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lunedì 27 ottobre 2014

Intellettuali


Con questi scritti di Angelo Gaccione e di Franco Dionesalvi,
“Odissea” apre il dibattito sulla mai sopita questione degli intellettuali

TUTTI SPARITI GLI INTELLETTUALI?   
 di Angelo Gaccione

Angelo Gaccione (foto: Fabiano Braccini, 2014)

Lo scorso 29 settembre, Luigi La Spina, ha avviato un dibattito sul quotidiano torinese “La Stampa” con un suo scritto dal titolo: “Se l’Italia non ha più intellettuali”. I giorni successivi sono seguiti altri interventi di autori diversi. Questo è quanto pensiamo noi sul problema.

Forse più semplicemente andrebbero cercati dove sono, gli intellettuali, per trovarli. Se facessimo questo ci accorgeremmo che ci sono eccome, gli intellettuali, e che il loro numero è molto più consistente di quanto si creda o si voglia far credere. Ed anche la loro influenza non è poi così marginale all’interno del corpo sociale nel suo insieme. Quelli di cui parlo io stanno con gli emarginati, con gli oppressi, e ne sono parte integrante: non si comportano come un arto separato dall’insieme. Non fanno i suggeritori di questo o quel potere per ingraziarselo, per averne un posto a tavola, o, alla peggio, le briciole che dalla tavola cadono. Mettono al primo posto l’interesse collettivo e non chiedono nulla per se stessi. Nei confronti del potere non hanno alcuna riverenza, e hanno scelto, come ebbe a dire Hegel a proposito della condanna di Socrate, “la grande collisione” con il potere.  
C’è una massima indiana che dice: “Venduta la coscienza si può commerciare di tutto”; ecco, essi rifiutano di fare mercimonio della loro coscienza. Ed anche se fuori e “contro” il potere della comunicazione istituzionalizzata, hanno i loro ambiti di espressione e di azione attiva, e svolgono da anni, come dice il mio amico filosofo Fulvio Papi, un prezioso ruolo di studio, conoscenza, interpretazione e critica, producendo, con mezzi ìmpari, il meglio dell’intelligenza sociale.
La loro elaborazione intellettuale si sostanzia e si oggettiva in quel prisma multiforme della società civile che volta a volta si mobilita sui temi più drammatici e complessi della contemporaneità. Dalla inalienabilità dei beni collettivi alla tutela del territorio;
dal conflitto fra risparmio e spreco alla cura della città; dalla tutela pubblica dell’acqua come bene primario e sacrale ai diritti; dalla minaccia atomica e nucleare alle ravvicinate possibili catastrofi. Dalla messa al centro della legalità alla difesa della democrazia e della Costituzione. Tutto quanto di più urgente in questi decenni è stato dibattuto (e per cui si è scesi in piazza), è stato elaborato da una sorta di intellettuale collettivo che dentro queste ragioni si annida. Basta prendersi la briga di sfogliare una serie di riviste, di giornali massicciamente presenti nella Rete, di blog, di ciclostilati diffusi durante eventi nazionali di rilievo o scioperi operai, manifestazioni di donne, di disoccupati, di ambientalisti, di studenti di ogni ordine e grado. Basta sfogliare i dieci anni cartacei del giornale “Odissea” per verificare la quantità di intelligenze che quelle pagine hanno ospitato; quanti materiali di primo piano, quante ragioni e quante proposte concrete. Non c’è chi possa smentire il fatto che in questi anni il gruppo di “intellettuali” di Odissea ha tenuto alto l’impegno per la moralità, per l’etica pubblica, con una critica feroce contro la corruzione pubblica e privata come poche volte si era visto in questo Paese. Parte delle idee lì prodotte, sono state fatte proprie da gruppi organizzati e anche da qualche partito politico, fosse solo per presentarsi, dopo la deriva di questi anni, con un abito meno lercio.
Non hanno calcato le scene questi intellettuali; non hanno fatto spettacolo. Hanno studiato, approfondito e hanno fatto girare le loro idee e i loro scritti nei luoghi poco frequentati dalle soubrette televisive della cultura. O si ritiene che i comitati sardi che hanno raccolto dati e prove sull’avvelenamento militare della loro isola e si battono perché i colpevoli del disastro paghino, intellettuali non lo siano? Che non lo siano le teste pensanti di Legambiente, Greenpeace, WWF, Emergency, Medici Senza Frontiere, dei comitati milanesi che hanno denunciato quanto di opaco e corruttivo c’era in certe scelte dell’Expo, noi di Odissea che abbiamo censito l’invadenza mostruosa di amianto di cui siamo sommersi, e via enumerando?
Se si crede che intellettuali siano solo i nomi di quanti affollano i talk show televisivi, allora sì, gli intellettuali sono spariti ed il loro ruolo è divenuto privo di autorevolezza e trascurabile; puramente decorativo. Se invece si sposta la traiettoria dello sguardo sulla ricchezza vitale di quella parte di società che è ancora capace di elaborare idee e di fare proposte, spesso opponendosi con decisione alle scelte sconsiderate e immorali dei gruppi dirigenti della Nazione, e a dire no a quelle scelte, di intellettuali necessari ce ne sono quanto basta, e noi siamo fra questi.





INTORNO AGLI INTELLETTUALI
di Franco Dionesalvi
Franco Dionesalvi

In principio furono gli anni Settanta.
A quel tempo gli intellettuali si riconoscevano nel progetto rivoluzionario che attraversava il mondo, e volevano essere parte di quel progetto. Così fustigavano i loro costumi, castigavano le loro vesti, stigmatizzavano i potenti e rivendicavano l’alternatività del loro ruolo. Poi fu il riflusso. Mancata la rivoluzione, si rinunciò pure all’impegno obbligatorio nelle canzoni, nei film, negli spettacoli teatrali.
Quel riflusso non è mai terminato; anzi, si è perfezionato. E gli intellettuali sono diventati del tutto organici a quello che Pasolini chiamava consumismo edonista, e che oggi è ipermercato totalizzante, che attraversa gli spazi, anche grazie all’evoluzione tecnologica, e prende e domina tutte le strade e tutte le case.
Non vale per tutti; ci sono poche, lucide eccezioni di intellettuali che hanno mantenuto indipendenza di giudizio, e, da angoli sempre più costretti, dicono i loro punti di vista al mondo. Ma la maggior parte sono diventati pubblicitari, declamatori di prodotti di successo, ottimizzatori di fiction televisive, ruggenti protagonisti di talk show.
Laddove non è mancato il coraggio, ha provveduto la fame. Di certo è latitante una opposizione colta alla società di Mc Donald’s e dell’Ipad 6, relegata all’eroico e molto minoritario attivismo di frange giovanili che non riescono, fra un hamburger e una puntata di “Amici”, a sentirsi felici.
Restano, per fortuna, le buone poesie, i quadri che risvegliano lo spirito eroico, le musiche che parlano alla mente e al cuore. Più forti dei loro stessi autori, più lungimiranti dei loro produttori. Capaci di tener viva quella fiammella di senso e di significato, di rivoluzione e di amore, che resta scritta nel dna degli uomini e delle donne e comunque contrasterà sempre lo strapotere dell’egoismo, della corruzione e del denaro.