PARIGI
MA QUALE TERRORE!!!
di Paolo Maria Di
Stefano
Con questo lungo
articolo di Di Stefano mettiamo altra carne al fuoco,
e prosegue il
dibattito sul dopo Parigi.
Parto da vicino. Per l’esattezza, da Rozzano, comune i cui abitanti
sostengono a buon diritto di potersi
fregiare della qualifica di Milanesi. Ariosi quanto si vuole, ma Milanesi. Se
Milano è capitale morale d’Italia, lo è per la cultura, l’apertura,
l’educazione e il comportamento dei suoi abitanti. Un responsabile scolastico
di Rozzano -indirettamente supportato da una dirigente del Provveditorato- ha
deciso che il concerto natalizio di quest’ anno sarà privo di ogni riferimento
al Natale, per non urtare la
suscettibilità di coloro che Cristiani non sono. In quella scuola, mi pare di
aver capito, non si dispone di Crocefissi sufficienti per tutte le aule. “La
quale” -avrebbe detto Davelino Ciofeca, insuperabile ed insuperato self made
manager di una impresa chimica milanese di rilevanza internazionale- “la quale,
la soluzione sta nell’eliminare il crocefisso da tutte le aule.”
La cosa stupefacente è che
nessuno -né il Comune, né la Provincia o quel che ne resta, e neppure la
Regione- ha sentito il dovere di intervenire immediatamente sanzionando il
comportamento dei due. I quali, in modo diverso e complementare, hanno sporcato
l’immagine della città dando prova, oltretutto e dato il momento storico che
attraversiamo, di una mancanza di coraggio assolutamente straordinaria. E’ vero
che, come ebbe a scrivere proprio un milanese doc, Alessandro Manzoni, ”il
coraggio se uno non ce l’ha non se lo può dare” (Promessi Sposi, cap. 25), ma
non per questo, perché non si ha coraggio, si gode del privilegio di poter
essere stupidi senza rischi. Non so a chi risalga la competenza e dunque anche
il diritto-dovere di agire, ma so che se questi sono coloro che dovrebbero non
solo difendere i nostri valori fondanti,
ma anche trasmetterli ai giovani, ebbene: vanno cacciati. Sono, tra le altre
cose, complici dei terroristi.
Un aspetto positivo questa storia
sembra averla acquisito: quel responsabile ha dato le dimissioni. Certo di aver
ragione, pare abbia detto, ma ha dato le dimissioni. Che con i tempi che corrono,
è qualcosa: le dimissioni sono divenute comportamento ignoto e pericoloso: si
rinunzia all’incarico attuale, e dunque anche all’interesse alla difesa, di cui
sono portatori coloro che compongono il mondo del dimissionario. Ma forse sono
ingiusto. E sì, perché proprio il comportamento dei due educatori mi ha indotto
a riesaminare le mie posizioni, preconcette, sul terrorismo e sullo Stato
Islamico. A proposito di quest’ultimo, la condanna del nostro mondo sembra
basarsi sulla circostanza che lo “Stato Islamico” sia un corpo estraneo, una
formazione tumorale particolarmente maligna, in grado pertanto di distruggere
il corpo nel quale alligna e dunque da curarsi mediante asportazione quanto
prima possibile. D’accordo su tutto, meno che su un punto: il diritto di una
compagine ad affermarsi come Stato sovrano; quanto meno, a sostenere il proprio
diritto a tentare. Sono tutt’altro che rari i casi di Paesi Europei che
reclamano indipendenza, libertà e dignità di Stato; e non sono poi rarissimi i
casi di compagini sociali non titolari di un territorio proprio che hanno le stesse
aspirazioni. “La quale” -concluderebbe il sullodato Davelino Ciofeca- “anche il
Califfo che si proclama Capo dello Stato Islamico ha diritto a tentare di realizzare
