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martedì 30 giugno 2015

APPELLO IN FAVORE DEL POPOLO GRECO
La democrazia non si svende e non si vende
Firma anche tu l’appello di MicroMega in Rete, in solidarietà con Tsipras e il popolo greco


Cari lettori, pubblichiamo la dichiarazione del capo del governo greco ai cittadini di quel paese. Pensiamo sia necessario che tutti i cittadini democratici europei lo sostengano. Vi chiediamo di firmare questo breve appello di MicroMega che troverete sulla Rete, da inviare alle autorità di tutte le istituzioni europee: “Siamo con la democrazia, che è sempre "giustizia e libertà", contro la protervia dei poteri finanziari che vogliono imporre al popolo greco le politiche di liberismo selvaggio che hanno scatenato la crisi mondiale e stanno distruggendo l'Europa”.


Ecco la lettera di Alexis Tsipras al popolo greco


Greche e greci,
da sei mesi il governo greco conduce una battaglia in condizioni di asfissia economica mai vista, con l’obiettivo di applicare il vostro mandato del 25 gennaio a trattare con i partner europei, per porre fine all’austerity e far tornare il nostro paese al benessere e alla giustizia sociale. Per un accordo che possa essere durevole, e rispetti sia la democrazia che le comuni regole europee e che ci conduca a una definitiva uscita dalla crisi. In tutto questo periodo di trattative ci è stato chiesto di applicare gli accordi di memorandum presi dai governi precedenti, malgrado il fatto che questi stessi siano stati condannati in modo categorico dal popolo greco alle ultime elezioni. Ma neanche per un momento abbiamo pensato di soccombere, di tradire la vostra fiducia. Dopo cinque mesi di trattative molto dure, i nostri partner, sfortunatamente, nell’eurogruppo dell’altro ieri (giovedì n.d.t.) hanno consegnato una proposta di ultimatum indirizzata alla Repubblica e al popolo greco. Un ultimatum che è contrario, non rispetta i principi costitutivi e i valori dell’Europa, i valori della nostra comune casa europea. È stato chiesto al governo greco di accettare una proposta che carica nuovi e insopportabili pesi sul popolo greco e minaccia la ripresa della società e dell’economia, non solo mantenendo l’insicurezza generale, ma anche aumentando in modo smisurato le diseguaglianze sociali. La proposta delle istituzioni comprende misure che prevedono una ulteriore deregolamentazione del mercato del lavoro, tagli alle pensioni, nuove diminuzioni dei salari del settore pubblico e anche l’aumento dell’IVA per i generi alimentari, per il settore della ristorazione e del turismo, e nello stesso tempo propone l’abolizione degli alleggerimenti fiscali per le isole della Grecia. Queste misure violano in modo diretto le conquiste comuni europee e i diritti fondamentali al lavoro, all’eguaglianza e alla dignità; e sono la prova che l’obiettivo di qualcuno dei nostri partner delle istituzioni non era un accordo durevole e fruttuoso per tutte le parti ma l’umiliazione di tutto il popolo greco. Queste proposte mettono in evidenza l’attaccamento del Fondo Monetario Internazionale a una politica di austerity dura e vessatoria, e rendono più che mai attuale il bisogno che le leadership europee siano all’altezza della situazione e prendano delle iniziative che pongano finalmente fine alla crisi greca del debito pubblico, una crisi che tocca anche altri paesi europei minacciando lo stesso futuro dell’unità europea.
Greche e greci,
in questo momento pesa su di noi una responsabilità storica davanti alle lotte e ai sacrifici del popolo greco per garantire la Democrazia e la sovranità nazionale, una responsabilità davanti al futuro del nostro paese. E questa responsabilità ci obbliga a rispondere all’ultimatum secondo la volontà sovrana del popolo greco. Poche ore fa (venerdì sera n.d.t.) si è tenuto il Consiglio dei Ministri al quale avevo proposto un referendum perché sia il popolo greco sovrano a decidere. La mia proposta è stata accettata all’unanimità. Domani (oggi n.d.t.) si terrà l’assemblea plenaria del parlamento per deliberare sulla proposta del Consiglio dei Ministri riguardo la realizzazione di un referendum domenica 5 luglio che abbia come oggetto l’accettazione o il rifiuto della proposta delle istituzioni. Ho già reso nota questa nostra decisione al presidente francese, alla cancelliera tedesca e al presidente della Banca Europea, e domani con una mia lettera chiederò ai leader dell’Unione Europea e delle istituzioni un prolungamento di pochi giorni del programma (di aiuti n.d.t.) per permettere al popolo greco di decidere libero da costrizioni e ricatti come è previsto dalla Costituzione del nostro paese e dalla tradizione democratica dell’Europa.
Greche e greci,
a questo ultimatum ricattatorio che ci propone di accettare una severa e umiliante austerity senza fine e senza prospettiva di ripresa sociale ed economica, vi chiedo di rispondere in modo sovrano e con fierezza, come insegna la storia dei greci. All’autoritarismo e al dispotismo dell’austerity persecutoria rispondiamo con democrazia, sangue freddo e determinazione. La Grecia è il paese che ha fatto nascere la democrazia, e perciò deve dare una risposta vibrante di Democrazia alla comunità europea e internazionale. E prendo io personalmente l’impegno di rispettare il risultato di questa vostra scelta democratica qualsiasi esso sia. E sono del tutto sicuro che la vostra scelta farà onore alla storia della nostra patria e manderà un messaggio di dignità in tutto il mondo.
In questi momenti critici dobbiamo tutti ricordare che l’Europa è la casa comune dei suoi popoli. Che in Europa non ci sono padroni e ospiti. La Grecia è e rimarrà una parte imprescindibile dell’Europa, e l’Europa è parte imprescindibile della Grecia. Tuttavia un’Europa senza democrazia sarà un’Europa senza identità e senza bussola. Vi chiamo tutti e tutte con spirito di concordia nazionale, unità e sangue freddo a prendere le decisioni di cui siamo degni. Per noi, per le generazioni che seguiranno, per la storia dei greci. Per la sovranità e la dignità del nostro popolo.
Alexis Tsipras


Khalida Jarrar: Lettera dal carcere
Khalida Jarrar, arrestata in occasione delle irruzioni dell’esercito sionista della notte del 2 aprile a Ramallah e a Betlemme, e tuttora detenuta, lancia in suo appello chiedendo sostegno internazionale attraverso un’accorata lettera.

