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sabato 31 gennaio 2015

Lessing, la globalizzazione e il dialogo interreligioso                                                 
di Franco Toscani

Con questa riflessione di Franco Toscani, continua il dibattito avviato su “Odissea” dopo i tragici attentati di Parigi. Respingere ogni fanatismo, ogni pretesa di primato culturale e religioso, è la via maestra della tolleranza.


È possibile oggi -soprattutto riflettendo a partire dai tragici attentati parigini recenti- gettare  le basi autentiche di un dialogo interreligioso  che merita più che mai di essere perseguito nel nostro tempo tormentato, se vogliamo dare un futuro all’umanità, consistenza all’idea di “uomo planetario”, alle possibilità della convivenza nell’età della globalizzazione? È possibile, ma è molto difficile. Da questo punto di vista possiamo rintracciare una linea filosofico-teologica, culturale e antropologica che da Lessing e dal meglio della cultura illuministica perviene a toccare e a intrecciarsi con alcune proposte e tematiche culturali e antropologiche decisive del nostro tempo. Mi riferisco, per limitarci a qualche esempio, all’etica della responsabilità di Hans Jonas, al progetto di Weltethos (etica mondiale) di Hans Küng, all’idea di Terre-Patrie di Edgar Morin, alla cultura e all’etica dell’ “uomo planetario” di Ernesto Balducci. Fin dal secolo XVIII Lessing suggeriva la necessità di evitare i settarismi per riconoscere le ragioni anche parziali dell’altro; se i “caratteri divini” possono essere rintracciati in tutte le religioni, è aperta la via al dialogo interreligioso, una via difficile, che si scontra con pregiudizi diffusi e mentalità radicate, ma possibile. Nella mancanza del dialogo interreligioso è sempre possibile il prevalere della violenza, dell’odio, del muro contro muro, della minaccia alla convivenza fra diversi. La violenza è sempre in agguato, i più forti e prepotenti tendono a imporsi senza esitazioni grazie anche alla “bile bigotta” dei credenti fanatici di tutte le risme. Centrale in Lessing è la metafora del palazzo, che molto probabilmente fa riferimento alla grandezza della verità e all’essenza della religione. Ora, del palazzo molti possiedono “schizzi” particolari che però tendono a essere scambiati per l’intero. Ognuno tende a considerare e a valorizzare solo il proprio schizzo per salvare il palazzo minacciato dalle fiamme, ma in realtà tende a salvare essenzialmente il proprio schizzo, il proprio punto di vista sul palazzo.  Il palazzo è destinato a bruciare se gli attaccabrighe hanno il campo libero. Gli “schizzi” del palazzo stanno a indicare il rapporto degli uomini con la verità. Tali “schizzi” non rappresentano soprattutto le nostre ostinate cecità e illusioni che ci fanno fissare lo sguardo solo su alcuni particolari, impedendoci di scorgere la verità in tutta la sua ampiezza? Gli “schizzi” non ci parlano dei nostri limiti, piccolezze, manchevolezze in rapporto alla verità che nessuno possiede, di cui siamo al servizio e parte, senza poterne scorgere tutta l’immensa portata? La questione degli “schizzi” interroga tutte le religioni monoteistiche, secondo cui una sola di esse può esser vera. Si tratta qui della superbia che solo il proprio Dio sia il vero Dio, della pia follia di avere il “Dio migliore”. Tali superbia e follia mostrano il volto feroce della violenza tra le religioni, della rivalità, della diffidenza e dell’odio reciproci, della guerra e fanno dimenticare o sottovalutare il fatto essenziale che siamo tutti -prima di ogni altra aggiunta, definizione e caratteristica- uomini in mezzo ad altri uomini, abitanti mortali del pianeta, esseri fragili e bisognosi. I guai cominciano quando ogni gruppo religioso proclama polemicamente il proprio primato culturale e spirituale sugli altri. Siccome è però impossibile provare e stabilire quale sia la vera fede ed è contemporaneamente giusto garantire in questo e altri campi la libertà di coscienza sancita dalla nostra Costituzione repubblicana e dalle carte europee, si tratta di individuare un minimo comune denominatore etico che possa unirci al di là di tutte le ovvie e necessarie differenze culturali e religiose: la legge dell’amore, l’invito all’amore reciproco, libero da pregiudizi, al rispetto della eguaglianza e dignità di tutti gli esseri umani. Il Dio inafferrabile che “è amore” (come dicono tutte le religioni) ama tutti gli uomini senza distinzione alcuna. L’amore, la difesa ovunque della dignità umana: questo è il fondamento comune a tutte le religioni, conducente ad amare gli uomini nella loro libertà e autonomia, nella concretezza della loro condizione e vita quotidiana. Molti s’illudono di essere saggi, ma sono soltanto furbi, vivono come tali e obliano che la saggezza -non la ricchezza, il potere, la gloria e altri miti mondani- è il nostro bene più grande. Per un’umanità evoluta -la cui coscienza del male in cui si radica la storia umana è acuta- la crudeltà e la disumanità sono il peccato dei peccati. Sappiamo che la crisi dell’umanità e della civiltà è dovuta innanzi tutto alla sfiducia nell’uomo e nelle sue possibilità creative, è una crisi del senso e della direzione della nostra civiltà. Ma occorre avere il cuore aperto a ogni virtù, lo spirito sgombro dai pregiudizi e disposto a capire ogni bellezza; anche la religiosità, scevra da ogni integralismo e fanatismo, è intimamente, indissolubilmente congiunta al senso del buono e del bello. Può darsi, allora, che il dialogo interreligioso non sia altro che una “dolce illusione”, ma esso merita comunque di essere tenacemente perseguito per contribuire a promuovere il presente e il futuro della civiltà planetaria.