnologico” è da considerare una scelta indubbiamente sbagliata, quale potrebbe essere la destinazione alternativa da assegnare all’area della EXPO? A questa domanda occorre saper dare una risposta chiara ed esauriente dal momento che non è sufficiente individuare un errore senza cercarne un giusto rimedio; non basta rivolgere una critica senza proporne una appropriata correzione.
Il rimedio e la correzione risultano evidenti se si procede ad un esame della situazione socio-demografica in cui si trova oggi Milano. E’ sufficiente interrogare la maggior parte degli impiegati assunti in uffici pubblici e privati; e chiedere a loro dove abitano e quanto tempo impiegano per trasferirsi in ufficio alla mattina e rientrare in casa alla sera. Si scoprirebbe che la grande maggioranza degli intervistati non abitano in città e neppure in periferia, ma risiedono in località del territorio alquanto lontane. Ogni giorno essi perdono più di due ore in viaggi disagiati e lenti subendo una grave perdita di tempo, un nocivo accumulo di stanchezza, una logorante fatica psicologica. Tutto ciò mette in evidenza la impellente necessità di offrire ai molti lavoratori non ancora residenti nel territorio comunale una urgente sistemazione abitativa in prossimità delle loro sedi di lavoro. Un insediamento nei terreni EXPO 2015 a destinazione residenziale riservata a classi di ceto medio è da considerare la vera soluzione ragionevole, necessaria, meritevole di urgente realizzazione.


Foto di Giuseppe Denti

A Milano mancano case a prezzi accessibili; residenze a basso costo; appartamenti di valore commerciale adeguato agli stipendi correnti. Non vi possono essere dubbi sulla destinazione da dare ai terreni lasciati liberi dall’EXPO 2015: in quei terreni non dovrà nascere un inutile complesso scientifico-culturale ma un necessario insediamento residenziale; non dovrà sorgere una superflua struttura universitaria ma un utile quartiere di abitazioni; il quale sarà ben diverso tuttavia dai “ghetti” di lusso per classi agiate sorti in un passato più o meno recente: Milano San Felice, Milano Due, Milano Santa Giulia.
Due sono le spiegazioni che chiariscono come si sia potuti arrivare alla infelice scelta dello “Human Techno-pole”:
La prima spiegazione è la mancanza di una analisi urbanistica preliminare che giustifichi in modo convincente la scelta fatta senza che sia stata preceduta da un pensiero urbanistico approfondito e ponderato. La scelta, al contrario, è il risultato di una decisione affrettata, precipitosa, improvvisata frettolosamente per riempire il vuoto di programmi succeduto alla chiusura dell'EXPO.
La seconda spiegazione è la consapevolezza di poter vantare la destinazione universitaria come una scelta di grande prestigio, e quindi di difficile contestazione. Quale esperto di urbanistica potrebbe infatti censurare la destinazione proposta? Mettere in dubbio la sua missione così nobile e prestigiosa? Quale partito politico oserebbe contrastare il progetto presentato? Ostacolare le sue finalità così eccelse ed autorevoli?

L'albero della vita o Natura morta?

Ecco il motivo per cui si è preferita una destinazione sicura, prudente, esente da ogni rischio; una destinazione “politicamente molto corretta” se lo scopo consiste nel vederla rapidamente approvata; ma urbanisticamente “molto scorretta” se lo scopo è di migliorare lo sviluppo della nostra città.
Bocciare questa sconsiderata scelta richiederebbe la capacità di vedute urbanistiche larghe e lungimiranti; implicherebbe il coraggio di una opposizione ferma ed agguerrita. Nell’attuale clima di dilagante conformismo nessun politico nessun professionista nessun universitario dimostra di avere quella capacità né di possedere quel coraggio.

mercoledì 6 luglio 2016

DESIDERI E MERCATO
di Angelo Gaccione

Quanto meno bisogni avete,
tanto più sarete liberi
Cesare Cantù



Che il mondo sia divenuto un gigantesco mercato, è evidente anche dal modo come ci esprimiamo linguisticamente. E che noi esseri umani siamo fondamentalmente importanti perché rivestiamo il ruolo onnivoro di consumatori, è altrettanto scontato. I consumi sono aumentati, si dice con soddisfazione; i consumi sono calati, si dice con spavento; i consumi ristagnano e il mercato è fermo… Pare che tutto il senso più profondo della nostra civiltà, ruoti intorno al concetto di mercato e di consumo. Si dice che il desiderio crea il bisogno ed è il mercato che lo soddisfa. La formula potrebbe essere rovesciata dicendo che è il mercato a creare il desiderio, e che poi lo soddisfa come fosse un bisogno. In qualunque modo si strutturi la formula, il risultato finale rimanere identico: il consumo. Forse è una banalità dire che i bisogni nascono con la nascita dell’uomo. Bisogni primari da soddisfare subito per evitare che la sua vita sia messa in pericolo. Fame, sete, freddo, caldo, tutela della propria incolumità e della propria salute. Con la nascita dei legami sociali e l’ampliarsi delle relazioni parentali, i bisogni si dilatano ed acquistano nuove forme. Lo sviluppo della produzione economica e la sua diversificazione procede passo passo con la disponibilità delle risorse e della capacità tecnica di poterle trasformare. In teoria la sfida fra desiderio e bisogno potrebbe procedere all’infinito, l’uno alimentando l’altro e viceversa. Vista la stretta interdipendenza, il desiderio può far nascere il bisogno e il bisogno può far crescere il desiderio, senza soluzione di continuità, restando entrambi prigionieri di un circuito che non ha termine. Considerato dal punto di vista della produzione delle merci, questo rapporto può apparire ad alcuni esaltante, ad altri spaventoso. Nuovi desideri generano nuove merci, e nuove merci generano nuovi desideri. Finora ha funzionato così, e la produzione mondiale ha dato fondo a questa logica senza mai fermarsi, né domandarsi quanto questo modello sia effettivamente utile al bisogno di chi di quelle merci fruisce. Desideri artificialmente indotti creano nuovi bisogni, nuovi bisogni creano nuovi mercati pronti ad accogliere quei desideri divenuti bisogni e che prontamente la produzione soddisfa. Se c’è un mercato è naturale che qualcuno lo occupi e lo soddisfi. Quando parliamo di mercato e di soddisfazione di bisogni, è questa girandola vorticosa e inarrestabile che dovremmo tenere presente. Forse i bisogni sono contenuti e i desideri illimitati. Forse i bisogni veri di un uomo sono circoscritti alla tutela del suo corpo fisico, così come dalla natura gli è dato, e non dovrebbe oltrepassare quel limite. Di sicuro il punto dove ci stanno conducendo desideri illimitati e bisogni non necessari, (spaventosa produzione di rifiuti, saccheggio indiscriminato delle risorse primarie, prospettiva concreta di un disastro ecologico definitivo, ecc.), è un punto di non ritorno, una terra desolata.
[2015]