Khalida Jarrar
Negli ultimi anni ho continuamente parlato della causa dei prigionieri palestinesi, dei loro numeri, delle loro condizioni di detenzione, delle statistiche, cifre e percentuali. Ho parlato del milione di palestinesi che dal 1967 è passato per le carceri israeliane. Questo dato significa che un palestinese su quattro è stato arrestato almeno una volta nella vita. Ho parlato delle donne arrestate a centinaia, tra queste 24 sono tuttora prigioniere; ho parlato delle migliaia di bambini arrestati in violazione di tutte le leggi e le convenzioni internazionali. Ad oggi, tra i 6.000 prigionieri palestinesi, 240 sono bambini. Nelle carceri ci sono anche prigionieri con gravi malattie incurabili, alcuni dei quali molto anziani, praticamente dei condannati a morte. Altri circa 600 prigionieri scontano periodi di detenzione amministrativa, senza alcuna giustificazione legale o accusa a loro carico, una pratica risalente al periodo del mandato britannico in Palestina 70 anni fa, lo stesso periodo della fine del periodo nazista, quel periodo che malauguratamente ricorda la nostra epoca per tutto ciò che ho descritto. Per più di 9 anni, in qualità di membro eletto dal popolo palestinese nella sua lotta per la liberazione, all’interno del Consiglio legislativo Palestinese ho ricoperto la carica di presidente della Commissione incaricata delle questioni dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane. In precedenza, per 13 anni, sono stata la direttrice generale dell’associazione Addameer per i diritti dei prigionieri e i diritti umani, una delle più importanti associazioni la cui missione è la difesa dei prigionieri. Questo significa che ho dedicato gli ultimi miei 20 anni di vita nel sostenere i prigionieri della Palestina nelle carceri dell’occupante, per la libertà negata ai prigionieri dall’occupazione coloniale, l’ultima esistente al mondo. Durante tutti questi anni, e soprattutto dopo la mia elezione, che mi ha permesso di essere un rappresentante del popolo, ho difeso con tutte le mie forze i prigionieri, i loro diritti, la lotta contro le condizioni del loro arresto, contro i metodi utilizzati durante gli interrogatori e le confessioni estorte, le false accuse. Ho difeso il loro diritto ad avere accesso alle cure mediche, il diritto alla vita e alla liberazione, perché sarebbero colpevoli solo di difendere la libertà del loro popolo oppresso, un’azione riconosciuta da tutte le leggi internazionali e dalle Nazioni Unite, le cui leggi e convenzioni si applicano a tutti noi.
Mi sono sempre rivolta ai popoli di tutto il mondo chiedendo ai deputati rappresentanti del popolo, ai rappresentanti dei governi e presidenti, di schierarsi al fianco dei detenuti palestinesi, di schierarsi dalla parte di coloro che sono alla ricerca di giustizia, libertà, valori e diritti umani. Ho sempre chiesto la condanna dell’occupazione, la sua sanzione e la sua fine. Continuo a credere che questo sia dovere di tutti, è vostro dovere come lo è per noi palestinesi. Oggi affermo di non essere cambiata: le mie posizioni, la mia convinzione e la mia volontà restano intatte, sebbene la mia posizione ora sia diversa: osservo la questione da un’altra prospettiva e da questa prospettiva vedo le cose in modo più chiaro. Oggi sono parte delle 24 prigioniere di cui ho parlato in precedenza, dei 6000 prigionieri, uno dei tanti prigionieri che soffrono la violenza carceraria e che sopportano il peso dell’ingiustizia ogni giorno, ogni ora, in ogni momento. Oggi, dopo essere stata arrestata in casa mia, davanti alla mia famiglia e a mio marito, ho tolto qualcosa al mio popolo privandolo del mio dovere nel servire chi mi ha eletto. Oggi, ho consapevolezza di come arrivano i soldati dell’occupazione, armati di tutta la loro “tenacia” e “mostruosità”, sono arrivati a casa mia nel cuore della notte, mi hanno ammanettato, bendato gli occhi e portato in un posto che non conosco.
Oggi mi è stato comunicato che la mia detenzione amministrativa è stata confermata, la detenzione ai sensi di un decreto più vecchio di me, un decreto che non rappresenta l’umanità del nostro tempo. Oggi il governo dell’occupante ha cominciato a tremare, dopo aver subito la vostra pressione e quella dei liberi di questo mondo che condannano il mio arresto insensato. Questo però non ha impedito all’occupante di applicare le sue leggi più razziste, così sono stata mandata in un tribunale che tutti sappiamo illegittimo, dinanzi a giudici di cui tutti noi conosciamo l’incompetenza, perché un carnefice non potrà mai essere il giudice della sua vittima. Anche se sappiamo essere in grado di trovare difetti nelle loro leggi obsolete, resta l’ultima parola ai rappresentanti della loro entità d’occupazione, il pubblico ministero, perché non vi è alcuna autorità superiore a quella della colonizzazione con le sue ingiuste leggi. Poco male; questo è il prezzo che noi paghiamo per la nostra libertà, per la nostra dignità e per quella del mondo. Noi ci armiamo del vostro sostegno e, quando sentiamo la vostra voce di solidarietà con la nostra resistenza, in noi crescono forza e fermezza. Oggi vi scrivo da prigioniera non sapendo ancora quale sarà il mio destino, quanto tempo rimarrò in questa prigione sporca che non è fatta per gli esseri umani. Non so nemmeno se troverò un medico degno del suo titolo una volta malata, non so se il cibo che mi danno è inquinato o se l’acqua è avvelenata, non so quando il mio carceriere piomberà nella mia cella per tenermi sveglia e violare la mia intimità. Non so quando potrò prendere le mie bambine, Yafa e Suha, tra le braccia, non so quando bacerò mio marito né quando potrò essere abbracciata da mia madre e quando potrò baciare la fronte di mio padre. So che per tutto questo ho bisogno di voi, di ogni voce libera in questo mondo che ripeta assieme a me e al mio popolo: Abbasso l’occupazione, e che possa il popolo palestinese godere della libertà!

***
UNA BUONA NOTIZIA
Khader Adnan sarà liberato il 12 luglio

Manifestazione per la libertà di Khader Adnan
Prigioniero politico palestinese in sciopero della fame per un lungo periodo, ha ottenuto la vittoria per la seconda volta con la sua lotta e determinazione. Nel primo mattino del 29 giugno, dopo 55 giorni di sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione amministrativa senza né accusa né processo, la moglie di Adnan, Randa, ha annunciato che è stato raggiunto un accordo con i carcerieri israeliani per la sua liberazione che avverrà il 12 luglio. Ha inoltre affermato che ci si impegnerà per porre fine all'uso della detenzione amministrativa, in base al quale Adnan è stato arrestato per oltre 6 anni attraverso molteplici arresti. Khader Adnan, 37 anni, panettiere di Jenin e militante politico, è stato anche rilasciato dalla detenzione amministrativa israeliana senza accusa e senza condanna nel 2012 dopo uno sciopero della fame di 67 giorni che ha suscitato ampio sostegno palestinese ed internazionale, contribuendo a rivitalizzare il movimento di massa per la libertà dei prigionieri palestinesi. Uscito il 17 aprile 2012, è stato nuovamente arrestato l'8 luglio 2014 e da allora è trattenuto senza alcuna accusa nelle carceri israeliane. Ha iniziato il suo nuovo sciopero della fame lo scorso 5 maggio per protestare contro il rinnovo della sua detenzione amministrativa fino a raggiungere una fase critica di salute. Randa Adnan, i figli e il padre hanno visitato Khader all'ospedale di Assaf Harofeh, dove è detenuto, con mani e piedi incatenati al suo letto d'ospedale dopo l'annuncio dell'accordo.
Venerdì, centinaia di Palestinesi avevano marciato attraverso il complesso di al-Aqsa a sostegno del prigioniero amministrativo Khader Adnan, al suo 53° giorno di sciopero della fame. I manifestanti si erano diretti verso la Cupola della Roccia, cantando slogan e chiedendo l’immediato rilascio di Adnan, divenuto il simbolo dei detenuti amministrativi, senza accuse e senza processo, vittima dell’ingiustizia israeliana. Lo sciopero è una protesta contro la detenzione amministrativa, con la quale i detenuti sono trattenuti ad oltranza senza accuse o processi. Israele ha imprigionato migliaia di palestinesi durante gli anni con questo tipo di procedura, per periodi che vanno da alcuni mesi a diversi anni. Il più alto numero di detenzioni amministrative è avvenuto durante la prima Intifada, nel 1989, quando ha raggiunto i 2000 prigionieri. Il movimento del Jihad islamico, a cui Adnan è affiliato, aveva dichiarato venerdì che se il prigioniero fosse morto in carcere, il cessate-il-fuoco stipulato con Israele ad agosto del 2014, dopo 51 giorni di offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza, sarebbe stato a rischio.
MILANO. MONTE STELLA-GIARDINO DEI GIUSTI
Continua il confronto
Stefano Levi Della torre risponde a Giancarlo Cosonni

