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martedì 1 dicembre 2015

PARIGI
MA QUALE TERRORE!!!
di Paolo Maria Di Stefano

Con questo lungo articolo di Di Stefano mettiamo altra carne al fuoco,
e prosegue il dibattito sul dopo Parigi.


Parto da vicino. Per l’esattezza, da Rozzano, comune i cui abitanti sostengono a  buon diritto di potersi fregiare della qualifica di Milanesi. Ariosi quanto si vuole, ma Milanesi. Se Milano è capitale morale d’Italia, lo è per la cultura, l’apertura, l’educazione e il comportamento dei suoi abitanti. Un responsabile scolastico di Rozzano -indirettamente supportato da una dirigente del Provveditorato- ha deciso che il concerto natalizio di quest’ anno sarà privo di ogni riferimento al Natale, per  non urtare la suscettibilità di coloro che Cristiani non sono. In quella scuola, mi pare di aver capito, non si dispone di Crocefissi sufficienti per tutte le aule. “La quale” -avrebbe detto Davelino Ciofeca, insuperabile ed insuperato self made manager di una impresa chimica milanese di rilevanza internazionale- “la quale, la soluzione sta nell’eliminare il crocefisso da tutte le aule.”
La cosa stupefacente è che nessuno -né il Comune, né la Provincia o quel che ne resta, e neppure la Regione- ha sentito il dovere di intervenire immediatamente sanzionando il comportamento dei due. I quali, in modo diverso e complementare, hanno sporcato l’immagine della città dando prova, oltretutto e dato il momento storico che attraversiamo, di una mancanza di coraggio assolutamente straordinaria. E’ vero che, come ebbe a scrivere proprio un milanese doc, Alessandro Manzoni, ”il coraggio se uno non ce l’ha non se lo può dare” (Promessi Sposi, cap. 25), ma non per questo, perché non si ha coraggio, si gode del privilegio di poter essere stupidi senza rischi. Non so a chi risalga la competenza e dunque anche il diritto-dovere di agire, ma so che se questi sono coloro che dovrebbero non solo difendere i nostri  valori fondanti, ma anche trasmetterli ai giovani, ebbene: vanno cacciati. Sono, tra le altre cose, complici dei terroristi.
Un aspetto positivo questa storia sembra averla acquisito: quel responsabile ha dato le dimissioni. Certo di aver ragione, pare abbia detto, ma ha dato le dimissioni. Che con i tempi che corrono, è qualcosa: le dimissioni sono divenute comportamento ignoto e pericoloso: si rinunzia all’incarico attuale, e dunque anche all’interesse alla difesa, di cui sono portatori coloro che compongono il mondo del dimissionario. Ma forse sono ingiusto. E sì, perché proprio il comportamento dei due educatori mi ha indotto a riesaminare le mie posizioni, preconcette, sul terrorismo e sullo Stato Islamico. A proposito di quest’ultimo, la condanna del nostro mondo sembra basarsi sulla circostanza che lo “Stato Islamico” sia un corpo estraneo, una formazione tumorale particolarmente maligna, in grado pertanto di distruggere il corpo nel quale alligna e dunque da curarsi mediante asportazione quanto prima possibile. D’accordo su tutto, meno che su un punto: il diritto di una compagine ad affermarsi come Stato sovrano; quanto meno, a sostenere il proprio diritto a tentare. Sono tutt’altro che rari i casi di Paesi Europei che reclamano indipendenza, libertà e dignità di Stato; e non sono poi rarissimi i casi di compagini sociali non titolari di un territorio proprio che hanno le stesse aspirazioni. “La quale” -concluderebbe il sullodato Davelino Ciofeca- “anche il Califfo che si