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sabato 31 ottobre 2015

PER RIMANERE UMANI
BRUEGHEL E FLAUBERT A GENOVA

G. Flaubert ritratto da Nadar
In occasione dell’eccezionale presenza del dipinto Le Tentazioni di sant’Antonio Abate, attribuito a Pieter Brueghel il Giovane, presso la Galleria Nazionale di Palazzo Spinola (Piazza Pellicceria, 1 Genova) il prossimo 14 novembre, a partire dalle ore 10, una giornata di studi a cura di Chiara Pasetti cercherà di indagare i diversi temi che legano Flaubert al dipinto: Le Tentazioni di sant’Antonio Abate. Interventi di Farida Simonetti (Direttrice Galleria Nazionale di Palazzo Spinola), Bruna Donatelli (docente di Letteratura francese all’Università Roma Tre), Mauro Manica (psichiatra e psicoanalista), Francesco Surdich (docente di Storia delle esplorazioni e scoperte geografiche all’Università di Genova), Armando Massarenti (Responsabile della “Domenica-Il Sole24ore”). Alle ore 17.30, lettura teatrale in prima nazionale, tratta da La Tentazione di sant’Antonio di Gustave Flaubert, per la drammaturgia di Chiara Pasetti: in scena Andrea Gattinoni. Nella primavera del 2016 è prevista una seconda giornata di studi, che coinvolgerà storici e critici d’arte, incentrata esclusivamente sul dipinto, per approfondirne le vicende critiche, l’attribuzione e i dati tecnici. 
Per info sulle iniziative in programma: www.palazzospinola.beniculturali.it; Tel. 010.2705300.

Il dipinto di P. B. che ispirò Flaubert

"In mezzo a tutti i miei dolori, sto finendo il mio sant’Antonio. È l’opera di tutta la mia vita, perché la prima idea mi è venuta nel 1845, a Genova, davanti a un quadro di Bruegel, e da quel momento non ho mai smesso di pensarci. Dichiaro che sant’Antonio è la mia opera preferita. Non è un’opera teatrale e nemmeno un romanzo. Non so che genere assegnargli e non so se mai lo pubblicherò..."
Gustave Flaubert, 1872

Tormentata e unica è la rielaborazione della storia di Antonio da parte di Gustave Flaubert (1821-1880). Egli la scoprì a Genova nel 1845 a Palazzo Balbi, rimanendo folgorato davanti al quadro attribuito a Pieter Bruegel Le Tentazioni di sant’Antonio Abate (ora eccezionalmente esposto presso la Galleria Nazionale di Palazzo Spinola) e da allora non smise di pensarci e di compiere letture a riguardo. Il progetto lo occupò a partire dal 1846; la prima versione de La Tentazione di sant’Antonio venne completata nel 1849 ma, aspramente criticata dagli amici, venne a malincuore accantonata (fu poi pubblicata postuma). Nel 1856, lo stesso anno in cui uscì Madame Bovary sulla Revue de Paris, riprese in mano il testo senza modificarne il plan, e ne pubblicò alcuni frammenti che vennero letti e molto apprezzati da Charles Baudelaire. Ma anche questo secondo tentativo fu lasciato cadere. Molti anni dopo, Flaubert si decise a tornare sul suo sant’Antonio, a cui non aveva mai smesso di lavorare, e modificandone sostanzialmente i quadri e il plan, tagliando molte scene della prima versione e inserendone altre, lo pubblicò nel 1874.
Benché non sia mai stata pensata per essere portata in palcoscenico (tranne una messinscena con la regia di Maurice Béjart, rappresentata all’Odéon-Théâtre de l’Europe di Parigi nel marzo del 1967), dal punto di vista formale l’opera si presenta come un dramma suddiviso in atti, scene e dialoghi; temporalmente abbraccia una sola notte, dal tramonto all’alba, in cui Antonio deve fronteggiare un’angosciante ridda di apparizioni che alla fine lo riconducono a se stesso quale origine e bersaglio delle tentazioni. 
In questa lettura teatrale (monologo) concepita e realizzata appositamente per Palazzo Spinola, data l’attuale presenza del dipinto che Flaubert ammirò nel 1845, si vuole dare voce alle diverse tentazioni del santo-eremita, mostrando in particolare l’aspetto onirico-allucinatorio dell’opera di Flaubert, che la musica ha il compito di sottolineare. Tutto il testo (che è tratto dall’edizione francese Gallimard, «Bibliothèque de la Pléiade») è costruito sull’asse desiderio-tentazione-visione-allucinazione, che fa da perno alla storia e da cui muovono tutte le scene. Si è scelto di mantenere anche l’aspetto narrativo (che in alcuni punti funziona come un vero e proprio testo di regia) allo scopo di creare un intreccio teatralmente vivo tra dialoghi e situazioni narrate. Perché Flaubert fu tanto affascinato dalla storia dell’eremita Antonio, che gli creava «un’esaltazione sconvolgente»? Perché definì la Tentazione «l’opera di tutta la mia vita», e Baudelaire scrisse che conteneva «la camera segreta del suo spirito»? Cosa vide nel quadro di Brueghel che altri non seppero vedere? È vero, come egli scrisse, che in Sant’Antonio era lui, il santo, e alla fine quasi se ne dimenticò?
Chiara Pasetti

L'EVENTO
Come documenta la locandina che riproduciamo qui sotto, un interessante Convegno a cura della nostra collaboratrice Chiara Pasetti si aprirà alle ore 10 del 14 Novembre alla Galleria Nazionale di Palazzo Spinola. Un'occasione preziosissima non solo per seguire la giornata di studio e la lettura drammaturgica, ma anche per vedere il dipinto e la ricca quadreria del Palazzo.




