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martedì 26 agosto 2014

 Dibattersi invece di dibattere

Felice Carlo Besostri


L’approvazione da parte del Senato del complesso di emendamenti alla Costituzione vigente, in particolare ai titoli I-Parlamento e –V Le Regioni, le Province, i Comuni della Parte Seconda potrebbe passare alla storia, come un esempio di dedizione dei Senatori al supremo interesse della Nazione, come del resto sarebbe loro dovere costituzionale ex art.67 V Cost., invece che alla loro sorte personale. Infatti hanno deciso di auto sopprimersi, senza sopprimere la Camera di cui fanno parte. Sappiamo, che non è così: senza un intervento pesante del Governo e un atteggiamento collaborativo del Presidente del Senato all’urgenza posta dal Presidente del Consiglio dei Ministri l’approvazione definitiva sarebbe slittata all’autunno ed il testo finale, nelle votazioni con scrutinio segreto avrebbe potuto differire. Se il testo approvato dal senato dovese corrispondere al testo finale della riforma costituzionale, sarebbe preoccupante in quanto ci sono veri e propri svarioni, che come quello introdotto dall’art. 117, che “Spetta alle Regioni la potestà legislativa in materia di rappresentanza in Parlamento delle minoranze linguistiche ”.
Felice Carlo Besostri
Contro i ladri di democrazia
Condividi su Facebook la petizione


Ciao Angelo,
Quaranta giorni fa il Fatto Quotidiano lanciava l'appello “Contro i ladri di democrazia e il Parlamento dei nominati, per riforme che facciano contare i cittadini”. La risposta dei lettori e degli amici del Fatto è stata travolgente: 235 mila firme in poco più di un mese, prestigiose adesioni di giuristi, intellettuali, artisti ed esponenti della società civile.
Fra le tante, ci ha commosso quella di un grande regista del cinema italiano, Ermanno Olmi, che ci ha scritto:
C'è un articolo che non è stato scritto alle origini della nostra Costituzione: non per dimenticanza, ma perché era già radicato in ciascuno dei padri costituenti. Costoro avevano l'onestà come primo comandamento. E con quel puntiglio hanno scritto tutti gli altri articoli.
Oggi è sceso il buio della indifferenza e della rinuncia alla propria dignità. Solo pochi sentono il dovere di tenere acceso il lumicino di una coscienza civile.
Abbiamo appena trascorsa tutta l'estate con la riforma del Senato e per tutte le altre riforme che si faccia almeno in modo di tener presente una raccomandazione di Albert Camus: "Perché un pensiero cambi il mondo, bisogna prima che cambi la vita di colui che l'esprime. Che cambi in esempio".
Intorno alla nostra petizione si è raccolta una vasta e vivace comunità di cittadini informati, consapevoli e ansiosi di partecipare attivamente alla vita pubblica, di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento e di dire la loro su un vero processo riformatore, senza rassegnarsi ai patti occulti e ai disegni oscuri di chi vuole espropriarci dei nostri diritti devastando i principi democratici irrinunciabili della nostra Costituzione. La nostra voce si è fatta sentire, eccome, nei palazzi della politica. Ha dato forza e coraggio ai parlamentari di maggioranza e di opposizione che contestano questa svolta autoritaria, ha costretto i controriformatori alla retromarcia su alcune delle norme più vergognose (come l'innalzamento delle firme per i referendum da 500 a 800 mila), ha tenuto aperto il dibattito sulla porcata del “Senato dei nominati” che persino il relatore Calderoli ha ribattezzato “una merdina”, rinviando la resa dei conti al successivo passaggio a Montecitorio. Intanto l'altra clausola del Patto del Nazareno Renzi-Berlusconi, quella che perpetua le liste bloccate del Porcellum per una nuova “Camera dei nominati”, ha subito tali e tante contestazioni da indurre gli stessi contraenti ad annunciare qualche ripensamento. Tutto questo dimostra che alzare la voce non è inutile, anzi: più siamo, più contiamo. Per questo ti invitiamo a passare parola fra parenti, amici e conoscenti condividendo questa petizione su Facebook e su Twitter. Dopo la festa del Fatto quotidiano alla Versiliana (6-7 settembre), consegneremo le firme raccolte ai presidenti della Repubblica, del Senato, della Camera e del Consiglio perché facciano tesoro del contributo di tanti cittadini.
Grazie a tutti,
Antonio Padellaro, Marco Travaglio, Peter Gomez
e la redazione de Il Fatto Quotidiano
Condannata dalla miniera: Máxima è innocente!

                                              Máxima Acuña Chaupe
                                        accanto alla laguna (Foto: Jorge Chávez Ortiz)

La miniera Yanacocha, la più grande in America Latina, impone il suo progetto Conga incurante dei diritti delle popolazioni, come nel caso di Máxima Acuña Chaupe, donna peruviana di Cajamarca, che vive con la sua famiglia nelle terre ambite dalla miniera.
Máxima, suo marito e le sue figlie si dedicano all'agricoltura e alla pastorizia, coltivano fave e patate che vendono al mercato locale. Con i frutti del loro lavoro, hanno costruito una piccola casa nella quale vivono umilmente educando le loro figlie.
La terra non si vende
Da 10 anni, Máxima Acuña e la sua famiglia si rifiutano di vendere le loro terre. Per questo motivo sono stati aggrediti brutalmente dal personale della miniera che è entrato nella loro proprietà ed ha distrutto la loro casa vicino a Laguna Azul. Máxima è stata colpita, trascinata a terra, la sua terra invasa, i suoi cagnolini e le pecore uccisi. La famiglia Acuña Chaupe è rimasta all'addiaccio a Jalca, e con la solidarietà di amici e familiari ha ricostruito la propria dimora. In seguito sono stati denunciati dalla compagnia mineraria e ora condannati.

E come se non bastasse, dopo la sentenza di condanna, l'8 agosto del 2014 la Miniera Yanacocha ha presentato nuove denunce contro la famiglia Chaupe alla Procura di Celendían, per usurpazione dello stesso territorio di Tragadero Grande. Nonostante la legge peruviana impedisca che una persona venga processata due volte per lo stesso reato, il Pubblico Ministero di Calendín ha accolto le denunce, nonostante sappia benissimo che esiste una prima sentenza in merito.                                     Per favore, firmate oggi stesso la lettera che trovate a destra, completando anche gli spazi sottostanti. La vostra firma si aggiunge alla lettera che verrà consegnata prossimamente alle autorità peruviane competenti, da parte della Red Latinoamericana de Mujeres.

                                                       ***

 Gentili Sig.re, Egregi Sig.ri:
Nel processo penale contro Máxima Acuña Chaupe e la sua famiglia 
sono stati documentati i seguenti fatti:

La famiglia Chaupe possiede ed ha presentato in sede di giudizio, un documeto di compravendita del terreno in disputa (Tragadero Grande) datato 1994, così come un certificato di proprietà rilasciato dalla comunità di Sorochuco che accredita la famiglia come membri della comunità e proprietari del bene, anche questo documento è del 1994.
La Miniera Yanacocha sostiene che nel 2001 ha acquisto diversi terreni (5,700 ettari) dalla comunità contadina di Sorochuco e presume che tra questi si trovi il terreno in disputa. Durante il processo hanno presentato i documenti di proprietà, ma tra questi non vi è il lotto di Tragadero. La compagnia non ha per tanto provato al processo di essere proprietaria del terreno della famiglia Chaupe.
È evidente che NON ESISTE ALCUN DOCUMENTO CHE ATTESTI CHE LA FAMIGLIA CHAUPE HA VENDUTO LA PROPRIA TERRA A YANACOCHA, la compagnia non ha per altro provato di essere in possesso del terreno. L'argomentazione presentata e curiosamente accettata dal giudice, è che a 100 metri dal terreno è stata costruita una strada - di questa non ci sono documenti probatori - che è vigilata e a un chilometro si trova un posto di controllo.
Chi firma questa lettera sollecita lo Stato peruviano al rispetto del diritto a vivere dignitosamente, in un ambiente sano per tutte le cittadine e cittadini. Le violazioni dei diritti di proprietà, sicurezza, di libero transito, del diritto alla vita e alla pacifica convivenza sono evidenti. Di fronte alla violenza, alla persecuzione legale, giudiziaria e psicologica che patiscono Máxima Acuña e la sua famiglia, che avvantaggia la Miniera Yanacocha e il progetto Conga, chiediamo alla Tribunale per i Servizi Sociali, la Commissione Pari Opportunità, i Servizi in Difesa della Donna, il Ministero Pari Opportunità e il Tribunale Costituzionale e a tutte le istituzioni peruviane responsabili, di proteggere la vita, l'integrità, i diritti umani delle donne e delle loro famiglie, e chiediamo che:
- Si ponga fine alla persecuzione contro Máxima Acuña e la sua famiglia da parte della miniera Yanacocha che si sta avvalendo di violenza e tortura emotiva
- Si rispettino i diritti di proprietà, transito, salute e vita di Máxima e della sua famiglia
- Ci sia un processo giusto, basato sui fatti, senza favoritismi
- Vengano risarciti i danni di proprietà, lesioni fisiche, sofferenze emotive e le spese sostenute.
Distinti saluti
Elisa Noiro                                                         


lunedì 25 agosto 2014



Fermate lo scavo del maxi-canale Contorta, prima che sia troppo tardi.
Il Gruppo 25 Aprile lancia questa petizione in difesa di Venezia che potete firmare
su Internet. “Odissea” lo ha già fatto.