lunedì 4 luglio 2016

BUONE VACANZE
Poiché anche il direttore di questo giornale
ogni tanto ha bisogno di un po’ di riposo, la
prima pagina di “Odissea” riprenderà le sue
pubblicazioni a fine agosto. Le altre rubriche
continueranno invece con lo stesso stakanovismo.
[Il direttore]


Raccomandazioni dei Vescovi USA e UE
sui negoziati del TTIP
di Reinhard Cardinal Marx   e Joseph Edward Kurtz   
  

Usa. Manifestazione contro il TTIP
        

Prima che il TTIP venga completato, concordato e ratificato, è essenziale intraprendere un esaustivo esame costi/benefici sotto l’aspetto sociale ed ambientale. Tale riesame dovrebbe prendere in considerazione non solo la teoria economica, ma anche un’analisi obiettiva dei reali effetti del trattato sui cittadini, le società e il pianeta. Questa disamina deve tener conto del potenziale impatto del TTIP sui bisogni essenziali, sugli elementi fondamentali del benessere di tutti i cittadini e sui diritti che offrano accesso ed opportunità per tutti. Il TTIP deve contribuire al benessere di tutti i cittadini, specialmente di quelli poveri. Tutti dovrebbero partecipare alle decisioni che impattano sulle proprie vite. I presunti benefici devono essere equamente distribuiti, in modo da non esacerbare le diseguaglianze. In sintesi, il TTIP deve portare ad un mondo più sicuro e pacifico, piuttosto che accrescere le tensioni economiche e politiche.
È pur vero che il perseguimento di una politica per un futuro migliore per tutti, rispettoso dei diritti delle generazioni presenti e future, non può realizzarsi mediante un’eccessiva regolamentazione né attraverso una drastica deregolamentazione. Accordi e trattati debbono sostenere il dinamismo sociale sia incoraggiando le potenzialità creative della mente e del cuore, sia promuovendo una equa partecipazione di tutti i membri dell’unica grande famiglia umana.
Quello che Papa Francesco ha scritto ai paesi del G-8 nel 2013 si applica anche al TTIP: “Il fine dell’economia e della politica è di servire l’umanità, a partire dai più poveri ed indifesi” (Lettera al Right Honourable David Cameron, 17 giugno 2013). La storia fornisce evidenza di come una crescita dei commerci e degli investimenti possa realmente risultare benefica a condizione che venga strutturata in modo da contribuire a ridurre, non ad esacerbare, le disuguaglianze o le ingiustizie. Le politiche commerciali devono basarsi su criteri etici centrati sulle persone nel perseguimento del bene comune per le nostre nazioni e per tutte le genti sparse per il mondo. La negoziazione e l’applicazione di accordi commerciali deve conformarsi ai principi che promuovono e difendono la vita e la dignità umana, che tutelano l’ambiente e la salute pubblica e che promuovono la giustizia e la pace nel mondo.
Certi principi devono essere adottati per valutare qualsiasi proposta di trattato commerciale, incluso il TTIP:
Sostenibilità e precauzione. I vescovi degli USA e dell’UE desiderano sottolineare i principi di sostenibilità e precauzione. Una delle implicazioni del principio di precauzione è che deve essere assegnata priorità alla prevenzione del danno. Si deve pazientare nell’adozione di prodotti o procedure fino a quando non ci sia evidenza scientifica che questi non causino danni significativi alle generazioni presenti e future e non mettano a rischio l’ecologia della natura.
Tutela del lavoro. La dignità umana richiede quale priorità la tutela dei lavoratori e dei loro giusti diritti. Sosteniamo i diritti dei lavoratori, incluso il diritto ad auto-organizzarsi, così come la conformità agli standard lavorativi concordati a livello internazionale. Qualsiasi accordo deve essere accompagnato dall’impegno per l’impresa di assistere i lavoratori in malattia, così come le loro famiglie e comunità, di far fronte alle tensioni sia sociali che finanziarie legate alle delocalizzazioni che possono essere causate dal libero commercio. Particolare attenzione deve essere posta nelle condizioni di sicurezza nel lavoro, in un ragionevole orario di lavoro, nelle ferie, nel salario familiare minimo, nonché in altri riconosciuti benefici sociali.
Popolazioni indigene. In ogni parte del mondo i vescovi cattolici esercitano estensivamente il loro ministero tra i gruppi indigeni. Nel rispetto del loro patrimonio culturale e in vista del loro sviluppo economico, il TTIP deve rispettare il patrimonio di queste comunità indigene e condividere con equità i benefici di qualsiasi commercio con gruppi nei quali si originano saperi tradizionali e risorse naturali.
Migrazioni. La nostra Chiesa ha da lungo tempo difeso il diritto delle persone a migrare quando le condizioni nel paese di origine non sono sicure o non permettono di provvedere a loro stesse e alle proprie famiglie. Se si vogliono ridurre le migrazioni, siamo convinti che ciò deve essere attuato alleviando le condizioni che spingono le persone a lasciare le loro terre natali. Qualsiasi accordo commerciale o sugli investimenti dovrebbe essere definito in modo da assicurare una riduzione della necessità ad emigrare.
Agricoltura. I nostri fratelli vescovi qui e all’estero, assieme ad altri partner coi quali lavoriamo, hanno espresso pesanti timori circa la vulnerabilità dei piccoli produttori agricoli quando sono posti di fronte alla concorrenza di prodotti agricoli che beneficiano di notevoli vantaggi grazie alle vigenti politiche e ai sussidi dei loro governi. Qualsiasi accordo dovrebbe promuovere il settore agricolo dei paesi in via di sviluppo e proteggere chi vive in aree rurali, specie nel caso di piccoli produttori agricoli.