Stefano Levi Della Torre
Caro Giancarlo,
la più profonda amicizia, stima e fiducia che ho per te da decenni inducono il dispiacere per un dissenso che mi sembra dividerci e vorrei precisarne i termini, oltre a quanto ho già esposto nella lettera pubblicata, insieme con la tua, su “Odissea”.
A- Il Giardino dei Giusti non ha da essere un discreto e silenzioso parco delle rimembranze, ma un luogo in cui si sono svolte e si dovranno svolgere delle attività di informazione, comunicazione, e discussione che coinvolgano soprattutto i giovani e le scuole. E queste attività richiedono certe attrezzature, in particolare un luogo di seduta collettiva.
 Il motivo del dissenso che mi sembra sussistere tra noi su questo aspetto riguarda la natura stessa del Giardino dei Giusti. Mi è parso affiorare un equivoco, là dove nella tua lettera parli della “tragedia che non si vuole sia dimenticata”, e sembra che tu alluda allo sterminio degli ebrei. Non è così. Non si parla di una tragedia, ma di molte tragedie, anche in corso; e i Giusti non sono solo quelli che hanno salvato degli ebrei mettendo a rischio la propria vita e la propria famiglia, ma tutti coloro che hanno fatto o fanno la stessa cosa a favore di chiunque sia ingiustamente perseguitato, ieri come oggi. E di persecuzione è pieno il mondo. Questa impostazione, che condivido pienamente, ha creato una dura polemica tra Gariwo da un lato, lo Yad Vashem di Gerusalemme e una parte del mondo ebraico dall’altro, timorosi che una tale generalizzazione o universalizzazione del concetto di “Giusti” possa annacquare e sminuire l’idea di Giusti, che ha preso le mosse in riferimento alla Shoà. Ora, il Giardino dei Giusti non è un luogo di rimembranza dovuta solo a una culminante tragedia del passato, la Shoà; è invece un luogo in cui si parla sia di storia sia di attualità del dramma. E quella istituzione che ha una funzione fondamentale e principale nel confronto e convivenza tra culture, che è la scuola, ha da trovare nel Giardino dei Giusti un luogo in cui i giovani di varia provenienza sentano parlare e possano ragionare sulle tragedie, le virtù, le testimonianze che riguardano i paesi del mondo, e i loro stessi paesi di provenienza. Un luogo in cui l’accento delle testimonianze si sposta dal dramma alle possibilità quanto meno di arginarlo quando sia in corso.
L’attribuire a queste funzioni la svilente qualificazione di “indottrinamento” a me pare del tutto fuori luogo. E, come sempre, per comprendere appieno la validità di una simile critica, si tratta di sapere quale sia l’alternativa. 
Dunque, il Giardino dei Giusti deve svolgere delle attività, delle funzioni, e di conseguenza ha bisogno di attrezzature che le consentano.
B- Il Giardino dei Giusti ha bisogno di un’immagine. Non vogliamo chiamarla “monumentale”, perché sa troppo di enfasi retorica? E allora non chiamiamola così. Ma il Giardino deve avere un suo segno che lo distingue. È all’origine di molti altri Giardini in giro per l’Europa, nati con lo stesso spirito universalistico che ho spiegato sopra. E la sua immagine ha da rispondere sia al rispetto dovuto al Monte Stella, sia alla riconoscibilità internazionale di questo Giardino originario. Il quale ha messo radici sul Monte Stella fin dal 2003, se non sbaglio, tanto da costituirne già una tradizione.
Quanto all’immagine, a me sembra ottima l’idea di Gariwo di invitare artisti delle arti plastiche a esporre gratuitamente un’opera (ogni tre anni ad es., e attraverso selezione anche internazionale) in un luogo definito del Giardino. Il quale, più che di recinti, ha bisogno di una polarità centrale significativa. E questo impegno di arte e cultura darebbe ulteriore lustro tanto al Giardino quanto al Monte. 
Mi sembra che il Monte Stella e il Giardino dei Giusti possano facilmente trovare una convergenza e un potenziamento reciproco dei rispettivi messaggi: il Monte Stella come riemersione creativa dai disastri della guerra, il giardino dei Giusti come prospettive aperte al futuro, come brecce nell’oscurità delle persecuzioni di ieri e di oggi, e di domani.
Dunque, la collocazione del Giardino dei Giusti nel luogo in cui è nato si basa su tre ragioni: 1- perché è ormai consuetudine e tradizione, e non mi sembra il caso che gli alberi già piantati in onore dei giusti vengano spodestati da tale prerogativa ed origine; 2- perché l’attività che vi si svolge è del tutto coerente con il messaggio originario del Monte Stella; 3- e anzi l’attività del Giardino può di continuo attualizzare il senso dello stesso Monte. Al di là delle sue asprezze, la discussione in corso suggerisce l’idea di mettere in maggiore evidenza la convergenza tre il messaggio del Monte e quello del Giardino. E quanto alla proposta di istituire un secondo Giardino in piazza Fontana mi sembra porre la domanda: quale rapporto tra i due Giardini? Perché alcuni giusti qui e altri là? E come gestire entrambi i luoghi? Non si trattava di fare sull’argomento proprio un discorso trasversale e unitario? Oppure la proposta consiste nella dismissione e trapianto in Pizza Fontana del Giardino di Monte Stella?
È vero, mi sono occupato di monti sacri, del Sinai, del Golgota, dell’Olimpo; mi sono occupato anche di Sacri Monti, a cominciare da quello di Varallo. Mi sono occupato anche di giardini sacri, dall’Eden a quello delle Esperidi. Ma non mi sono mai sentito esentato dal mantenere un atteggiamento laico al cospetto della sacralità di monti o giardini. Pure la polemica attuale mi sembra aver raggiunto i toni di crociata, con accuse reciproche di tradire i valori più sacri.
C- Nell’impostazione dell’intervento a Monte Stella c’è un difetto di procedura: la progettazione “a chiamata” invece che “a concorso” su una questione che riguarda il pubblico e al pubblico è destinata. L’associazione che ha promosso l’iniziativa, pur includendo il Comune di Milano, oltre all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI) e a Gariwo, si è mossa con criteri decisionistici. Questo è negativo. Il lato positivo della procedura sta però nella gestione dei costi: Gariwo si è assunto l’onere di sostenere le spese, a proprio carico e tramite sottoscrizione cittadina, mentre l’architetto Stefano Valabrega, designato “a chiamata”, ha accettato di lavorare gratis, o più precisamente a sostenere a proprie spese gli ingenti costi della progettazione, delle sue modifiche e dei collaboratori regolarmente stipendiati. Non so se questa esenzione del pubblico dai costi sarebbe stato conseguibile con procedure diverse. E non so neppure se metta conto di rispondere a quell’obbiezione che qualcuno ha mosso nel corso della polemica, secondo cui gli oneri sul pubblico, cioè “sui nostri soldi”, sarebbero comunque ricaduti a causa dell’illuminazione aggiuntiva del luogo: può essere evidente a tutti che un’oasi di luce non potrebbe che migliorare la sicurezza e la fruibilità del Monte anche di notte o di inverno.
D- Confesso che il mio sogno, da ultimo arrivato, sarebbe quello di rilanciare il confronto in termini civili con la disponibilità a ridiscutere diversi aspetti del progetto. Il consenso ottenuto presso la Soprintendenza e il Comune possono indurre Gariwo e l’arch. Valabrega ad accontentarsi del risultato istituzionale. Ma non esiste solo questo livello. Più importante ancora è che la cosa non si sviluppi in mezzo a tanta ostilità, che è del tutto in contrasto con il senso del Monte e del Giardino, e che si è piegata ormai a toni di accusa e sospetto personali. Il credito alla buona fede delle parti è molto più fondato dell'accusa reciproca di malafede che ha preso il sopravvento come arma polemica. L'assenso istituzionale non è sufficiente per un argomento di tale portata.
In un sopralluogo con l’arch. Valabrega alla balza del Monte ho formulato le mie seguenti considerazioni: 1- che i disegni presentati, almeno quelli che conosco, danno una visione falsata e autolesionista del progetto, in particolare nella sua proporzione e contestualizzazione rispetto all' insieme di Monte Stella e nel rapporto tra parti nuove e parti già esistenti, nonché nella natura dei materiali usati; 2- che occorre dare maggiore enfasi all'idea dell'opera periodica degli artisti scultori, perché la caratterizzazione del luogo sia data più dalla sua polarità simbolica interna, dal suo "ombelico" espressivo, piuttosto che dalla sua delimitazione; 3- che i giovani che hanno frequentato in questi anni il Giardino hanno spontaneamente già tracciato certi percorsi e il luogo delle sedute collettive, e su queste indicazioni mi parrebbe utile continuare la discussione. Da ultimo arrivato, dixi et servavi animam meam.

Stefano Levi Della Torre (29 giugno 2015)
SEMPRE PIÙ SERVI
L’Italia prorogherà l’uso di Pantelleria per i voli spia Usa in Tunisia
di Antonio Mazzeo
Basi militari americane in Italia

