Celentano
o Carl Schmitt?
di Giovanni Bianchi
Dilemmi
Celentano o Carl Schmitt? La Merkel o
Soros? Questo è il problema…
Adriano
Celentano, uno dei migliori cantanti del nostro dopoguerra ed anche di maggior
successo popolare, non smentisce l'abitudine a intervenire "da vate"
delle vicende della politica italiana. L'ultimo titolo apparso su "il
Fatto Quotidiano" di martedì 9 settembre è come al solito da subito
eloquente: Io, Renzi, Grillo e la
"dittatura democratica".
L'intento
è quello di rispondere a una domanda non certo riposante: "Cosa ha
prodotto la sovranità popolare negli ultimi 50 anni"? Con la
specificazione necessaria del gossip istituzionale messo in bocca al premier
Matteo Renzi: "Ciò che davvero serve è una "DITTATURA
democratica", dove l'approvazione di una legge non dovrà più sottostare
all'eterno ping-pong senza uscita fra le due Camere".
Ovviamente
ce n'è per tutti, dopo una premessa di furbizia semplice e trasparente, dove
quello che un tempo veniva definito "il molleggiato" fa esercizio
insieme di umiltà e di rappresentanza illimitata: "Io che sono il re degli
ignoranti"... E infatti quel che non manca a Celentano è una vasta
informazione dei fatti correnti e "normali", e uno spirito critico
insieme vigile e non spocchiosamente specialistico:
"Viviamo
in un mondo in cui, come giustamente dice il Papa, è in atto (sia pure a
piccoli sprazzi) la terza guerra mondiale. Dove, oltre alle bombe, non mancano
i cretini che, per paura di essere dimenticati, sganciano frasi non meno
pericolose. Dove i nemici come la Rai, e altrettanto dicasi di Mediaset,
bombardano di spot pubblicitari la mente dell'uomo con una frequenza
devastante, dove l'INSERTO non è più quello dello spot pubblicitario che
interrompe il film, ma al contrario è il film che interrompe la pubblicità con
tanti piccoli frammenti di "Ben Hur" distribuiti nella intera serata
pubblicitaria. E qui capisci che la guerra è molto più sottile e penetrante.
Perché lacera i sentimenti".
È
possibile non sottoscrivere?
Celentano
tiene insieme con disarmante coerenza la quotidianità della proverbiale
casalinga di Voghera con la critica superstite necessaria alla sopravvivenza di
queste democrazie a rischio. Ti dice che il pensiero unico è certamente unico
ma non-pensiero. E che quindi la democrazia deve essere difesa come uno dei
principali se non il principale bene comune.
E
neppure manca alla fine – come si addice più al vate che al leader – una
accattivante esortazione etico-politica: "E per farlo è necessario che la
società popolare sia investita da un
senso nazionale di crisi, non per addentrarsi nei meandri di un incubo, ma al
contrario per accomunarci tutti insieme lungo il sentiero della trasparenza e
dell'onestà. E questa è una pulizia che deve partire dal popolo".
Perfetto?
Perfetto! Perfetto perché non vi troviamo le facili promesse di chi ha
dimenticato che il De Gasperi ricostruttore amava ripetere che il politico deve
promettere ogni volta un po' meno di quel che è sicuro di mantenere. Perché
invita al realismo di chi è in grado di fare una diagnosi di
"decadenza" senza indulgere alla depressione, ma anzi invitando alla
riscossa e individuando nel popolo il solo soggetto capace. E infatti i fautori
delle democrazie con aggettivi non sempre appropriati sembrano talvolta
dimenticare che se esistono popoli senza democrazia, non esistono tuttavia
democrazie senza popolo. Infine, Celentano ha il buon gusto di non raccontare
barzellette al funerale.
Ma
perché Celentano?
Perché
è l'ultima incursione, fino a questa sera, di un non addetto ai lavori nella
vicenda politica italiana. Non si tratta storicamente di una novità, se si
ricorda come nel dopoguerra e durante tutto il tempo della Prima Repubblica
personaggi non istituzionali siano intervenuti, vigorosamente e non di rado
polemicamente, a interrogarsi sulla via e ad indicare il traguardo. Ricordate
Pasolini? I suoi saggi corsari sono uno strumento paragonabile a quelli usati
in Francia da Zola e Victor Hugo. Ricordate Italo Calvino? Stesso discorso.
Insomma anche lui ha l'autorità del outsider autorevolissimo e da sempre
legittimato a dire la sua.