Sviluppo sostenibile e cura del Creato. La crescente integrazione economica a livello globale contiene potenziali benefici per tutti i partecipanti, ma dovrebbe fare qualcosa di più della semplice regolazione del commercio e degli investimenti. Il legame essenziale tra la preservazione dell’ambiente e uno sviluppo umano sostenibile richiede di porre attenzione prioritaria alla protezione dell’ambiente e della salute delle comunità, inclusa l’assistenza a paesi poveri che spesso mancano di conoscenze tecnologiche o di risorse sufficienti a mantenere un ambiente sicuro. Gli accordi dovrebbero prevedere l’alleggerimento dal peso dirompente del debito a carico di paesi poveri e il supporto ad uno sviluppo che accresca l’affidamento su se stessi ed un’ampia partecipazione nei processi decisionali. Il TTIP non dovrebbe consentire il commercio e l’investimento in merci che possano compromettere il bene comune (quali le armi illegali o le droghe).
Diritti di proprietà intellettuale. Siamo anche preoccupati per le clausole sui diritti di proprietà intellettuale riguardo ai farmaci e all’agricoltura. Dobbiamo tenere in conto la necessità di assicurare l’accesso ai medicinali e i progressi nell’agricoltura per le popolazioni più esposte. La Chiesa colloca i diritti di proprietà intellettuale all’interno del più vasto contesto del bene comune ed è convinta che questi diritti debbano essere bilanciati con i bisogni dei poveri. Il principio del bene comune non richiede solo la legittima tutela dell’interesse privato ma anche che si tenga in conto il bene comune a livello locale e globale. Gli accordi non possono essere instaurati od accettati esclusivamente sulla base dei benefici per i contraenti nel quadro bilaterale. Vanno anche tenuti in conto i benefici e i costi per soggetti terzi, in particolare i poveri, gli indifesi, i giovani, gli anziani e gli infermi.
Meccanismi di risoluzione delle dispute. Ci poniamo interrogativi sul merito di richiedere per le parti sovrane nei trattati internazionali di aderire ad un arbitrato internazionale vincolante quale il forum per la risoluzione delle dispute, o mediante il meccanismo di strutture per la risoluzione delle dispute investitore-stato (ISDS) o attraverso corti internazionali sugli investimenti, proposte di recente. Ambedue questi percorsi possono portare a vantaggi indebiti per interessi commerciali disposti a sfruttare le regole dell’arbitrato o dei sistemi giudiziari e ad un indebolimento di importanti standard sui diritti ambientali, lavorativi e umani. Gli interessi privati non dovrebbero far eclissare i beni pubblici. L’impatto sulla legislazione ambientale e sociale, o sulle politiche per la salute, l’istruzione e la cultura deve essere attentamente studiato. Una sproporzionata attenzione per l’armonizzazione o la semplificazione regolatoria non possono costituire la base per arrivare a compromettere adeguate normative sulla sicurezza, il lavoro, la salute e l’ambiente adottate localmente da organismi confederali, statali o regionali.
Partecipazione. È cruciale che tutte le persone abbiano voce in capitolo in decisioni che riguardano le loro vite. La dignità umana richiede trasparenza e il diritto delle persone a partecipare a decisioni che impattano su di loro. La partecipazione va in particolare applicata per i negoziati del TTIP e per altri accordi commerciali. Questi dovrebbero svolgersi in sedi pubbliche e attraverso processi che assicurino che le voci provenienti dai settori più colpiti della società possano essere ascoltate e i loro interessi riflessi in qualsivoglia accordo dovesse venir fuori. Giustizia va applicata in ogni fase dell’attività economica; i canoni della giustizia devono essere rispettati sin dall’inizio, non appena il processo economico e politico viene alla luce, e no giusto in conclusione o per caso.
In questa esortazione apostolica, Evangelii Gaudium, Papa Francesco osserva: “La grande crisi mondiale che colpisce la finanza e l’economia mette allo scoperto i loro squilibri e, soprattutto, la loro mancanza di reale preoccupazione per i bisogni umani; l’uomo è ridotto ad un unico bisogno: il consumo” (no. 55).
Il Papa Emerito Benedetto XVI, nell’enciclica Caritas in Veritate, ha dichiarato: “L’economia ha bisogno di un’etica per funzionare correttamente — non qualsivoglia etica, ma un’etica che sia centrata sulle persone” (no. 45). Il nostro insegnamento pone le persone — specialmente i più poveri ed indifesi — al primo posto. L’accordo TTIP attualmente proposto deve essere giudicato con questi standard di alto livello.
[per i Vescovi della UE  - Reinhard Cardinal Marx]
[per i Vescovi degli USA  - Most Rev. Joseph Edward Kurtz]
Loris, David, papa Giovanni
di Renzo Salvi

Intrecci di testimonianze a Fontanella

Prosegue l'omaggio di "Odissea" per David Maria Turoldo nel centenario della nascita. Come abbiamo già annunciato su queste colonne, l'incontro di sabato 25 giugno scorso ha avuto luogo prima nel cimitero di Fontanella, dove Turoldo è sepolto, poi nel chiostro dell'abbazia di sant'Egidio. Intanto sta per uscire presso le Edizioni Nuove Scritture di Milano il volumetto "Tempo senza profeti" che raccoglie varie testimonianze e foto di un gruppo di collaboratori di questo giornale. In ottobre altre iniziative pubbliche che si concluderanno con una raccolta di firme per fargli intestare una strada nella città che lo ha ospitato e dove si è spento. Questo affettuoso intervento di Renzo Salvi prosegue sulla scia delle testimonianze in favore del grande poeta e uomo di fede. 