Venezia. La realizzazione del nuovo canale di Contorta porterebbe il canale dei petroli nel cuore della città di Venezia riducendone le difese naturali e sottoponendola alla pressione congiunta delle masse d’acqua provenienti dalle bocche di porto di Lido e Malamocco, le due maggiori della laguna, con conseguenze che potrebbero rivelarsi irreversibili. Siamo contrari allo scavo del nuovo canale Contorta perché lo riteniamo dannoso per la città di Venezia e per la sua laguna. Chiediamo quindi di ritirare immediatamente il progetto e di riprendere il confronto fra tutte le proposte oggi a disposizione.
Esprimiamo, inoltre e non ultimo, il convincimento che debba essere la Città di Venezia a poter decidere su un tema che la riguarda così direttamente, e non essere trattata da spettatrice quasi indesiderata!
Gruppo25aprile



NEWS

Cari lettori, cari lettrici,
segnalo alla vostra attenzione il magnifico testo dello scrittore Alessandro Zaccuri:
Il sugo di tutta la storia. Milano tra cibo e letteratura”, pubblicato nella Rubrica
“CAMPI ELISI”. Subito sotto troverete il testo di Emilio Molinari sulla sempre
attualissima drammatica questione aperta, dell’acqua pubblica, della sua importanza,
della sua simbologia umana e spirituale.
Con questo intervento di Zaccuri, i testi “Cento autori per Odissea” sono giunti a quota 70.
Diffondete questa notizia a tutti i vostri numerosi contatti e buona lettura. (A.G.)



giovedì 21 agosto 2014


Stiamo facendo la storia: appello di Desmond Tutu a Israele

Cari amici,
Oggi per la prima volta condividiamo con tutta la nostra comunità un editoriale di un quotidiano, ma la ragione è storica.
L’arcivescovo Desmond Tutu ha scritto pochi giorni fa su un giornale israeliano un incredibile appello. Il premio Nobel, eroe della lotta contro l’apartheid, si schiera con il milione e 700mila di noi a sostegno della campagna che chiede alle aziende di boicottare e disinvestire dall’occupazione israeliana in Palestina. Con parole di grande amore e speranza, chiede agli israeliani (l’87% dei quali era favorevole al bombardamento di Gaza) di liberare *sé stessi* da questa terribile situazione. È da leggere assolutamente:
L’articolo si trova solo sul quotidiano israeliano, ma rappresenta una forte legittimazione per una posizione considerata ancora come controversa da alcuni governi, ed è importante che lo leggano più persone possibili in tutto il mondo. L’unico modo per farlo è tramite le condivisioni online di tutti noi: facciamolo girare!
Questa campagna sta cominciando a decollare. Russel Brand ha registrato un video di sostegno, e le compagnie che abbiamo tempestato di messaggi vogliono incontrarci. In Gran Bretagna la nostra comunità sta portando avanti una campagna per smettere di vendere armi a Israele, con il governo che sta riconsiderando le sue esportazioni. E, ancora più incredibile, perfino gli USA hanno annullato l’invio di un carico di missili a Israele!
La pressione sta facendo effetto, quindi teniamola alta! Se non l’hai ancora fatto, firma ora la petizione. O clicca qui per continuare a scrivere alle aziende per tenerle sotto pressione. Assicuriamoci che non si facciano l’idea di poterla fare franca. E se hai in mente una campagna per far sì che la tua città, università o Paese smetta di investire nella repressione palestinese, lanciala cliccando qui.
Per noi è fantastico essere ancora una volta al fianco di Desmond Tutu, uno dei veri grandi simboli della non-violenza. In un mondo straziato dagli estremisti e dalla demonizzazione degli “altri”, la non-violenza muta gli equilibri: permette di stare dalla parte della giustizia, anche con forza, ma sempre mossi dall’amore per tutte le persone che si rifiutano di essere vittime della paura e dell’ignoranza, i più grandi nemici dell’umanità. Un amore consapevole che i nostri destini e la nostra libertà sono tutti collegati. È questo l’insegnamento che i nostri più grandi leader, da Gandhi a Tutu, ci hanno trasmesso, e che la nostra comunità cerca di rispettare e diffondere tramite ognuna delle nostre campagne.
Con speranza,

Ricken, Alex, Fadi, Jeremy, Ana Sofia, Ari e tutto il team di Avaaz

                                                     ***
L'Arcivescovo Emerito Desmond Tutu, in un articolo in esclusiva per Haaretz, ha lanciato un appello per un boicottaggio globale di Israele, chiedendo con urgenza a israeliani e palestinesi di essere migliori dei loro leader, nel cercare una soluzione sostenibile alla crisi in Terra Santa.

Il mio appello al popolo di Israele: liberate voi stessi liberando la Palestina
di Desmond Tutu