SALE E PEPE   
di Laura Margherita Volante


Il sale della politica. Marino.
Expo. L’albero della speranza o si inchina al potere o si inginocchia a pregare…
Chi alimenta aspettative invano… è a digiuno.
Facebook è la cortina dietro cui i soggetti diventano oggetto del nulla
Halloween è espressione del disorientamento da delirio collettivo.
Chi ha passione non cede all’irragionevolezza.
La razionalità tramortisce l’intuito.
La qualità non si misura dalla quantità. Bastava l’Infinito di Leopardi per farne un genio.
Messina. Il ponte sullo stretto o lo stretto sotto il ponte? Il ponte crolla, lo stretto resiste.
Chi ha la coda di paglia è buonista.
La verità è per i coraggiosi.
Alluvioni. In auto, oltre la gomma di scorta, sono indispensabili un gommone e due remi.
Di fronte ad un problema mai deprimersi, se no raddoppia.

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EXPO: IL CANCRO E LA FIERA DEGLI:“O bej...O bej” 
di Emilio Molinari     

E se non ci facessimo abbagliare dal Paese dei Balocchi?
In questa riflessione di Emilio Molinari, l’Expo visto da un’altra prospettiva.

Expo. In mondo di ricchi gli anziani rovistano fra i rifiuti
Giorni or sono l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha inserito le carni trattate come alimenti certamente cancerogeni e le carni rosse come possibili cancerogene; e l'OMS non è l'ultima associazione di vegetariani incazzati.
Eppure possiamo esserne certi: questa denuncia non scuoterà minimamente né la politica, né i media che da anni ci tempestano e che per 6 mesi ci hanno martellato sulle grandi virtù di Expo. Quasi tutti i media, anche alcuni a noi vicini, hanno sistematicamente oscurato ogni argomento e ogni iniziativa critica nel merito dei contenuti della Esposizione Internazionale: l'imbroglio del titolo, la vuota pomposità della Carta, la cementificazione, gli scandali e lo sperpero di danaro mentre cresce la miseria nel mondo, in Italia e in città.
I convegni critici e propositivi fatti a Milano: a Palazzo Marino e al Teatro dell'Elfo non sono esistiti, nonostante gli interventi di importanti personalità straniere e la partecipazione di centinaia di persone.
Ogni critica ad Expo è diventata ‘No Expo’ e imbalsamata (o stroncata sul nascere), con la sola immagine della manifestazione del 1° Maggio, della Milano offesa dalle scritte e dalla violenza dei black block. Anche le migliaia di persone che quel giorno manifestarono le loro critiche sono state azzerate dai disordini.
Expo sono milioni di persone felici e pazienti in lunghe file, con occhi rapiti dal fascino estetico di questo o quel padiglione, osannanti: che bello! Bellissimo! Contenti di esserci anche loro, in mezzo a tanti. Via, un colpo di spugna su tutti i mali di Milano che con Expo si assolve e scopre d'essere: la capitale morale d'Italia.
Viva la nuova fiera degli “o bej...o bej” (oh belli!... oH belli!...) che per chi non è milanese, è l'antica fiera di S. Ambrogio che prende il nome dall'esclamazione dei bambini e dei provinciali calati a Milano di fronte a tante meraviglie.
Questa è diventata Expo nell'immaginario collettivo: La fiera delle meraviglie, bellissima! Interessante! Ci siamo divertiti!

Expo. Multinazionali e cibo spazzatura
Per favore!!! non rompeteci... con le multinazionali, Nestlè, Mac Donald, i mutamenti climatici, gli affamati e il Land Grabbing, la privatizzazione dell'acqua...
È qui... Qui in questo popolo festante, che sta il fallimento di quanti per ruolo istituzionale, ruolo nei media o per cultura, militanza politica o associativa sociale e solidale, hanno rinunciato a svolgere il loro ruolo critico, si sono accomodati nelle pieghe di Expo. Non hanno contrastato la cortina di fumo che veniva gettata su questo evento, contribuendo ad escludere dal pensiero della gente, l'inganno di quella festa e la realtà del mondo che stava fuori: quella delle periferie del mondo e delle nostre stesse periferie e quello di nasconderci la realtà del nostro stesso vivere quotidiano. A partire dal cosa mangiamo? Dal perché della fame, della sete, della miseria di miliardi di persone, mentre produciamo 1/3 in più di quello che ci serve?
Perché abbiamo perso la sovranità sul nostro cibo?
Perché ci nascondiamo cosa c'è nel nostro piatto, cosa ci fanno mangiare: la chimica, l'agro industria e le multinazionali?
Ed ecco che all'ultimo atto arriva il richiamo dell'OMS a disturbare.
La parola d'ordine è immediata: ignorare l'allarme, minimizzare, ridurre tutto a un problema di moderazione e di educazione alimentare, escludere che ciò riguarda il Made in Italy. Il mare di prodotti chimici che entrano nella filiera alimentare negli allevamenti e nella conservazione della carne estera e italiana non c'entrano, i pesticidi ecc. non c'entrano? La pubblicità martellante che spinge a consumare e a mangiare cibo spazzatura non c'entra?

Expo. Allevamenti intensivi. Tu ci vivresti così?
Si sono persino dovuti vietare le uova da allevamenti come questi.
I meno abbienti a 1000 euro al mese come cavolo si educano alla sana alimentazione?
Nel libro “Il dilemma dell'onnivoro” di Micheal Pollan, l'autore ha preso un vitello e lo ha seguito lungo tutto il suo cammino verso il macello, analizzando il suo mangime di mais, il grasso degli scarti o gli oli esausti della sua dieta ingrassante. E alla fine mentre va a morire per arrivare sulla nostra tavola lo guarda e dice: sei un manzo o un barile di petrolio? Quel barile di petrolio è ciò che denuncia l'OMS, ed è ciò che concorre a produrre cancro e disastrosi mutamenti climatici.
Ma... è meglio celebrare il successo di EXPO e non pensare che alla fine, il suo vero senso è quello di essere stato una grande e pianificata operazione di diseducazione di massa, una bella festa di massa, mentre sotto i nostri occhi, il mondo va alla deriva.






