PARIGI
Un appello di intellettuali francesi contro la guerra.
A quando una presa
di posizione pubblica degli intellettuali italiani?
Ci si è forse
dimenticati che anche l’Italia è in guerra su vari fronti internazionali
e che è fra i
maggiori venditori di armi, cioè di morte, a regimi di ogni sorta? (A.G.)
Nessuna interpretazione
monolitica, nessuna spiegazione meccanicistica può far luce sugli attentati. Ma
possiamo forse rimanere in silenzio? Molte persone -e le comprendiamo-
ritengono che davanti all'orrore di questi fatti, l’unico atto decente sia il
raccoglimento. Eppure non possiamo tacere, quando altri parlano e agiscono in
nostro nome: quando altri ci trascinano nella loro guerra. Dovremmo forse
lasciarli fare, in nome dell’unità nazionale e dell’intimazione a pensare in
sintonia con il governo? Si dice che adesso siamo in guerra. E prima no? E in
guerra perché? In nome dei diritti umani e della civiltà? La spirale in cui ci
trascina lo Stato pompiere piromane è infernale. La Francia è continuamente in
guerra. Esce da una guerra in Afghanistan, lorda di civili assassinati. I
diritti delle donne continuano a essere negati, e i talebani guadagnano terreno
ogni giorno di più. Esce da una guerra alla Libia che lascia il paese in rovine
e saccheggiato, con migliaia di morti, e montagne di armi sul mercato, per
rifornire ogni sorta di jihadisti. Esce da una guerra in Mali, e là i gruppi
jihadisti di AlQaeda continuano ad avanzare e perpetrare massacri. A Bamako, la
Francia protegge un regime corrotto fino al midollo, così come in Niger e in
Gabon. E qualcuno pensa che gli oleodotti del Medioriente, l’uranio sfruttato
in condizioni mostruose da Areva, gli interessi di Total e Bolloré non abbiano
nulla a che vedere con questi interventi molto selettivi, che si lasciano
dietro paesi distrutti? In Libia, in Centrafrica, in Mali, la Francia non ha
varato alcun piano per aiutare le popolazioni a uscire dal caos. Eppure non
basta somministrare lezioni di pretesa morale (occidentale). Quale speranza di
futuro possono avere intere popolazioni condannate a vegetare in campi profughi
o a sopravvivere nelle rovine?
La Francia vuole distruggere Daesh? Bombardando,
moltiplica i jihadisti. I «Rafale» uccidono civili altrettanto innocenti di
quelli del Bataclan. E, come avvenne in Iraq, alcuni civili finiranno per
solidarizzare con i jihadisti: questi bombardamenti sono bombe a scoppio
ritardato.
Daesh è uno dei nostri peggiori nemici: massacra,
decapita, stupra, opprime le donne e indottrina i bambini, distrugge patrimoni
dell’umanità. Al tempo stesso, la Francia vende al regime saudita, notoriamente
sostenitore delle reti jihadiste, elicotteri da combattimento, navi da
pattugliamento, centrali nucleari; l’Arabia saudita ha appena ordinato alla
Francia tre miliardi di dollari di armamenti; ha pagato la fattura di due navi
Mistral, vendute all’Egitto del maresciallo al Sisi che reprime i democratici
della primavera araba. In Arabia saudita, non si decapita forse? Non si
tagliano le mani? Le donne non vivono in semi-schiavitù? L’aviazione saudita,
impegnata in Yemen a fianco del regime, bombarda le popolazioni civili,
distruggendo anche tesori dell’architettura. Bombarderemo l’Arabia Saudita?
Oppure l’indignazione varia a seconda delle alleanze economiche?
La guerra alla jihad, si dice con tono marziale, si
combatte anche in Francia. Ma come evitare che vi cadano dei giovani,
soprattutto quelli provenienti da ceti non abbienti, se non cessano le discriminazioni
nei loro confronti, a scuola, rispetto al lavoro, all’accesso all’abitazione,
alla loro religione? Se finiscono continuamente in prigione, ancor più
stigmatizzati? E se non si aprono per loro altre condizioni di vita? Se si
continua a negare la dignità che rivendicano?
Ecco: l’unico modo per combattere concretamente, qui, i nostri
nemici, in questo paese che è diventato il secondo venditore di armi a livello
mondiale, è rifiutare un sistema che in nome di un miope profitto produce
ovunque ingiustizia. Perché la violenza di un mondo che Bush junior ci
prometteva, 14 anni fa, riconciliato, riappacificato, ordinato, non è nata dal
cervello di Bin Laden o di Daesh. Nasce e prospera sulla miseria e sulle
diseguaglianze che crescono di anno in anno, fra i paesi del Nord e quelli del
Sud, e all’interno degli stessi paesi ricchi, come indicano i rapporti
dell’Onu. L’opulenza degli uni ha come contropartita lo sfruttamento e
l’oppressione degli altri. Non si farà indietreggiare la violenza senza
affrontarne le radici. Non ci sono scorciatoie magiche: le bombe non lo sono. Quando
furono scatenate le guerre dell’Afghanistan e dell’Iraq, le manifestazioni di
protesta furono imponenti. Sostenevamo che questi interventi militari avrebbero
seminato, alla cieca, caos e morte. Avevamo torto? La guerra di Hollande avrà
le stesse conseguenze. Dobbiamo unirci con urgenza contro i bombardamenti
francesi che accrescono le minacce, e contro le derive liberticide che non
risolvono nulla, anzi evitano e negano le cause del disastro. Questa guerra non
sarà in nostro nome.
Primi firmatari:
Etienne Balibar, Ludivine
Bantigny (storica), Emmanuel Barot
(filosofo), Jacques Bidet
(filosofo), Déborah Cohen (storica),
François Cusset (storico delle
idee), Laurence De Cock (storica), Christine Delphy (sociologa), Cédric Durand (economista), Fanny Gallot (storica), Eric Hazan (editore), Sabina Issehnane (economista), Razmig Keucheyan (sociologo), Marius Loris (storico e poeta), Marwan Mohammed (sociologo), Olivier Neveux (storico dell’arte), Willy Pelletier (sociologo), Irene Pereira (sociologa), Julien Théry-Astruc (storico), Rémy Toulouse (editore), Enzo Traverso (storico)
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