Desmond Tutu

Le scorse settimane hanno visto una mobilitazione senza precedenti della società civile di tutto il mondo contro l'ingiustizia e la brutalità della sproporzionata risposta israeliana al lancio di razzi dalla Palestina. Se si contano tutte le persone che si sono radunate lo scorso fine settimana a Città del Capo, a Washington DC, a New York, a Nuova Delhi, a Londra, a Dublino, a Sidney ed in tutte le altre città del mondo per chiedere giustizia in Israele e Palestina, ci si rende subito conto che si tratta senza dubbio della più grande ondata di protesta di sempre dell'opinione pubblica riguardo ad una singola causa. Circa venticinque anni fa, ho partecipato a diverse grandi manifestazioni contro l'apartheid. Non avrei mai immaginato che avremmo rivisto manifestazioni tanto numerose, ma sabato scorso a Città del Capo l'affluenza è stata uguale se non addirittura maggiore. C'erano giovani e anziani, musulmani, cristiani, ebrei, indù, buddisti, agnostici, atei, neri, bianchi, rossi e verdi... come ci si aspetterebbe da una nazione viva, tollerante e multiculturale.
Ho chiesto alla gente in piazza di unirsi al mio coro: "Noi ci opponiamo all'ingiustizia dell'occupazione illegale della Palestina. Noi ci opponiamo alle uccisioni indiscriminate a Gaza. Noi ci opponiamo all'indegno trattamento dei palestinesi ai checkpoint e ai posti di blocco. Noi ci opponiamo alla violenza da chiunque sia perpetrata. Ma non ci opponiamo agli ebrei."
Pochi giorni fa, ho chiesto all'Unione Internazionale degli Architetti, che teneva il proprio convegno in Sud Africa, di sospendere Israele dalla qualità di Paese membro.
Ho pregato le sorelle e i fratelli Israeliani presenti alla conferenza di prendere le distanze, sia personalmente che nel loro lavoro, da progetti e infrastrutture usati per perpetuare un'ingiustizia. Infrastrutture come il muro, i terminal di sicurezza, i posti di blocco e gli insediamenti costruiti sui territori Palestinesi occupati.
Ho detto loro: "Quando tornate a casa portate questo messaggio: invertite la marea di violenza e di odio unendovi al movimento nonviolento, per portare giustizia a tutti gli abitanti della regione".
(Traduzione realizzata dalla Comunità di Avaaz).
                                                                 ***
In poche settimane, più di 1 milione e 600mila persone in tutto il mondo hanno aderito alla campagna lanciata da Avaaz chiedendo alle multinazionali che traggono i propri profitti dall'occupazione della Palestina da parte di Israele e/o che sono coinvolte nell'azione di violenza e repressione dei Palestinesi, di ritirarsi da questa attività. La campagna è rivolta nello specifico a ABP (fondi pensionistici olandesi); a Barclays Bank; alla fornitura di sistemi di sicurezza (G4S), alla francese Veolia (trasporti); alla Hewlwtt-Packard (computer) e alla Caterpillar (fornitrice di Bulldozer). Il mese scorso 17 governi della UE hanno raccomandato ai loro cittadini di astenersi dal fare affari o investimenti negli insediamenti illegali israeliani.
Abbiamo recentemente assistito al ritiro da banche israeliane di decine di milioni di euro da parte del fondo pensione olandese PGGM e al ritiro da G4S della Fondazione Bill e Melinda Gates; e la Chiesa presbiteriana degli Stati Uniti ha ritirato una cifra stimata in 21 milioni dollari da HP, Motorola Solutions e Caterpillar.
Questo movimento sta prendendo piede.
La violenza genera solo violenza ed odio, che generano ancora più violenza e più odio.
Noi sudafricani conosciamo la violenza e l'odio. Conosciamo la pena che comporta l'essere considerati la puzzola del mondo, quando sembra che nessuno ti comprenda o sia minimamente interessato ad ascoltare il tuo punto di vista. È da qui che veniamo.
Ma conosciamo anche bene i benefici che sono derivati dal dialogo tra i nostri leader, quando organizzazioni etichettate come "terroriste" furono reintegrate ed i loro capi, tra cui Nelson Mandela, liberati dalla prigione, dal bando e dall'esilio.
Sappiamo che, quando i nostri leader cominciarono a parlarsi, la logica della violenza che aveva distrutto la nostra società si è dissipata ed è scomparsa. Gli atti di terrorismo iniziati con i negoziati, quali attacchi ad una chiesa o ad un pub, furono quasi universalmente condannati ed i partiti responsabili furono snobbati alle elezioni.
L'euforia che seguì il nostro votare assieme per la prima volta non fu solo dei sudafricani neri. Il vero trionfo della riappacificazione fu che tutti si sentirono inclusi. E dopo, quando approvammo una costituzione così tollerante, compassionevole e inclusiva che avrebbe reso orgoglioso anche Dio, tutti ci siamo sentiti liberati.
Certo, avere un gruppo di leader straordinari ha aiutato.
Ma ciò che alla fine costrinse questi leader a sedersi attorno al tavolo delle trattative fu l'insieme di strumenti persuasivi e non violenti messi in pratica per isolare il Sudafrica economicamente, accademicamente, culturalmente e psicologicamente.
A un certo punto - il punto di svolta - il governo di allora si rese conto che preservare l'apartheid aveva un costo superiore ai suoi benefici.
L'interruzione, negli anni '80, degli scambi commerciali con il Sud Africa da parte di aziende multinazionali dotate di coscienza, è stata alla fine una delle azioni chiave che ha messo in ginocchio l'apartheid, senza spargimenti di sangue. Quelle multinazionali avevano compreso che, sostenendo l'economia del Sud Africa, stavano contribuendo al mantenimento di uno status quo ingiusto.
Quelli che continuano a fare affari con Israele, che contribuiscono a sostenere un certo senso di "normalità" nella società Israeliana, stanno arrecando un danno sia agli israeliani che ai palestinesi. Stanno contribuendo a uno stato delle cose profondamente ingiusto.
Quanti contribuiscono al temporaneo isolamento di Israele, dichiarano così che Israeliani e Palestinesi in eguale misura hanno diritto a dignità e pace.
In sostanza, gli eventi accaduti a Gaza nell'ultimo mese circa stanno mettendo alla prova chi crede nel valore degli esseri umani.
È sempre più evidente il fallimento dei politici e dei diplomatici nel fornire risposte e che la responsabilità di negoziare una soluzione sostenibile alla crisi in Terra Santa ricade sulla società civile e sugli stessi abitanti di Israele e Palestina.
Oltre che per le recenti devastazioni a Gaza, tante bellissime persone in tutto il pianeta - compresi molti Israeliani - sono profondamente disturbate dalle quotidiane violazioni della dignità umana e della libertà di movimento cui i Palestinesi sono soggetti a causa dei checkpoint e dei posti di blocco. Inoltre, la politica Israeliana di occupazione illegale e di costruzione di insediamenti cuscinetto in una terra occupata aggrava la difficoltà di raggiungere in futuro un accordo che sia accettabile per tutti.
Lo stato di Israele si sta comportando come se non ci fosse un domani. Il suo popolo non potrà avere la vita tranquilla e sicura che vuole - e a cui ha diritto - finché i suoi leader continueranno a mantenere le condizioni che provocano il conflitto.
Io ho condannato quanti in Palestina sono responsabili dei lanci di missili e razzi contro Israele. Soffiano sulle fiamme dell'odio. Io sono contrario ad ogni manifestazione di violenza.
Ma dobbiamo essere chiari che il popolo palestinese ha ogni diritto di lottare per la sua dignità e libertà. È una lotta che ha il sostegno di molte persone in tutto il mondo.
Nessuno dei problemi creato dagli esseri umani è irrisolvibile, quando gli esseri umani stessi si impegnano a risolverlo con il desiderio sincero di volerlo superare. Nessuna pace è impossibile quando la gente è determinata a raggiungerla.
La Pace richiede che israeliani e palestinesi riconoscano l'essere umano in loro stessi e nell'altro, che riconoscano la reciproca interdipendenza.
Missili, bombe e insulti non sono parte della soluzione. Non esiste una soluzione militare.
È più probabile che la soluzione arrivi dallo strumento nonviolento che abbiamo sviluppato in Sud Africa negli anni '80, per persuadere il governo della necessità di modificare la propria linea politica.
Il motivo per cui questi strumenti - boicottaggio, sanzioni e disinvestimenti - si rivelarono efficaci, sta nel fatto che avevano una massa critica a loro sostegno, sia dentro che fuori dal Paese. Lo stesso tipo di sostegno di cui siamo stati testimoni, nelle ultime settimane, a favore della Palestina.
Il mio appello al popolo di Israele è di guardare oltre il momento, di guardare oltre la rabbia nel sentirsi perennemente sotto assedio, nel vedere un mondo nel quale Israele e Palestina possano coesistere - un mondo nel quale regnino dignità e rispetto reciproci. Ciò richiede un cambio di prospettiva. Un cambio di mentalità che riconosca come tentare di perpetuare l'attuale status quo equivalga a condannare le generazioni future alla violenza e all'insicurezza. Un cambio di mentalità che ponga fine al considerare ogni legittima critica alle politiche dello Stato come un attacco al Giudaismo. Un cambio di mentalità che cominci in casa e trabocchi fuori di essa, nelle comunità, nelle nazioni e nelle regioni che la Diaspora ha toccato in tutto il mondo. L'unico mondo che abbiamo e condividiamo. Le persone unite nel perseguimento di una causa giusta sono inarrestabili. Dio non interferisce nelle faccende della gente, ha fiducia nel fatto che noi cresceremo ed impareremo risolvendo le nostre difficoltà e superando le nostre divergenze da soli. Ma Dio non dorme. Le Scritture Ebraiche ci dicono che Dio è schierato dalla parte del debole, dalla parte di chi è senza casa, della vedova, dell'orfano, dalla parte dello straniero che libera gli schiavi nell'esodo verso la Terra Promessa. Fu il profeta Amos che disse che dobbiamo lasciar scorrere la giustizia come un fiume. La giustizia prevarrà alla fine. L'obiettivo della libertà del popolo palestinese dall'umiliazione e dalle politiche di Israele è una causa giusta. È una causa che lo stesso popolo di Israele dovrebbe sostenere. Nelson Mandela disse che i Sudafricani non si sarebbero potuti sentire liberi finché anche i Palestinesi non lo fossero stati. Avrebbe potuto aggiungere che la liberazione della Palestina libererà anche Israele.

mercoledì 20 agosto 2014

MANIFESTAZIONE NAZIONALE CONTRO OCCUPAZIONE MILITARE
13 settembre, ore 16:30, poligono di Capo Frasca, Manifestazione Nazionale contro l’occupazione militare, contro le manovre di guerra d’Israele in Sardegna
L’adesione va inviata a manifestada13@yahoo.it


L'occupazione militare della Sardegna rappresenta un sopruso che dura da sessanta anni e che non siamo più disposti a tollerare. La nostra terra è ridotta a un campo di sperimentazione militare in cui diventa lecita qualsiasi soglia di inquinamento e viene testata qualsiasi tecnica di sterminio.
Col passare del tempo lo Stato italiano intensifica il ritmo e il peso delle esercitazioni militari.
L’occupazione militare rappresenta la negazione più evidente della nostra sovranità nazionale e impedisce uno sviluppo socio-economico indipendente del nostro popolo, condannando la Sardegna all'infamante ruolo di area di servizio della guerra. Vogliamo che la Sardegna diventi un'isola di pace e che il suo territorio sia assolutamente indisponibile per le esercitazioni di guerra, di qualunque esercito (compreso quello italiano) e sia interdetto a qualunque attività o presenza connesse con chi usa la guerra per aggredire altri popoli o per crimini contro i civili, colpendo ospedali, scuole, rifugi per sfollati e abitazioni civili. Chiediamo che la Sardegna sia immediatamente e per sempre interdetta all'aviazione militare israeliana.
Invitiamo tutto il popolo sardo, le associazioni, i partiti e i comitati ad aderire e partecipare alla manifestazione indetta a Capo Frasca il prossimo 13 di settembre per pretendere a gran voce:
- Il blocco immediato di tutte le esercitazioni militari.
- Chiusura di tutte le servitù, basi e poligoni militari con la bonifica e la riconversione delle aree interessate.
A Manca pro s'Indipendentzia, Sardigna Natzione Indipendentzia, Comitato Sardo Gettiamo le Basi, Comitato Su Giassu, Comitato Civico Su Sentidu



Il semestre europeo
Di Giovanni Bianchi

Potenzialità e limiti della "politica senza fondamenti"