David Maria Turoldo



Sono lieto di dare la mia testimonianza del primo incontro personale con padre David, avvenuto a Roma nella chiesa di San Claudio, la chiesa dell’adorazione perpetua dove da giovane andava anche papa Giovanni e dove tanti bravi prelati continuano ad andare anche oggi”.

Così Loris Capovilla, la figura più vicina a papa Giovanni, e testimone, e memoria, e voce lungo i decenni del Concilio, iniziò la sua intervista/conversazione nel  giugno 2012 a Ca’ Maitino in Sotto il Monte.
L’argomento proposto per primo in quell’occasione riguardava il “cambiamento” – ma il termine proposto dall’intervistatore venne subito puntualizzato in “aggiornamento” dall’intervistato – indotto dal Vaticano II nella liturgia e, dentro questo, il problema non secondario del canto liturgico nel passaggio alla celebrazione nelle lingue nazionali*; il contributo di David Maria Turoldo alla scrittura di Inni e alla riscrittura poetica, in forma lirico/metrica, dei Salmi sarebbe stato uno dei temi forti di quella conversazione

“Erano i primi giorni di gennaio del 1963. C’era stata la crisi di novembre che rivelava la malattia di papa Giovanni, e il precipitare degli eventi; poi [quella crisi] l’aveva ben bene superata… Io andavo, nel pomeriggio, di corsa, a pregare a San Claudio che era una chiesa che lui amava. Li avvenne – è bello ricordarlo – il primo incontro personale (lo conoscevo da prima, per lettura) con padre Davide Turoldo. 
Quel giorno, mentre stavo pregando viene avanti un frate, alto, con due manone grandi. Mi mette una mano sulla spalla e mi dice: «Monsignor Capovilla? Sono padre Turoldo».
Incontrare padre Davide Turoldo, dinnanzi al Santissimo Sacramento e con tanta tenerezza mi toccò nel cuore. Lo ricordo ancora … Sento – come dire – la sua mano sulla mia spalla. Mi dice: «Lei è venuto a pregare. Anche noi preghiamo. Che Dio ce lo salvi e ce lo conservi». Tornato a casa – il papa sapeva che andavo a fare questa  mezzora di preghiera – ho riferito: «Ho trovato Padre Davide Turoldo, un giovane poeta, teologo, filosofo… Pieno di ardore e di ardimento…».
Lui ha detto: «Si. So chi è padre Davide, lo ricordo …» Aveva letto qualche sua poesia; qualcuna l’avevo letta anch’io con lui. E ho ancora la lettera che Padre Davide mi ha scritto per dirmi grazie dell’incontro “dell’altro ieri” a San Claudio, in preghiera*.

La tomba di Turoldo a Fontanella (Bg)


Il rapporto ed i contatti tra queste due figure, certamente con caratteri e personalità molto diverse tra loro e ciascuna particolarissima nell’ambito di quella Chiesa, italiana e universale, piena di vitalità nell’orizzonte del Concilio Vaticano II, si fanno frequenti, sino a far diventare consuetudine i momenti di collaborazione; il tutto nel nome di papa Giovanni e della speranza conciliare. Ed avendo come – forse inatteso – punto focale Fontanella di Sotto il Monte.
Con il nome di Fontanella si indica, ormai per convenzione, la piccola frazione nel paese natale di papa Giovanni, posta su un colle appena elevato e raccolta intorno alla chiesa romanica di Sant’Egidio. Abitazioni contadine era dislocate, sino a tutti gli anni Sessanta del Novecento, nei campi e nei vigneti lavorati sulla collina e avevano trovato spazio anche in alcune parti dell’antico monastero addossato al chiostro e non più vissuto da una presenza monastica.
Qui, secondo annotazioni e testimonianze, Angelo Giuseppe Roncalli si recava in preghiera da ragazzo e poi – certamente molto diradando i passaggi – da chierico, da prete, da vescovo, da nunzio apostolico, da cardinale e poi Patriarca. Fontanella fa parte della sua esperienza spirituale; la comunità contadina è ricordata come un tutt’uno con il vasto (e al tempo stesso minuscolo) mondo popolare di Sotto il Monte. Vescovo e Delegato Apostolico per la Bulgaria, il 28 gennaio 1931 scriverà da Sofia:

“Per voi di Fontanella io resto dunque un conterraneo ed un amico, che vi vuole bene, che conosce le vostre famiglie almeno nel loro insieme e che ha grande stima del vostro sentimento cristiano”, per poi aggiungere: “Riconosciamolo: la Chiesa di Sant’Egidio è veneranda per antichità: ogni pietra è sacra. Bisogna conservarla bene”*.