Il governo italiano autorizzerà l’utilizzo dell’aeroporto di Pantelleria per le operazioni d’intelligence delle forze USA sui cieli della Tunisia perlomeno sino alla fine del 2015, anche senza un accordo formale tra le autorità di Tunisi e Washington o che previamente sia sentito il Parlamento sulla legittimità e l’opportunità delle attività militari statunitensi in nord Africa. È quanto comunicato dal ministero della Difesa nelle risposte a due interrogazioni del Movimento 5 Stelle (una con primo firmatario il sen. Vincenzo Santangelo, la seconda dell’on. Gianluca Rizzo), presentate in aprile dopo che alcune inchieste giornalistiche avevano documentato i decolli da Pantelleria di un bimotore Super King Air 300 per operazioni top secret di sorveglianza e riconoscimento nelle aree impervie di Monte Chaambi, Djebal Salloum e Foussena, al confine con l’Algeria, dove da tempo erano (e sono) in corso violenti combattimenti tra le forze armate tunisine e i gruppi ribelli d’ispirazione islamico radicale. Il velivolo, numero di matricola N351DY, è risultato essere di proprietà dell’Aircraft Logistics Group LLC, società del gruppo finanziario Acorn Growth Companies (AGC) di Oklahoma City, attivo nel settore aerospaziale civile e militare e il cui vicepresidente è l’ex generale Peter J. Hennessey, già responsabile di tutte le attività logistiche dell’US Air Force durante l’operazione “Enduring Freedom” in Afghanistan.
Rispondendo a M5S, il sottosegretario alla difesa Domenico Rossi ha spiegato che “l’Office of Defense Cooperation (ODC) dell’Ambasciata degli Stati Uniti a Roma aveva chiesto allo Stato maggiore della Difesa l’autorizzazione al rischieramento temporaneo sulla base aerea di Pantelleria di un assetto civile (identificato come King Air BE-350, non armato e gestito da una compagnia privata per conto del Comando statunitense per il continente africano, denominato AFRICOM), al fine di consentire l’esecuzione di missioni di riconoscimento e sorveglianza nel Nordafrica (a fronte delle quali non si è al corrente di specifici accordi fra la Tunisia e gli Stati Uniti)”. “Dopo le pertinenti valutazioni di fattibilità -ha aggiunto Rossi- lo Stato maggiore della Difesa, ottenuto l’avallo politico nell’ottobre 2014, ha quindi concesso l’autorizzazione temporanea (fino al 31 maggio 2015), anche se l’Office of Defense Cooperation ha avanzato una richiesta di proroga sino alla fine dell’anno, attualmente in fase di valutazione”. Sempre per il sottosegretario alla Difesa, l’attività di volo sarebbe limitata ad una “sola sortita giornaliera” e non avrebbe “alcuna priorità rispetto al traffico aereo civile dell’aeroporto di Pantelleria”. Un “limitato supporto tecnico-logistico” al rischiaramento del velivolo-spia statunitense è stato fornito dall’Aeronautica militare italiana, sulla base di un apposito accordo tecnico di contingenza, denominato Contigency  Technical  Arrangement.
“Riteniamo insoddisfacente la risposta del ministero della Difesa”, ha commentato il parlamentare Gianluca Rizzo. “Dopo aver visto transitare nel cielo gli aerei e arrivare sull’isola un gruppo di militari statunitensi, la popolazione di Pantelleria ha espresso preoccupazione sia per la propria sicurezza che per la mancanza di informazione su quanto stava accadendo”, spiega Rizzo. “Restiamo perplessi sul riferimento del governo agli accordi che disciplinerebbero la sperimentazione del velivolo Usa, reputando assurdo in particolare che sia stato concesso l’uso di uno scalo aereo italiano senza essere al corrente dei dettagli di eventuali accordi tra Stati Uniti e Tunisia”. In verità, con la risposta ufficiale del governo italiano, sono adesso perlomeno quattro (e tutte differenti) le versioni ufficiali rese tra Roma, Tunisi e Washington sulle operazioni d’intelligence Usa in una delle aree più conflittuali di tutta l’Africa settentrionale. “Le attività nello spazio aereo tunisino di velivoli in missione di sorveglianza rientrano nell’ambito della cooperazione militare e d’intelligence con l’Unione europea per la lotta al terrorismo”, aveva dichiarato alla vigilia di Pasqua, il ministro degli affari esteri tunisino Taieb Baccouche. Di contro, Benjamin Benson, addetto stampa di US Africom, aveva affermato che le operazioni Usa nello spazio aereo tunisino “sono condotte con l’autorizzazione del governo nazionale”, nel quadro degli “sforzi multinazionali per la stabilizzazione della regione e della lotta al terrorismo e alla pirateria”. Di accordi bilaterali “che riguardano esclusivamente Stati Uniti e il governo di Tunisi” aveva parlato anche il Capo dell’Ufficio pubblica informazione dello Stato Maggiore dell’Aeronautica militare italiana, colonnello Urbano Floreani. “Gli Stati Uniti ci hanno spiegato che le autorità tunisine sono interessate a questo nuovo assetto aereo che può e potrà essere utilizzato per il monitoraggio e la raccolta di dati sensibili e l’interesse della Tunisia è relativo alla possibilità di un suo eventuale acquisto”, aveva aggiunto l’ufficiale. “Il velivolo statunitense sta eseguendo voli sperimentali sulla Tunisia con il supporto logistico della componente della US Navy di stanza a Sigonella. La scelta di Pantelleria è scaturita dalla maggiore convenienza - in termini di tempo di permanenza in volo - rispetto alla più distante Sigonella e alle caratteristiche specifiche dello scalo aereo (le piste sono di dimensioni ridotte), con la possibilità cioè di eseguire atterraggi e decolli più simili a quelli che eventualmente potrebbero essere fatti in Tunisia”.

Realizzato alla vigilia dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, lo scalo di Pantelleria è classificato come aeroporto militare “aperto al traffico civile” ed è destinato al ruolo di deployment operating base (DOB), cioè base per il rischiaramento avanzato dei velivoli in caso di crisi o esercitazioni, sia in ambito militare nazionale che Nato. Attualmente è sede di un distaccamento dell’Aeronautica militare, dipendente dal 37º Stormo di Trapani-Birgi, che fornisce un supporto alle attività dei caccia militari e a quelle di soccorso e ricerca SAR. Il distaccamento era stato inserito inizialmente nel programma di razionalizzazione delle strutture organizzative della difesa, approvato dal governo il 14 novembre 2012. Nello specifico, il piano prevedeva la soppressione a breve termine del presidio dell’Aeronautica di Pantelleria e l’avvio dell’iter di cambio di status dello scalo aeroportuale da militare a civile. “Tuttavia, alla luce del sempre più emergente contesto d’instabilità dei paesi nord africani, che hanno profondamente mutato il quadro geostrategico del Mediterraneo centrale, la Forza armata ha preso atto del rinnovato interesse strategico che il piccolo distaccamento aeroportuale riveste da un punto di vista operativo”, dichiarava nel settembre 2013 l’allora ministro Mario Mauro, rispondendo ad un’interrogazione del Movimento 5 Stelle. “Tali aspetti hanno comportato la rivalutazione del provvedimento di soppressione con la conseguente scelta di attuare una semplice riorganizzazione ordinativa mirata a mantenere in essere le funzioni strettamente necessarie all’impiego strategico del distaccamento”. In realtà la proiezione offensiva dell’isola è stata potenziata: di recente, infatti, sono state ampliate le due piste di volo ed ammodernato il mega-hangar “Nervi”, ricavato all’interno di una collina confinante con l’aeroporto, capace di ospitare sino ad una cinquantina di aerei da guerra.

lunedì 29 giugno 2015

ISLANDA: BALENE A RISCHIO
di Lisa Vickers

In Islanda stanno per dare il via al massacro di 150 balenottere, una specie a rischio estinzione, ma abbiamo trovato il modo in cui un minuscolo paese caraibico potrebbe salvarle, fermando una nave carica di carne di balena che in teoria dovrebbe partire tra 3 giorni. Firma subito e condividi con tutti per aiutarci a convincerli: firma la petizione che troverai in Rete.

Cari avaaziani,
In Islanda stanno per dare il via al massacro di 150 balenottere, una specie a rischio di estinzione. Con le nostre campagne abbiamo già colpito duramente il raccapricciante mercato della carne di balena e ora possiamo fermarli per sempre. Mentre in queste ore i balenieri stanno per partire, l’uomo che ha in mano il commercio della carne di balena sta cercando di spedirne un enorme carico in Giappone. Ma ormai quasi tutti i porti mondiali si rifiutano di accettare navi che contribuiscono a questa strage, e così il trasporto è sempre più complicato: tanto che questa volta basterebbe che il minuscolo stato di St. Kitts & Nevis decidesse di togliere la sua bandiera dalla nave per bloccarla definitivamente! Ed è un’isola isola caraibica che vive di turismo: possiamo convincerli a farlo con un’enorme e improvvisa pressione internazionale.
Ma abbiamo solo 3 giorni prima che la nave riparta.
Anche grazie alla pressione di Avaaz, molte nazioni europee hanno già detto stop a questo commercio vergognoso. Ora possiamo convincere anche il piccolo Stato di St. Kitts. Firma subito e condividi questa petizione con tutti: la consegneremo direttamente al nuovo Primo Ministro, e se non arriverà una risposta in tempi brevi faremo in modo che tutti i potenziali turisti conoscano il ruolo che stanno avendo nella caccia delle balene.

https://secure.avaaz.org/it/days_to_save_whales_loc/?bhvKTcb&v=61121

L’Islanda è ormai uno degli ultimi posti al mondo dove si accetta ancora la caccia alle balenottere, e lì tutto il mercato è praticamente in mano a un uomo solo. Ma grazie alle vittorie ottenute in passato contro questa pratica aberrante, gli affari non gli vanno benissimo e se riusciremo a fermare il carico che sta cercando di spedire in questi giorni in Giappone possiamo davvero farlo andare in bancarotta! E l’idea di fare pressione su uno Stato per fargli togliere la bandiera e bloccare navi che mettono in pericolo l’ambiente ha già funzionato: tutto quello che dobbiamo fare è far montare lo scandalo e l’indignazione in tempo per impedire a questa nave di arrivare in Giappone.
Oltre all’Islanda, pochi altri stati al mondo sfidano ancora i divieti di commercio delle balene. Uno di questi è il Giappone che sta per riprendere la caccia direttamente in una delle principali aree protette dell’Oceano Antartico dicendo che è per “ricerca scientifica”, una scusa debole che è già stata smontata. E anche qui il voto di St. Kitts & Nevis alla Commissione Internazionale sulla caccia alla balena può essere decisivo. Con la nostra pressione su questo piccolo Stato possiamo quindi sia bloccare il carico islandese sia impedire la caccia giapponese!
Ormai la pressione sui balenieri è globale. Potremmo essere a un punto di svolta per fermare per sempre questo commercio e salvare le balene dall’estinzione. Non esiste un modo per uccidere questi maestosi ed enormi animali senza incredibili sofferenze, e assieme abbiamo la forza e la possibilità di mettere fine a tutto questo. Firma ora questa petizione urgente:

https://secure.avaaz.org/it/days_to_save_whales_loc/?bhvKTcb&v=61121

Sappiamo come vincere questa battaglia. Nel 2013 dopo una nostra petizione da 1 milione di firme il governo olandese decise di chiudere i suoi porti alle navi che trasportavano carne di balena. Assieme a Greenpeace abbiamo convinto la Germania a rispedire indietro le navi. Da allora le principali compagnie si rifiutano di trasportare carne di balena. Un pezzo alla volta stiamo rendendo sempre più difficile avere un profitto da questo commercio. Ora serve il colpo finale.
Con speranza e determinazione,
Lisa, Danny, Alice, Ricken, Mel, Nick, Rewan
e tutto il team di Avaaz

