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sabato 25 gennaio 2014


Cari tutti,
vi segnalo lo scritto del filosofo e musicologo Gabrielle Scaramuzza
che troverete nella rubrica "Il Pane e le Rose"

Per Claudio Abbado
di Gabriele Scaramuzza

Non starò a ripercorrere la storia, nota, e ripetuta in questi giorni su tutti i giornali, di Claudio Abbado. Mi soffermo piuttosto su alcuni punti cardine della lezione che ci ha lasciato, ed è di valore duraturo. Abbado lavora fino alla fine, inseguendo un sogno non di solo perfezionamento professionale del suo lavoro, bensì soprattutto di testimonianza dell’alto valore, culturale, esistenziale e civile insieme, della musica. Non a caso Fulvio Papi, che lo conobbe, lo ricorda tuttora con ammirazione e affetto.
Non so più quale è stata la prima volta che ho visto Abbado alla Scala; l’ultima volta fu nel concerto del ritorno, nel novembre del 2012, in giorni in cui è mancata la sorella Luciana Pestalozza, pure musicalmente assai impegnata: seguo ogni anno Milano Musica, da lei fondata.
A chi ascolta resta il senso che Abbado imprime alle sue esecuzioni, e trascina dall’inizio alla fine; qualcosa di simile mi accade con Furtwängler. Pochissimi giorni fa ho potuto ascoltare il video della sua direzione dell’ultimo tempo della Nona di Mahler: l’intensità emotiva del suo volto si trasmetteva nei volti dei giovani esecutori che lo attorniavano, con profonda gratitudine. 
Tra Milano e Pesaro ha contribuito alla rinascita di Rossini: hanno fatto epoca le sue esecuzioni di Cenerentola, di Il viaggio a Reims. Ma restano indimenticabili, per citare le opere cui mi sento più intimamente legato, Mahler (a partire dalla Seconda, con cui si è presentato e ha preso congedo dalla Scala), Wozzeck. E tanto Verdi: il Requiem, il Ballo in maschera; il Macbeth e il Simon Boccanegra con Strehler; il Don Carlo con Ronconi; per tacere di Otello e Falstaff. In anni più recenti rivisto Abbado nel Simon Boccanegra a Firenze, con l’orchestra che letteralmente volava, presa dall’unità di senso che le sapeva imprimere. Indimenticabile anche l’attimo di silenzio finale, la sospensione prima di abbassare la bacchetta e ricevere gli applausi. Un momento di alto raccoglimento per non disperdere l’intensità dell’ascolto e lasciar vibrare il dramma dentro di noi.

Quanto al suo modo di dirigere sono grato a Alice Cappagli (violoncellista nell’Orchestra della Scala fin dai primi anni ’80, ha suonato sotto la direzione di Abbado più volte) per avermi offerto una testimonianza di prima mano, e competente, in proposito. La riporto qui sotto con le sue parole...
(Leggi tutto l'articolo nella rubrica "Campi Elisi)