Dal 1963, dopo la prima sessione del Concilio e alla scomparsa del pontefice, Sotto il Monte ed in esso Fontanella, la chiesa e l’antico Priorato di Sant’Egidio, divengono la meta e poi il luogo della presenza dinamica di David Maria Turoldo; l’uno e l’altra scelti nel nome di papa Giovanni:

“Si io ho creduto fino al punto di ritirarmi nel suo paese, di mettermi a vivere qui, a camminare per queste mulattiere, in mezzo ai suoi vigneti; a guardare dal monte gli spazi e il cielo che lui si era portato con sé per le strade dell’oriente e dell’occidente, fin dalla sua infanzia; qui in mezzo alla sua gente.
Vivevo allora da solo e dormivo in una torre di mille anni. E da quelle finestrelle guardavo giù tutta la pianura. E dovevo entrare da una porticina piccolissima, cosicché dovevo curvarmi, e ogni volta che uscivo avevo la sensazione di inchinarmi di fronte alla creazione. E godevo di tutte le più piccole cose; e della mia vocazione, e della mia volontà di donarmi; godevo specialmente a stare con gli umili e i fanciulli. E ho creduto veramente nella possibilità di un mondo nuovo, o comunque  diverso. Speravo che la storia dovesse cambiare. Era il tempo di Kennedy, il tempo di Kruschev. Non so che tempi fossero. Ora sembrano una favola. Oppure ci siamo tutti sbagliati?”*


L'abbazia di sant'Egidio


All’insediamento di una piccola comunità servita presso il Priorato di Sant’Egidio, con la costruzione della Casa di Emmaus e la costituzione di un Centro Studi dedicato a papa Giovanni fa da (discreto e defilato) suggeritore Loris Capovilla: “Da poco conosciuto – scrive Mariangela Maraviglia – e poi costante interlocutore, ricco di amicizia e di consigli nel suo [di Turoldo] insediamento a Sotto il Monte”[1]. A secondare l’intuizione e poi la realizzazione della presenza servita in Sotto il Monte furono anche figure come Giuseppe Lazzati e, soprattutto, il vescovo di Bergamo Clemente Gaddi che accolse Davide e la comunità servita con tutte le attività che presero l’avvio in quel frangente e che si trovò a far da argine rispetto a molti attacchi di malevolenza che si manifestare sia all’inizio dell’esperienza che durante tutto il suo sviluppo.
Nel molto fare, agire, proporre meditare di quegli anni compaiono a Fontanella figure di rilievo della Chiesa conciliare e personalità fortemente impegnate nella lotta per la liberazione umana nel mondo: da frère Schutz di Taizè a Jean Daniélou, dai cardinali Bernald Alfrink  e Paul Gouyon al Primate cecoslovacco Josef Beran, dal combattivo gesuita statunitense padre Daniel Berrigan, punta del movimento antimilitarista, a interpreti del dialogo interconfessionale, prima, e interreligioso poi, dalla prima donna “uditrice al Concilio – Marie-Louise Monnet – a tutti i nomi italiani di quell’inconsapevole momento di attesa e di preparazione di un tempo nuovo della Chiesa, rivelatosi a sorpresa col Concilio, che in nome della loro ricerca e testimonianza avevano patito emarginazione e persecuzione nell’ambito del mondo cattolico e nella stessa Chiesa italiana, dal dopoguerra all’avvento giovanneo: “don Luigi Rosadoni, don Divo Barsotti, Carlo Carretto, Arturo Carlo Jemolo; più spesso gli amici di sempre, i milanesi Pirelli, i fiorentini Balducci, Gozzini, Meucci, don Michele Do…”*.
A Fontanella, anche a Fontanella, ed in nome di un Concilio e di un pontificato che tutto hanno raccolto e molto hanno portato in onore indicandolo come via privilegiata della Chiesa dei poveri, confluisce l’insieme dei rivoli e dei percorsi che David Maria Turoldo rievocherà con tenerezza, e con lo stupore di chi osserva approdi impensati, in una lettera a Rienzo Colla nell’occasione dei trent’anni de La Locusta:

…Trent’anni di Locusta, dicevo, e non son pochi per una cosa nata nell’assoluta povertà, nel nascondimento come di solito nasce una vocazione religiosa quando è autentica.
Un’impresa che ci lega fin dall’origine, e prima ancora, per via di quei nostri sogni di una Chiesa nuova, di un Paese nuovo, di nuove culture e di propositi a non finire … Ricordi l’intreccio delle nostre speranze che attraversavano i nostri conventi e canoniche e gruppi, col “Gallo” di Genova, con la “Corsia dei Servi” a Milano e con l’“Adesso” di Mazzolari: segni annunciatori, per quanto inconsci, addirittura di un Concilio, fiorito poi inaspettatamente, come tutti sappiamo.
Piccoli segni, s’intende, ma reali. Perché la storia è così: un tessuto di fili segreti, un lievitare di piccoli semi”*.

Turoldo in un dipinto di Vanda Guanella


Tra le presenze che “spiccano” in quei passaggi a Fontanella – secondo la documentata lettura di Mariangela Maraviglia – monsignor Carlo Manziana, da poco vescovo a Crema, ma in precedenza sopravvissuto ai Lager di Dachau dove era stato deportato per attività antifascista, ma anche e soprattutto – nell’annotazione sulle presenze nelle attività – monsignor Loris Capovilla.
Tra David Maria Turoldo e Loris Capovilla ci furono certamente, da quel tempo, incontri di cui non abbiamo notizia se non per parziali incroci di corrispondenza; di altri momenti esistono documentazioni puntuali. La memoria di papa Giovanni e il comune procedere sulle vie della chiesa conciliare ne sono il motivo continuo e costante.
Ad Assisi, presso la Cittadella della pro Civitate Christiana, dal 27 al 31dicembre 1985 David Maria Turoldo e Loris Francesco Capovilla sono voci di peso, tra molte altre, del Convegno Giovani che ha come titolo Il Vaticano II nella Chiesa italiana: memoria e profezia*.
Loris Capovilla svolge la relazione “Giovanni XXIII: profeta della novella Pentecoste” nella quale in modo implicito ed esplicito riprende i temi della presenza dello Spirito nella vita della Chiesa, echeggiando l’ultima relazione tenuta in Assisi dal cardinal Roncalli, Patriarca di Venezia, il … 1957. Cita, tra l’altro, Loris Capovilla, il discorso giovanneo di chiusura della prima sessione conciliare, la dove si afferma: «Sarà veramente una nuova Pentecoste che farà fiorire la Chiesa nella sua interiore ricchezza e nel suo estendersi maternamente verso tutti i campi dell'umana attività; sarà un nuovo balzo in avanti del regno di Cristo nel mondo».