MAGGIORI INFORMAZIONI

Giappone pronto a riprendere caccia a balene in 2015 (ANSA)
https://www.ansa.it/web/notizie/canali/energiaeambiente/natura/2015/06/22/giappone-pronto-a-riprendere-caccia-a-balene-in-2015_12d9c786-4fbe-4cf5-80dd-c1e708066248.html

Giappone, nuovo stop al programma di caccia alle balene per “scopi scientifici” (La Stampa)
http://www.lastampa.it/2015/04/14/societa/lazampa/animali/giappone-nuovo-stop-al-programma-di-caccia-alle-balene-per-scopi-scientifici-QUwTm8B03MLZRDFhZdqwPI/pagina.html

L’Islanda riprende la caccia alle balenottere comuni. Uccisi i due primi cetacei del 2014 (GreenReport)
http://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/lislanda-riprende-caccia-alle-balenottere-comuni-uccisi-i-primi-cetacei-2014/

Il Giappone deve giustificare la "caccia scientifica" alle balene (Aska News)
http://www.askanews.it/esteri/il-giappone-deve-giustificare-la-caccia-scientifica-alle-balene_711538882.htm

e in inglese:

L'Islanda sta mandando manda un carico di 1700 tonnellate di carne di balena in Giappone (The Guardian)


The Winter Bay (Vessel Finder - indica dove si trova la nave che sta trasportando la carne di balena e quali Paesi la stanno registrando)

https://www.vesselfinder.com/vessels/WINTER-BAY-IMO-8601680-MMSI-341433000
È OBBLIGATORIO PENSARE
di Fulvio Papi
Fulvio Papi (Foto Fabiano Braccini) 2014
"Archivio Odissea"
Un tempo, quando dalle Università, i giovani pensavano di poter cambiare il mondo con metodi più o meno accettabili, le multinazionali occupavano appunto il mondo con metodi “pragmatici” che raramente rispettavano l’ambiente. Il che dà sempre l’idea di quanto possa essere lontana dalla realtà effettuale, la figura grata, che in maniera immaginaria (che non vuole affatto dire vana, ma, appunto, immaginaria) si può costruire di se stessi e del proprio ruolo nel mondo. Allora capita di sentire ripetere spesso l’arduo sintagma “vietato vietare”. L’ultimo Freud andava in cantina, e la concezione della “libido” con una corsa vertiginosa era la promessa della felicità. D’altra parte non era la prima volta che si credeva possibile la felicità universale, ma allora si era più prudenti perché queste aspettative per lo più appartenevano a un genere letterario. Oggi tra i quattro amici (che, in un altro tempo, giovani più caritatevoli dicevano che “vivevano di ricordi”) talora capita di scambiare la proposizione: nel nostro tempo pare sia “vietato vietare”. Il sintagma può sembrare paradossale in un tempo in cui ogni giorno, nella consuetudine delle varie circostanze, ci scambiamo sempre informazioni che sono un sapere accumulato in anni dalle varie discipline scientifiche e dalle tecnologie che hanno mutato i metodi di lavoro e il modo stesso di stare temporalmente e spazialmente nel mondo. Anzi, siamo molto intelligenti, abili e sapienti. Non c’è azione minimamente organizzata che non richieda queste abilità. In termini dell’antica filosofia siamo veramente “l’intelletto agente”. So benissimo che questo intelletto adopera la “terra” come fosse una risorsa infinita, l’aria come fosse il respiro di divinità immortali, ecc. ecc. Senza aver predisposto alcuna strategia discorsiva credo di aver introdotto almeno un aspetto del “pensare” che nella filosofia greca era l’uomo (l’essere uomo delle poleis) e la natura, e oggi è l’insieme di relazioni che costituiscono il reticolo storico della nostra contemporaneità. Non è che non esista più un oggetto del pensiero, è che è già pensiero saperlo trovare. È tuttavia un oggetto così difficile da tenere insieme, anzi impossibile, che si potrebbe dire che è solo un’idea teorica preliminare per riuscire a pensare. Pensare vuol dire uscire dal guscio nel quale siamo stati messi, con la migliore buona volontà, quando abbiamo cominciato a parlare. Un banale esempio di “pensiero”: tutti sanno che cosa è una mela. Ma il pensiero è esigente e si domanda: che tipo di mela, che tipo di agricoltura, con quale forza lavoro, come arriva sul mercato, quali sono i costi di produzione, quali i profitti relativi alla circolazione, ecc. ecc. Questo esempio è poco più che una banalità. Ma se ci interroghiamo su fenomeni grandiosi del nostro tempo, quali i processi di immigrazione, allora il pensiero è costretto a tenere conto di una pluralità di elementi di fatto: condizioni oggettive, forme di soggettività, sovvertimento di ordini economici e sociali, tradizioni religiose, lavoro, territorio, risorse. So bene che tutto questo lavoro intellettuale (che è pensiero) non cambia per nessuno la sua situazione materiale, ma è indispensabile per affrontare seriamente questo che è un fenomeno di civiltà. Un vero pensiero, quando c’è, aiuta ad uscire da una valorosa buona volontà. È il suo naturale sviluppo. Per chi invece ritiene che il mondo sia fatto di spazi privati, vale la formula “vietato pensare”. E non si può dare loro del tutto torto perché pensare un problema non vuol dire “guardare” il problema, ma talora mettersi in gioco nel problema stesso. E questo, al fine, può essere anche molto difficile. Tuttavia penso che, con i prossimi diversi equilibri del pianeta, sarà una condizione di civiltà che chi verrà dopo di noi dovrà affrontare. L’immigrazione, in questa prospettiva, è solo un prologo.  
MONTE STELLA E GIARDINO DEI GIUSTI


CARO SINDACO TI SCRIVO…
La lettera che qui pubblichiamo è stata mandata al Sindaco di Milano e alla sua Giunta. Risponderà? Dirà qualcosa di pubblico? Finora non l’ho ha fatto, come non ha risposto alle domande che “Odissea” gli ha posto già da qualche tempo. Quelle domande e quell’intervista le rendiamo pubbliche ora, sotto questa lettera. C’è lo spazio bianco con le risposte che attendiamo dal nostro Sindaco.

Caro Sindaco Pisapia,
le mandiamo tre cartoline che potrebbero entrare in un ideale portfolio che documenti la bellezza, più o meno segreta, della sua città. Che è anche la nostra e di tutti gli altri milanesi.
Tra poco questo luogo pubblico verrà radicalmente trasformato con muri (che richiedono fondazioni), totem (le parole contengono sempre una verità: qui il termine rivela un intento pubblicitario/comunicativo) e persino un teatro all’aperto. Compiuto questo passo è assai probabile che ne vengano altri. Che il luogo trasformato dall’intento pubblicitario/comunicativo per una nobile causa diventi sede di bivacchi e rave party, con conseguente rapido degrado. La risposta, non meno probabile, sarà la sua recinzione. Due le conseguenze: 1) i cittadini di Milano verranno privati di un luogo mirabile; 2) un capolavoro di moderna architettura del paesaggio -il Monte Stella, questo il nome del luogo- verrà privato della sua unitarietà e organicità, fatta di connessioni tra le balze, di richiami, di trasparenze e vedute prospettiche.
«Pochi sono i monumenti dell’architettura moderna; pochi soprattutto quelli che hanno un significato che va oltre la loro qualità tecnica [...]. Certamente due a Milano: il Monte Stella di Piero Bottoni e la Torre Velasca dei Bbpr. Piero Bottoni [...] trasforma un programma in una grande architettura: il Monte Stella». Così scriveva Aldo Rossi nel 1985.
Il progetto a cui la sua Giunta ha appena dato il via libera è un modo sbagliato per servire una nobile causa che sta a cuore a lei, come alla stragrande parte dei cittadini di Milano. E che certamente sta a cuore agli oltre 2000 cittadini che hanno sottoscritto un appello per la difesa del Monte Stella; così come sta a cuore ai 255 intellettuali e professionisti che hanno sottoscritto un analogo appello (documenti e firme che a giorni le verranno recapitati).
Il Giardino dei Giusti chiede più visibilità? Lo si dislochi nella parte orientale di Piazza Fontana (quella irrisolta prospiciente il palazzo che ospita il Comando dei vigili): lì, traendo ispirazione da un vecchio progetto di Gino Pollini, può sorgere una piantata regolare di ciliegi da fiore. Per rimarcare il valore simbolico basterebbe un nome e una stele. Troppo complicato? Gli si dedichi la Biblioteca degli alberi a Porta Nuova. Ma si rispetti il Monte Stella, memoriale/sacrario di Milano 
-carne e ossa della città distrutta dalla guerra- che il suo progettista ha voluto come un simbolo di ritorno alla vita. Cordialmente.
Giancarlo Consonni
Graziella Tonon
Direzione scientifica dell’Archivio Piero Bottoni, Politecnico di Milano



Alla cortese attenzione dell’avv. Giuliano Pisapia, Sindaco di Milano

Gentile sig. Sindaco,
questa lettera perché continuano ad arrivare alla Redazione di “Odissea”, giornale che dirigo da diversi anni, e sul quale scrivono prestigiose personalità italiane ed internazionali, lettere allarmate e lamentele sulla vicenda del Monte Stella. Comitati e cittadini (assolutamente non ostili alla sua Amministrazione e alla sua Giunta) ritengono che la scelta di fare un intervento invasivo nel parco, seppure meritorio come quello di rendere più evidente il Giardino dei Giusti, ne snaturerebbe significati e simboli. Stanno anche approntando una lettera a lei e alla città per una raccolta di firme che in seguito le verranno consegnate, perché venga bloccata la decisione. Sotto quelle zolle ci sono le macerie, il dolore e le memorie di tante vite dei milanesi e della loro città.

