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domenica 21 settembre 2014

Non l'acqua ma la malapolitica la causa dei disastri



Ignorati gli allarmi lanciati dall'ONU fin dal 2001 sull'effetto dei cambiamenti climatici sul ciclo idrico. Indispensabile rivedere tutti i piani di rischio e gestione dell'acqua ormai obsoleti.
Dirottare sulla salvaguardia del territorio le risorse miliardarie per F35, navi da guerra, TAV e grandi strade; ruolo centrale di Cassa Depositi e Prestiti.

Nel 2001 l'Intergovernmental Panel on Climate Change dell'ONU divulgava il terzo rapporto sui cambiamenti climatici redigendo una versione semplificata per i “policymaker”  in cui tutto quanto sta accadendo al ciclo idrico era ampiamente previsto (in particolare i risultati del secondo gruppo di lavoro, dal titolo "Climate Change 2001 - Working Group II: Impacts, Adaptation and Vulnerability" (http://www.grida.no/publications/other/ipcc_tar/). Dodici anni fa l'IPCC evidenziava l'aggravio di rischio per le inondazioni (in allegato l'incontrovertibile allarme contenuto nel riassunto per i policymaker) con cui chiedeva immediati interventi per bloccare le emissioni e mitigare i primi effetti negativi dei cambiamenti climatici.
Per tutta risposta i nostri lungimiranti “policymaker”, i decisori dei governi, compreso l'ultimo, hanno risposto con condoni (quello di Berlusconi del 2004), facilitazioni per i cementificatori (dal piano casa alla defiscalizzazione per le grandi opere stradali) fino ad arrivare, con il Governo Letta, con l'incredibile azzardo della concessione dell''agibilità parziale degli edifici non completati contenuto nell'ultimo decreto del FARE.
Ancora pochi anni fa mentre gli ambientalisti e i movimenti sociali, chiedevano urgenti misure per bloccare il collasso del pianeta, il Parlamento Italiano votava una mozione che metteva in dubbio i cambiamenti climatici. La Giunta Regionale sarda del governatore Cappellacci ha fatto di tutto per cancellare il Piano di tutela delle Coste, anche con decisioni prese pochi giorni prima l'alluvione! E pensare che lo stesso Governatore Cappellacci dal 21 settembre 2012 è Presidente della Commissione ENVE (Commission for the environment, climate change and energy).

Ora i risultati di questa malapolitica sono sotto gli occhi di tutti, il re è nudo.
Dopo il disastro di Sarno, le regioni hanno sì predisposto piani sul rischio alluvione con le relative zonizzazioni, ma si sono basate su dati di portate e di precipitazioni spesso dell'inizio del secolo scorso, quando il regime delle piogge è stato completamente stravolto negli ultimi due decenni. Lo stesso si dica dei Piani di gestione delle acque e dei Piani di Distretto Idrologico, i principali strumenti di gestione dell'acqua che spesso non tengono in alcuna considerazione gli effetti di cambiamenti climatici. I consulenti di uno degli ultimi piani ancora in fase di approvazione, quello dell'Abruzzo, davanti alle rimostranze degli ambientalisti che ricordavano gli appelli della stessa Commissione Europea per introdurre misure di mitigazione e adattamento, sono arrivati adirittura a negare l'esistenza delle modificazioni del clima. Si consideri che i piani di protezione civile spesso si basano sulle previsioni di questi strumenti ormai obsoleti. Basti pensare all'aumento delle superfici da vincolare con l'aumento delle portate dei fiumi quando vi sono questi fenomeni così intensi e alle gestione dell'acqua in caso di siccità. Anche le luci di molti ponti non sono più sufficienti a smaltire le ondate di piena i cui picchi sono sempre più estremi.
Il Forum dei Movimenti per l'Acqua chiede a gran forza, oltre ad una riduzione significativa nelle emissioni di gas serra in Italia, una profonda ed immediata revisione di questi piani affinché prendano atto delle modifiche del regime idrologico determinate dai cambiamenti climatici, introducendo misure di mitigazione ed adattamento con l'individuazione delle nuove aree a rischio e l'introduzione di vincoli assoluti di inedificabilità. Ancora oggi molti piani consentono escamotage per la realizzazione, come sta accadendo a L'Aquila (!) con l'ANAS, di grandi infrastrutture stradali da decine di milioni di euro in aree già oggi a rischio di esondazione. Basta un'autocertificazione sostenendo che non è possibile delocalizzare la nuova opera!
Lo stesso IPCC ha diffuso recentemente un nuovo studio sull'argomento Managing the Risks of Extreme Events and Disasters to Advance Climate Change Adaptation, IPCC 2012” (http://www.ipcc.ch/pdf/special-reports/srex/SREX_Full_Report.pdf.)

Purtroppo in Italia i pochi interventi sul dissesto sono spesso realizzati cementificando ulteriormente il territorio senza utilizzare tecniche di ingegneria naturalistica e senza rispettare i corsi d'acqua. Basti pensare alle cosiddette “pulizie” degli alvei con ruspe che distruggono la preziosa vegetazione ripariale che non fanno altro che aumentare i problemi aggravando l'erosione e modificando il trasporto solito. I fiumi devono avere spazi sufficienti, questa è la strada maestra da seguire, delocalizzando case e infrastrutture dove necessario.
In ogni caso le iniziative di gestione e prevenzione del rischio nonché la riformulazione dei piani deve prevedere il coinvolgimento dal basso dei cittadini e la partecipazione, anche per migliorare le conoscenze delle persone rispetto ai rischi presenti sul loro territorio. Ad esempio, la compravendita delle abitazioni dovrebbe essere realizzata avendo consapevolezza della categoria di rischio del territorio interessato, facilitando l'accesso alle informazioni, come mappe, piani e studi, da parte delle comunità che spesso ne ignorano l'esistenza.
I fondi per gli interventi necessari devono arrivare togliendo i finanziamenti a TAV, F35, navi da guerra (con la previsione di centinaia di milioni di euro all'anno previsto nella legge di Stabilità oggi in discussione) e grandi superstrade e strade. Inoltre un ruolo centrale deve giocarlo la Cassa Depositi e Prestiti.