“Preparare la novella Pentecoste è stato per lui – prosegue il testo della relazione di Loris Capovilla – il vero scopo del Concilio. Ma come sarà questa novella Pentecoste? Dipende da ciascun battezzato che essa si riveli, secondo la previsione roncalliana, «un riaffermare in modo sempre più alto e suadente la lieta novella della redenzione, l’annuncio luminoso della sovranità di Dio, della fratellanza umana nella carità, della pace promessa in terra agli uomini di buona volontà, in rispondenza al divino beneplacito».
Stupendo il testo latino: «Tunc regnum Christi in terris novo amplificabitur incremento. Tunc denique altius ac suavius in orbe laetus resonabit humanae redemptionis nuntius».
Ci si chiede – prosegue quella relazione in Assisi – se l'unificante forza dello Spirito Santo, che nel giorno di Pentecoste fuse le membra della giovane Chiesa in unione tanto meravigliosa (At 4321), ricondurrà ancora una volta la cristianità, dilacerata dalle divisioni, a dare comune testimonianza della verità di Cristo. Se si verificherà la novella pentecoste, tutti coloro che «invocheranno il nome del Signore» (At 2,21)”.

David Maria Turoldo guida la veglia di preghiera, in cui compone alcuni testi editi ed altri scritti per l’occasione. Gli Atti ne pubblicheranno, come “Spazio per l’invocazione”, il nuovissimo “Francesco aiutaci a comprendere”, il già noto “Dialogo nella chiesa” (introdotto come “Il saluto di Frate Nessuno”) e la conclusione “Una sola ecumene” che suona:

“Il Dio della comunione e della pace, il Padre di ogni creatura
e il Figlio Salvatore del mondo, Fratello degli uomini, primo fra tutti i poveri, e lo Spirito Santo, fuoco e vento che spira ovunque, e tuono che scuote l’intera Gerusalemme l’iddio nella sua Trinità misteriosa che è causa del molteplice; e nella sua unità che è santa radice di ogni vita, vi doni la grazia di comprendere la infinita varietà della creazione; faccia di voi lo spazio della continua incarnazione della sua parola, rinnovi in voi la sua Chiesa: siate voi il vero tempio, la santa dimora dove Egli ama abitar! E sia tutta l’umanità una sola Ecumene da riempire la terra”*.


Da sin. Seregni, Russo, Piscitello, Bianchi, Gaccione di "Odissea"
a sant'Egidio nel 2015 per rendere omaggio a Turoldo


L’attenzione e l’apprezzamento reciproco – l’amicizia, infine – tra Loris Capovilla e Davide Turoldo trovano un ulteriore momento per rinsaldarsi quando, dal dicembre 1988, lasciati gli incarichi di attività pastorale come arcivescovo, dapprima a Chieti e Vasto e poi come delegato pontificio del Santuario della Santa Casa di Loreto, Loris Capovilla sceglie a sua volta di vivere a Sotto il Monte, in una casa costruita da un avo di papa Giovanni e poi donata all’allora patriarca di Venezia come luogo di riposo. Da Ca’ Maitino, sul declivio che da Fontanella conduce a Sotto il Monte, Loris Capovilla proseguirà un’attività pastorale e di testimonianza. Culturale e di annuncio che lo accompagnerà oltre il secolo di vita.
Gli incontri con Davide Turoldo si fanno frequenti, il rapporto diviene fraterno nell’immediatezza della prossimità, l’apprezzamento di Loris Capovilla per la poesia turoldiana cresce in rilettura e in citazione nel corso di suoi interventi, conferenze, testimonianze rese in tempi e luoghi diversi.

Nel corso dell’intervista televisiva del 2012, riprendendo il fio dell’aggiornamento anche liturgico introdotto dal Concilio e ritornando al contributo di Davide Turoldo nella scrittura dei Salmi, Loris Capovilla afferma:

“Questo ricordo mi aiuta a pensare al Davide Turoldo chiamato – non da me: che conterebbe niente – da Carlo Maria Martini, “un frate umile”. Quest’uomo che sembrava “prepotente” era un frate umile. E io penso: quest’uomo, teologo, dottore, poeta, artista che quando mette mano a una nuova versione dei Salmi, pur con tutta la sua preparazione, ha paura di non saper fare esattamente o almeno di rivestire di poesia ma non nel senso esatto della Rivelazione, la Parola di Dio e si associa un più giovane confratello, Gianfranco Ravasi, che conosceva, che era già noto come biblista, ma se lo associa quasi dicendo: io sono poeta, ma tu sei biblista,  e allora aiutami a non alterare la Parola di Dio.
Noi siamo quello che siamo, passiamo… Ma solo “entrare nel solco” e “rimanerci per dieci metri” e poi scomparire… Non importa se poi si scompare: perché portare avanti una grande idea, un grande pensiero che entra nel disegno  di Dio, nel disegno della Creazione e della Redenzione, trascende il nostro piccolo tempo che abbiamo a disposizione”.

Quando, nel 1992, Davide Turoldo conclude la sua vita terrena Loris Capovilla presiede il rito funebre che si svolge a Fontanella, nella chiesa di Sant’Egidio, dopo i funerali presieduti dal cardinal Martini nella chiesa di San Carlo al Corso che i Serviti officiano nel centro di Milano.