Le elezioni della primavera 2014 hanno finalmente mutato orientamenti e proporzioni in seno alle forze politiche candidate al Parlamento europeo. Anche se il mutamento si è verificato essenzialmente in Italia ed è rappresentato dal superamento della soglia della 40% dei suffragi conquistati su una linea decisamente europeista e "socialdemocratica" dal Partito Democratico di Matteo Renzi.
Merito indubbio dell'appeal del giovane leader decisionista fiorentino, ma merito anche del consistere e del persistere delle strutture organizzative e dei residui delle culture politiche delle forze riformatrici del quadro democratico italiano. Una buona performance, soprattutto se confrontata con il resto del panorama del vecchio continente dove i populismi della destra xenofoba non hanno cessato di galoppare.
Le troppe chiacchiere della politica italiana sembrano tuttavia aver dimenticato per strada la presidenza italiana del semestre europeo. Vezzo non è encomiabile, perché viene dopo  elezioni giocate essenzialmente "in casa", su temi casalinghi e ostinatamente nazionali, con contrapposizioni tra leadership addirittura strapaesane.
Non è un buon segnale perché il confronto con il semestre europeo rappresenta un banco di prova meno emotivo e più realistico della capacità della classe dirigente di misurarsi con la grande politica, finalmente al di sopra e al di fuori degli abituali provincialismi. Penso infatti che non riusciremo a valutare la fase politica che stiamo attraversando fino a quando non metteremo a tema Matteo Renzi come fenomeno sociale non esclusivamente italiano.
L'ex sindaco di Firenze è il miglior surfista sulla tavoletta della politica nazionale in grado di tenere l'onda della comunicazione di massa e del successo: in pratica lo spirito del tempo. Il numero uno cioè nella interpretazione della vigente e vincente "politica senza fondamenti".
Che Renzi vinca e abbia fatto vincere il Partito Democratico con la sua leadership, mutandone il destino, l’appeal e la fisionomia apicale, è fatto misurato dai numeri, ineditamente generosi. E siccome la politica senza fondamenti cresce grazie ai consensi e ai plebisciti, restano da valutare le potenzialità al di là della fase contingente.
Insomma per chi non si è iscritto alla politica senza fondamenti, ma mantiene un ancoraggio ai contenuti, non necessariamente vecchi, del pensare e del fare politica, si propone, accanto al tema del cavalcare l'onda dello spirito del tempo, anche il problema più arduo e più tradizionale della critica dello spirito del tempo.
Il problema è cioè se sia possibile fare politica capace di riforme e in alcuni casi di interventi radicali a prescindere da una meditata visione delle cose, da un futuro non lasciato all'imprevedibilità e alla casualità degli avvenimenti, e quindi da un pensiero programmatico. Ho chiaro che impostando così il problema misuro il fenomeno Renzi con le lenti del cattolicesimo democratico, la cui crisi peraltro è a sua volta sotto i nostri occhi.
E infatti, immerso come tutti nella politica senza fondamenti, non mi piace che anche Renzi appaia così disinteressato ai fondamenti. Aiuta questa attitudine ? Aiuta la politica? Aiuta la democrazia? Aiuta questa frastornata Europa? E infine come stiamo usando il nostro turno al vertice del semestre europeo?
Diceva Luigi Sturzo: "Programmi, non persone". E non si debbono spendere molte parole per dimostrare che il partito personale così bene interpretato da Renzi (e comunque non tale da annullare la consistenza e la differenza storica del Partito Democratico, come giustamente va scrivendo Ilvo Diamanti) si pone in posizione nettamente ortogonale rispetto alla visione sturziana.
Così pure Aldo Moro aveva l'abitudine di ripetere che il pensare politica e già per il 99% fare politica… Possono parere una provocazione questi richiami, quando una vulgata sicuramente sincera prova a inscrivere il fenomeno Renzi nell'alveo del cattolicesimo politico: l'ex sindaco di Firenze infatti non nasconde la propria passione per la monogamia, insieme all'appartenenza agli scout… Mi astengo da altre similitudini così come da altri esempi che non supporterebbero la tesi di una appartenenza alla politica cattolica moderna. Basterebbe ricordare che quel che storicamente fa la differenza tra il cattolicesimo democratico e le modalità proteiformi del gentilonismo è proprio l'apparire del partito sturziano, la sua irriducibilità ad altre forme organizzative, che pure sarebbero potute apparire vincenti e certamente protette dal Vaticano.
Il partito moderno – in quanto pensiero e impresa collettiva – continua cioè ad essere la vera discriminante cattolico-democratica rispetto ad altre modalità del fare politica in campo cattolico. E nell'idea di partito, nel suo radicamento come nella sua visione, il cattolicesimo democratico include necessariamente la sorte di un'esperienza collettiva e l'orientamento imprescindibile al bene comune.
Come a dire una netta presa di distanze dalla volontà di potenza, per misurare la prassi politica con le compatibilità e lo sviluppo della democrazia.
Non basta che vinca la mia parte; è necessario che essa sviluppi le condizioni della convivenza democratica. Altrimenti la vittoria della mia parte risulterà, sempre ovviamente nell'ottica del cattolicesimo democratico, una vittoria di Pirro.
Tutta l'azione dei professorini alla Costituente è impostata su questo modo di vedere e sentire l'impegno politico. Così ovviamente Dossetti, che propone l'antifascismo come base comune e condivisa del personalismo costituzionale; così Giorgio La Pira che ricorda come lo Stato e la  Costituzione siano chiamati a riconoscere diritti già presenti nella natura umana; così Giuseppe Lazzati che propone il metodo democratico addirittura come il metodo migliore per ricercare quel poco di verità che ci è concesso di acquisire in questa vita. Insomma, in tutti questi esponenti e in ogni caso la democrazia prevale sulla volontà di potenza e sui suoi successi. Tutto ciò risulta molto più complicato dalla fase storica che stiamo attraversando, proprio perché essa appare dominata dalla "politica senza fondamenti", dai suoi riti e dai suoi successi.
Quanto al fenomeno Renzi quindi il problema è di chiedersi se oltre alla capacità di cavalcare l'onda vincente, esso contenga anche le attitudini a una critica attenta, senza la quale i problemi non si risolvono neppure nel postmoderno e senza la quale la democrazia non è in grado di tener dietro alla velocità dei problemi.
Il mito della velocità insieme all'avvento delle tecnocrazie risponde dunque ad una domanda reale. Risolverla implica tenere conto dello spirito del tempo, ma anche essere in grado di una critica efficace nei suoi confronti. Anche il decisionismo è chiamato a confrontarsi con le nuove ragioni della democrazia, mentre il proliferare di nuovi luoghi di decisioni e dei "sottosistemi" luhmanniani indica che altre possibilità stanno nelle cose e nell'orizzonte, rispetto alle quali i dubbi di un democratico non possono essere accantonati.
 Avere successo è condizione per ottenere il consenso. Ma la natura dei provvedimenti non può essere tutta piegata alle ragioni del successo. Non per una ragione di tempi, ma di efficacia reale, che non il tempo breve, ma piuttosto il tempo medio e lungo si incaricheranno di evidenziare.
Per questo l'appoggio a Renzi non deve prescindere dalla critica "costruttiva". Non si dà infatti politica moderna e democratica a prescindere dalla critica. Altro sono i "gufi" dell'orizzonte oratorio renziano, altro i partners e i sostenitori democratici, ovviamente non assimilabili ad una tifoseria.


Le riforme

Tutto il carosello delle riforme costituzionali gira infatti intorno a due assi centrali: l'esigenza di avere successo e di mostrarlo, per ottenere e solidificare il consenso; la natura dei provvedimenti messi in atto. E non basta risolvere il problema da un punto di vista soltanto. Dimostrare di essere in grado di proporre e condurre in porto riforme costituzionali come quella di un Senato che consenta di lasciare alle spalle il bicameralismo perfetto, è un tema che riguarda la forza della leadership e la sua capacità di consenso, un tema tuttavia che non può essere disgiunto dalla valutazione dell’affidabilità dell'organismo così creato.
E lasciare in sospeso il giudizio sulla natura del nuovo Senato non elettivo non è un modo per evitare il giudizio, ma per invitare a riflettere su una soluzione che tenga insieme contemporaneamente i due corni del dilemma. Soprattutto se si è animati dalla convinzione che la natura delle cose proposte e realizzate democraticamente faccia parte della forza innovatrice di una politica chiamata a trasformazioni oramai irrinunciabili.
Sarà il profilo riconosciuto di questi atti a conferire il necessario prestigio al governo e alla politica italiani nell'ambito europeo e nell'arengo internazionale. Un banco di prova reso quanto mai visibile e probante dalla presidenza italiana del semestre europeo in corso.
E proprio perché mi è parso che le elezioni europee siano state giocate nel nostro Paese con un piglio davvero provinciale o da strapaese, mi pare utile riproporre alcune riflessioni di vasto polmone in tema d’Europa. Come a dire che il "cambio di verso" della politica italiana, per essere insieme credibile e propositivo, deve risultare percepibile e misurabile al di là dei confini del Bel Paese.
E qui davvero la "politica senza fondamenti" deve cedere il passo non solo a una politica conscia delle radici e degli orizzonti, ma in grado di confrontarsi con la storia e con una grande storia. Sapendo che solo la grande politica è in grado di muovere anche contro la storia.
Perché di fondamenti c'è bisogno. C'è bisogno di riferimenti sicuri. C'è bisogno di radici storiche e del fare di loro memoria. Di padri c'è bisogno.
A differenza che nella vita concreta, uno in politica la famiglia  e la genealogia se la sceglie e se la costruisce, su misura, andando a ritroso nella storia e non di rado lavorando di immaginazione.