il progetto in cui crede, e di portarlo avanti”. Ancora una volta, è bello ed
istruttivo. Ma credo che il vero problema stia nei metodi usati, più ancora che
nelle origini e negli obbiettivi di un
conflitto intra religioso tra musulmani aderenti a interpretazioni
diverse del Corano. Un metodo che si avvale della costrizione e non del
convincimento, e dunque un metodo che il nostro tipo di civiltà e di cultura
considera superato e ormai inammissibile. Ciò detto, al responsabile della
scuola di Rozzano e alla funzionaria del Provveditorato devo l’essermi
impegnato a cercare ciò che di positivo potrebbe esserci nel terrorismo. Ed ho
scoperto tra tante altre cose, queste:
1.La spinta alla rinunzia almeno a parte del nostro modo di essere e di quelle che
credevamo conquiste della nostra cultura e della civiltà. Che è, poi, l’invito
a riconoscere di esserci spinti troppo avanti noi, piccola parte di una popolazione
mondiale in continua crescita rimasta troppo indietro per poterci comprendere e
per mettersi al passo. Sempre ammesso che la nostra sia la strada giusta. Forse
il punto debole sta nel fatto che ancora una volta l’invito a ripensare ci
viene rivolto in modo violento nella consapevolezza che “ragionare” è
difficilissimo, quasi impossibile quando le lingue sono diverse. E la violenza
tende a generare resistenza. Per inciso, a questo messaggio di rinunzia sembra
aver aderito il dirigente scolastico di Rozzano. Soltanto, forse senza rendersi
conto che i terroristi non accennano ad alcun compromesso: se lo fanno,
ordinano semplicemente che la nostra attuale cultura e i suoi simboli siano
distrutti e che l’adesione al loro Islam sia immediata, totale, senza
compromessi.
3.L’obbiettivo di distinguere e
distanziare al massimo i concetti di
libertà e di anarchia: il modo migliore per risolvere uno dei massimi
problemi del nostro mondo, nel quale sempre più sembra espandersi la confusione
in materia. Il principio assoluto dei terroristi è che l’anarchia si annulla
soltanto annullando la libertà. Quest’ultima consiste nell’obbedire volontariamente
alla parola di Dio così come è stata trasmessa agli Eletti e come è scritta nel
Sacro Testo. Il concetto di libertà coincide con quello di limitazione o, se si
vuole, di obbedienza. Si è veramente liberi soltanto se si eseguono gli ordini.
Senza tentennamenti o discussioni. In piena coerenza, ecco l’obbligo di
imparare a memoria i versetti del Corano e di recitarli in continuo dentro di
sé e, a richiesta e quando necessario ed opportuno, in pubblico. Verificarne la
conoscenza è indice indiscusso e indiscutibile di adesione.
4.Il “premio” promesso a chi mette la propria vita terrena a
disposizione di Dio attraverso l’obbedienza ai suoi ordini trasmessi dagli
eletti prescelti. E poiché Dio non può
non conoscere la natura umana, ecco che il premio al sacrificio terreno
consiste nell’avere di là quanto di qua non ci è riuscito. Una settantina di
vergini a cranio, intanto: Dio sa quanto conta il sesso per l’uomo! E quanto
rare siano le vergini ai giorni nostri! E tende a dimostrare la propria onnipotenza
proprio spingendosi, non ostante tutto, a prometterne un numero spropositato in
quell’ aldilà nel quale, ovviamente, si spinge fino ad assicurare ad ogni
martire la potenza e la capacità di provvedere a quanto dal martire stesso
desiderato: eliminare anche dal paradiso le vergini, a maggior gloria di Dio.