La
differenza però tra queste nostre giornate politiche e quelle di un tempo è che
chi interviene lo fa in una terra oramai di nessuno, dove la segnaletica
istituzionale e i recinti organizzativi sono da tempo azzerati senza che
nessuno abbia finora posto mano a ricostruirne dei nuovi.
Ho
più volte scritto che considero il cardinale Carlo Maria Martini l'ultimo luogo
minerario del cattolicesimo democratico italiano. È per questo ruolo che gli ho
attribuito che ritorno sovente ai suoi interventi. In uno di essi diceva senza
tanti giri di parole: "La politica sembra essere l'unica disciplina che
non abbia bisogno di un sapere specialistico. I risultati sono di
conseguenza". Ed è su queste conseguenze più che sulle incursioni dei non
addetti ai lavori che è necessario riflettere con urgenza.
Il verbo di uno
spregiudicato finanziere
È
per questo che ritorno ad un saggio del finanziere George Soros sui rischi di
frantumazione dell'Europa, pubblicato con il titolo Ultimatum a Berlino. La Germania deve decidere: o guida l'Unione o la
lascia, pubblicato nel supplemento "La Lettura" del
"Corriere della Sera" di domenica 9 settembre 2012.
Soros,
il grande finanziere di origini magiare che ha fatto fortuna negli Stati Uniti
d'America, è uomo dal cuore non particolarmente tenero, se tutti possiamo
ricordare come una sua manovra speculativa – spietata e per lui
vantaggiosissima – fece finire la lira fuori dal cosiddetto
"serpentone", costringendo l'allora primo ministro Giuliano Amato
alla più pesante finanziaria di tutto il dopoguerra italiano.
Il
suo ragionamento tuttavia non manca di acutezza, e non è neppure privo di quel
realismo che ha caratterizzato l'intervento del cantante Celentano su "il
Fatto Quotidiano".
Osserva
anzitutto Soros: "Gli Stati membri sono divisi in due categorie –
creditori e debitori – e i creditori sono al comando, con la Germania in testa.
Come risultato delle politiche attuali, i Paesi debitori pagano un cospicuo
premio di rischio per finanziare i propri deficit di bilancio e questo si
riflette nel costo dei finanziamenti in generale. Una situazione, questa, che
ha trascinato in recessione i Paesi debitori esponendoli a un notevole
svantaggio competitivo, che minaccia di diventare permanente".
Fotografia
puntuale, anzi, una perfetta radiografia. Da qui il discorso sulla leadership
assente e su una responsabilità da assumere. " La Germania, il maggior
Paese creditore, si è trovata ai comandi, ma si è rivelata riluttante ad accollarsi
ulteriori perdite e svantaggi: così ogni opportunità per risolvere la crisi è
andata perduta. Dalla Grecia, la crisi ha contagiato altri Paesi in difficoltà
e ben presto è stata rimessa in questione la sopravvivenza stessa della moneta
unica".
Né
fa difetto una previsione realistica: "Le misure di politica economica
portate avanti sotto la leadership tedesca riusciranno probabilmente a
mantenere in piedi l'euro per un periodo indefinito, ma non per sempre. La
divisione permanente instauratasi in seno all'Unione Europea tra Paesi
creditori e debitori – con i creditori che dettano le loro condizioni – appare
politicamente inaccettabile". Qui stiamo ancora, e due anni sembrano
essere passati invano.
Le
ipotesi e la ricetta di Soros viaggiano di conseguenza: la Merkel dovrebbe
offrire condizioni operative paritarie tra Paesi creditori e debitori e puntare
a una crescita nominale del 5%. Ma la Bundesbank non accetta troppa inflazione,
e quindi la situazione è destinata a languire e corrompersi.
Uno sguardo al passato
Uno
sguardo al passato può aiutare rammentando come il processo di integrazione sia
stato promosso con forza da un piccolo gruppo di statisti lungimiranti che
praticavano un processo di ingegneria sociale "a tassello": così
definito da Karl Popper. E Soros annota di suo: "In quel periodo, gli
statisti tedeschi affermavano che la Germania non aveva una politica estera
indipendente, al di fuori di una politica europea. E questo ha prodotto
un'enorme accelerazione del processo di integrazione, culminato con la firma
del trattato di Maastricht nel 1992 e con l'introduzione dell'euro". Va
anche ricordato che Helmut Kohl ripeteva che in quella condizione la Germania
intendeva difendersi da se stessa…
Non
lo stesso però aveva nel frattempo fatto la Grecia – corriva al vizio
“mediterraneo” del taroccamento dei bilanci – il cui governo fu costretto a dichiarare
nel dicembre del 2009 che il suo predecessore aveva truccato i conti e che il
deficit dello Stato superava il 15% del Pil. Intervengono a questo punto del
ragionamento di Soros sul "Corriere" tutta una serie di
considerazioni pertinenti, etiche e linguistiche, e tuttavia attinenti al
disastro finanziario dell'antica patria della democrazia.
