Pagine

sabato 20 giugno 2015

EXPOLIAZIONE
La Food policy milanese.
Un’altra carta che Expo regala ai posteri.
di Emilio Molinari

In questi appunti per una discussione pubblica, redatti in preparazione del Convegno Internazionale che si terrà a Milano nelle giornate di venerdì 27 e sabato 28 giugno 2015, Emilio Molinari mette a fuoco una serie di ragioni ineludibili e che sono mille miglia distanti da quanto il rutilante e fantasmagorico circo dell’Esposizione Universale ci ha proposto. Queste riflessioni indicano la nervatura indispensabile per una Carta dei popoli autentica, che metta al centro i bisogni dell’umanità, del suo sostentamento, della cura dell’habitat di cui è parte integrante e delle sue risorse nobili: cibo, acqua, aria, suolo. Il modo di riconsiderare queste risorse e la loro distribuzione egualitaria, non hanno nulla in comune con le linee politiche disegnate dalla cosiddetta Carta di Milano. Questi appunti sono un ottimo punto di partenza per un dibattito serio e propositivo.    

La locandina del Convegno Internazionale

Expo sforna un'altra carta oltre quella di Barilla/Renzi. È la carta per fare di Milano la città del cibo lanciata questa volta dal Comune di Milano e dalla Fondazione Cariplo e scritta e “ragionata” da un comitato di esperti dell'associazionismo di sinistra. 24 pagine impegnative corredate da tanto di grafici consegnate Sabato 9 Maggio alla consultazione pubblica delle zone di Milano dopo di che sparita dalla circolazione.
Uno dei tanti espedienti per dare una cosmesi all'inutilità di Expo. Molte parole specialistiche prese a prestito dal linguaggio degli esperti di sinistra e delle associazioni e alcuni concetti corretti e cose condivisibili.
Ma l'insieme è un qualcosa che nulla a che vedere con una vera Carta che seccamente definisca impegni concreti e soprattutto alternativi alle scelte che hanno determinato, e determinano tuttora, lo sviluppo di questa città, il suo rapporto con il suo territorio circostante, la campagna, l'acqua, la grande distribuzione ecc. Il documento è solo una “cosa” difficile per una consultazione che non sarà mai ne pubblica ne partecipata.
Intanto Expo diventa ogni giorno di più una fiera e una rassegna gastronomica, una festa, che alimenta nei cittadini l'indifferenza per le cause del disastro alimentare, sociale, ambientale che le multinazionali in vetrina in Expo hanno determinato e che loro per primi subiscono chiusi e indifferenti (in senso gramsciano, al grido della Terra e dei poveri di cui parla l'enciclica di Papa Francesco e a ciò che avviene alla stazione centrale).
Dentro a queste 24 pagine si perde il filo del disegno di quale città vogliamo e gli intenti di una politica del diritto al cibo nella città metropolitana.
Nelle 10 domande poste:
Governance - Milano dialoga con la città
Educazione - Milano educa al cibo
Sprechi - Milano riduce e trasforma
Accesso - al cibo Milano nutre tutti
Ambiente - Milano riduce gli impatti
Agroecosistema - Milano cura della sue terra e la sua acqua
Produzione - Milano genera qualità
Finanza - Milano investe sul cibo
Commercio - Milano alimenta le relazioni
Non c'è una riflessione su come dare una sterzata al modello di sviluppo della città che ha avuto ricadute drammatiche sull'agricoltura e sulla salubrità del territorio, sull'acqua, sul piccolo commercio e soprattutto non si fa i conti con quanto ha espresso ed esprime ancora la politica la quale va nel senso della continuità con il passato. Non si sente che Milano è al centro di un bacino (Lambro Seveso Olona) dichiarato dalla UE area di disastro ambientale. Che è al centro di una delle aree mondiali con le più alte emissioni di inquinanti e gas serra del mondo. Che le prime falde sono state abbandonate perché irrimediabilmente inquinate. Che è un’ area in Europa tra le più alte nella cementificazione che ha divorato campagne, fontanili, rogge e canali e che Expo ha aggiunto a questa realtà 1 milione di mq e che in prossimità di questi ad Arese, si vuole fare il Centro Commerciale più grande di Europa.
Che è la città in Europa con meno verde.
Che la distribuzione del cibo e delle merci è affidato quasi totalmente alla grande distribuzione, e ai centri commerciali.
Nella Carta non si sente questa consapevolezza e quindi non si sente la volontà del cambiamento.
Si resta nel minimalismo e vengono inseriti degli abbellimenti.
1.l'educazione del popolo a mangiare sano, (come se fosse solo un problema di ignoranza e non di reddito e di pubblicità consumistica).
2.lo spreco e il risparmio (come se fosse responsabilità delle famiglie, senza prendere atto che si produce di più di quanto siamo in grado di consumare le ragioni dell'economia spingono a produrre e consumare sempre di più).
3.La carità, gli avanzi recuperati per i poveri.
4.La qualità del cibo ovvero il made in Italy nel quale occorre investire perché produce ripresa e commercio.
Nella sostanza la Food Policy milanese parla alla città che sta bene, ai suoi consumi, parla di buone pratiche non disegna la città del cibo e dell'acqua come si vorrebbe far credere.
La cartina di tornasole di ciò è che:
Nella Carta l'acqua è quasi completamente ignorata. Si accenna solo alle casette dell'acqua che si perdono di fronte a Nestlè e allo statuto della città metropolitana che su richiesta del movimento, dichiara che l'acqua è un diritto umano. Ma appunto cose minimali e petizioni di un principio.
Si ignora che: L'acqua è l'alimento principale e l'acquedotto è la struttura centrale della vita di una città cui va riservato il massimo dell'attenzione e della cura.
L'acqua potabile, diversamente dal cibo, dipende istituzionalmente e totalmente dai comuni e dalle città metropolitane.
Non che il cibo non abbia a che fare con i compiti dei comuni, ma riguarda prevalentemente le refezioni scolastiche.
L'ortomercato, il macello e il mercato del pesce sono ormai marginali o inesistenti. Una volta c'erano i mercati comunali in ogni quartiere, c'era la centrale del latte ecc. Veri e propri strumenti del comune, piattaforme per i coltivatori e gli allevatori dell'area milanese. Sono stati liquidati brutalmente dalla furia privatistica.
In ogni azienda c'erano gli spacci aziendali anche questi liquidati.
Oggi tutto ciò dovrebbe essere oggetto di riflessione ed entrare nella food policy.
Ma torniamo all'acqua.
È incomprensibile la mancanza di impegni del comune e l'indifferenza di tante associazioni che hanno dato vita ad Expo dei Popoli, nel dare concretizzazione al diritto alla buona e sana acqua in una città come Milano dalla quale è partito il movimento dell'acqua in Italia e la grande partecipazione dei cittadini ad un referendum.
Fare di Milano la città dell'acqua e del cibo è cosa ben diversa.
Vuol dire destinare un’ area di Expo per farne la sede dove i movimenti contadini, le municipalità del mondo, i governi dei paesi in via di sviluppo le aziende pubbliche dei servizi idrici possono incontrarsi dar vita ad iniziative, progettare il futuro ecc.
Non vogliamo solo fare critiche ma fare proposte
Una Water policy delle città, deve voler dire,
un patto tra sindaci e cittadini per una rivoluzione dell'acquedotto per:

-Definire l'acqua potabile il cibo base, che va garantito dal Comune a tutti sano e nella quantità per una vita decente.

-Mettere in sicurezza l'acqua da ogni possibilità di privatizzazione del servizio idrico. Anche a Milano finché gestita da una SPA in house non è esente da simili pericoli. Inoltre le politiche governative vanno tutte in questa direzione.

-Promuovere una politica che dia la priorità alla fiscalità generale per riparare e migliorare gli acquedotti (l'esercito e gli F35, la Tav e Expo stessa, sono pagati dalla fiscalità generale) Perché non gli acquedotti, le reti idriche e fognarie i depuratori?

-Potenziare i controlli e rendere pubblico i dati sugli inquinanti in particolare quelli di nuova generazione e quelli dipendenti da pesticidi e diserbanti.

-Rendere partecipi cittadini e lavoratori di MM e CAP alla gestione degli impianti cessando la continua esternalizzazione dei lavori.

-Progettare le aree metropolitane in rapporto con l'acqua di falda e di superficie. E unificare gli ambiti territoriali della metropoli e le aziende che gestiscono il servizio idrico.

*introdurre i 50 litri per persona garantiti come diritto inalienabile
*Garantire questo minimo vitale e non chiudere i rubinetti a nessuno.
*Costituire un Fondo per la cooperazione internazionale
*impegnare le conoscenze delle aziende pubbliche in progetti di solidarietà altrettanto pubblici nel sud del mondo in rapporto con le ONG
*Creare la cultura dell'acqua nella città e pubblicizzare tra i cittadini con campagne pubblicitarie, l'acqua dell'acquedotto
*Garantire l'unicità della gestione in un unico ambito e in una unica azienda.
Vorrei chiudere ricordando che nel 1888 il sindaco Gaetano Negri della destra storica con una delibera istituì l'acquedotto pubblico milanese nella quale si diceva: l'acqua potabile è un elemento talmente importante per la vita e la salute dei cittadini che non può essere gestita da privati.