Quale Europa

A chi gli chiedeva cosa era venuto a fare in un oceano così lontano dal suo, così rispondeva De Gama: a cercare pepe e cristiani…
Al Salvador dedicava la sua prima isola Cristoforo Colombo, che morirà triste e solo, senza aver capito che il suo approdo non era un avamposto dell’India, ma una terra “nova”. E cosa si capirebbe del ‘600 senza il “mondo”? La perfida Albione è in questi decenni cruciali che si scopre un’isola  e non un pezzo di continente. La sua terra ferma sarà il mare: dall’Atlantico, sempre più in là...
Solo suggestioni, ma per dire che l’Europa è inconcepibile senza “globalizzazione”, senza questo senso del mondo di cui si sente il cuore, almeno fino alla seconda guerra mondiale.
E non si pensi che il discorso potrebbe finire qui. In questi anni ci fu uno dei dibattiti più alti tra il domenicano Bartolomeo  de Las Casas , l’umanista Sepùlveda e il grande Montaigne. Chi era l’altro? Un non uomo? Un cristiano possibile? Un diverso, che proprio come tale, aveva gli stessi diritti e la stessa dignità di ogni persona?
Forse oggi non si è andati molto più in là. Solo suggestioni, ma per dire che l’Europa è incomprensibile e inconcepibile senza una “globalizzazione” che fa parte della sua vicenda storica, senza questo senso del mondo di cui si sente il cuore, almeno fino alla seconda guerra mondiale.
Oggi globalizzazione non indica tanto un aprirsi al mondo, ma l’accelerazione di un rapporto. Da una mondializzazione calma si passa ad una mondializzazione frenetica. I tempi della comunicazione e dello scambio sconvolgono i processi da secoli già mondializzati dell’economia-mondo. E’ una sincronia che sembra avere perso ogni dimensione diacronica: il tutto accade contemporaneamente, insieme…
Per restare ai nostri ricordi dell’altro ieri: la “rivoluzione dei prezzi” del XVI secolo impiegò decenni perché l’oro del mondo nuovo ridisegnasse l’economia dell’Europa, i ceti sociali, i campi. Ora bastano settimane, giorni. Ma basta la rete telematica a spiegare quest’accelerazione improvvisa? Basta avere sostituito le nuove caravelle e i maestosi galeoni con le e-mail?
L’accelerazione è in gran parte politica. Noi siamo come in un vortice. La scomparsa dell’Unione Sovietica ha creato un movimento senza ritorno: un enorme buco nero in cui è disceso il vecchio ordine del mondo. E’ iniziato, in fondo, solo ieri: 1989. La strada è solo agli inizi.
La grande storia è, a suo modo, geologica, anche nell’epoca di internet. “Prende tempo”, anche quando questo appare fulminante. Per creare nuovi scenari geopolitici non basta internet. Tempi lunghi. E siamo dentro un delirio, uno spasmo. Il grande ordine dei blocchi è scomposto e non c’è un ordine nuovo. Viviamo freneticamente in quest’intermezzo, tra una grande e una piccola guerra, in attesa della prossima, come quelle grandi eruzioni vulcaniche, dove colate di lava e lapilli si susseguono impetuosi fino alla fine improvvisa, quando un nuovo assestamento ha chiuso la falla esplosiva del sottosuolo. Tra il già del disordine e il non ancora dell’ordine. In quest’intermezzo i cantori dell’effimero, della fluidità irrapresentabile...
Le cose non andranno così. Sono in gestazione nuove rappresentazioni, nuove forme. Il nichilismo esprime solo il disagio di questa tremenda fase di passaggio. E la domanda è: come dare forma ai conflitti laceranti, ai sommovimenti tettonici dei popoli?

No global?

Fa sorridere. Piuttosto l’Europa sembra essere  letteralmente scomparsa: nel 1950 c’erano alcune città europee tra le prime 15: Londra, Parigi, Milano, Berlino…  Nel 2000 nessuna. Nel 2015 la distanza sarà maggiore.  Questo non vuol dire che l’Europa non c’è più. Tutt’altro: la sua importanza potrebbe collocarsi altrove e in alternativa a questa forsennata concentrazione di uomini e donne.
Quale globalizzazione allora?
New global allude a questa domanda. Anche il no-global non ha mai voluto dire un rifiuto della globalizzazione (lasciamo queste  miserie domestiche ai leghisti di turno), ma di questa globalizzazione. Questa globalizzazione che si presenta come il trionfo del mercato e della comunicazione è un’astrazione triste. Non la si capirebbe senza quel vuoto di politica che è subentrato alla fine del mondo bipolare. Una globalizzazione in un vuoto straordinario di politica. Eppure non c’è globalizzazione senza politica. E nello stesso tempo il vuoto politico sui processi dell’economia accumula contraddizioni su contraddizioni.
Qui si gioca il ruolo decisivo dell’Europa. Nel contesto bipolare l’Europa era un’area strategica dell’Occidente. L’alleato americano non era solo quello che aveva consentito di vincere la guerra contro il nazismo e il fascismo, era anche il perimetro entro cui iscrivere la sua autonomia e il suo senso. La formula della Nato esprime bene quest’identità. Che non è supina dipendenza, ma accettazione creativa di un mondo dato e dei limiti entro cui potersi muovere. In questa creatività s’è mossa, per fare solo qualche nome, l’azione di un Dossetti o di un La Pira. Nelle terrazze apocalittiche della bomba atomica  pensare un attraversamento degli spazi. Firenze capitale del mondo. Era possibile l’ultimo viaggio a Firenze dei new global senza la traccia di La Pira?
Oggi non è più così. Sono saltati questi limiti. Tutto va reinventato. E non si tratta di un lavoro a tavolino, ma di una iniziativa politica, diplomatica, economica, culturale.
Nel gran disordine mondiale non c’è ruolo “dato” per l’Europa, ma un ruolo da costruire. E’ caduto il paravento americano. L’Occidente si divide. Un’Europa protesi americana, un’Europa affogata in un confuso Occidente, un’Europa insomma alla Fallaci non aiuterebbe neppure l’America ad uscire dal suo isolamento. In quel processo di immani proporzioni che è la costruzione di un nuovo ordine internazionale l’Europa deve essere uno dei grandi riferimenti mondiali, insieme agli Usa, alla Cina, all’incerta Russia post-sovietica.
Non ci sarà un impero. Un unico impero sarebbe il caos infinito, una guerra senza fine. Ma che cosa è un impero? E’ un misto di forza e di consenso, di capacità di integrazione e di governo delle differenze, capacità di governo delle autonomie, evitando la loro dispersione e la loro indifferenza. Se il concetto di impero non conservasse un’eco negativa, un sapore militaristico e oppressivo, lo potremmo ancora usare per immaginare la figura politica delle nuove sovranità emergenti da un mondo post-statuale.
Ma, anche qui, non dimentichiamo che la figura dello Stato  appartiene pienamente al solo mondo occidentale, e che oggi varie e molteplici sono le forme della sovranità. Non dimentichiamo neppure che una serie di Stati, veri anelli deboli della cosiddetta "comunità internazionale", si stanno sbriciolando sotto i nostri occhi.
Resta la prospettiva di un soggetto politico forte, plurale al suo interno, unificato da una storia comune, che è storia di differenze, di antichi conflitti che hanno disegnato una identità. Per questo è importante che l’Europa non guardi solo ad Est. La Russia morirebbe se perdesse il suo volto asiatico o se perdesse il suo volto europeo. Per ora non si sa cosa sia.
L’Europa deve guardare a Sud, a Sudest, alla penisola anatolica, alla Turchia. Nel conflitto con l’impero ottomano si è costruita buona parte dell’identità europea. In quel versante si gioca oggi una partita decisiva. L’impero ottomano è tra le concause della nascita dell’Europa moderna e la “questione d’Oriente” coincide con la sua crisi e la sua fine. La Turchia deve approdare in Europa e l’Europa deve allargarsi alla Turchia: Istanbul-Costantinopoli. L’Europa cristiana e musulmana. Senza quest’ambizione non ci sarà  un ruolo geopolitico significativo  dell’Europa di domani.
L’Europa non è solo Occidente, come non è solo occidente il suo mare, il Mediterraneo. Questa diversità della storia europea, questa sua complessità va recuperata. Di qui passa, infatti, un rapporto più interiore con il mondo islamico e una percezione più creativa della stessa nozione di “medio oriente”, che si trova oggi in una situazione di precipizio.
Ma  andiamo con ordine.
L’identità europea è plurale. Si parla  di radici cristiane dell’Europa. Ma ci sono anche evidenti radici greche, ebraiche, romane, musulmane…  E’ concepibile l’Europa moderna senza l’Islam? Già questo interrogativo porta a complicare il quadro, a porre domande non  ideologiche. La Turchia farà parte dell’Europa? Ma se ciò accadrà vorrà dire una politica verso l’universo islamico assai diversa dalla semplice aggressione militare.
Non va mai dimenticata una vecchia  consapevolezza della sociologia storica: il mercato  di per sé non produce società. La società si costruisce superando le logiche di mercato, attraverso la percezione forte di una responsabilità sociale dell’economia e delle forme istituzionali incisive che assume questa responsabilità. Voglio ripetere che c’è un inestinguibile primato della politica sul destino della cittadinanza. Non una società degli individui, ma una società dei  gruppi sociali, delle istituzioni della solidarietà, dei diritti collettivi.
Infine, una cultura europea.
Si, proprio della “vecchia” Europa. Una cultura della complessità. L’Europa sa che  la democrazia non è una clava e la libertà non  è il  semplice sogno dei Padri Pellegrini. Seicento anni di storia ci hanno insegnato che la democrazia è un processo paziente che si basa sul rispetto dell’altro. Fare della democrazia una clava è svuotarla dall’interno, trasformarla in un nuovo autoritarismo, che ancora una volta sancisce la superiorità dei più forti sui più deboli, in nome di una superiorità che è solo soperchieria.
In questo senso la cultura europea è necessariamente una cultura dell’accoglienza. Ha ragione Ulrich Beck: c’è una via europea distinta da quella di altre culture e “identità europea non significa monogamia culturale.”
Vede bene Cristina Carpinelli:“L’Europa del XXI secolo è piuttosto un’Europa delle differenze.” E’ tempo di tornare alla domanda iniziale: può la politica "senza fondamenti" confrontarsi con questi scenari? È in grado di cavarsela il decisionismo mediatico? E i guru che circondano i leaders, più esperti nei sondaggi e dinamiche collettive che in radici, culture e destini dei popoli, sono all'altezza dei consigli opportuni per la situazione?
Anche i populismi italiani, anche quelli di sinistra, non possono evadere questi interrogativi e questo confronto. Porli non è né una provocazione né un tributo alla vecchia politica dei fondamenti dimenticati. È soltanto il dovere dell'ora e un modo per attrezzarsi. Per vincere e far vincere la democrazia.
Il futuro è figlio del pensiero e dell'immaginazione, nei casi migliori della profezia. Per questo non si lascia catturare dall'invadenza seriale delle immagini. E non discende dalla nausea del presente.
L'altra faccia della medaglia del resto la conosciamo. L’ha descritta con l'abituale chiarezza il cardinale Martini: "Del futuro si ha più paura che desiderio".




