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lunedì 30 marzo 2015

IL PENSIERO CRITICO E LA SINISTRA OGGI
di Franco Toscani
Marx
Per dire qualcosa sulle prospettive della sinistra oggi occorre a mio avviso ripartire dalle rinnovate ragioni di un pensiero critico, il quale è costretto a riproporre le proprie esigenze tenendo comunque conto di due aspetti essenziali, assolutamente ineludibili, sui quali non abbiamo qui la possibilità di soffermarci a lungo e con la dovuta attenzione.
Da un lato non si può prescindere dalla crisi irreversibile, definitiva, anzi dal tragico fallimento del comunismo staliniano novecentesco, del "socialismo reale", della ideologia "marxista-leninista" intesa come ideologia ufficiale dei regimi comunisti dell'Est, che ha palesemente stravolto e rinnegato le preziose e forti istanze di liberazione umana e sociale contenute nel pensiero di Marx. Tale esito fallimentare pesa naturalmente tuttora, non poco, sulle prospettive di alternativa al sistema capitalistico dato.
D'altro lato, com'è a tutti evidente, la riproposizione di un pensiero critico diventa assai ardua nell'attuale mondo della mercificazione totale e della globalizzazione neo-liberista che, per le sue caratteristiche strutturali, impedisce, vanifica, ammorbidisce, comprime, isterilisce e soffoca in vari modi il pieno dispiegamento di quelle istanze critiche e di liberazione che pure continuano a sorgere al suo interno.
Riprendendo le analisi di Marx, sarebbe oggi importante (come ha ottimamente mostrato nei suoi scritti Diego Fusaro) tornare ad approfondire la critica del feticismo delle merci nella società sirenico-spettacolare e tutte le odierne, nuove forme di alienazione e di barbarie. Ritorna di grande attualità la critica mossa da Karl Marx nel XIX secolo all'economia politica borghese di Smith e Ricardo, i grandi economisti borghesi che pretendevano di considerare come leggi naturali ed eterne quelle proprie del modo di produzione capitalistico - un modo di produzione, invece, transeunte come tutti gli altri.
Anche oggi, date quelle che sono le caratteristiche strutturali della cosiddetta globalizzazione - in primo luogo, il fatto che il modello di sviluppo economico capitalistico si è ormai esteso all'intero pianeta, trasformato in un unico e gigantesco mercato mondiale -, l'ideologia neo-liberista dominante - come ideologia della classe dominante responsabile sia della gravissima crisi economica mondiale in cui ci dibattiamo sia della mistificazione e dell'occultamento menzognero che la ricoprono - ritiene intrascendibili le condizioni socio-economiche in cui viviamo e condanna all'utopia astratta tutto ciò che non rientra in quanto essa ha stabilito.
Va invece ribadito con forza che una nuova globalizzazione sarebbe possibile - non più sotto il segno del trionfo del capitale e delle merci, del denaro e del mercato -, capace di salvaguardare l'ambiente e l'umanità dell'uomo, di conservare il meglio della nostra eredità culturale, di restituire spessore alla svuotata parola democrazia, nella direzione di una nuova civiltà dell'uomo planetario, indicata con forza soprattutto - nei suoi scritti profetici, oggi piuttosto sottovalutati o dimenticati - da Ernesto Balducci.
Simmel
Ora, non solo la lotta per questa nuova globalizzazione e civiltà planetaria si presenta molto difficile e ardua, ma tutto congiura a far sì che le stesse frequenti e gravi crisi economico-sociali e politiche riguardanti il mondo capitalistico siano rivolte a far pagare i loro costi soprattutto alle classi subalterne, cioè a coloro che non ne sono responsabili e che, anzi, ne subiscono le peggiori conseguenze. La crisi in atto - ha scritto recentemente Paul Krugman - è una "guerra sociale scatenata dai super-ricchi che pretendono di essere esentati dal contratto sociale".
Di mondo rovesciato (verkehrte Welt), capovolto, a testa in giù parlava già Marx nel XIX secolo a proposito dell'economia e del mondo capitalistico del suo tempo. Noi ci ritroviamo ancora nelle stesse condizioni. L'aspetto più grave consiste nel fatto che stanno crollando e scomparendo la fiducia nell'uomo, la speranza collettivamente condivisa in un mondo più giusto, conviviale e solidale, i progetti etico-politici rivolti alla trasformazione del mondo. Come ha rilevato Luciano Gallino, la classe dei vincitori sta conducendo una tenace e spietata lotta di classe contro la classe dei perdenti.
Nella situazione caotica e depressiva del mondo attuale, servirebbe oggi, come il pane, una nuova antropologia della contemporaneità che, nel "villaggio globale" che è ormai diventato il nostro pianeta, comprendesse e favorisse il movimento nella direzione di una nuova civiltà planetaria, dell'avvento dell' "uomo planetario", come appunto amava dire Ernesto Balducci.