proclama Capo dello Stato Islamico ha diritto a tentare di realizzare il progetto in cui crede, e di portarlo avanti”. Ancora una volta, è bello ed istruttivo. Ma credo che il vero problema stia nei metodi usati, più ancora che nelle origini e negli obbiettivi di un  conflitto intra religioso tra musulmani aderenti a interpretazioni diverse del Corano. Un metodo che si avvale della costrizione e non del convincimento, e dunque un metodo che il nostro tipo di civiltà e di cultura considera superato e ormai inammissibile. Ciò detto, al responsabile della scuola di Rozzano e alla funzionaria del Provveditorato devo l’essermi impegnato a cercare ciò che di positivo potrebbe esserci nel terrorismo. Ed ho scoperto tra tante altre cose, queste:

1.La spinta alla rinunzia almeno a parte del  nostro modo di essere e di quelle che credevamo conquiste della nostra cultura e della civiltà. Che è, poi, l’invito a riconoscere di esserci spinti troppo avanti noi, piccola parte di una popolazione mondiale in continua crescita rimasta troppo indietro per poterci comprendere e per mettersi al passo. Sempre ammesso che la nostra sia la strada giusta. Forse il punto debole sta nel fatto che ancora una volta l’invito a ripensare ci viene rivolto in modo violento nella consapevolezza che “ragionare” è difficilissimo, quasi impossibile quando le lingue sono diverse. E la violenza tende a generare resistenza. Per inciso, a questo messaggio di rinunzia sembra aver aderito il dirigente scolastico di Rozzano. Soltanto, forse senza rendersi conto che i terroristi non accennano ad alcun compromesso: se lo fanno, ordinano semplicemente che la nostra attuale cultura e i suoi simboli siano distrutti e che l’adesione al loro Islam sia immediata, totale, senza compromessi.
3.L’obbiettivo di distinguere e distanziare al massimo i concetti di  libertà e di anarchia: il modo migliore per risolvere uno dei massimi problemi del nostro mondo, nel quale sempre più sembra espandersi la confusione in materia. Il principio assoluto dei terroristi è che l’anarchia si annulla soltanto annullando la libertà. Quest’ultima consiste nell’obbedire volontariamente alla parola di Dio così come è stata trasmessa agli Eletti e come è scritta nel Sacro Testo. Il concetto di libertà coincide con quello di limitazione o, se si vuole, di obbedienza. Si è veramente liberi soltanto se si eseguono gli ordini. Senza tentennamenti o discussioni. In piena coerenza, ecco l’obbligo di imparare a memoria i versetti del Corano e di recitarli in continuo dentro di sé e, a richiesta e quando necessario ed opportuno, in pubblico. Verificarne la conoscenza è indice indiscusso e indiscutibile di adesione.
4.Il “premio” promesso a chi mette la propria vita terrena a disposizione di Dio attraverso l’obbedienza ai suoi ordini trasmessi dagli eletti prescelti. E poiché Dio non può  non conoscere la natura umana, ecco che il premio al sacrificio terreno consiste nell’avere di là quanto di qua non ci è riuscito. Una settantina di vergini a cranio, intanto: Dio sa quanto conta il sesso per l’uomo! E quanto rare siano le vergini ai giorni nostri! E tende a dimostrare la propria onnipotenza proprio spingendosi, non ostante tutto, a prometterne un numero spropositato in quell’ aldilà nel quale, ovviamente, si spinge fino ad assicurare ad ogni martire la potenza e la capacità di provvedere a quanto dal martire stesso desiderato: eliminare anche dal paradiso le vergini, a maggior gloria di Dio.