Il Monte Stella è: luogo di memorie sacro ai Milanesi, monumento storico-architettonico di altissimo valore simbolico, creato dall'architetto Piero Bottoni con le macerie della guerra.
Il Giardino dei Giusti è ospitato sul Monte Stella dal 2003 con un regolamento che ne raccomanda la cura e la conservazione della connotazione originaria.
Chiediamo quindi di impedire la realizzazione dell'attuale progetto di trasformazione del Giardino dei Giusti in una “imponente opera a sé stante” in contrasto con il parco che la ospita, vi si sovrapporrebbe, sottraendone l'alta e sacra simbolicità che il Monte Stella rappresenta per tutti i Cittadini Milanesi”. (dott. Francesco Saverio Lanza Comitato Bonola).

Il Giardino così come è non ha bisogno di nessuna aggiunta, né manomissione, né trasformazione. Deve essere lasciato allo stato attuale che è pieno di poesia e di incanto. Il progetto di ristrutturazione finanziato da Gabriele Nissim detto ipocritamente di "riqualificazione", distrugge il Giardino. Ecco la ragione della comprensibile protesta sollevata dagli abitanti delle zone affezionati ad un amato luogo che hanno visto fiorire e crescere ricco di verde e di alberi.”
(dott. Jacopo Gardella - architetto e urbanista).


Potrei continuare sottoponendo alla sua attenzione, una marea di lettere di questo tenore, ma sarebbe noioso e ripetitivo. In qualità di scrittore ho dedicato a questa città un certo numero di libri:
1. "Milano la città e la memoria"
2. "Poeti per Milano"
3. "Milano in versi"
4. "Milano città narrata" (ben 4 edizioni. Questo volume è stato presentato anche in Galleria, all'Urban Center del Comune di Milano, ed è tuttora fra i più venduti in città). Senza contare un romanzo, ben 5 libri di racconti (tutti ambientati a Milano e fra le sue vie e strade) e la tonnellata di articoli, in difesa di luoghi, palazzi storici, tradizioni, memorie e quant'altro. In età molto giovane il Comune di Milano mi diede un premio (cerimonia nella Sala dell'Orologio) per la mia sensibilità verso i problemi della città, e qualcuno voleva proporre il mio nome per l'Ambrogino d'Oro con la motivazione di aver scritto "la più bella poesia di un non milanese dedicata a Milano". Ma il più bel premio per me è prendersi cura della città e difenderla, il resto non conta. Si deve anche alle battaglie civili di "Odissea" che dirigo da circa 12 anni, se ci siamo liberati da un'amministrazione pessima come quella della Moratti; e si deve a "Odissea" se è stato rimosso l'amianto da alcune strutture pubbliche: Policlinico, Uffici comunali di via Larga, e così via. Ma sono tante le battaglie culturali e civili che ci vedono attivi da sempre. Personalmente ho partecipato alla manifestazione da lei e dalla sua Giunta indetta per ripulire il pezzo di città sfigurata dagli episodi del 1° Maggio, e ho sfilato da Cadorna fino alla Darsena, per unire la mia voce alla protesta: Nessuno tocchi Milano. Credo in questi oltre 40 anni di vita a Milano, di avere espresso il mio amore verso la nostra città, in maniera pubblica e continua; dunque in ragione di ciò le chiedo di rispondere alle domande qui allegate, per tranquillizzare i numerosi cittadini che si sono rivolti a noi e sforzarsi di trovare un’alternativa. Queste domande e risposte saranno pubblicate sulle pagine di “Odissea”, in modo che il quartiere e i cittadini milanesi ne possano venire a conoscenza. Ecco le domande.

Gaccione: Qual è la sua posizione e quella della sua Giunta su questa questione?

Pisapia:

Gaccione: Non ritiene che sarebbe utile convocare i cittadini della zona interessati e i rappresentanti dei vari comitati, per un incontro chiarificatore a Palazzo Marino? È sempre estremamente importante per un’Amministrazione democratica entrare in sintonia con i suoi amministrati evitando conflitti e fraintendimenti.

Pisapia:

Gaccione: Personalmente ritengo che un parco pubblico ha già la sua vocazione: accogliere alberi e piante; magari sostituendo quelle malridotte, ammalate, o che il vento butta giù, perché resti sempre bello, decoroso e accogliente. Il Monte Stella è bellissimo e si potrebbe continuare a dedicare agli uomini e alle donne che si sono comportati da Giusti e da Umani, nuove piante come è avvenuto finora, arricchendolo di volta in volta. È d’accordo?

Pisapia:

Gaccione: l’idea di Gabriele Nissim e della Gariwo, non potrebbe essere realizzata in uno spazio diverso? Per esempio si potrebbe suggerire di adottare uno dei tanti muri degradati della città, per  recuperarlo mediante l’intervento gratuito di singoli artisti e sotto la direzione di un bravo architetto.  Ciascun artista si impegnerebbe a creare una mattonella su cui verrebbe inciso il nome del Giusto, e che poi verrebbe murata su quella superficie con una cerimonia pubblica. Diventerebbe visivamente una soluzione molto affascinante, ed avrebbe il merito di recuperare dal degrado uno spazio cittadino. Ci sono stati di questi interventi in varie città: Berlino, per esempio; ma anche in Calabria dove un lungo splendido muro dedicato alla poesia, attira ogni anno migliaia di visitatori. Quello qui suggerito sarebbe esclusivamente dedicato ai Giusti, e organizzato secondo i modi ritenuti più idonei. Cittadini benemeriti potrebbero adottare il muro e anche prendersene cura. Come scrive Licurgo nella sua requisitoria “Contro Leocrate”, “L’amministrazione di una città consiste nella custodia che ciascuno ne fa per la sua parte”. Lei crede che questa potrebbe essere una buona soluzione da sperimentare? E non potrebbe essere anche utile sentire dagli abitanti del luogo qualche loro proposta diversa? So che alcuni hanno pensato di trasferire il progetto Nissim dal posto dove adesso si trova il Giardino dei Giusti in un posto vicino abbandonato e squallido, occupato dai frammenti di asfalto di una strada non più usata. Molte sono le interessanti alternative proposte o proponibili per continuare l’esempio dato dal Giardino dei Giusti, salvo quella davvero deplorevole di snaturare e cancellare per sempre il suo felice aspetto attuale.

Pisapia:                             

Nel ringraziarla per la sensibilità e la disponibilità, voglia gradire questo piccolo omaggio* alla nostra città. Cordialmente.
Prof. Angelo Gaccione
* Si tratta di una poesia su Milano








domenica 28 giugno 2015

L’Europa delle autonomie locali
di Giovanni Bianchi


Miliardi
In Italia, secondo una stima di Piero Fassino e dell’Anci, sono 17 i miliardi  pagati dai Comuni allo Stato dal 2010 ad oggi. Per un Paese che si interrogava su come rendere più federalista la propria Costituzione non può dirsi che non sia una imprevista curva a U. Disallineamento dunque tra le riforme e il ruolo (di pagatori) dei Comuni. Disallineamento dei territori rispetto al governo. Per questo un tema permanente, anche se sottaciuto, è quello che riguarda nelle riforme istituzionali il ruolo degli enti locali. E non dubito che la transizione infinita risulti da questo punto di vista semplicemente devastante. Con una assoluta incertezza circa le riforme amministrative e i loro tempi: a sincopi e singhiozzi. Così diventa sempre più difficile rispondere alla domanda sociale dei cittadini. Perché a livello amministrativo gli italiani si presentano come cittadini, mentre a livello nazionale si presentano come consumatori renitenti al voto. Per questa ragione il "tono" dei sindaci italiani si è fatto tutto rivendicativo, per non dire arrabbiato. Tornano allora in campo idee sagge e strampalate circa la riforma degli enti locali e dei consigli comunali sotto i 1000 abitanti. Un principio va comunque non dimenticato: le riforme sono partecipate e condivise, o non sono. La cosa incredibile della politica italiana degli ultimi decenni è che il movimento "vincente" dei sindaci abbia imboccato la prospettiva della centralizzazione. Come a dire che le spinte "epocali" la vincono sulle residue resistenze della democrazia. Che cioè è una spinta da sopra e da fuori del sistema a indurre un “comando” al quale anche le figure che dovrebbero risultare più attente alla partecipazione non sanno resistere.