5.Il terrorismo ci ha anche insegnato che è sbagliato avere
rispetto per i diritti delle persone, soprattutto quando si tratta di donne .E
questo sia perché l’individuo in quanto tale non ha diritti se non quelli
stabiliti da Dio e descritti dai Suoi Eletti, sia perché alle donne non si
addice individualità di sorta, dal momento che Dio le ha volute per servire ed
onorare gli uomini. Che significa, fare esclusivamente quanto agli uomini fa
piacere. Dunque, è nell’interesse delle donne -sesso debole per definizione e
con qualche probabilità non propriamente “persone”- essere difese dalla
tentazione, che inevitabilmente cresce con il crescere della informazione e
della cultura, di discutere, oltre all’esser
tenute lontane da ogni rischio di venire meno ai propri doveri verso il marito
e verso la famiglia e i figli. Come è nel loro interesse evitare in ogni modo
di costituire tentazione per l’uomo, e dunque è per il loro bene che la
sola cosa visibile del corpo femminile siano gli occhi e il colore dell’abito
il nero. Henry Ford, che della nostra civiltà è stato un esponente importante,
aveva probabilmente presente tutto questo quando affermava che ciascuno di noi
aveva la libertà di scegliere il colore dell’auto, purché fosse il nero. In
fondo, il modo forse più efficace per impedire l’insorgere della invidia e
della competizione. Ecco, allora, ancora una volta l’insegnamento fondamentale
alla coerenza più assoluta: niente istruzione per le donne: genera discussione
e indecisione; corpo assolutamente annullato dal lungo abito nero e capelli
nascosti , in attesa di trovare una soluzione adatta anche per nascondere gli
occhi. Che, non ostante tutto, è già praticata da noi: gli occhiali neri i
quali, però, presentano il rischio di poter essere considerati richiamo
sessuale tipico del “vedo-non vedo” e dunque un pericolo per l’uomo; assoluta
obbedienza alla volontà del padre che ha scelto il marito, e a quella del marito, ovviamente, una volta che il prescelto
è divenuto tale. Poi, mi sono anche chiesto che cosa distinguesse,
unificandoli, gli atti terroristici, chiunque ne fosse l’autore e dovunque essi
avvenissero. A me pare di poter affermare che se il fine ultimo degli atti
terroristici é quello di disunire il gruppo sociale contro cui si rivolgono e
nell’ambito del quale avvengono, gli atti stessi non soltanto non raggiungono
gli effetti voluti, ma si rivolgono in tempi più o meno lunghi contro gli
stessi produttori, così realizzando una forma di masochismo inconsapevole che
non attiene alla sfera sessuale (almeno, non propriamente) propria del
masochismo e che consiste nel compiere azioni e creare prodotti che aggravano
il grado dei bisogni che avrebbero dovuto, al contrario, soddisfare o
contribuire a farlo.
Ora, produrre -soprattutto in
modo inconscio- qualcosa di dannoso a sé è qualificabile come “imbecillità”. Un
comportamento imbecille è azione il cui risultato non soltanto è dannoso per la
comunità, ma lo è prima di tutto e soprattutto (anche se spesso in modo silente
e non immediatamente avvertibile) per colui che la compie. Si tratta in genere
di azioni solo apparentemente dirette a realizzare uno qualsiasi degli scambi
che costituiscono la convivenza civile e quasi mai organizzate razionalmente in
modo tale da porsi come manifestazione del vivere normale di una comunità e
della volontà o del desiderio (almeno) di non peggiorarne il modo di essere. E
uno tra i tanti comportamenti qualificabili come imbecilli a mio parere è
costituito dall’uso della violenza e dagli attentati, che della prima sono una
specifica sub-categoria.
Perché si tratta di
manifestazioni di imbecillità? Perché la violenza e gli attentati sono
destinati a rivolgersi contro coloro che li compiono, senza raggiungere gli
obbiettivi che li hanno determinati, al di là degli effetti immediati,
dirompenti e sanguinosi e drammatici quanto si
voglia, ma limitati al momento e in genere tali da rinsaldare quanto si
intendeva distruggere.
Se quanto fin qui sinteticamente
esposto ha un senso, io credo che si potrebbero trarre alcune conseguenze non
scontate sul piano pratico.
La prima, di carattere assolutamente generale e forse anche
generico è che, dal momento che l’esperienza popolare ci dice che la madre
degli imbecilli è sempre incinta, imbarcarsi in un tentativo di eliminazione
fisica di questa categoria è quasi certamente
un’azione senza speranza. Per ogni soggetto eliminato, almeno un altro è
immediatamente inseribile al suo posto. E lo farà proprio perché imbecille. Che
non vuol significare altro se non che la
lotta contro gli imbecilli è senza speranza, e dunque inutile e quindi
sbagliata. Anche perché l’imbecillità spinge alla imitazione ed alla
emulazione, dunque concretando una imbecillità di contorno difficilissima da
prevedere e da contenere.
Il che non significa affatto che
non si possa e non si debba operare affinché la formazione e l’utilizzo degli
imbecilli a fini delittuosi sia
perseguita e punita con il massimo del rigore.