5.Il terrorismo ci ha anche insegnato che è sbagliato avere rispetto per i diritti delle persone, soprattutto quando si tratta di donne .E questo sia perché l’individuo in quanto tale non ha diritti se non quelli stabiliti da Dio e descritti dai Suoi Eletti, sia perché alle donne non si addice individualità di sorta, dal momento che Dio le ha volute per servire ed onorare gli uomini. Che significa, fare esclusivamente quanto agli uomini fa piacere. Dunque, è nell’interesse delle donne -sesso debole per definizione e con qualche probabilità non propriamente “persone”- essere difese dalla tentazione, che inevitabilmente cresce con il crescere della informazione e della cultura,  di discutere, oltre all’esser tenute lontane da ogni rischio di venire meno ai propri doveri verso il marito e verso la famiglia e i figli. Come è nel loro interesse evitare  in ogni modo  di costituire tentazione per l’uomo, e dunque è per il loro bene che la sola cosa visibile del corpo femminile siano gli occhi e il colore dell’abito il nero. Henry Ford, che della nostra civiltà è stato un esponente importante, aveva probabilmente presente tutto questo quando affermava che ciascuno di noi aveva la libertà di scegliere il colore dell’auto, purché fosse il nero. In fondo, il modo forse più efficace per impedire l’insorgere della invidia e della competizione. Ecco, allora, ancora una volta l’insegnamento fondamentale alla coerenza più assoluta: niente istruzione per le donne: genera discussione e indecisione; corpo assolutamente annullato dal lungo abito nero e capelli nascosti , in attesa di trovare una soluzione adatta anche per nascondere gli occhi. Che, non ostante tutto, è già praticata da noi: gli occhiali neri i quali, però, presentano il rischio di poter essere considerati richiamo sessuale tipico del “vedo-non vedo” e dunque un pericolo per l’uomo; assoluta obbedienza alla volontà del padre che ha scelto il marito, e a quella del  marito, ovviamente, una volta che il prescelto è divenuto tale. Poi, mi sono anche chiesto che cosa distinguesse, unificandoli, gli atti terroristici, chiunque ne fosse l’autore e dovunque essi avvenissero. A me pare di poter affermare che se il fine ultimo degli atti terroristici é quello di disunire il gruppo sociale contro cui si rivolgono e nell’ambito del quale avvengono, gli atti stessi non soltanto non raggiungono gli effetti voluti, ma si rivolgono in tempi più o meno lunghi contro gli stessi produttori, così realizzando una forma di masochismo inconsapevole che non attiene alla sfera sessuale (almeno, non propriamente) propria del masochismo e che consiste nel compiere azioni e creare prodotti che aggravano il grado dei bisogni che avrebbero dovuto, al contrario, soddisfare o contribuire a farlo.
Ora, produrre -soprattutto in modo inconscio- qualcosa di dannoso a sé è qualificabile come “imbecillità”. Un comportamento imbecille è azione il cui risultato non soltanto è dannoso per la comunità, ma lo è prima di tutto e soprattutto (anche se spesso in modo silente e non immediatamente avvertibile) per colui che la compie. Si tratta in genere di azioni solo apparentemente dirette a realizzare uno qualsiasi degli scambi che costituiscono la convivenza civile e quasi mai organizzate razionalmente in modo tale da porsi come manifestazione del vivere normale di una comunità e della volontà o del desiderio (almeno) di non peggiorarne il modo di essere. E uno tra i tanti comportamenti qualificabili come imbecilli a mio parere è costituito dall’uso della violenza e dagli attentati, che della prima sono una specifica sub-categoria.
Perché si tratta di manifestazioni di imbecillità? Perché la violenza e gli attentati sono destinati a rivolgersi contro coloro che li compiono, senza raggiungere gli obbiettivi che li hanno determinati, al di là degli effetti immediati, dirompenti e sanguinosi e drammatici quanto si  voglia, ma limitati al momento e in genere tali da rinsaldare quanto si intendeva distruggere.
Se quanto fin qui sinteticamente esposto ha un senso, io credo che si potrebbero trarre alcune conseguenze non scontate sul piano pratico.


La prima, di carattere assolutamente generale e forse anche generico è che, dal momento che l’esperienza popolare ci dice che la madre degli imbecilli è sempre incinta, imbarcarsi in un tentativo di eliminazione fisica di questa categoria è quasi certamente  un’azione senza speranza. Per ogni soggetto eliminato, almeno un altro è immediatamente inseribile al suo posto. E lo farà proprio perché imbecille. Che non  vuol significare altro se non che la lotta contro gli imbecilli è senza speranza, e dunque inutile e quindi sbagliata. Anche perché l’imbecillità spinge alla imitazione ed alla emulazione, dunque concretando una imbecillità di contorno difficilissima da prevedere e da contenere.
Il che non significa affatto che non si possa e non si debba operare affinché la formazione e l’utilizzo degli imbecilli a fini delittuosi  sia perseguita e punita con il massimo del rigore.