PER RIMANERE UMANI
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VERGATI
Lunedì 9 novembre alle ore 18, alla libreria Feltrinelli
di via Manzoni n. 12, a Milano, Cesare Vergati presenta il suo nuovo libro:
L’Uomo umido. Diocreme in Vincoli”, edito da Excogita.
Ingresso Libero.
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Un nuovo dizionario meneghino

La copertina del volume
Cherubini, Banfi, Angiolini, Arrighi, Antonini, erano i vocabolari milanesi consultabili fino a qualche anno fa; mancava una nuova opera, che oltre a racchiudere il sapere meneghino dei secoli scorsi, aggiornasse, con nuovi vocaboli una lingua, quella milanese che, data da molti per finita, al contrario è andata evolvendosi. Grazie al contributo della Vallardi Editrice, ecco il nuovo Dizionario Milanese (italiano-milanese e milanese-italiano) edito nel 2001 e ristampato nel 2014 con oltre 40.000 lemmi che, tenendo conto del lessico moderno riporta naturalmente anche le parole arcaiche, affiancando le voci colte e letterarie ai termini economici, tecnici, scientifici e ai neologismi che di volta in volta la nostra lingua ha attinto da altri idiomi (celti, latini, spagnoli, tedeschi, francesi, ecc.). La Vallardi non poteva che affidare il compimento di tale opera al Circolo Filologico Milanese, importante istituzione meneghina che dal 1872 propone corsi di lingue, importanti manifestazioni culturali, dotata di una ricca biblioteca di pubblica consultazione. Scrive il Presidente m° Valerio Premuroso nella prefazione del volume: "Questo Dizionario rappresenta l'opera più impegnativa realizzata dalla sezione di Cultura Milanese del Circolo Filologico".
Il coordinamento, la ricerca e la revisione di quest'opera è stata affidata a due importanti personaggi milanesi, Claudio Beretta e Cesare Comoletti, docenti presso il Filologico, di cui sono stati anche Presidenti, nel corso di sei lustri di studio e insegnamento. Grazie anche ai collaboratori che hanno affiancato Beretta e Comoletti, la realizzazione di quest'opera consegna alla nostra e alle generazioni future l'eredità linguistica ricevuta dai grandi del passato: Bonvesin de la Riva, Carlo Maria Maggi, Giuseppe Tanzi, Carlo Porta e Delio Tessa, per citarne solo alcuni.
Un prezioso "Livre de chevet" che non dovrebbe mancare in ogni casa e che
conferma la qualità delle scelte culturali del Circolo Filologico e di quelle editoriali di Vallardi.

Roberto Marelli

giovedì 29 ottobre 2015

Salviamo la vita delle api!
di Salviamo la Foresta

Non solo le api, anche i bombi ed altri insetti impollinatori sono seriamente minacciati dagli insetticidi neonicotinoidi. L’industria chimica è in guerra con la natura. Le sostanze neonicotinoidi sono le più pericolose fabbricate dall’uomo. In agricoltura con questi veleni si eliminano, oltre alle piaghe, anche innumerevoli insetti benefici come le api. Per favore chiedetene la proibizione.
Le multinazionali chimiche BASF, Dow e Syngenta producono insetticidi altamente pericolosi di uso agricolo. I così chiamati neonicotinoidi eliminano tutti gli insetti incluse le api e bombi. Anche Monsanto e Dupond vendono sementi trattate con queste sostanze.
I pesticidi non solo uccidono nei campi agricoli. Sono sufficienti minime quantità di veleno che aderiscono al pulviscolo per diffondere a larga distanza l’effetto mortale di questi insetticidi. Come è successo nell’aprile del 2008 nella Valle del Reno, in Germania. Il raccolto di mais trattato con neonicotinoidi ha causato la morte massiccia delle api. In Italia dal 2008 il crollo delle api è stato del 40%, una cifra allarmante considerando che l’Italia è il terzo paese al mondo per produzioni legate all’apicoltura. A causa della morte delle api in Europa, la Commissione Europea ha limitato fortemente l’uso di neonicotinoidi clotiandina, tiametoxam e imidacloroprid, così come la sostanza fipronil. Le compagnie BASF, Bayer e Syngenta hanno presentato tre denunce al Tribunale Europeo. La Dow Chemicals ha prodotto il nuovo insetticida sulfoxaflor, altamente velenoso.
È anche una neurotossina. Nonostante questo, la Commissione Europea a luglio 2015 ha autorizzato l’uso del sulfoxaflor.
Negli USA, apicultori ed ambientalisti celebrano invece un successo giuridico. Lo scorso settembre 2015, la corte d’appello della California ha dato loro ragione proibendo l’uso del sulfoxaflor. L’agenzia statunitense di protezione ambientale non avrebbe dovuto approvare la sostanza, perché è altamente pericolosa per le api e gli studi presentati non hanno potuto dimostrare la non pericolosità per le api. Per favore, esigete la proibizione definitiva dei neonicotinoidi ed altri insetticidi neuroattivi  come il fipronil e il sulfoxaflor nell’Unione Europea. Firmate l’appello di “Salviamo la Foresta” in Rete.