Da più di qualcuno si è parlato e
si parla di “guerra” e di “guerra atipica”, non dichiarata e attuata con
tecniche diverse da quella tradizionali.
Il discorso in materia si
allungherebbe all’infinito, e dunque sintetizzo al massimo. La guerra per sua
natura esclude soltanto ciò che certamente non conduce alla vittoria. E per
vincere ogni mezzo è buono. Con una sola limitazione, costituita dalla
circostanza che, se non si vince, molti dei mezzi usati si qualificano come
crimini e come tali sono perseguiti e puniti. Ma gli stessi, in caso di
vittoria, sono in qualche modo legalizzati. Significa: non è possibile
qualificare come “atipica” nessuna guerra, salvo forse una: quella contro gli
imbecilli, atipica proprio perché persa in partenza. E quindi imbecille essa
stessa. Ma la circostanza che la guerra contro gli imbecilli è destinata ad
esser perduta non vuol dire che non si
possano e non si debbano compiere contro gli imbecilli atti che alla guerra
tradizionale appartengono. Quali, ad esempio, l’individuazione e l’eliminazione
“fisica” delle centrali di arruolamento, delle scuole di formazione e di quelle
di specializzazione: in tutti i casi, “luoghi” che è possibile distruggere,
frequentati da individui che è pensabile e possibile mettere in condizione di
non nuocere. Come del resto accade per le fonti di finanziamento, almeno quando
costituite da pozzi di petrolio e da raffinerie: possono essere individuati e
distrutti. Che è un atto di guerra.
La seconda. Se un gruppo di imbecilli dimostra di attivarsi in modo
organizzato, vuol dire che dietro di esso esistono uno o più organizzatori, i
quali forse imbecilli non sono, almeno nel senso che perseguono obbiettivi per
raggiungere i quali hanno scoperto di poter strumentalizzare coloro che
imbecilli lo sono realmente, e questo fanno conoscendo tutte le strategie, le
tattiche, le tecniche meglio adatte. In tale ipotesi, io credo necessario
individuare il fine ultimo delle azioni e quindi della produzione e dello
scambio dei prodotti della linea chiamata terrorismo. Operazione, questa
comunque in corso, ma che pare condotta alla luce di un principio di guerra tra
religioni che probabilmente non è del tutto corretto. Con una conseguenza
immediata e pericolosa, oltre che scorretta: la generalizzazione che porta a
considerare (nel caso specifico) tutti gli islamici come aggressori e quindi
nemici da abbattere nel più breve tempo possibile e con tutti i mezzi.
Ed anche qui qualche
considerazione in più pare opportuna. Intanto, è più probabile che se di guerra
di religione si tratta, l’ambiente sia l’Islam, l’interpretazione del Corano,
da un lato, e, dall’altro, il mondo islamico, diviso, pare, proprio per le
interpretazioni diverse dei testi sacri, in fazioni alle quali non ripugna la
violenza.
Che è già un indice da valutarsi
accuratamente, dal momento che il ricorso alla violenza sembra proporsi in più
di un aspetto di una vita -quella dei musulmani- regolata in ogni suo aspetto
dal Corano. Il quale non esita, per esempio, a suggerire al marito di frustare
la moglie Sura IV-34: per ottime ragioni, naturalmente!
Ma è possibile pensare che le
diverse interpretazioni religiose siano a loro volta strumentalizzate da
organizzazioni che utilizzano i testi sacri e le inevitabili differenze tra le
interpretazioni per raggiungere obbiettivi che sacri non sono e che appartengono
in toto a questo mondo ed ai suoi aspetti più profani.
Se nell’Islam fondamentalmente i
contrasti sono tra Sciiti e Sunniti, forse sarebbe necessario ed opportuno
prendere atto che esiste una terza entità, che questi contrasti strumentalizza
a fine di potere e ricchezza, e che io propongo di chiamare “Musulmo” per quel che di ironico,
negativo, politico e in qualche modo sdrammatizzante che il lemma a mio parere
contiene.
Ed anche per il tacito invito
agli islamici di guardare al Musulmo
(ed ai musulmiti) per quello che
sono: un corpo estraneo che utilizza la religione per i propri interessi, in
primis strumentalizzandola per convincere gli sprovveduti ad attivarsi fino al
sacrificio di sé, senza nulla chiedere in cambio se non un certo numero di
vergini nell’aldilà. Una buona ragione, a pensarci, per indurre i credenti
musulmani a lottare a fondo contro i musulmiti.