Da più di qualcuno si è parlato e si parla di “guerra” e di “guerra atipica”, non dichiarata e attuata con tecniche diverse da quella tradizionali.
Il discorso in materia si allungherebbe all’infinito, e dunque sintetizzo al massimo. La guerra per sua natura esclude soltanto ciò che certamente non conduce alla vittoria. E per vincere ogni mezzo è buono. Con una sola limitazione, costituita dalla circostanza che, se non si vince, molti dei mezzi usati si qualificano come crimini e come tali sono perseguiti e puniti. Ma gli stessi, in caso di vittoria, sono in qualche modo legalizzati. Significa: non è possibile qualificare come “atipica” nessuna guerra, salvo forse una: quella contro gli imbecilli, atipica proprio perché persa in partenza. E quindi imbecille essa stessa. Ma la circostanza che la guerra contro gli imbecilli è destinata ad esser perduta  non vuol dire che non si possano e non si debbano compiere contro gli imbecilli atti che alla guerra tradizionale appartengono. Quali, ad esempio, l’individuazione e l’eliminazione “fisica” delle centrali di arruolamento, delle scuole di formazione e di quelle di specializzazione: in tutti i casi, “luoghi” che è possibile distruggere, frequentati da individui che è pensabile e possibile mettere in condizione di non nuocere. Come del resto accade per le fonti di finanziamento, almeno quando costituite da pozzi di petrolio e da raffinerie: possono essere individuati e distrutti. Che è un atto di guerra.


La seconda. Se un gruppo di imbecilli dimostra di attivarsi in modo organizzato, vuol dire che dietro di esso esistono uno o più organizzatori, i quali forse imbecilli non sono, almeno nel senso che perseguono obbiettivi per raggiungere i quali hanno scoperto di poter strumentalizzare coloro che imbecilli lo sono realmente, e questo fanno conoscendo tutte le strategie, le tattiche, le tecniche meglio adatte. In tale ipotesi, io credo necessario individuare il fine ultimo delle azioni e quindi della produzione e dello scambio dei prodotti della linea chiamata terrorismo. Operazione, questa comunque in corso, ma che pare condotta alla luce di un principio di guerra tra religioni che probabilmente non è del tutto corretto. Con una conseguenza immediata e pericolosa, oltre che scorretta: la generalizzazione che porta a considerare (nel caso specifico) tutti gli islamici come aggressori e quindi nemici da abbattere nel più breve tempo possibile e con tutti i mezzi.
Ed anche qui qualche considerazione in più pare opportuna. Intanto, è più probabile che se di guerra di religione si tratta, l’ambiente sia l’Islam, l’interpretazione del Corano, da un lato, e, dall’altro, il mondo islamico, diviso, pare, proprio per le interpretazioni diverse dei testi sacri, in fazioni alle quali non ripugna la violenza.
Che è già un indice da valutarsi accuratamente, dal momento che il ricorso alla violenza sembra proporsi in più di un aspetto di una vita -quella dei musulmani- regolata in ogni suo aspetto dal Corano. Il quale non esita, per esempio, a suggerire al marito di frustare la moglie Sura IV-34: per ottime ragioni, naturalmente!
Ma è possibile pensare che le diverse interpretazioni religiose siano a loro volta strumentalizzate da organizzazioni che utilizzano i testi sacri e le inevitabili differenze tra le interpretazioni per raggiungere obbiettivi che sacri non sono e che appartengono in toto a questo mondo ed ai suoi aspetti più profani.
Se nell’Islam fondamentalmente i contrasti sono tra Sciiti e Sunniti, forse sarebbe necessario ed opportuno prendere atto che esiste una terza entità, che questi contrasti strumentalizza a fine di potere e ricchezza, e che io propongo di chiamare “Musulmo” per quel che di ironico, negativo, politico e in qualche modo sdrammatizzante che il lemma a mio parere contiene.
Ed anche per il tacito invito agli islamici di guardare al Musulmo (ed ai musulmiti) per quello che sono: un corpo estraneo che utilizza la religione per i propri interessi, in primis strumentalizzandola per convincere gli sprovveduti ad attivarsi fino al sacrificio di sé, senza nulla chiedere in cambio se non un certo numero di vergini nell’aldilà. Una buona ragione, a pensarci, per indurre i credenti musulmani a lottare a fondo contro i musulmiti.