Le elezioni
Eppure l'osservazione dei dati dovrebbe confortare una presa in carico del discorso delle autonomie. Nelle ultime elezioni amministrative infatti c'è stata più affluenza di elettori dove si votava anche per i Comuni oltre che per le Regioni. Mentre un cittadino su sei di quanti avevano votato alle precedenti regionali non si è presentato al seggio. Insomma, nel Bel Paese il glocale non l'ha ancora vinta sul locale. E udite! In Francia non si danno fusioni di comuni, ma associazionismo intercomunale che va avanti dagli anni Ottanta del secolo scorso. Al di là delle geometrie e delle formule ritorna anche su questi piani e in questa chiave il dilemma epocale: se il ceto politico ed amministrativo intenda governare il mondo, oppure la sua rappresentazione. Detto alle spicce: i problemi dei cittadini-consumatori, o le loro emozioni. Va anche detto che emerge soprattutto in Europa quanto sia stretto il legame tra democrazia e welfare, e quindi tra democrazia e riforma del welfare. Assistiamo invece da tempo a una fase di ritorno all'accentramento, come ai tempi nei quali si aveva l'abitudine napoleonica di misurare la distanza di una circoscrizione locale su una giornata a cavallo. Le comparazioni sono sempre di qualche utilità e quindi guardare alle cifre d'oltralpe può suggerire qualche prospettiva. In Francia ci sono 38.500 comuni, dei quali 34.000 sotto i 3500 abitanti. Questo dunque sul territorio il modello napoleonico. I fatti sono sempre più eloquenti delle ideologie e delle reminiscenze, che non hanno l'abitudine di confrontarsi con i fatti. Ma ecco il "fatto nuovo": la crisi economica. Bisogna talvolta partire, per risultare chiari e realistici, da qualche banalità. E la banalità che propongo è che non si possa considerare -anche per i non marxisti- la crisi un "fatto naturale". Osservazione che significa che per intenderne gli effetti anche la crisi va analizzata criticamente.

L’analisi critica
Non ci vuole soltanto l'analisi critica dei modelli amministrativi. Ci vuole anche l'analisi critica della crisi economico-sociale, delle sue cause dei suoi effetti. Questa critica, quando viene esercitata, è la causa della differenza di ruolo e udienza del Papa rispetto ai politici.
Il Papa assume l'aumento delle disuguaglianze come punto di vista. I politici italiani invece sembrano prendere le mosse dalla velocizzazione necessaria dei processi di governabilità, con l’intenzione di rispondere in tempo reale, si fa per dire, alla velocità di caduta delle tecnologie e della civiltà in generale. Quel che si dice preferire la governabilità alla democrazia e, se è il caso, "risparmiare democrazia" e i suoi tempi in nome della governabilità.
È per questo che un Papa, totalmente evangelico e impolitico, sembra essere più politicamente lucido dei politici e proporre e fare più politica di loro. Al confronto i politici sono piazzisti (ribadisco che il termine non è mio ma di Hannah Harendt) che si impegnano in uscite pubblicitarie. E invece basterebbe tener conto della circostanza che la crisi economico-sociale non è né il Vesuvio né il lago di Garda. Si è fatto drammatico il rapporto tra welfare (non solo municipale) ed enti locali. Questo processo influisce sul modello amministrativo più di quanto il modello amministrativo influisca sul welfare. Non basta dire che le crisi economiche (e sociali) lasciano una traccia. Devi decidere se guardare alla crisi del welfare dal punto di vista della crisi del modello amministrativo, o viceversa. Si sente dire: "Siamo messi di fronte a uno Stato più interventista"...
Perché, e a nome di chi? Non è pensabile lo Stato e in particolare lo Stato europeo a prescindere dal welfare. In nome di che cosa moltitudini di migranti sfidano il Mediterraneo e la morte se non per approdare in un continente dove le libertà della persona sono garantite dal welfare? La crisi infatti, si dice, "seleziona le domande".
Qui si apre il confronto tra le tesi e la visione di Klaus Offe e le tesi e la visione di Niklas Luhmann. Bisogna ancora una volta scegliere con che libro stare e da che parte stare. Offe versus Luhmann. Secondo il professor Pastori della Cattolica di Milano l'ente Regione doveva avere visione di governo di tutto l'ordinamento amministrativo. E Franco Bassanini si spinse a immaginare un federalismo amministrativo a Costituzione invariata.
Ma torniamo al confronto tra Offe e Luhmann. Perché stare con Offe? Perché così la pensa anche Amartya Sen. E perché altrimenti c'è il rischio paventato dal mio ineffabile compagno di banco al liceo Zucchi di Monza che, con buon senso strettamente brianzolo e immaginazione davvero metafisica, aveva l'abitudine di ripetere che il rischio è quello di "prendere la vacca dalla parte delle balle".

Un quesito aperto
Il quesito infatti resta aperto: è possibile pensare l'amministrazione  e le sue forme, pensare politiche e cittadinanza, e democrazia europea, a prescindere dal welfare? Vien proprio da dire, conclusivamente, che se l'Europa è esausta è perché è esausto il suo welfare.
A rincalzo e a rinforzo di questa ipotesi o tesi, non mi fossilizzo sul termine, arruolo al mio discorso l'ultimo libro di Giuseppe Berta. Un libro su La via del Nord. Libro strano, a detta di Michele Salvati, perché ripercorrendo le orme e i dati di un libro di sette anni fa, arriva questa volta a conclusioni affatto diverse e certamente non ottimistiche.
Cosa ha fatto cambiare la lettura e l’umore di Berta? Quel che mutato è evidentemente e anzitutto il punto di vista dello scrivente. Il Nord cioè appare dal punto di vista produttivo e sociale in una condizione di stallo. Sette anni fa nel libro si parlava di metamorfosi; oggi si parla di declino. Con il rinforzo di una presa di posizione sull'ultimo numero della rivista "il Mulino" dove Beppe Berta chiarisce le ragioni per le quali la politica non lo interessa più. Ed ha anche la buona grazia di osservare che preferisce la complessità ai modelli, e che non si astiene dal portare a supporto delle proprie posizioni anche materiali letterari.

Gli stimoli inadeguati della politica
È dalla politica che sarebbero dovuti venire gli stimoli. Quali ostacoli  che hanno indotto allo stallo presente? Berta sostiene che oltre alla psicologia politica è entrata in azione in lui una diversa valutazione delle cose e dei dati. La Milano che conosciamo ad esempio gli pare determinata dall'enorme e potente base del circuito che ha tenuto insieme edilizia, banche e assicurazioni. Come a dire che il dominus e il vero artefice di questo sistema milanese ha nome Salvatore Ligresti. Approfondendo ed estendendo il discorso si deve dunque dire che nel Bel Paese gli interessi esistenti paralizzano gli interessi in formazione. Si tratta di un celebre giudizio di Luigi Einaudi. Sostiene Berta che c'è da chiedersi come mai due valenti uomini politici torinesi come Fassino e Chiamparino non abbiano cambiato la lobby massonica nella città della Mole. Così pure per Berta le medie imprese risultano non avere nerbo perché dovrebbero saldarsi con le grandi imprese, mentre l'operazione si è fatta impossibile dal momento che le grandi imprese si sono trasferite all'estero. È come se gli italiani avessero sparato tutte le cartucce negli anni Sessanta, fino a restarne privi. Manca da noi il lungo respiro del capitalismo, quello che per esempio ha condotto al top i 49 milioni di abitanti della Corea del Sud, assoggettati a un regime certamente non democratico.
Secondo Giuseppe Berta la partita dell'Italia si è giocata e persa tra il 1975 e il 1985, tra politica e amministrazione. Come al solito, problema di classe dirigente. E problema del Mezzogiorno. Carlo Farini, appena sbarcato, in Sicilia scrive che il nostro Mezzogiorno è peggio dell'Africa... E adesso pover'uomo?  Adesso non è che non ci sia più il Nord: non c'è più l'Italia. Gli 80 euro in busta con i quali Renzi stravince le elezioni europee non sono un provvedimento socio-economico: sono Via col vento a reti unificate.
E invece le politiche industriali si declinano localmente, o non sono. E in Italia sono troppo pochi i sindaci che intendono fare il sindaco veramente e a lungo; è invalsa oramai l'abitudine di considerare ogni carica come un trampolino per quella successiva ritenuta più alta.
Si tratta di mettere di nuovo in contatto l'imprenditorialità con le sue fonti di finanziamento e con i progetti politici ed amministrativi. Un contatto che richiede che i progetti ci siano.
Per questo l'Europa senza welfare e senza partecipazione amministrativa (oltre che senza progetto politico) è un'Europa esausta.