***
L’Europa dei migrantes
di Giovanni Bianchi

Dopo Maastricht
L’Europa del dopo Maastricht è l’Europa dei migrantes. Un’Europa cioè che prova ad andare oltre il drastico giudizio prodiano che suonava: “C’è una dose di schizofrenia nella politica europea: l’analisi guarda al futuro, ma la prassi pensa solo al presente immediato”.
Come al solito il cambiamento di rotta discende da una discontinuità non programmata, perché diventa sempre più evidente che le discontinuità accadono e raramente possono essere previste. Si tratta di un approccio tanto più importante se si tiene conto dell’ultima mappa politica a disposizione: l’enciclica di papa Francesco “Laudato Si’ ”.
Nel testo pontificio l’invito “globale”, insieme teorico e pratico, è fare politica e governare non per rispondere alle emergenze, perché in questo modo, aggiunge il Papa, si cerca di risolvere i problemi creandone degli altri. Si tratta cioè di superare definitivamente non soltanto il trattato di Maastricht (7 febbraio 1992) per la semplice ragione che non può essere la logica economica a determinare la crescita di un nuovo grande soggetto politico mondiale, ma anche di muoversi in coerenza e oltre il minimalismo europeo di Monnet, che già allora faceva osservare che consolidare i singoli Stati dell’Unione è impossibile senza una visione geopolitica adeguata. Ne consegue il senso delle dimensioni che l’Unione deve avere riguardo a se stessa. Possiamo cioè anche diventare “Stati Uniti” d’Europa, ma la differenza l’hanno già indicata gli Stati Uniti d’America definendoci per tempo, con la proverbiale malagrazia di teocon e neocon, “figli di Venere”, diversi dai figli di Marte. Figli di Venere perché l’Europa spende troppo in Stato Sociale e troppo poco in armamenti. E sarà ben osservare subito che si tratta sì di un problema di welfare, ma che attiene alla cittadinanza stessa di questa Europa nel mondo globale: perché il welfare europeo è elemento essenziale della cittadinanza europea, anche per rifugiati ed immigrati. Si pensi soltanto per le vite quotidiane dei nuovi europei al ruolo centrale rivestito dalla Sanità, anche nel nostro Paese. Il sans papier che si infortuna viene comunque curato e ricoverato da una struttura ospedaliera; ed è da rimarcare la circostanza che nessun medico leghista se la sia sentita finora di “fare obiezione”.


Un nuovo protagonismo europeo
Tutto anzi concorre a sottolineare la necessità di un nuovo protagonismo europeo nel mondo: quello che la vicenda ucraina, prima di quella siriana, denuncia come una drammatica necessità. Una spinta tale da mettere in crisi e comunque in tensione la stessa leadership tedesca, i guai della quale hanno radici più lontane della Grecia e di Volkswagen.
Senza proprio risalire ad Adamo ed Eva, si può dire infatti che i dilemmi della leadership tedesca incominciano con il “ruvido” allontanamento di Kohl voluto da Angela Merkel. E forse sarà bene nel contempo non dimenticare che proprio Helmuth Kohl usava ripetere di voler salvare la Germania da se stessa. Allo stesso modo è utile non dimenticare i pieni e i vuoti delle culture politiche del Vecchio Continente. La scarsa voce della tradizione di sinistra in Europa, dove i partiti comunisti avevano lasciato alle socialdemocrazie un protagonismo aborrito. I comunisti infatti -a lungo ammaliati dalle sirene dell’internazionalismo moscovita- si sono mostrati più che tiepidi rispetto all’Europa. Salvo eccezioni, come in Italia quella di Giorgio Napolitano, e salvo aver riconosciuto il peso permanente nella storia europea giocato da Jacques Delors. C’erano oltrecortina infatti quelli che vedevano nell’Unione la Nato, e quindi quelli che poi -ex area Comecon e patto di Varsavia- hanno preferito entrare prima nella Nato che in Europa. I polacchi ne sono l’esempio più eclatante.
Con l’avvertenza, non solo per ragioni di completezza, di non lasciare fuori dal quadro “a sinistra” il contributo creativo dei verdi tedeschi: da Fischer a Kohn-Bendit. Quel Kohn-Bendit che dando l’addio al Parlamento europeo ha dichiarato che “l’Europa ha il cuore freddo”.
Siamo cioè a uno degli innumerevoli casi nei quali il congedo dal Novecento obbliga a ripensare le posizioni dei padri, nel caso specifico, di De Gasperi e Spinelli, entrambi intenti a ripetere che l’Europa doveva pensarsi come una tappa verso il governo mondiale.