martedì 19 agosto 2014

Cento anni fa, la nascita di tre illustri pensatori italiani

Cento anni fa nascevano tre grandi pensatori italiani: Mario Dal Pra, Dino Formaggio, Remo Cantoni. Mario Dal Pra († 1992) nasceva il 29 aprile a Montecchio Maggiore, in Veneto. Dino Formaggio († 2008) nasceva il 28 luglio a Milano, giorno in cui l’Austria dichiarò guerra alla Serbia. Remo Cantoni nasceva anch’egli a Milano, il 14 ottobre († 1978). Uno dei comuni denominatori che uniscono queste tre figure di intellettuali e filosofi è la docenza presso l’Università degli Studi di Milano.

(Michela Beatrice Ferri)

lunedì 4 agosto 2014

PIAZZA ERRICO MALATESTA





Si sa, le società hanno la memoria corta e la gratitudine dei popoli verso gli uomini migliori del proprio paese, quelli che hanno dato il loro sangue e la loro intelligenza per renderlo decente, spesso vengono completamente rimossi dalla memoria e dalla coscienza. Sono molti questi uomini. Noi oggi vogliamo ricordarne uno, un uomo esemplare, una coscienza limpida, un pensatore notevole e un uomo d’azione a cui la Nazione deve moltissimo. I suoi scritti e la sua vita sono un monito perentorio alla cattiva coscienza di un Paese, che ha fatto della corruzione e dell’ignominia la sua essenza. Nessuna via ricorda quest’uomo; a personaggi insignificanti, a politici mediocri, a disonesti, hanno dedicato parchi, giardini, piazze e quant’altro. Ma c’è un intellettuale, un uomo di cultura che nel giardino privato della sua casa nel cuore di Milano, a quest’uomo straordinario che si chiama Errico Malatesta, ha dedicato una piazza mettendo una vera e propria insegna. Noi la riproduciamo qui in prima pagina; l’artefice è un uomo molto noto, si chiama Arturo Schwarz. (A.G.)   


Lettera aperta “L’Europa apra la frontiera di Gaza”

Il 27 giugno, ed ancora PRIMA dell’inizio della escalation e dell’ attacco massiccio del 7 Luglio da parte di Israele, avevamo inviato la lettera aperta qui ripresentata, “La Palestina è sotto attacco”, firmata da circa 200 associazioni, comunità e persone.
Chiedevamo che l’Europa mettesse urgentemente in atto gli accordi di sorveglianza della frontiera per cui esiste già dal 2005 l’appropriato strumento Europeo, la EUBAM (European border surveillance at Rafa) e promuovendo con forza l’apertura e riadattamento del porto di Gaza.

Nella prima settimana, le firme di associazioni e persone sono diventate quasi 700, segno che molti capivano cosa stava per succedere.
Non abbiamo ottenuto risposte al nostro allarme ed alla richiesta da nessuno dei parlamentari italiani; la segreteria di Stato vaticana ci ha inviato una cortese lettera di solidarietà riferendosi all’appello rivolto dal Papa a favore della pace in Terra Santa al termine della preghiera dell’Angelus di domenica 13 luglio.

Oggi, 2 Agosto, abbiamo deciso di chiedere la condivisione e l’azione dei Sindaci e nel far questo abbiamo deciso di aggiungere qualcosa a questa lettera aperta.
Le nostre preoccupazioni del 27 giugno erano fondate, incluse le considerazioni sulle false  “ragioni” per gli attacchi in West Bank e gli iniziali bombardamenti su Gaza, un rapimento che non era imputabile ad Hamas, come ora è accettato.
Quello che non potevamo immaginare però è che si uccidessero con omicidi mirati anche bambini, che si distruggessero con pretesti, mai verificatisi veri, ospedali e università.
Era inimmaginabile che interi quartieri di abitazioni civili venissero distrutti con pochi minuti di preavviso, quando pure il preavviso è stato dato, con la scusa di distruggere dall’interno di Gaza una rete di tunnel che, facilmente scavati nel terreno sabbioso (come già avveniva quando Gaza era assediata da Alessandro Magno nel 335 a.C.),  hanno assicurato la sopravvivenza dei gazawi durante questo nuovo lungo assedio,  e la cui distruzione è impossibile. Più realisticamente, come insegnano gli egiziani che lo hanno fatto in modo efficientissimo, avrebbe un senso distruggerne le uscite in territorio israeliano. Sostenere per più di due settimane che la missione è distruggere i tunnel dall’interno di Gaza è solo un’ennesima provocazione ed una messa alla prova, ben riuscita, dell’idiozia degli alleati, una falsità ad uso di propaganda. Infatti oggi è stato dichiarato che nonostante la distruzione sia finita (sic) Israele continuerà le azioni di guerra.
Non potevamo immaginare che si sarebbe sentito ripetere che l’esercito israeliano è il più morale del mondo, è altamente tecnologico, sa bene a chi spara e non attacca MAI  intenzionalmente civili e men che mai bambini. Nonostante ciò sembra che l’80% o più di vittime siano civili, e siano stati, insieme al 1.800.000 abitanti, tutti “scudi umani”, e la che colpa sia loro se Israele li ha massacrati nel sonno, in casa, o di Hamas che gioca a nascondino e mette armi nei rifugi dell’Unrwa, nei parchi giochi, sotto gli ospedali, anche sotto l’Università e i Centri per disabili, sotto e dentro troppe (80) Moschee e persino Chiese distrutte, ed in TUTTE le case di Sulhaja, Rafah, Kanyunes, addirittura nei contenitori di riserva di carburante e nel motore della centrale elettrica, nell’unico mattatoio e nei depuratori degli scarichi urbani di Gaza.
Crediamo che con questo elenco abbiamo solo alluso alla morte indiscriminata di un popolo, non solo le vittime individuali di questi giorni, i morti e feriti gravi, ma quelli che ad essi sopravviveranno, e che non avranno altro da fare che accettare il cibo e la elettricità e l’acqua dalle mani dei carnefici diretti e indiretti, tra cui gli stati europei che armano, privilegiano economicamente, nelle alleanze militari e nella ricerca e sviluppo, Israele. E tutti i paesi arabi che hanno abbandonato Gaza o addirittura ne hanno favorito il massacro.
Forse la vera missione israeliana a Gaza è la promessa fatta nel novembre 2012: “Vi ridurremo al medio evo; solo allora ci sarà una pace di 30 anni”.
Una missione cosi “indicibile” e contraria a tutte le convenzioni e leggi internazionali, ma che corrisponde bene al fatto che la giustificazione ufficiale dell’attacco continua a cambiare: punizione di Hamas per un rapimento che non ha fatto, punizione di Hamas per una risposta agli attacchi israeliani con missili, che all’inizio non erano lanciati da Hamas ma da altre fazioni, distruzione delle armi di Hamas, distruzione dei tunnel di Hamas (o di Alessandro il Grande?), e da ieri punizione di Hamas perchè ha preso un soldato prigioniero (ma Hamas invece di rivendicarlo lo nega), fino a quella odierna che dice che smetteranno quando lo riterranno opportuno.… ma non sarà mica che Hamas è una SCUSA per un genocidio desiderato, gestito anche con gli alleati e programmato e che la propaganda del nemico “buono “ verso i bambini, studiata a tavolino e pubblicata in un fascicolo, non serva che a mettere le mani avanti e buttare fumo negli occhi della pubblica opinione?
E che viene presa per buona anche da quelli che dovrebbero sapere meglio e di più, quelli che si astengono alle mozioni di condanna all’ONU, ma piangono e piangono, ma solo “umanitariamente”, i bambini. Gli stessi che si esprimono in mozioni ed appelli, ma non fanno quello che possono e devono fare, in quanto rappresentanti parlamentari, per preservare la libertà ed autonomia del popolo palestinese, con  semplici azioni reali, vincolanti e concrete, per fare un passo dopo l’altro, per aiutarlo ad esistere libero.
Più che mai oggi, col crescere della crisi umanitaria a Gaza,  l’apertura della frontiera con L’Egitto diviene essenziale, ed è un dovere per l’Europa onorare gli accordi già presi.