Delegazione di "Odissea" a Fontanella sabato 25 giugno scorso


“Quando è morto padre Davide sono stato il primo a scrivere di sapere bene che non tutti convergevano nella valutazione o nell’apprezzamento sulla sua persona, applaudendolo. E certamente anche lui ha avuto le sue mancanze; gli è uscita qualche parola impropria. Ma sapete che cos’è? Che lo zelo disordinato può prendere anche un buon cristiano, ma ecco invece la sua pietà eucaristica, mariana – lo dico qui per Davide Turoldo come lo sto dicendo, allo stesso modo, per don Giovanni Rossi [fondatore della Pro Civitate Christiana in Assisi] – questo amore veramente grande, questa visione, questo bisogno di apertura al mondo. Altrimenti che cristiani siamo? Che cattolici siamo? Che cattolicità è la nostra se siamo chiusi nel nostro piccolo guscio.
Il profeta pesta i piedi!
Siccome siamo in questo tema, mi piace dire: ai funerali di Davide io ho raccolto delle testimonianze. Ho avuto piacere quando ho visto Gianfranco Ravasi. Parlarono il Superiore dei padri Serviti, parlò don Abramo Levi, parlarono altri… Parlò il caro vescovo di Ivrea, Luigi Bettazzi, che io ricordo con amore e gratitudine, ché anche lui ha sofferto per la Chiesa e da parte anche di uomini di Chiesa.
Un ragazzo di ventitré-ventiquattro anni, non ricordo il nome, che era di Sant’Egidio, viene vicino a me e chiede: Posso anch’io salutare Padre Davide? Ma certamente, ho risposto. E questo ragazzo va al microfono e umilmente, da ragazzo che ha fatto la terza media dice: «Padre Davide, stamattina a Milano, il cardinale Martini, ha detto che tu eri umile… Ma sicuro che eri umile. Venivi nelle nostre case, ti sedevi fuori sulla panca con noi, mangiavi un pezzo di formaggio con pane o polenta, bevevi un bicchiere di vino e parlavi a noi come un fratello. Padre Davide, ti ringrazio di due cose: mi hai insegnato a coltivare l’onestà, e a pregare con i salmi».
Questo ragazzo, commosso, viene via, mi guarda e mi dice: Ho detto bene? Meglio di tutti, ho commentato, meglio di tutti: “mi hai insegnato a vivere nell’onestà e a pregare con i salmi”.  Io credo che ci sono delle lezioni che si chiamano “semi”.
L’ho detto recentemente ad un incontro: in padre Davide noi abbiamo un grande patrimonio che è rimasto quasi come semi nelle nostre mani. Può darsi che un bel giorno li buttiamo per terra e li facciamo fiorire… Non dobbiamo avere fretta”.

Torna il tema, roncalliano, giovanneo, del “tantum aurora est” che papa Giovanni propose nel discorso di apertura del Concilio e di cui Loris Capovilla s’è fatto stendardo, bandiera e chiave interpretativa generale di tutta una vita:

“… Tantum Aurora Est: quel pensiero che brilla come una gemma nel discorso inaugurale del Concilio. Si rivolge ai vescovi, e dice: abbiamo celebrato una grande giornata di pace. Come volete chiamarla? Una grande giornata di pace. Però ricordatevi: Tantum Aurora Est. Siamo agli inizi!
Io ho dato un’interpretazione a quelle parole: siamo agli inizi di che cosa? Non del Concilio Vaticano II ma dell’evangelizzazione! E della cosiddetta civiltà che da Cristo prende nome e dovrebbe prendere anche succo vitale: Tantum Aurora Est….

Scultura di Romano Mosconi ispirata ai versi di Turoldo


La scelta formulata da Loris Capovilla di essere sepolto a Fontanella è una fusione al calor bianco, in tenerezza, di quegli intrecci percorsi durante la vita: là, nei pressi di quella chiesa abaziale del Mille, s’erano mossi i passi di un ragazzo, un seminarista, un pretino che la vita avrebbe condotto in molti luoghi – comunque “non per caso”[2] – e la volontà imperscrutabile dello Spirito avrebbe infine voluto pontefice. Là dove, nel nome di papa Giovanni, ma non chiave di devozionalismo, aveva scelto di collocarsi e vivere in testimonianza “militante” – monacus in proelio et miles in castro – Davide Turoldo. Là chiede di collocare il proprio corpo Loris Capovilla, che nelle sue ultime volontà, dopo aver raccomandato per la propria dipartita il silenzio, simile a quello in cui era “venuto al mondo”, “senza battimani o clamori”, annota ed indica:

“… Dopo la celebrazione il viaggio verso il Cimitero di Fontanella dove è sepolto David Maria Turoldo, uno dei grandi poeti che la Chiesa cattolica ha avuto”

Così si conclude un intreccio. Così, come in uno specchio, nel quale noi vediamo soltanto in aenigmate, si ricompone un incontro ora avvenuto di nuovo nell’oltre rispetto a questa vita. Con Fontanella posta come icona dell’Eternità.