Una democrazia inedita
Una forma della democrazia cioè inedita e la più adatta a rispondere ai quesiti e ai bisogni di una globalizzazione galoppante.  Vale anche la pena rammentare il discorso che Papa Giovanni Paolo II fece in Slovenia nel maggio del 1996: “Questa è l’ora della verità per l’Europa. I muri sono crollati, le cortine di ferro non ci sono più, ma la sfida circa il senso della vita e il valore della libertà rimane più forte che mai nell’intimo delle intelligenze e delle coscienze”.
Sarebbe bene tenerne ancora conto per dedurne un modo nuovo di guardare alle culture e al deposito dell’illuminismo, e conseguentemente agli arnesi di lavoro adatti a ripensare e ricostruire l’Unione. È qui che ci imbattiamo nell’assenza di una visione e di una politica mediterranea senza le quali la costruzione europea manca ad un tempo di fondamenti e di prospettiva. Era sempre il Papa polacco che celebrando il 10 settembre del 1983 i “Vespri d’Europa” nella Heldenplatz di Vienna, proponeva un’Europa dall’Atlantico agli Urali, dal Mare del Nord al Mediterraneo. Quel Mediterraneo negletto che ha strappato a Predrag Matvejevic un’espressione sconsolata del tipo: “Dopo la caduta del muro di Berlino è stata costruita un’Europa separata dalla ‘culla dell’Europa’.”
Dobbiamo ripercorrere un cammino a partire dalle “primavere arabe”, e dal loro spreco, dall’affermazione di papa Francesco che è cominciata la terza guerra mondiale, a capitoli e pezzetti… È in questo quadro che la crisi economica globale e la vocazione dell’Unione Europea chiedono di essere ripensate insieme con uno sguardo in grado di andare oltre le contingenze. Uno sguardo del quale si è mostrato recentemente capace Gian Paolo Calchi Novati, in una conversazione al Cespi di Sesto San Giovanni, proponendo una lunga riflessione a partire dal centenario della Grande Guerra, che ha visto i potenti della terra pronunciare all’unanimità un mea culpa postumo. Resta il fatto che la guerra continua ad apparire la “sola arma a cui pensano i governi e di cui apparentemente dispone la diplomazia”. Solo la Chiesa cattolica e il Vaticano hanno mantenuto una sostanziale coerenza lungo la traiettoria interpretativa che risale all’invettiva di Pio XI contro “l’inutile strage”.
Non fa solo sfoggio di ironia e Calchi Novati quando nota che “le crisi del Medio Oriente non soffrono per una mancata attenzione del resto del mondo, ma per un eccesso di interferenze. Tipico, malgrado il luogo comune corrente, è il caso della guerra civile in Siria”.
Centrale risulta, non soltanto per l’analisi, il ruolo del Medio Oriente. Neppure soltanto per ragioni di geopolitica che lo vedono al crocevia di tre continenti, ma perché con esso si connettono in un senso o nell’altro le varie cause globali: il jihadismo, l’energia, il riarmo nucleare.

Tre faglie
Tre sono le faglie con le quali il Medio Oriente è costretto a misurarsi: l’esplosione in un conflitto armato a tutto campo della storica scissione all’interno dell’Islam fra la Sunna e la Shia. Un conflitto sottostimato nelle sue ragioni per l’abitudine di una vulgata marxista spuria e filistea consueta a ricondurre alle sole ragioni economiche i conflitti e la loro importanza. Dimentichi come siamo in quanto europei non soltanto delle guerre di religione che hanno caratterizzato l’ingresso dell’Europa nell’età moderna dopo la Riforma, ma anche delle ragioni più profonde che hanno determinato il conflitto nei Balcani Occidentali, abituandoci alla  dissoluzione di quella che oramai tutti chiamano ex Jugoslavia.
Dimentichi anche che il settarismo in campo musulmano è stato rinfocolato dalla rivoluzione khomeinista, e più in generale dalla diffusione dell’islamismo a livello di politica come reazione agli insuccessi delle ideologie occidentali e mondane.
Quelle ideologie cui si sono ispirati i movimenti nazionali e lo stesso socialismo dei Paesi in via di sviluppo, conosciuto sotto il nome di ba’th.
Messa nel conto la circostanza che l’arabicità è stata via via soppiantata come fattore di legittimazione dell’Islam, si può facilmente intendere come l’islamismo si stia ponendo a livello globale in un rapporto che oscilla fra istanze nazionali e transnazionali. I tentativi di riedizione di un nuovo califfato poggiano infatti su questa spinta.
E ancora, non è possibile sottovalutare l’importanza come fattore continuo di crisi la controversia permanente Palestina-Israele. Una decolonizzazione avvenuta a metà nei territori arabi che avevano fatto parte dell’Impero Ottomano.
A quasi mezzo secolo dalla guerra dei sei giorni e a più di vent’anni dagli accordi di Oslo (il 13 settembre 1993 Rabin e Arafat si strinsero la mano in una delle fotografie più note del Novecento), siamo tuttora confrontati con la persistente occupazione di terre arabe da parte di Israele, e con i travagliati processi di integrazione del Medio Oriente nel sistema globale.
E pensare che proprio la politica estera italiana fu la più avvertita nei decenni trascorsi intorno al tema del Mediterraneo. Gli incontri promossi a Firenze dal sindaco Giorgio La Pira non furono infatti e non debbono essere considerati una fuga in avanti.
Il cautissimo Aldo Moro aveva l’abitudine di ripetere: non dobbiamo scegliere il Mediterraneo dal momento che ci siamo in mezzo. E quella che può forse essere considerata la personalità politica e imprenditoriale più propulsiva della prima Repubblica, Enrico Mattei, fu in grado non solo di interloquire con i governi mediorientali, ma anche di contribuire a creare in quei Paesi nuova classe dirigente. Insomma l’Europa che si appresta ad accogliere migrazioni bibliche di immigrati dovrebbe non essere smemorata del proprio passato prossimo.