Avviene invece che all'indubbio aumento di potere, tecnologia e sapere proprio del nostro mondo corrisponda paradossalmente una diminuzione della saggezza e l'accentuazione di nuove forme di alienazione e barbarie.
Occorre dunque sì ancora cambiare il mondo (come voleva la undicesima Tesi su Feuerbach di Marx, che suona: "Die Philosophen haben die Welt nur verschieden interpretiert, es kömmt drauf an, sie zu verändern", "I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo; si tratta di trasformarlo"), ma il cambiamento veramente necessario passa oggi attraverso la ineludibile coscienza ecologica, così che, come mirabilmente scrive  Günther Anders in Die Antiquiertheit des Menschen (1956-1980): "Cambiare il mondo non basta. Lo facciamo comunque. E, in larga misura, questo cambiamento avviene persino senza la nostra collaborazione. Nostro compito è anche d'interpretarlo. E ciò, precisamente, per cambiare il cambiamento. Affinché il mondo non continui a cambiare senza di noi. E, alla fine, non si cambi in un mondo senza di noi".
Il nostro mondo ha urgentemente bisogno di un nuovo sapere antropologico e, soprattutto, di buone pratiche della convivenza tra i popoli e le culture della Terra. Nel suo linguaggio, Feuerbach parlava dell'esigenza di una Philosophie der Zukunft (filosofia dell'avvenire) e il problema si ripropone in forma nuova anche nella nostra epoca.
Si tratta per noi oggi, ancora una volta, di ritrovare il senso di un'universalità culturale concreta capace di oltrepassare gli orizzonti angusti di ogni cultura etnocentrica e nazionalistica, di recuperare il senso della nostra umanità perduta, di tutta l'umanità - non solo di una sua parte, magari privilegiata - e, insieme, il senso del nostro rapporto con le cose, il mondo intero, la verità.
All'inizio del XX secolo, nella sua Philosophie des Geldes (Filosofia del denaro, 1900), Georg Simmel osserva che il linguaggio sta diventando sempre più scorretto e banale, sempre meno dignitoso e tutto si sta trasformando nella nostra civiltà in qualcosa di più piatto, di meno interessante e serio. Egli nota pure che si assiste a un netto predominio di quella che chiama la "cultura oggettiva" sulla "cultura soggettiva", sulla vita interiore e soggettiva.
All'enorme accrescimento della "cultura delle cose" e delle tecniche corrisponde un'arretratezza della cultura delle persone, dello sviluppo spirituale degli individui. Simmel è ancora convinto, all'inizio del XX secolo, che la "cultura oggettiva" (o "delle cose") sia essenzialmente la cultura degli uomini che, forgiando e coltivando le cose, plasmano e coltivano sé stessi in un processo di "elevazione dei valori", ma si interroga inquieto sulla enigmaticità e sulla crescente discrepanza esistente fra "cultura oggettiva" e "cultura soggettiva", fra i prodotti della civiltà e l'esistenza frammentaria e squilibrata degli individui. Simmel avverte che i cosiddetti fini ultimi divengono illusori nel momento stesso in cui si assiste ai progressi e alla valorizzazione della tecnica, al trionfo della ratio strumentale-calcolante, al predominio dei mezzi sui fini, dei prodotti e degli apparati sugli individui.
A proposito del dominio della tecnica, egli scrive nel capitolo "Der Stil des Lebens"  ("Lo stile della vita") della sua Filosofia del denaro: "Questo predominio dei mezzi sui fini si riassume e culmina nel fatto che la periferia della vita, le cose che si trovano al di fuori della sua spiritualità, si sono impadronite del suo centro, di noi stessi".

Adorno
Al centro non vi sono più, infatti, la qualità della vita e delle esperienze, il valore dei rapporti e della comunicazione non effimera tra gli uomini, la spiritualità. Non vi è anzi più nulla di definitivo nel centro dell'anima, tutto è liquido e fluisce senza alcun reale raccoglimento e consistenza. Il denaro, in questo sistema di vita, diventa "il mezzo dei mezzi", la tecnica più generale, la potenza comprensiva e totalizzante che ci allontana dagli scopi essenziali e autentici della vita, nel momento stesso in cui ci consente l'accesso alle cose e il loro possesso.
Che cosa direbbe oggi Simmel? Credo che oggi inorridirebbe. Gli è stato risparmiato uno spettacolo deprimente, benché in apparenza luccicante e variegato: lo spettacolo senz'anima proprio della società sirenico-spettacolare.