  
MONTE STELLA E GIARDINO DEI GIUSTI
A ciascuno di noi sta a cuore il Monte Stella e il “Giardino dei Giusti” che vi risiede. I lettori di “Odissea” da qualche tempo stanno seguendo il dibattito su queste pagine, attraverso le interviste e gli scritti dei Comitati e singole personalità che stiamo ospitando. Il confronto prosegue, in maniera civile e costruttiva, come dimostrano anche i due scritti qui riprodotti.
Nel ringraziare pubblicamente gli autori, “Odissea” ribadisce la sua disponibilità di tribuna libera, per quanti vorranno dare il loro contributo di idee e di fattiva progettualità. (A.G.)  

***
Con amor di trasparenza e di verità
di Stefano Levi Della Torre
Stefano Levi Della Torre
Riguardo alla controversia su Monte Stella e Giardino dei Giusti preciso quanto segue:
L'arch. Meneghetti ha correttamente diffuso la sua lettera e la mia risposta, avendo richiesto e ricevuto il mio permesso. Io ho avuto la scorrettezza di non rivedere le mie parole, visto che dovevano essere diffuse. Ho scritto che il progetto dovrebbe essere "ritirato", ma smentisco me stesso: in realtà quello che penso è che il progetto di Valabrega debba essere visto da chi non l'avesse ancora fatto e malgrado ciò ha preso posizione in proposito;  che il progetto è stato già discusso in varie sedi, che in base a tali confronti già avvenuti è stato modificato e alleggerito, e che, dopo ciò, il progetto debba e possa essere ulteriormente discusso e rivisto.
Penso che il sito del Giardino debba restare quello su cui è già impiantato da molti anni, radicandolo ormai come tradizione; che il Giardino non debba essere relegato in luogo pudico e discreto, ma debba al contrario essere percepito da chiunque fruisca di Monte Stella; che il Giardino non abbia da essere solo un luogo silenzioso di rimembranze, ma un luogo in cui si svolgono  delle attività di trasmissione di conoscenze e discussione, e debba essere attrezzato per queste funzioni. Inoltre penso che il Giardino, per la rilevanza che ha assunto sul piano cittadino ed europeo ad opera meritoria del Gariwo, debba assumere un'immagine, non chiusa ma distinguibile, che peraltro ribadirebbe il significato simbolico originario, pensato da Bottoni, dello stesso Monte Stella, significato logorato dall'abitudine passiva alla semplice esistenza del Monte. Dunque penso alla necessità del progetto, e di un progetto che tenga  conto di questi due versanti, quello delle attività e funzioni e quello dell'immagine simbolica, in coerenza con la qualità, la fruibilità, il significato complessivi di Monte Stella. Penso che la proposta di devolvere agli immigrati le risorse inerenti al progetto sia involontariamente un ricatto moralistico, peraltro riferibile a qualunque iniziativa culturale: come se il Giardino dei Giusti non fosse uno dei luoghi volti a promuovere una mentalità e un senso comune aperto all'accoglienza e alla solidarietà: mentalità e senso comune violentemente osteggiati in Italia e in Europa, e dunque tanto più necessari oggi di fronte alla tragedia storica dell'immigrazione. Penso che la controversia in corso offra in positivo l'occasione per affrontare argomenti di una tale importanza civile, culturale e politica, e che sarebbe uno spreco che essa venisse vanificata dall'attuale irrigidimento delle posizioni. Per questo ritengo necessario riprendere la discussione, depurandola da sospetti ipotetici e suscettibilità private, con lo sguardo alle cose più importanti.
*** 
Non tradire l'idea originaria
di Giancarlo Cosonni e Graziella Tonon 

G. Consonni
G. Tonon
Caro Stefano,
è troppo forte il sentimento di amicizia che ci lega, per non risponderti.
Vediamo che anche tu, per sminuire la forza del dissenso utilizzi questa formula: che il progetto «debba essere visto da chi non l'avesse ancora fatto e malgrado ciò ha preso posizione in proposito». Cosa ne sai tu di come sono state raccolte le firme? Potremmo a nostra volta dire del modo, questo sì documentabile, di come sono state raccolte le firme tra i banchi dei consiglieri comunali (“Sei per il Giardino dei Giusti?” “Sì”. “Allora firma”). Ma dove porta una polemica che tende a dare dello sprovveduto a chi dissente?
Tu ci hai invitato in pubblico e in privato alla moderazione. Se non fosse venuto da te, avremmo respinto l’invito al mittente. Abbiamo solo portato ragioni e motivazioni e se abbiamo usato la parola “ridicolaggine” è a proposito dell’idea della “Stanza delle macerie” che il progettista intendeva mettere in un parco, il Monte Stella, che è fatto di macerie, carne e ossa della città di Milano massacrata dalla guerra. Volevamo indicare a quali insulsaggini possa arrivare la deriva comunicativa che trasforma il sacro in messaggio. Che si affida a un immaginario fatto di muri (!) e di totem (!).
Di tutto questo tu sei un esperto e puoi dirci se ridicolaggine e insulsaggini sono parole fuori luogo.
Ma qui, caro Stefano, si è andati oltre, molto oltre (un oltre su cui tu taci).
Gabriele Nissim nel suo ultimo messaggio usa termini come "decadimento” e “degenerazione politica". Sono parole che pesano come macigni. Stentiamo a capire chi sia il bersaglio dell'invettiva. Sono i 235 intellettuali e i 2.000 (duemila) cittadini che in questi giorni hanno firmato appelli per la difesa del Monte Stella? Se è così, trasecoliamo. Bollare come sintomo di "degenerazione politica" la presa di posizione di persone che hanno un pensiero diverso dal proprio (su un progetto di trasformazione radicale di un luogo amato dai cittadini e già ottimamente configurato) fa tristezza. Così come fa tristezza vedere una persona che, per aver promosso una splendida realizzazione come quella del Giardino dei Giusti, ritiene, grazie a un accordo con l'Amministrazione comunale, di poter disporre a piacimento di un bene comune.
Per porre un argine a questa irresponsabile deriva su ArcipelagoMilano
http://www.arcipelagomilano.org/archives/38782
abbiamo anche indicato una proposta di festa cittadina per il Monte Stella e il Giardino dei Giusti, in cui i valori che questi due monumenti (antimonumentali) rappresentano vengano celebrati insieme, fugando fantasmi agitati irresponsabilmente (si veda, tra il resto, ad esempio:
http://www.ilpost.it/francescocataluccio/2015/06/23/giardino-dei-giusti-milano/)
Cui prodest?
Trasformare il delicato Giardini dei Giusti fin qui realizzato in uno spazio della comunicazione crediamo sia un tradimento della splendida idea originaria. Lo si vuol fare? Non siamo certo noi che possiamo impedirlo (anche se insistiamo nel consigliare un’altra strada: tenersi leggeri, conquistare i cuori e le menti in modo congruente con la tragedia che si vuole che non sia dimenticata).
Ma se si insegue una maggiore visibilità (con modi che rasenta la pubblicità), perché questo discutibile cambio di rotta deve essere imboccato a spese di un luogo mirabile?
Il Monte Stella è:
1) un bene comune;
2) un capolavoro del disegno del paesaggio contemporaneo;
3) un simbolo duplice: è insieme il memoriale della città di Milano massacrata dalla guerra e un messaggio di pace.
4) il luogo dove è sorto il primo Giardino dei Giusti.
I valori simbolici di cui ai punti 3 e 4 sono perfettamente convissuti fin qui, nel rispetto dell'architettura del Monte Stella, voluta e ideata da Piero Bottoni.
Ora, inseguendo un potenziamento della visibilità e della comunicazione, Gariwo vuole cambiare pagina: punta a segnare pesantemente l'intera seconda balza a sud-est del Monte Stella che guarda verso il QT8. Il risultato - l'abbiamo detto e ridetto - sarà un'esposizione di quel luogo ai vandalismi di ogni genere da cui il degrado e alla fine la risposta prevedibile: un'alta recinzione contro vandalismi e degrado e, infine, la perdita per la città di uno splendido luogo pubblico.
Il Giardino dei Giusti sta a cuore a noi non meno che a Gariwo.
Per questo ci permettiamo di avanzare una controproposta.
Ti ricordi del progetto per piazza Fontana di Gino Pollini? Se non l'hai presente, lo riassumiamo in due parole: una piantata regolare di ciliegi da fiore per risolvere la parte inconclusa della piazza (quella a oriente verso l'ex Palazzo di Giustizia, ora sede del Comando dei vigili urbani). Quello per noi è un luogo appropriato per il Giardino dei Giusti. Sempre che si rispetti il progetto di Pollini e non lo si voglia marcare con muri, muretti, totem ecc. o altra segnaletica: bastano i ciliegi e il nome. Anche perché nessun muro sarà mai lungo abbastanza per accogliere i nomi dei giusti del mondo.
Con l’amicizia di sempre
Giancarlo Consonni
Graziella Tonon