Si tratta di individuare i capi
della fazione musulmita e procedere
contro di essi. E questa è cosa che investe innanzitutto gli islamici, i quali
dovrebbero per primi preoccuparsi di quello che per la loro fede è un cancro e
provvedere di conseguenza. Ma è anche cosa che non può lasciare indifferenti
gli Stati, le società vittime del terrorismo, le quali hanno la possibilità di conoscere
con la massima precisione chi sono i responsabili “ultimi”, gli strateghi, e
dunque anche la possibilità di organizzare la loro eliminazione. Anche fisica.
E questo è possibile purché, in
una con il rendersi conto che il musulmo è
malattia degenerativa dell’islamismo in una con l’essere strumentalizzazione
della religione a fini assolutamente laici, economici e forse politici, si
prenda anche coscienza che è assai probabile che i teorici, i pianificatori, i
finanziatori del terrorismo siano in buona parte tra di noi, nel nostro mondo,
in quella che noi orgogliosamente vantiamo come civiltà occidentale.
Ed è quindi anche tra di noi che
occorre cercare.
La terza: bisogna disarmare lo stato islamico, al quale è
necessario che nessuno più venda armi, di nessun tipo, a nessun titolo, in
nessun modo. E dal momento che più di uno Stato -e di un privato- sembra lo
facciano (e tra questi, l’Italia) più o meno direttamente, occorre elaborare
una “gestione degli scambi aventi per oggetto le armi” che in buona sostanza
1.impegni tutti i produttori di armi a produrre solo quelle
necessarie ad ogni singolo Stato per difendersi da ogni eventuale attacco. In
questa operazione, varrebbe la pena di ipotizzare una “produzione pubblica ed esclusiva” degli
armamenti, a cura dello Stato, sottraendo ai privati ogni e qualsiasi aspetto
della gestione dello scambio delle armi;
2.a “distribuire”, se proprio necessario, gli armamenti soltanto a
coloro che ogni Stato produttore assume come alleati strategicamente
indispensabili ed assolutamente affidabili in caso di aggressione, e questo è
possibile fare, appunto,
3.riservando in esclusiva allo Stato di riferimento la gestione
degli scambi aventi per oggetto gli armamenti. Non soltanto la produzione,
dunque, ma anche la distribuzione e la comunicazione. Anche quella relativa ai
singoli componenti ed alle parti di ricambio.
Forse è corollario di nessuna
importanza, ma io credo che sarebbe anche opportuno decidere una volta per
tutte che i privati non possano acquistare, detenere ed usare armi, a nessun
titolo e per nessuna ragione. Questioni di secondo momento ma anch’esse
importanti come la caccia e le armi dedicate potrebbero essere risolte creano o
centri (comunali, per esempio) pubblici di “noleggio ad ore delle armi
necessarie per la caccia”, con riconsegna stabilita e con l’identificazione di
colui che l’ha noleggiata.
La quarta: occorre rendere inefficiente il prodotto terrorismo. E a
questo proposito occorre a mio parere ricordare che la parte fondamentale del
risultato degli atti di terrorismo dei quali ci stiamo occupando consiste nel
“creare” insicurezza, incertezza, paura.
Se tutto è prodotto e se tutti i
prodotti sono destinati a realizzare uno scambio, forse sarebbe opportuno
ricordare che, affinché lo scambio avvenga, anche per gli scambi “terroristici”
occorre le contemporanea presenza dei tre elementi essenziali: la “produzione”,
la “comunicazione” e la “distribuzione”. Se manca oppure è carente uno soltanto
di questi elementi (che non a caso sono definiti essenziali) il prodotto non
raggiunge gli effetti voluti, poiché è l’intero scambio che non avviene oppure
avviene in modo distorto.
E allora, in pratica una
conseguenza immediata e per più di un verso prioritaria: impedire la
realizzazione dell’elemento essenziale “comunicazione”, il quale nel caso in
esame non è soltanto un elemento essenziale, ma realizza la natura stessa del
tipo di terrorismo di cui ci stiamo occupando, che è in sé comunicazione.