Come ha già notato Martin Heidegger nei Bremer Vorträge (1949), "das Entsetzliche schon geschehen ist" ("il terrificante è già accaduto"). Il terrificante consiste nel venir meno e nell'oblio sempre più marcato del senso dell'umanità dell'uomo, del coseggiare della cosa e del mondeggiare del mondo. Il terrificante è già accaduto e sta ancora accadendo sotto i nostri occhi senza che si profili davvero all'orizzonte un'inversione di rotta e un'alternativa praticabile allo stato attuale delle cose.
Nel trionfo odierno dell' "individualismo senza individuo" (come lo ha ben definito Tito Perlini), l'essenza dell'uomo è svilita, degradata e si affaccia sulla scena del mondo una nuova ideologia (intesa come manipolazione e falsa coscienza, nel senso critico-negativo privilegiato da Marx) che pretende - falsamente e surrettiziamente - di non aver nulla a che fare con qualsivoglia ideologia.
Troppo pieno di sé, colmo della sua vanità e volontà di potenza, l'io è di fatto svuotato di senso, preda dei meccanismi del sistema dello spreco e del consumo, della produzione e mercificazione totali. Ridotto alla mera logica dell'avere, della produzione e del consumo illimitati, l'uomo diventa essenzialmente un consumatore e produttore che non conosce più sé stesso, il senso della propria vita, la misura, il proprio destino, la verità.
L'uomo oggi è sempre meno in grado di soppesare, valutare e distinguere ciò che è essenziale e ciò che è inessenziale.
La "dittatura del tempo sprecato" (secondo un'azzeccata espressione di Claudio Magris), il primato assoluto del profitto economico, il dominio del bla bla, del chiacchiericcio massmediatico e non, della società sirenico-spettacolare, delle incombenze tecnico-burocratiche, delle pratiche esteriori, di ciò che i grandi esponenti della Scuola di Francoforte come Adorno, Horkheimer e Marcuse chiamarono nella seconda metà del XX secolo l' "amministrazione totale del mondo" conducono all'inaridimento e all'impoverimento dell'umano, all'eclissi della politica e della qualità della convivenza. Dell'umano resta sempre di più solo la scorza superficiale.
L'accelerazione sistematica di tutto ciò che concerne la produzione  e il consumo, l'efficienza e la funzionalità del sistema, il lavoro e la comunicazione massmediatica, il denaro e le merci, la tecnica e lo spettacolo, il capitale  e il mercato rende un inferno quotidiano la vita degli individui delle società cosiddette avanzate, sottratta a ogni effettiva possibilità di vivere le dimensioni essenziali della meditazione e della contemplazione, del linguaggio e della comunicazione tra persone, della preghiera, dell'ascolto, dell'attenzione e del dialogo autentici.
In queste condizioni si pretende di vivere al massimo, ma in realtà "la vita non vive" (secondo il celebre aforisma di Theodor Wiesengrund Adorno) o vive prevalentemente sul piano dell'apparenza, della menzogna, dell'effimero, dell'illusione.
Così può scrivere un grande filosofo come Karel Kosík, nel saggio La morale al tempo della globalizzazione (1999): "l'uomo persiste nella sua presunzione di essere signore e padrone, cosa che tanto nettamente contrasta con la sua posizione servile. La dialettica del padrone e del servo si svolge come burlesca ironia della storia. (...) Al posto della differenza tra bene e male è di scena una distinzione sostitutiva, surrogatoria: non bene e male, bensì priorità del rendimento, del successo, del profitto, della redditività, dell'ascesa rapida e dell'arricchimento. (...) L'umanità è murata in un ingannevole gioco di specchi. Gli uomini, imprigionati nello specchio falso, ma incantatore dei mass media, levano lo sguardo sulle celebrità planetarie e le venerano come modelli irraggiungibili. Alla stregua di incatenati prigionieri di uno scatenato soggettivismo imperiale, caratteristico dell'età della globalizzazione, proiettano la propria smisurata bramosia nello spazio e nel tempo: considerano questa realtà deformata l'ultima parola della storia" ( K. Kosík, La morale al tempo della globalizzazione, 1999, in Id., Un filosofo in tempi di farsa e di tragedia. Saggi di pensiero critico 1964-2000, a cura di G. Fusi e F. Tava, Mimesis, Milano 2013, pp. 258-259).
Così l'uomo si arrende all'inessenziale e rinuncia al sostanziale, cede alla presunta fatalità di un mondo in cui non sono più in primo piano la bontà, la giustizia, la virtù, l'etica, ma vincono la perdita di senso, il vuoto della morale, la corruzione e la mafiosità, l'opportunismo e il cinismo, la legge dei più forti e dei più ricchi, la storpiatura, la burla, la perdita del gusto, la decadenza della lingua, il degrado dello stile di vita e dei comportamenti, la farsa, il grottesco, l'assenza di pensiero e di spirito critico.