Le sorprese
Perfino talune rilevazioni circa il Dna di questi Paesi risultano insieme sorprendenti ed istruttive. Nella vicina Tunisia (11 milioni di abitanti) i rilievi sul genoma della popolazione dicono di una popolazione composta per il 15% di arabi, per il 35% di berberi, per il 30% di europei (circa il 25% di italiani) e per il 20% di uomini provenienti dall’Africa Nera e dall’Egitto. Proprio l’impeto delle ultime immigrazioni dovrebbe spingerci a consultare con più attenzione gli studi di Le Goff relativi all’Europa. Furono i geografi greci a consegnare agli uomini del medioevo europeo un bagaglio di cognizioni tuttora attuali. Nel processo di cristianizzazione campeggia ovviamente Sant’Agostino. E prima di lui Girolamo: la sua Bibbia latina si imporrà a tutto il medioevo. Le Confessioni agostiniane risulteranno un modello per la soggettività europea. La Città di Dio, testo scritto dopo il sacco di Roma di Alarico e dei suoi Goti nel 410 -un episodio che aveva terrorizzato le vecchie popolazioni romane e le nuove popolazioni cristiane- dà conto dei timori e del terrore dello spirito del tempo. Dopo Agostino, quelli che potremmo chiamare, sempre con Le Goff, i “fondatori culturali”: Boezio, al quale il medioevo deve tutto quello che saprà di Aristotele fino alla metà del secolo XII. La logica vetus. Quindi Cassiodoro, Isidoro di Siviglia, Beda. Gregorio Magno, il grande riformatore. Con il governo di vescovi e monaci si instaurerà in tutta Europa una nuova misura del tempo e la riorganizzazione dello spazio, tali da tenere in conto le trasformazioni operate da una quotidianità e da una convivenza caratterizzate da meticciati molteplici.
L’Europa dei guerrieri e dei contadini. L’Europa delle molte controversie, a partire da quella intorno all’anno mille come data di partenza della cristianità medievale.
Sono Scandinavi, Ungheresi e Slavi a contribuire a quest’Europa meticcia. Con una pace monitorata dalla Chiesa. Il medioevo dei cosiddetti “secoli bui” è infatti corso da energie che attraversano molteplici accoglienze, vicinanze, confronti. Il villaggio si raccoglie intorno alla chiesa e al cimitero. E sempre il medioevo proverà a rafforzare anche i rapporti tra i vivi e i morti: tra il mondo e l’altro mondo, perché i due mondi si tengono nel vissuto della “comunione dei santi”.
Non tutto è dunque inedito.(Ma bisognerebbe studiare.) E non ci stiamo provando per la prima volta. Quali dunque i compiti di questa Europa?
Secondo Romano Guardini l’Europa ha il compito della critica della potenza. Quest’Europa che ha sul suo volto i segni del passato, ma negli occhi il futuro dell’Angelus di Benjamin.
Tutto concorre a dire, di fronte ai timori xenofobi e ai rigurgiti paurosi delle piccole patrie, che non è logico dimenticare, soprattutto nella stagione della globalizzazione, l’ammonimento minimalista di Jean Monnet: i Paesi europei sono troppo piccoli per garantire ai loro popoli la prosperità e lo sviluppo necessari, e devono costituirsi in una federazione.
Devono cioè tessere la tela di una cittadinanza reale all’altezza di se stessi e della stagione storica attraversata dalle sfide della globalizzazione: vedi caso, il sogno e il progetto di Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli. Aveva anche ragione William Penn: il cittadino per essere tale deve avere di fronte un governo. Vale per gli 82 milioni di tedeschi, i 63 milioni di francesi,i 62 milioni di britannici, i 60 milioni di italiani. E per tutti gli altri.
La strada è tutto sommato segnata. Occorrono la voglia e il coraggio di percorrerla.


L'ALBERO DELLA VITA MILANO 2015
Cala il sipario sull'albero della vita. La Grande Esposizione si è conclusa e l'albero che si ramifica sul cielo ha messo le radici per un futuro più luminoso? Resta lo spettacolo di luci e persone venute da ogni parte del mondo a ravvivare la speranza per il nostro pianeta. L'unica cosa preziosa che abbiamo. Teniamone conto.


Terra forzata

La terra forzata
non alla fine sta
di un mondo giunto al pettine
resteranno sane le ossa
se mutiamo modo d'essere
un poco per tanto tempo
Dario Francesco Pericolosi 

martedì 27 ottobre 2015

PER RIMANERE UMANI
Omaggio ad Alda Merini


lunedì 26 ottobre 2015

MUSICA. UNA RASSEGNA CHE VA DRITTA AL CUORE
di Angelo Gaccione

La locandina del concerto del 31 Ottobre
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Milano. C’è sempre qualcosa di straordinariamente nobile nei giovani artisti e nei loro appassionati sostenitori, soprattutto quando si tratta di musicisti e cantanti di sicuro talento (come questi provenienti dalla Russia, ed impegnati nella rassegna “Una Musica Per l’Anima”) e dagli scarsi mezzi finanziari. Tanto più nobili i loro sforzi e la loro passione, proprio perché dotati di pochi mezzi economici, e dunque costretti a sfidare le innumerevoli difficoltà che una Rassegna internazionale come questa comporta. Soprattutto in termini di promozione pubblicitaria e di attenzione da parte degli organi di stampa. Volentieri dunque, “Odissea” offre la sua prima pagina per una validissima e dignitosa rassegna che iniziata il 3 Ottobre scorso al Salone di Sant'Antonio Abate di via Sant'Antonio 5, con un concerto che aveva nel programma   la musica del Romanticismo di Mendelssohn, Schumann e Chopin, si concluderà il   20 Dicembre nella bella Chiesa di Sant’Antonio, nel cuore di Milano (tra l’Università Statale e il Duomo), con un importantissimo concerto che comprenderà autori come Bach, Haendel, Pergolesi. Tutta questa rassegna è dislocata attraverso un gruppo di magnifiche chiese, in cui oltre alla bellezza celestiale della musica (fondamentalmente di carattere sacro) e delle voci, è possibile ammirare tavole e pale d’altare di alcuni dei più celebri pittori della tradizione lombarda, o che a Milano hanno nei secoli operato. Non si dimentichi che in Sant’Antonio suonò anche un Mozart diciassettenne, e pare che da una committenza venuta proprio da quella parrocchia, abbia approntato ed eseguito, nel 1773, quel dolcissimo mottetto sacro scritto in lingua latina che è: “Exultate, jubilate”. La rassegna in questione si avvale della bravissima pianista Marina Slutskaja-Spiegelberg in maniera preminente, e in maniera altrettanto preminente di due voci: la soprano Ekaterina Korotkova (figura minuta, un po’ timida, ma dalla voce eterea), e del tenore Vitaliy Kovalchuk (figura spavalda, molto sicuro di sé e dotato di una voce molto potente). Avremo modo nei prossimi appuntamenti di riapprezzarli, così come apprezzeremo la soprano Irina Belousova e Ekaterina Morosova e un quartetto d’archi “Decus String Quartet” accompagnato da organo e tromba. Un elogio particolare va rivolto a Natalia Tyurkina, per l’impegno organizzativo che profonde, e per la capacità di saper tessere utili legami. Direttrice artistica dei “Musicisti Russi”, è lei la vera anima di questa rassegna.  