Si tratta di individuare i capi della fazione musulmita e procedere contro di essi. E questa è cosa che investe innanzitutto gli islamici, i quali dovrebbero per primi preoccuparsi di quello che per la loro fede è un cancro e provvedere di conseguenza. Ma è anche cosa che non può lasciare indifferenti gli Stati, le società vittime del terrorismo, le quali hanno la possibilità di conoscere con la massima precisione chi sono i responsabili “ultimi”, gli strateghi, e dunque anche la possibilità di organizzare la loro eliminazione. Anche fisica.
E questo è possibile purché, in una con il rendersi conto che il musulmo è malattia degenerativa dell’islamismo in una con l’essere strumentalizzazione della religione a fini assolutamente laici, economici e forse politici, si prenda anche coscienza che è assai probabile che i teorici, i pianificatori, i finanziatori del terrorismo siano in buona parte tra di noi, nel nostro mondo, in quella che noi orgogliosamente vantiamo come civiltà occidentale.
Ed è quindi anche tra di noi che occorre cercare.


La terza: bisogna disarmare lo stato islamico, al quale è necessario che nessuno più venda armi, di nessun tipo, a nessun titolo, in nessun modo. E dal momento che più di uno Stato -e di un privato- sembra lo facciano (e tra questi, l’Italia) più o meno direttamente, occorre elaborare una “gestione degli scambi aventi per oggetto le armi” che in buona sostanza
1.impegni tutti i produttori di armi a produrre solo quelle necessarie ad ogni singolo Stato per difendersi da ogni eventuale attacco. In questa operazione, varrebbe la pena di ipotizzare  una “produzione pubblica ed esclusiva” degli armamenti, a cura dello Stato, sottraendo ai privati ogni e qualsiasi aspetto della gestione dello scambio delle armi;
2.a “distribuire”, se proprio necessario, gli armamenti soltanto a coloro che ogni Stato produttore assume come alleati strategicamente indispensabili ed assolutamente affidabili in caso di aggressione, e questo è possibile fare, appunto,
3.riservando in esclusiva allo Stato di riferimento la gestione degli scambi aventi per oggetto gli armamenti. Non soltanto la produzione, dunque, ma anche la distribuzione e la comunicazione. Anche quella relativa ai singoli componenti ed alle parti di ricambio.
Forse è corollario di nessuna importanza, ma io credo che sarebbe anche opportuno decidere una volta per tutte che i privati non possano acquistare, detenere ed usare armi, a nessun titolo e per nessuna ragione. Questioni di secondo momento ma anch’esse importanti come la caccia e le armi dedicate potrebbero essere risolte creano o centri (comunali, per esempio) pubblici di “noleggio ad ore delle armi necessarie per la caccia”, con riconsegna stabilita e con l’identificazione di colui che l’ha noleggiata.

La quarta: occorre rendere inefficiente il prodotto terrorismo. E a questo proposito occorre a mio parere ricordare che la parte fondamentale del risultato degli atti di terrorismo dei quali ci stiamo occupando consiste nel “creare” insicurezza, incertezza, paura. 
Se tutto è prodotto e se tutti i prodotti sono destinati a realizzare uno scambio, forse sarebbe opportuno ricordare che, affinché lo scambio avvenga, anche per gli scambi “terroristici” occorre le contemporanea presenza dei tre elementi essenziali: la “produzione”, la “comunicazione” e la “distribuzione”. Se manca oppure è carente uno soltanto di questi elementi (che non a caso sono definiti essenziali) il prodotto non raggiunge gli effetti voluti, poiché è l’intero scambio che non avviene oppure avviene in modo distorto.