Horkheimer
Ancora Kosík rileva nel saggio Lumpenborghesia e superiore verità spirituale (1997): "Il capitalismo odierno non è solamente un motore potente che vomita una varietà indescrivibile di merci, di artefatti, di informazioni, di attrazioni, produce inoltre, e in un certo senso soprattutto, vuotezza e sterilità. Da una parte profitti e comfort, dall'altra povertà di spirito e d'animo: il dritto e il rovescio della stessa moneta. Lo svuotamento, la noia, la droga, il porno, la trivialità sono fenomeni connessi, scaturiscono dalla stessa fonte" (K. Kosík, Lumpenborghesia e superiore verità spirituale, 1997, in Id., Un filosofo in tempi di farsa e di tragedia, cit., p. 250. Su Kosík si veda fra l'altro L. Cesana- C. Preve, Filosofia della verità e della giustizia. Il pensiero di Karel Kosík, Petite Plaisance, Pistoia 2012 e F. Toscani, L'epoca del Gestell. La tecnica, l'uomo e il sistema, in AA. VV., Sulla via della polis infranta. Assedio ai diritti e manipolazione globale, a cura di S. Piazza, Cleup, Padova 2004, pp. 103-133).
Molti segni, ancor oggi, vanno nella direzione dello stravolgimento dell'intero senso dell'esistenza umana, del declino e forse della scomparsa dello spirito. Non proponiamo ricette prefabbricate  e infallibili, ma innanzitutto la coscienza di ciò che è inaccettabile e che va trasformato.
Il XX secolo è stato per Kosík il "secolo di Grete Samsa", la sorella di Gregor Samsa, il personaggio che, nel racconto di Kafka Die Verwandlung (La metamorfosi, 1911), nel giro di una notte si ritrova trasformato in un insetto. Grete non riconosce più suo fratello, lascia che la domestica rimuova i resti di Gregor come se fosse un animale schifoso ed è il simbolo della disumanizzazione, del trionfo di un'umanità mediocre e meschina, irretita nei meccanismi del mondo alienato della pseudoconcretezza e nella banalità della vita quotidiana.
Ricerchiamo spiragli di luce per quell' "animale non stabilizzato" (Nietzsche), imprevedibile e aperto al senso della possibilità che è l'uomo. Non è facile intravederli.
Nella lunga storia della cultura occidentale ragione e sentimento, pensiero e cuore, sfera intellettuale e sfera affettiva sono stati troppo a lungo separati e concepiti in termini dualistici. Anche qui registriamo uno dei dualismi metafisici tipici della cultura occidentale e pure a causa di ciò il mondo è rimasto a lungo un mondo senza cuore o - come sostengono Ezechiele e Geremia (cfr. Ez 11, 19-20; Ez 36, 26-27; Ger 31, 31-34) - con un "cuore di pietra". Sono più che mai necessari, invece, un "cuore nuovo", una μετάνοια (conversione) dei cuori e delle menti, l'esercizio dell'Einfühlung (empatia), ossia della capacità di immedesimazione, di sentire l'altro, di metterci, in qualche modo e per quanto possibile, nel suo punto di vista.
Ora, una ragione non caratterizzata dalla παρρησία - ossia dal parlare libero e schietto, fresco e franco, caro alla grecità antica - e non finalizzata all'amore, alla condivisione, alla fraternità, alla giustizia, alla pace, alla solidarietà tra i popoli e le culture rimane certamente arida e - nella nostra epoca così fortemente condizionata dall'illimitata volontà di calcolo, potenza e dominio - rischia di condurre, come mera ratio strumentale-calcolante, alla desertificazione dell'uomo e della Terra.

Rispetto a tutto ciò la cultura politica della sinistra oggi mi sembra, nel suo complesso, del tutto inadeguata e non all’altezza. A destra e a sinistra dilaga una retorica rabbrividente del riformismo: quasi tutti, a destra e a sinistra, si riempiono la bocca di parole come “riforme” e “riformismo”, che risuonano però come mere parole vuote, seduttive, appunto retoriche. E’ questa la politica-spettacolo perfettamente inserita nei meccanismi e nelle modalità tipiche della società sirenico-spettacolare di cui è parte ed espressione. E’ questo ciò che oggi prevale, ma, se non torneremo a riscoprire le ragioni autentiche di un pensiero critico e di una cultura politica della sinistra al servizio dell’umanità planetaria – e non delle oligarchie economico-finanziarie oggi dominanti e profondamente influenti sulla politica odierna –, non solo non faremo passi avanti, ma  la stessa sinistra perderà pure il suo peculiare senso d’essere.