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martedì 14 luglio 2015

CAFONARIA 2
di Angelo Gaccione

È molto più facile debellare il cancro e migliorare l’assetto economico della società, che liberarsi della cafonaggine. La cafonaggine è una pianta ostinata e tenace, ed estirparla sarà un’impresa piuttosto ardua. La difficoltà non consiste soltanto nella sua pervasività, ma nel fatto che attraversa tutte le classi. Noi italiani ne siamo abbondantemente contaminati e a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, abbiamo fatto notevoli progressi peggiorativi in questo senso. Abbiamo ricostruito i beni della nazione (fabbriche, ponti, strade, scuole, case, palazzi…), ma le macerie del nostro comportamento civico non sono state rimosse; anzi, le rovine si sono accumulate. Per rimanere nell’ambito della metafora, con l’esplosione del boom economico e del consumismo, quelle rovine sono divenute gigantesche discariche. Che non vi sia automatismo di rapporti fra miglioramento economico e miglioramento dei comportamenti sociali e civici, è oramai un luogo comune. Probabilmente questo automatismo migliorativo non funziona neppure in rapporto all’istruzione. Se fosse così, la società avrebbe dovuto già da tempo essere largamente migliorata. Tuttavia, al di là di qualunque raffinata analisi possibile, sulle cause e sui tempi, resta il fatto che la cafonaggine e la perdita di decoro civile, hanno investito anche quei ceti sociali che più di tutti ne erano stati immuni. Sono diventati di massa. Società di massa uguale cafonaggine di massa, è un’equazione che sembra combaciare molto bene.
Ci sono dei luoghi che per la loro natura e per il significato simbolico che li contraddistingue, dovrebbero indurre ad atteggiamenti “consoni”. L’aggettivo non è dei migliori, ma è il più usato. Eppure non è più così. Quello a cui mi è capitato di assistere nella sala d’attesa del padiglione “Devoto” del Policlinico di Milano, dove ho dovuto forzosamente sostare alcune ore per un prelievo di sangue, mostra come la cafoneria, nell’indifferenza generale, abbia invaso persino un luogo di sofferenza come un ospedale. Pazienti che strillano senza riguardo nei loro telefonini, altri che raccontano i loro fatti a voce alta disturbando i vicini, porte che sbattono di continuo ad opera di pazienti, infermieri, medici che non si peritano di prestarvi attenzione come dovuto e che ti fanno sussultare. Insomma un luogo di delirio, una fiera, un mercato, dove la cafoneria regna sovrana e non si leva voce alcuna per far cessare questo andazzo. Probabilmente i responsabili non ne sanno nulla: è raro che i responsabili siano al corrente di ciò su cui sono tenuti a controllare. E se anche lo sapessero si guarderebbero bene dall’intervenire. E sapete perché? Perché si tratta di una struttura pubblica, cioè terra di nessuno; e siccome è terra di nessuno, naturalmente nessuno se ne cura. Ben diversamente vanno le cose nelle strutture private, e non è che siano a corto di cafoni.  Semplicemente tengono al buon nome del servizio, che poi vuol dire al buon nome della cassa, perciò vige un altro clima.