E allora, in pratica una conseguenza immediata e per più di un verso prioritaria: impedire la realizzazione dell’elemento essenziale “comunicazione”, il quale nel caso in esame non è soltanto un elemento essenziale, ma realizza la natura stessa del tipo di terrorismo di cui ci stiamo occupando, che è in sé comunicazione. Significherebbe garantirsi la incapacità del prodotto “terrorismo” a raggiungere il suo fine ultimo, il suscitare “terrore” e dunque paura,  insicurezza e via dicendo, al fine di modificare e forse distruggere la  nostra civiltà. In materia, ancora una volta ci si trova di fronte ad una serie infinita di problemi, alcuni dovuti proprio al tipo di cultura che abbiamo costruito. Per esempio: per quanto riguarda la comunicazione definibile come “tradizionale” -stampa, network televisivi, conferenze e dibattiti e via dicendo-  pare non si possa neppure accennare alla possibilità di impedire la pubblicazione dei fatti terroristici: si tratterebbe della violazione della libertà di stampa,e del diritto/dovere di cronaca indiscutibilmente una delle conquiste della nostra cultura. Che sarà anche vero, ma che, se non impedita, potrebbe anche integrare qualcosa di simile alla connivenza con il nemico il quale sulla comunicazione degli eventi provocati fa affidamento massimo. Si tratta di scegliere: dare la notizia e collaborare con gli aggressori, oppure tacere, e dunque rendere inutili gli eventi da questi voluti. Né vale il sostenere che la notizia è stata data per adempiere ad un dovere ed esercitando un diritto, magari aggiungendo che il tutto é stato corredato da ampio commento di condanna: il commento non ha mai lo stesso peso della notizia e del come essa è stata recepita. Quanto meno, non il quel “comune sentire” che i terroristi cercano di annullare. E se è vero -come pare sia- che la rete svolge una funzione determinante per ogni tipo di comunicazione, compreso l’arruolamento delle persone e l’organizzazione degli eventi, è mai possibile che non si debba riuscire a bloccare in parte o in tutto la rete stessa? Tutti siamo consapevoli che anche in questo tema si apre l’infinita discussione sulla limitazione della libertà e sul darla vinta ai terroristi ogniqualvolta si proponga di limitare la liberta di cui attualmente godiamo. Ma credo che tutti dovremmo essere altrettanto consapevoli che proprio perché la nostra gente non ha più il senso del limite che alla libertà è connaturato e pensa essere suo diritto inalienabile fare quello che reputa opportuno, proprio per questo il concetto di libertà scivola sempre più velocemente verso l’anarchia, così divenendo malattia gravissima della compagine sociale.


La quinta: da più parti si afferma che lo Stato Islamico si finanzia anche con il traffico di esseri umani dalle coste dell’Africa verso l’Europa. Possibile. Ma se fosse vero, il rimedio ci sarebbe, e più che praticabile: istituire qualcosa di simile ad un servizio regolare di raccolta e trasporto dei profughi. Su questa opportunità abbiamo avuto più volte occasione di tornare, mettendo soprattutto in evidenza come l’occuparcene consentirebbe una serie pressoché infinita di vantaggi. A cominciare da quello della identificazione dei  migranti e quindi della storia di ciascuno di essi, con la conseguente  riduzione dei rischi relativi al trasferimento di male intenzionati, di delinquenti, di terroristi. Vantaggio non da poco, al quale altri se ne affiancherebbero quali  il sottrarre fonti di finanziamento alle mafie; la possibilità di diminuire o annullare occasioni di sfruttamento nelle varie fasi del  viaggio e del soggiorno; il poter programmare la destinazione finale delle persone e dunque conoscerne l’indirizzo; il consentire alle stesse di disporre di piccoli o grandi capitali (costituiti dal non dover dare agli sfruttatori le cifre importanti richieste) ; il liberare la gran parte delle risorse ora impiegate per il recupero e il salvataggio dei naufraghi; il rendere abbastanza inutile la costruzione di muri e barriere, con conseguente vantaggio per l’immagine delle nostre democrazie, e anche di risparmi non trascurabili; (…)
E concludo con uno spunto di meditazione. “L’idiota è un individuo che è stato sempre povero; il demente è invece un ricco diventato ad un certo momento povero” (Esquirol, 1817)
Siamo proprio sicuri che la nostra civiltà non sia sulla strada della demenza?
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