Lettera alle Istituzioni, ai Parlamentari Italiani ed in Europa, 
al Presidente dello Stato e al Presidente del Governo Italiano
Al Papa, alle chiese cattolica e valdese ed agli Imam Mussulmani in Italia
Inviata il 27 giugno 2014
firmata da 600 tra persone e gruppi, associazioni, al  5 Luglio

Questa lettera aperta vi raggiunge in un momento in cui l’Italia assume una responsabilità in Europa e nel momento in cui, l’Europa ha la possibilità di attuare interventi virtuosi che liberino Gaza dal blocco completo a cui è sottoposta, mettendo in atto gli accordi di sorveglianza della frontiera per cui esiste già dal 2005 l’appropriato strumento Europeo, la EUBAM (European border surveillance at Rafa) e promuovendo con forza l’apertura e riadattamento del porto di Gaza come via marittima di commercio e traffici, anche questo un progetto Europeo approvato e finanziato nel 2000 e mai portato a termine.
Anche solo implementare questi progetti già approvati,"automaticamente” renderebbe possibile la comunicazione tra i due territori della Palestina, la libera circolazione, dei ministri, delle persone, delle merci tra le due parti dello Stato Palestinese e rappresenterebbe una linea vitale per crescere nella sua autonomia economica e dignità.
Il forte sostegno che le Fedi hanno per la risoluzione pacifica dei conflitti fa si che porgiamo anche ai rappresentanti di queste la nostra richiesta di attenzione continua e sostegno per un popolo che soffre e va sostenuto nel difendersi da continue aggressioni e punizioni collettive nel modo più costruttivo possibile, sostenendolo nella possibilità di essere liberato dalla occupazione, frammentazione e blocco.
Da parte nostra allargheremo il sostegno a questa richiesta aprendo una petizione on line*, e soprattutto con il continuo dibattito ed informazione sui fatti.
Perché diventi un tema centrale per l’Italia, l’Europa e che l’attenzione delle Fedi non si spenga.

per firmare mandate una mail a

La Palestina è sotto attacco
La Palestina non solo è sotto attacco militare, il che preoccupa moltissimo per le vite dei palestinesi e la ulteriore perdite delle loro strutture.
La Palestina è sotto attacco da parte di Israele nella sua resistenza come realtà autonoma.
La Palestina è sotto attacco allo scopo di dimostrare la sua “impossibilità di esistenza”.

Nel momento della riconciliazione tra le fazioni che governano nella Cisgiordania e a Gaza, un tentativo di unificare il territorio politico della Palestina, di trovare un’ autorappresentazione politica presso l’ONU, di liberare Gaza dall’assedio (reso ancor più insostenibile dal blocco alla circolazione di persone e beni da parte dell’Egitto di Sissi), di reclamare la illegalità della detenzione ed abduzione amministrativa di prigionieri e di difendere il territorio in Gerusalemme e nella Cisgiordania, di sviluppare una autonomia economica, Israele dispiega attacchi militari con forze di terra e uso spropositato della forza verso i civili nella Cisgiordania, con più di 400 detenzioni amministrative, infinite malversazioni a Gerusalemme e bombardamenti e sconfinamenti a Gaza.
Questa operazione dello stato Israeliano, battezzata "guardiani dei nostri fratelli " è “giustificata” dalla scomparsa di 3 giovani riservisti Israeliani in territorio sotto completo controllo Israeliano in Cisgiordania. Non c’è prova di chi abbia collaborato alla sparizione, non rivendicata da alcuna fazione Palestinese. In qualsiasi paese civile una sparizione è un caso di polizia investigativa e non la ragione per imprigionamenti di massa su base politica, di invasione e permanenza in migliaia di abitazioni di civili, dell’abbattimento di case, degli omicidi di persone disarmate, di bombardamenti su zone del territorio Palestinese sotto blocco e fuori e da quella in cui la scomparsa è avvenuta.
Questa operazione non è altro che una operazione, probabilmente preordinata, di punizione collettiva per i Palestinesi nel momento in cui hanno raggiunto un accordo politico e si presentano come stato nella comunità internazionale.
Serve per annientare fisicamente una fazione-partito (Hamas) e richiedere la resa dell’altra fazione-partito (Fatha), protagoniste precedentemente del dissenso interno che aveva creato due governi separati in Gaza ed in Cisgiordania. Serve ad imporre con la forza la opposizione del governo Israeliano alla riconciliazione nazionale Palestinese. E’ un’ operazione la cui entità e sviluppo si può pensare che continuino ad accrescersi nel livello e con la violenza.
In Cisgiordania le uccisioni, la invasione da parte delle forze di terra con carri armati, i sorvoli arei, le violente invasioni delle case, gli arresti indiscriminati di civili, il ri-arresto di prigionieri liberati, la nutrizione forzata di quelli in sciopero della fame, la mano libera lasciata alla violenza dei coloni, si accompagnano ai bombardamenti quotidiani su Gaza, all’attacco ai suoi pescatori, al sorvolo con F16, che ben ricordano l’inizio degli attacchi del 2008 e del 2012.
Vogliamo essere vicini ai Palestinesi che ne sono vittime, e che si sono impegnati come attori nel difficile processo di costruire una unità nazionale, e diciamo al nostro Governo ed a quello Europeo che ci opponiamo alla loro connivenza con le azioni illegali di Israele e vogliamo rompere il silenzio che regna sulle aggressioni in corso.
Il silenzio e/o la connivenza della comunità internazionale è la luce verde che Israele aspetta per imporre sul terreno col la paura e l’esercito la sua richiesta all’Autorità Nazionale di Ramallah di rompere l’accordo di riunificazione.
E’ un lasciapassare per continuare la illegale detenzione amministrativa e le vessazioni sui prigionieri, per continuare il blocco di Gaza e la politica di insediamenti e vessazioni in Cisgiordania e Gerusalemme.
Temiamo che sia anche la luce verde per realizzare vecchie e nuove minacce su Gaza: ” vi ridurremo al medio evo”, “la prossima volta vi attaccheremo in modo che non avrete il tempo di rispondere” (17 novembre 2012, Eli Yishi, Ministro degli Interni di Israele) e per tutta la Palestina: “elimineremo tutto il verde (Hamas ha bandiere verdi) dalla regione, Nethanyahu, giugno 2014”.
I palestinesi stanno resistendo uniti - ma l'immagine della gente in solidarietà proveniente da tutto il mondo, in piedi accanto a loro, sarà incoraggiante e darà forza al popolo palestinese, nella sua lotta contro un occupante crudele.
Per sostenere il popolo palestinese sotto attacco, chiediamo un forte e deciso pronunciamento dei Governi e della Istituzioni Europee deve finire ed un messaggio delle Fedi che deve giungere limpido e chiaro.

Chiediamo che i rappresentanti  delle Istituzioni Italiane e di quelle Europee si facciano responsabili in tutte le sedi della sicurezza e dello sviluppo della nazione e dello Stato Palestinese riunificato, secondo le leggi internazionali.
Che nelle sedi internazionali queste si schierino per l’autonomia dello Stato Palestinese e contro la occupazione della  Cisgiordania e la continua espansione degli insediamenti israeliani, per la liberazione dal blocco di terra e mare di Gaza, per la fine della detenzione amministrativa dei Palestinesi e loro abduzione in Israele, per uno statuto chiaro e condiviso per Gerusalemme. Chiediamo che i governi europei mettano in campo finalmente sanzioni economiche verso Israele esigendo il rispetto della legislazione internazionale, delle risoluzioni ONU e della convenzione di Ginevra. Invitiamo i rappresentanti delle fedi che si pronuncino contro i crimini verso la umanità e le persone che Israele compie con impunità verso il popolo palestinese, diffondendo la loro solidarietà verso le sofferenze di un popolo intero.