Soros
ricorda, come molti altri, che nella lingua tedesca la parola debito significa
anche colpa: Schuld. Un modo abituale
di sentire ed una diffusa base culturale che spinge l'opinione pubblica tedesca
ad accusare i Paesi periferici più indebitati di essere colpevoli oltreché disattenti
e spreconi, e quindi causa morale dei propri mali.
Tuttavia,
anche in presenza di questa visione, il "centro" dell'Europa, sempre
secondo il finanziere magiaro-americano, non può venir meno ai doveri della
leadership e sottrarsi alle proprie responsabilità. Conclusione provvisoria:
"Le autorità non hanno capito la complessità della crisi, figuriamoci
trovare una soluzione. Pertanto hanno cercato di prendere tempo". Come a
dire che l'italo-andreottiano "tirare a campare" non è soltanto
italiano e neppure andreottiano.
Ad
aggravare la situazione, la Bundesbank è rimasta aggrappata a una dottrina
monetaria superata, tuttavia radicata nella storia tedesca per la memoria della
spaventosa inflazione seguita alla prima guerra mondiale. Del pari i tedeschi
ignorano e sottovalutano la deflazione, che oggi rappresenta il vero
spauracchio dell'Europa. Il rigore fiscale germanico ha questa radice, mentre
l'avanzare della crisi ha fatto sì che il sistema finanziario in generale si
sia progressivamente riorientato su base nazionale.
Non
mancano tuttavia segnali positivi, come il sostegno accordato da Angela Merkel
a Draghi, che in quella occasione lasciò la Bundesbank isolata nella sua
contrarietà. E tuttavia il rigore fiscale continua a spingere l'Unione nella
trappola deflazionistica del debito, e se i governi indebitati vogliono ridurre
il deficit di bilancio, l'economia si contrae, facendo lievitare il deficit
come percentuale del Pil.
Come
uscire allora dalla crisi? Secondo Soros l'alternativa è davvero secca: la
Germania deve cioè decidere se diventare un egemone solidale o lasciare l'euro!
Neppure funziona il discorso delle “due velocità”, perché un'area euro a due
livelli finirebbe per distruggere l'Unione Europea, perché i Paesi privati di
diritti presto o tardi si ritirerebbero.
Ed
inoltre il mercato comune e l'Unione Europea avrebbero potuto gestire il
default di un piccolo Paese come la Grecia, ma non potrebbero sopravvivere al
distacco della Spagna o dell'Italia… e
ovviamente anche della Francia.
Lo
spettro è ancora quello dello sbriciolamento come accadde allo Sme nel 1992 (e
detto da Soros mette concretamente i brividi).
Si
può dunque biasimare la Germania per le politiche imposte all'Europa, mentre i
cittadini tedeschi si sentono ingiustamente incolpati dagli altri popoli europei:
ancora una volta i vecchi malintesi regnano sovrani. E forse si tratta di
cogliere fino in fondo, scavando addirittura nell'inconscio di una grande
nazione, le ragioni della riluttanza alla leadership tedesca.
In
presenza dei capolavori tattici di Angela Merkel: che non è soltanto un
formidabile leader, ma anche un politico abilissimo che sa come mantenere
divisi i suoi avversari.
Secondo
Soros, l'Italia "sembra aver
bisogno di un'autorità esterna che le imponga una più attenta gestione
dell'economia, e questo spiega come mai gli italiani sono sempre stati talmente
entusiasti dell'Unione Europea"...
“In
breve –secondo Soros– la situazione attuale è come un incubo da cui si può
sfuggire soltanto svegliando la Germania e rendendola consapevole degli equivoci
e delle incomprensioni che stanno guidando le sue scelte. Ci auguriamo che la
Germania, davanti alla scelta, opterà di esercitare una leadership solidale. In
caso contrario, dovrà fare i conti con le perdite che inevitabilmente ne
deriveranno". Come a dire, anche
dal punto di osservazione e dall'astuta competenza di un grande finanziere, che
il discorso imprescindibile è quello della politica e delle sue visioni.
Ne
erano capaci padri fondatori. Ne sembrano molto meno avvertiti gli attuali
parlamentari di Strasburgo, che anzi fanno figura, all'indomani di una campagna
elettorale condotta anche in Italia con gli stilemi dello strapaese, come la
parte elettiva di una appesantita burocrazia europea.