La copertina del libro su Turoldo di prossima uscita





Note
*Renzo Salvi in conversazione con Loris F. Capovilla, regia televisiva di Dario Barezzi (Archivio personale). Occasione prossima di quell’intervista televisiva era stata la scelta di chiedere una presenza, in qualche modo “virtuale” di don Loris per la serata conclusiva del I Convegno Internazionale di musica sacra “David Maria Turoldo di Rezzato del 16 giugno 2012.
*La ricognizione ad una minuta dattiloscritta di quella lettera datata nel giorno dell’Epifania 1963, ora nell’Archivio Turoldo di Fontanella, e un ricordo scritto di Loris Capovilla del 1° ottobre 1986 collocherebbero l’incontro il giorno successivo allo storico viaggio di papa Giovanni a Loreto ed Assisi avvenuto il 4 ottobre 1962. Per questa documentazione fa testo il volume Mariangela Maraviglia, David Maria Turoldo. La vita la testimonianza (1916-1992), Morcelliana, Brescia 2016, p. 273, nota. Immutati, per convergere di testimonianze, rimangono il luogo dell’incontro, l’intenzione di preghiera, il clima di cordialità e il ricordo di un’amicizia che da li prende l’avvio.
*Cfr. Francesco M. Geremia, All’Abazia di Sant’Egidio, Cens, Milano 1993 (calendario 1994)
*David Maria Turoldo, Ai tempi di Papa Giovanni, in Lo scandalo della speranza, seconda edizione, due volumi, ed. Gei/distribuzione Rizzoli, Milano 1984, volume secondo, p. 45
*Mariangela Maraviglia, David Maria Turoldo. La vita la testimonianza (1916-1992), cit., p. 273
*Mariangela Maraviglia, David Maria Turoldo. La vita la testimonianza (1916-1992), cit., p. 289
*David Maria Turoldo, Lettera a Rienzo Colla, in Gli anni de “La Locusta” (1954-1986), a cura di A. Morello, Biblioteca Civica Bertoliana, Vicenza 1986, pp. 37-40
*Loris Francesco Capovilla, Giovanni XXIII: profeta della novella Pentecoste, in AA.VV., Il Vaticano II nella Chiesa italiana: memoria e profezia, Cittadella Editrice, Assisi 1985, pp. 160-161
*David Maria Turoldo, Spazio per l’invocazione, in AA. VV. Il Vaticano II nella Chiesa italiana: memoria e profezia, Cittadella Editrice, Assisi 1985.
*Una ricognizione alla vita di papa Giovanni condotta rileggendo compiti, incarichi, scelte e passaggi inattesi sino al soglio pontificio è contenuta nel testo “Pater amabilis” che rappresenta la prima commemorazione in assoluto di papa Roncalli tenuta da Loris Capovilla ad Assisi, nella cittadella della Pro Civitate Christiana, nell’agosto stesso del 1963; successivamente in Il Simbolo,  vol. XXI,  Edizioni Pro Civitate Christiana, Assisi 1963, pp. 16-44





AFORISMI
di Laura Margherita Volante


*Il sorpasso è la paura dell’artista medio-cre…
*Il sapere non è capire.
*Oggi l’amicizia:
è il vanto degli illusi
è la calamita del potere
e come una moneta… ha due facce!
*Le immagini dei narcisi sono destinate a perire in un bicchiere d’acqua.
*Il piacere di avere torto è di chi ha deciso di crescere.
*Le persone libere sono portatrici sane di salute sociale.
*A chi è “il problema” tutto diventa problematico…
*La lupa di Roma oggi è… lupa-gghiotta!
*L’inquietudine interiore è famelica di generi di conforto…
*Se un problema serio genera depressione i problemi diventano due.  
*Il tempo che passa in silenzio innalza muri fra le genti…
*Femminicidio. Ansia di possesso di chi non possiede nemmeno se stesso.
*La buona scrittura esprime concetti inequivocabili.
*Spirito solitario: il mio sorriso è già un bel regalo che non tutti gradiscono.
*Quando non si fa del male si gode ottima salute!  



domenica 3 luglio 2016

Sardegna. Chiudere il poligono base militare
de il Salto di Quirra
di Carlo Piras

Agnelli con due teste, ecco l'eredità della Nato al popolo sardo e all'Italia

Nel poligono sperimentale de il Salto di Quirra nel nord della Sardegna, che è operativo dal 1956, hanno luogo esperimenti bellici in collaborazione con gli USA che hanno effetti devastanti sulla salute dei residenti e di animali e piante.
È stata accertata la presenza di Uranio impoverito.
Molti individui umani e non subiscono alterazioni genetiche e nascono orribilmente malformati oppure muoiono di cancro.  È stata anche avviata una causa per disastro ambientale ma non credo sia questo che risolverà il problema, visto che essa è stata rivolta ad ufficiali del poligono che sicuramente non hanno il potere di fermare i test bellici. Per chiudere questa installazione militare è necessario l'intervento del Governo e del Ministro della Difesa ai quali chiediamo di fermare gli esperimenti, chiudere la base militare e procedere alla bonifica dell'area.
Per maggiori approfondimenti si veda il link seguente:
http://www.circolonuovasardegna.it/Home/Uranio/tabid/110/Default.aspx
Questa petizione sarà consegnata al Ministro della Difesa Roberta Pinotti
e al Presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Ecco la mega-diga che distruggerà l’Amazzonia
di Greenpeace Italia

Rischio deforestazione e allagamento


Ciao Angelo,
mentre ti scriviamo i nostri attivisti si trovano in Amazzonia, a São Luiz do Tapajós, nell'area lungo il fiume Tapajós. Qui, in armonia con tantissime specie animali e naturali, vivono gli indigeni Mundurku che dal fiume traggono tutto il loro sostentamento. Ora, questo fragile equilibrio rischia di essere danneggiato per sempre a causa di un progetto folle: il Governo Brasiliano e alcune grandi aziende, infatti, stanno discutendo la realizzazione di una mega-diga, la cui costruzione causerebbe la deforestazione e l'allagamento di chilometri di foresta amazzonica.
UNISCITI ALLA PROTESTA! FIRMA ORA IL NOSTRO APPELLO su Internet!
I Munduruku chiamano le persone di tutto il mondo ad unirsi a loro per farsi ascoltare dal Governo Brasiliano. Stanno chiedendo di riconoscere ufficialmente i loro territori ancestrali, e di dichiararli al sicuro dallo sfruttamento.
Salviamo il cuore dell'Amazzonia!
Stai con i Munduruku per dire NO alla mega-diga. I motivi per opporsi alla mega-diga di São Luiz do Tapajós sono tanti: se il progetto andasse in porto, l'ecosistema sarebbe stravolto al punto che, anche sulla terraferma, piante, animali e comunità tradizionali rischierebbero di non sopravvivere.
Gli indigeni Munduruku sono da secoli custodi di questa Terra, e non vogliamo lasciarli soli a difenderla! Perché il Governo Brasiliano ci ascolti, dobbiamo essere in tanti! Grazie per il tuo impegno
Greenpeace Italia
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