Significherebbe garantirsi la incapacità del prodotto “terrorismo” a raggiungere
il suo fine ultimo, il suscitare “terrore” e dunque paura, insicurezza e via dicendo, al fine di
modificare e forse distruggere la nostra
civiltà. In materia, ancora una volta ci si trova di fronte ad una serie
infinita di problemi, alcuni dovuti proprio al tipo di cultura che abbiamo
costruito. Per esempio: per quanto riguarda la comunicazione definibile come
“tradizionale” -stampa, network televisivi, conferenze e dibattiti e via
dicendo- pare non si possa neppure
accennare alla possibilità di impedire la pubblicazione dei fatti terroristici:
si tratterebbe della violazione della libertà di stampa,e del diritto/dovere di
cronaca indiscutibilmente una delle conquiste della nostra cultura. Che sarà
anche vero, ma che, se non impedita, potrebbe anche integrare qualcosa di
simile alla connivenza con il nemico il quale sulla comunicazione degli eventi
provocati fa affidamento massimo. Si tratta di scegliere: dare la notizia e
collaborare con gli aggressori, oppure tacere, e dunque rendere inutili gli eventi
da questi voluti. Né vale il sostenere che la notizia è stata data per
adempiere ad un dovere ed esercitando un diritto, magari aggiungendo che il
tutto é stato corredato da ampio commento di condanna: il commento non ha mai
lo stesso peso della notizia e del come essa è stata recepita. Quanto meno, non
il quel “comune sentire” che i terroristi cercano di annullare. E se è vero -come
pare sia- che la rete svolge una funzione determinante per ogni tipo di
comunicazione, compreso l’arruolamento delle persone e l’organizzazione degli
eventi, è mai possibile che non si debba riuscire a bloccare in parte o in
tutto la rete stessa? Tutti siamo consapevoli che anche in questo tema si apre
l’infinita discussione sulla limitazione della libertà e sul darla vinta ai
terroristi ogniqualvolta si proponga di limitare la liberta di cui attualmente
godiamo. Ma credo che tutti dovremmo essere altrettanto consapevoli che proprio
perché la nostra gente non ha più il senso del limite che alla libertà è
connaturato e pensa essere suo diritto inalienabile fare quello che reputa
opportuno, proprio per questo il concetto di libertà scivola sempre più
velocemente verso l’anarchia, così divenendo malattia gravissima della
compagine sociale.
La quinta: da più parti si afferma che lo Stato Islamico si
finanzia anche con il traffico di esseri umani dalle coste dell’Africa verso
l’Europa. Possibile. Ma se fosse vero, il rimedio ci sarebbe, e più che
praticabile: istituire qualcosa di simile ad un servizio regolare di raccolta e
trasporto dei profughi. Su questa opportunità abbiamo avuto più volte occasione
di tornare, mettendo soprattutto in evidenza come l’occuparcene consentirebbe
una serie pressoché infinita di vantaggi. A cominciare da quello della
identificazione dei migranti e quindi
della storia di ciascuno di essi, con la conseguente riduzione dei rischi relativi al
trasferimento di male intenzionati, di delinquenti, di terroristi. Vantaggio
non da poco, al quale altri se ne affiancherebbero quali il sottrarre fonti di finanziamento alle
mafie; la possibilità di diminuire o annullare occasioni di sfruttamento nelle
varie fasi del viaggio e del soggiorno;
il poter programmare la destinazione finale delle persone e dunque conoscerne
l’indirizzo; il consentire alle stesse di disporre di piccoli o grandi capitali
(costituiti dal non dover dare agli sfruttatori le cifre importanti richieste)
; il liberare la gran parte delle risorse ora impiegate per il recupero e il
salvataggio dei naufraghi; il rendere abbastanza inutile la costruzione di muri
e barriere, con conseguente vantaggio per l’immagine delle nostre democrazie, e
anche di risparmi non trascurabili; (…)
E concludo con uno spunto di meditazione. “L’idiota è un individuo che è stato sempre povero; il demente è invece un ricco diventato ad un
certo momento povero” (Esquirol, 1817)
Siamo proprio sicuri che la
nostra civiltà non sia sulla strada della demenza?
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