ALCUNI INTERPRETI
Ekaterina Korotkova

Vitaliy Kovalchuk


Sofiya Chaykina

Irina Belousova


Morimo Tokimodo




                   Marina Slutskaja-Spiegelberg
IL CONIGLIO BIANCO
All’area Zelig di viale Monza a Milano, debutta uno spettacolo che è molto di più di un semplice omaggio al genio di Giorgio Gaber

Claudio Taroppi
Come simbolo hanno una lisca di pesce (sono i Fishbonecreek) e stanno in quel di Candelo, in provincia di Biella. Chi non ha visto quella meraviglia che è il ricetto di Candello (praticamente un borgo di poche anime, ma che borgo!), si è perso davvero qualcosa. Come insegna dello spettacolo “Il coniglio bianco”, hanno scelto, ovviamente, un coniglio di questo colore; stilizzato con le lettere bianche del nome Gaber, perché lo spettacolo è apertamente ispirato al teatro canzone del geniale musicista milanese, e a quel felice connubio che è stata l’accoppiata Gaber-Luporini. Da quel lungo sodalizio sono nati spettacoli divenuti celeberrimi; i monologhi, la parola, i testi che hanno magistralmente sorretto le musiche, hanno dato il senso pieno di quello sguardo acuto sulla realtà della società italiana che a partire dagli anni della contestazione, si è poi spinto fino agli anni della crisi e alla loro degenerazione. Sociologia e poetica; utopia e costume; indignazione e presa di coscienza; ironia e sberleffo… Si potrebbe continuare per un lungo tratto, perché c’era tutto questo ed altro ancora nelle musiche e nei testi di quelle due geniali intelligenze. Dunque hanno fatto benissimo Claudio Taroppi (voce) e Alessio Mazzolotti (regista), a montare con i loro testi e le continue citazioni gaberiane-luporiniane, questa divertente e stimolante riflessione su quegli anni e su quel suo geniale interprete, senza trascurare gli anni nostri, servendosi di quello stile e di quella fortunata formula.

L'Area Zelig gremita di spettatori
L’area Zelig di viale Monza si presta benissimo. La scena essenziale di Roberta Gaito (materiale di cartone, quel poco che serve, da cui si ricava una poltrona, un paio di abat-jour, un leggio, un paio di parallelepipedi su cui Giorgio Tusa ha disegnato al tratto nero la forma di due chitarre), la proiezione fissa su fondo nero del coniglio bianco ricavato dalle lettere luminose, un paio di microfoni e la chitarra classica di Simone Spreafico che di tanto in tanto si alterna al canto o fa da spalla a Taroppi che guida bene tutto l’ordito facendo scivolare il paio d’ore di spettacolo senza che il fitto pubblico quasi se ne accorga. Divertendolo ed obbligandolo a pensare, perché in fondo era questo l’intento di Gaber e dei suoi spettacoli. Se c’è un filo che tiene insieme l’intero ordito di questo “Coniglio bianco”, direi che va rintracciato nella “consapevolezza”- in quegli anni si sarebbe detto “coscienza” - del nostro essere uomini e nel nostro essere nel mondo, in un mondo sempre più manipolato, in cui il rischio è di divenire tutti, irrimediabilmente dei replicanti. L’antidoto, forse, resta quello a cui ci invita Gaber: la vigile intelligenza, la verifica diretta, il dubbio, il rifiuto di delegare spogliandoci della nostra responsabilità. 
Angelo Gaccione                                                      

domenica 25 ottobre 2015

DORFLES E I SUOI INCONTRI

Gillo Dorfles
Ieri 24 ottobre, nella sala conferenze del Palazzo Reale di Milano Gillo Dorfles, nato a Trieste nel 1010, era presente in occasione dell’uscita del grosso volume di 857 pagine!Gli artisti che ho incontrato”, edito da Skira, accompagnato dal curatore Luigi Sansone e Aldo Colonnetti. Un pubblico attento lo ha seguito con affetto nelle sue stringate, acute, ironiche, anche se un po’ comprensibilmente affaticate, risposte. L’antologia, di cui vorrei parlarne più diffusamente in seguito, inizia con “Aeropittura e Futurimo” su “L’Italia Letteraria” 1930 e termina con una recensione su “F. Franchi e M. Tosini. Il segno e la luce” del 2015. Una lunga storia di preferenze verso le ricerche artistiche più innovative (una volta - e ancora oggi - si diceva spavaldamente ricerche ‘d’avanguardia’). Dorfles critico, filosofo, pittore, non smette il suo tono preciso, distaccato, il suo amabile ‘understatement’ che smonta le domande più accigliate e pretenziose. Anche su di un termine a cui aveva dedicato un libro, un termine sfuggente e ambiguo come ‘Kitsch’, risponde con un sorriso: “Oggi? Una volta c’era un gusto popolare ed elitario. Oggi c’è solo un gusto,. oggi è il paradiso del Kitsch”(Giorgio Colombo)


sabato 24 ottobre 2015

MAFIOPOLI
Un appuntamento da non mancare

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venerdì 23 ottobre 2015

NESSUNA GUERRA – NESSUNA NATO

A Roma il 26 ottobre, dalle ore 10:30 alle 17:30, presso il Centro Congressi Cavour
Convegno internazionale per l’uscita dell’Italia e dell’Europa dalla NATO
Parteciperanno esponenti parlamentari e dei movimenti anti-guerra da tutta Europa per denunciare la mega-esercitazione Nato in corso nel Mediterraneo, primo passo verso nuove aggressioni NATO in Africa e nel mondo intero. Verrà creata una rete europea "No guerra, No NATO".
Patrick Boylan