Prime adesioni
Appello per i bambini di Gaza, Genova
Associazione Amicizia Sardegna Palestina 
Associazione Senza Paura di Genova
Associazione Nwrg
Associazione Surgery for Children
Casa per la Pace Milano
Comitato “NO 346 M per Israele”
CVP-Comitato varesino per la Palestina
Forum Palestina
Invicta Palestina
Pacifisti e pacifiste dell'ora in silenzio per la pace di Genova
Parallelo Palestina
Pax Christi, Campagna Ponti e non Muri
Salaam ragazzi dell'olivo-comitato di Milano – onlus
UCOII, Direzione Nazionale dell’European Muslim Network- Italia
PdCI, Milano
BDS Campania
Salaam Vicenza
Abdel Razzaq T Abdullah Tchina Abu Hareth Abu Iyad Abu Somaya Adel Mo Aburawwa Adel Sheikh Bo Alleanza Islamica Amaoui Amar Mamache Arbib Rahal Arch. Sbai Y Asfa M Associazione Alpi Associazione Islamica Imam Mahdi Atef Abu Mosaab Atef Abu Mosaab To Ayman Alsabagh Baraa Alobaidi Basha Mohammed Belkaid Ahmad Biellagmi Bouchaib Sabouri Cascina Gobba Celal Koyncij Celal Koyuncij Centri Islamico Imola Centro Islamico Assalam Centro Islamico Castel Franco Centro Islamico CI Sesto S G Centro Islamico Cultura Iran Centro Islamico Gavardo Centro Islamico Lecco Centro Islamico Milano Coreis Centro Islamico Milano Istituto Culturale Centro Islamico Milano Segrate Centro Islamico Modena Acis Centro Islamico Napoli Centro Islamico Napoli 2 Centro Islamico Novi Ligure Centro Islamico Parma Centro Islamico Parma Centro Islamico Piacenza Centro Islamico Pisa Qaisi Adnan Centro Islamico Ravena Centro Islamico Reggio Emilia Casa Cultura Islamica Centro Islamico Rho Scuola Moussa Centro Islamico Rimini Centro Islamico S.G. In Fiore Cesena Centro Islamico Savona Centro Islamico Sesto S.G. Centro Islamico Teramo Centro Islamico Trento Centro Islamico Trieste Centro Islamico Udine Centro Islamico Varese Centro Islamico Verona Centro Islamico Verona Centro Islamico Vicenza Attawba Chaib Aosta Comunità Dei Musulmani Della Liguria Comunità Islamica Corigliano Davide Piccardo Dhafer Pu Dr. Ashraf Almoty Dr. Said El Hlimi Mohammad El Wardi Legnano Elfakharany Hassan Elhamdi Sayyed Elkbir Fabio Bilal Fouad Bard Fouad Monza Gamal Moustafa Geometra Gallo Amin Halissy Hassan Hamdi Vr Hamid Al Khartawi Gallarate Hamid Gallarate Hamid Hachicha Hammad Mahammad Hamza Piccardo Hassan Fari Hermi Elhosni Hocine Bouchemal Hussen Castel Franco Ibrahem Amir Younes Ibrahim Dauod Imam Italia Ing. Mohammad Elhajj Jamal.J Karim Modena Khounati Aziz La Speranza Cremona Layachi Kamel Lina.Koudsi Lina.Koudsi Maher Kabakebbji Mahjoub Mahmoud Asfa Majhoudi Makhdar Tn Malih Dabas Masjed Al Huda Roma Masud Vr Mbarek Fari Mechergui Ridha Tareq Mekdad J Roma Moez Samti Mohamed Ibrahim Mohamed Nour Dachan Mohammad Ali An Mohammad Bach Mohammad Fousfos Mohammad Khalil Mohammad To Abu Khaled Mohammas Danova Mohsen Chemingui Moschea Biella Moschea Brescia Moscheabs Mostafa Rajawi Mskhilef Messaoud Mufid Abu Toq Mustapha El Hor Nour Eddine Nureddine Roma Omalhareth On.Alfredo Maiolese Osama Murshed Osama Zahi Saber Mohamed Safraoui Mohammad Said Amori Saleh Abu Amir Bg Salwa Awad Sami Trabelsi Samir Roma Samir Venezia Selim Fuad Sh Ashraf Sh Sami Roma Sh.Nabil Bg Sheikh Amin Bs Sheikh Anwar Vr Sheikh Najib Albared Shwaima Ali Skheikh Abdel Aziz Souheir Katkhouda Tareq M Yaser Assal Mi Youri Labrini Zahoor Ahmad Zargar المسابقة الوطنية الإيطالية للقرءان الكريمcelal koyncij
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Le bugie hanno le gambe corte




Da anni è in atto un furto continuo. Una indecorosa guerra dei ricchi contro tutti gli altri. I ricchi bramano di esserlo sempre più e, possibilmente, facendolo sapere a pochi. Nel mondo 5 milioni di ricchi hanno un patrimonio medio nascosto di 6 milioni di euro. Rubano i nostri soldi costringendoci a pagare le tasse che loro non pagano. Li trasferiscono in “trust” esotici dai nomi fantasiosi con amministratori novantenni (e poco istruiti), in “holding” fantasma controllate da società con depositi in Svizzera e uffici amministrativi in Lussemburgo.
A livello mondiale il MALLOPPO TOTALE NASCOSTO-e quello noto non è certo poca cosa-ammonta a 30000 miliardi di euro. Cifra corrispondente al doppio del PIL degli Stati Uniti e a trenta volte quello italiano. Quando-nel 2009-i GRANDI DELLA TERRA si trovarono-invece che alla Maddalena-sulle terremotate zolle dell’Aquila per lo show voluto da Berlusconi si vergognarono un pochino e decisero di fare qualcosa contro questo sconcio e di “iniziare” la guerra ai paradisi fiscali. In testa ai quali-per importanza-ci sono(ve l’ho già raccontato nel 2012) STATI UNITI e GRAN BRETAGNA. Non le isolette di cui molti vociferano. Nel 2010 l’O.C.S.E.(Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) varò il V.D. “voluntary disclosure”. Il volontario disvelamento-praticamente la volontaria autodenuncia-della propria trasgressione fiscale. Ciascun Paese avrebbe deciso quando aderire, non se aderire.
Il 28 gennaio 2014 il Consiglio dei Ministri italiano lo fa e LETTA dichiara:” Chi ha portato i capitali all’estero deve sapere che è l’ultima occasione per mettersi in regola. SI FA SUL SERIO”. TROPPO! Napolitano e un nutrito numero di evasori gli credono e… dopo poche settimane Renzi prende il suo posto. Inizia a promettere regali e riforme a gogò. Di queste ultime non conosce (e niente sanno le sue ancelle )il minimo particolare applicativo. Ma, strano a dirsi e nonostante ami parlare di “linee guida” neanche una parolina sull’”autodenuncia volontaria”. Come tanti provvedimenti dei predecessori -ma la cosa si sta verificando anche con i suoi- l’attuazione si è dileguata, dimenticata.Va a presiedere il Consiglio Europeo (nel 2012 era toccato al collega cipriota) e se la prende col rigore dei tedeschi. Non sarà stata un’autorete? No-per i giornali posseduti da grossi evasori fiscali che continuano a tesserne le lodi slinguazzando senza ritegno. I direttori sono strapagati lacchè. Gli abbracci con SILVIO e PIERSILVIO si sprecano ma le discussioni sulle modifiche del Senato non generano UN SOLO POSTO DI LAVORO.
A derubarci -secondo la congrega- sono i tedeschi. BALLE, SONO GLI ITALIANI. E sono più di 150.000. Tornando in Italia per esibirsi da Vespa non poteva fermarsi in Svizzera e recuperare qualche miliardo (dei nostri)? Gli tornerebbero utili a settembre quando dovrà-ancora una volta-aumentare le tasse per trovare gli 80 euro da distribuire ai tanti cui li ha promessi. La tedesca Merkel non ha corrotto gli elettori.
NON SI PUO’ RACCONTAR BALLE PER TROPPO TEMPO. Già Berlusconi lo fece.
A proposito, ricordate il salvatore della patria (arrivato a piacere al 70% degli italiani -lo ricordi il ragazzotto) che vedeva la luce in fondo al tunnel? Purtroppo, dopo due anni, è ancora buio pesto. MONTI? Proprio lui! Aveva preparato un decreto per stanare coloro che hanno accumulato decine di milioni nei paradisi fiscali, ma quando il NONNO l’ha saputo, gli ha detto: “MARIO, TU HAI LA FEBBRE. di- mettiti a  LETTA”.

Luigi Caroli