Il Comitato No Guerra No Nato terrà a Roma, il 26 ottobre, un incontro internazionale, aperto a tutti, intitolato “Contro la Guerra: per un’Italia neutrale, per un’Europa Indipendente”.
L’evento si prefigge l’obiettivo di creare una rete internazionale per una politica di pace e neutralità. Si terrà dalle ore 10,30 alle ore 17,00 presso il Centro Congressi Cavour, in via Cavour 50/a.
Prende spunto da “Trident Juncture”, le esercitazioni militari della Nato che si svolgono tuttora nel Mediterraneo e fino al 6 novembre – il più grande dispiegamento di forze aeronavali e terrestre dalla caduta del muro di Berlino. "In pratica, si sta sperimentando la prossima grande guerra per determinare il nuovo padrone del mondo", spiega la senatrice Paola De Pin, dal comitato organizzatore. Ma l'incontro del 26 va oltre e mira ad aprire un dibattito europeo sullo sviamento del ruolo della NATO – da prodotto della Guerra Fredda  in teoria puramente difensiva, all'attuale strumento di attacco e di aggressione su scala mondiale.
Non solo ma, come si è appena detto, gli organizzatori mirano anche a creare un comitato europeo congiunto permanente "per un’Europa indipendente e neutrale".   Per questo hanno stilato una folta lista di invitati, proveniente da dieci paesi europei più gli Stati Uniti.
La discussione sarà aperta e, per partecipare, non è necessario accettare tutti gli elementi della piattaforma del comitato organizzatore, visibile qui e qui.
Si può firmare la petizione del comitato "No Guerra No Nato" per l'uscita dell'Italia dalla Nato e per un'Italia neutrale durante l'incontro oppure subito, cliccando qui.
"Ci auguriamo," spiega Pino Cabras, un altro degli organizzatori dell'evento, "di poter creare, tramite i contatti stabiliti durante l'incontro, un’alleanza tra tutte le forze democratiche, di pace, per la sovranità dei popoli, contro le guerre volute da un’infima minoranza di cinici profittatori.  Contiamo sulla presenza di tutti i lettori di PeaceLink."
Lista degli interventi
Dimitrios Konstantakopoulos, Greece, The Delphi Initiative; former member, Central Committee of Syriza
Tatiana Zhdanoka, Latvia, acting MEP, Green Party
Javier Couso Permuy, Spain, acting MEP, GUE
Filipe Ferreira, Portugal, member of Conselho Português para a Paz e Cooperação
George Loukaides, Cyprus, member of Cyprus Parliament
Ingela Martensson, Norway, former Swedish MP, member of Women for Peace committee
Kristine Karch, Germany, Co-Chair of the Int. network “No to war – no to NATO”; board member of INES (International Network of Engineers and Scientists for Global Responsibility)
Webster Tarpley, USA, Tax Wall Street Party / United Front Against Austerity
Marios Kritikos, Greece, vice president of Adedy, labor confederation
Ingeberg Breines, Norway, president of International Peace Bureau
Paola De Pin, Italy, Member of the Senate, Green party
Bartolomeo Pepe, Italy, Member of the Senate, Green party
Reiner Braun, Germany, ICC member, int.l network “No to War- no to NATO”; Co-president of IPB
Roberto Cotti, Italy, Member of the Senate, Five Star Movement
Carlo Sibilia, Italy, member of the Lower Chamber, Five Star Movement
Mirko Busto, Italy, member of the Lower Chamber, Five Star Movement
Paolo Bernini, Italy, member of the Lower Chamber, Five Star Mouvement
Giulietto Chiesa, Italy, former MEP, journalist, founder of PandoraTV
Ferdinando Imposimato, Italy, honorary president of the Supreme Court of Cassation
Manlio Dinucci, Italy, journalist, co founder of the Committee No War No Nato
Fulvio Grimaldi, Italy, journalist, co founder of the Committee No War No Nato
Alex Zanotelli, Italy, missionary
Enzo Brandi, Italy, engineer, activist of the No War Network - Rome
Pino Cabras, Italy, editor-in-chief of Megachip.info
Massimo Zucchetti, Italy, professor, University of Turin
Don Renato Sacco, Italy, national coordinator of Pax Christi organization
Vauro Senesi, Italy, journalist, cartoonist
Giorgio Cremaschi, Italy, union official
Antonio Mazzeo, Italy, journalist
Fabio D’Alessandro, No Muos Committee
Messaggi in testo e in video
Yanis Varoufakis, Greece, former Finance minister, economist
Franco Cardini, Italy, historian
Jeremy Corbyn, UK, Leader of the Labour Party
Gojko Raicevic, Montenegro, chairman No War No Nato movement
Josefina Fraile Martín, Spain, president of Terra SOS-tenible
ANEMOI, Spain, III República movement
Paolo Becchi, Italy, professor, University of Genoa