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martedì 5 gennaio 2016

LA DIFFICILE SFIDA DELL’INTEGRAZIONE
di Fulvio Papi


Rileggendo a distanza di una decina d’anni alcune pagine del celebre libro di Alain Touraine “la globalizzazione e la fine del sociale” ho ritrovato alcune riflessioni che sono particolarmente importanti per comprendere alcuni aspetti fondamentali della drammatica crisi contemporanea, funestata da veri e propri attacchi di natura militare nei confronti delle forme di vita occidentali. Cito i passi che poi cercherò di commentare al meglio possibile. “L’autoritarismo, l’ignoranza, l’isolamento costituiscono altrettanti ostacoli alla produzione di sé come soggetto che colpiscono più duramente alcune categorie di persone. Allo stesso tempo questi ostacoli vengono rafforzati dalla educazione e dai valori dominanti che tendono ad assegnare a ciascuno un posto e a integrarlo in un sistema nel quale non può avere alcuna influenza. Ora per riprendere l’idea di Amartya Sen, ciò che conta, al di là del benessere, è la libertà di essere un attore […]. Soggetto non è sinonimo di “io”, l’io è il mutevole insieme e sempre frammentario con il quale ci identifichiamo pur sapendo che è privo di unità durevole […]. È un tema tipico dell’esperienza contemporanea che deve essere portato alle conseguenze estreme, perché soltanto dalle macerie di un io disgregato può nascere l’idea di soggetto”. Questa analisi di Touraine ci porta al centro di un problema contemporaneo ben noto: il fallimento (o quasi) in Francia della integrazione degli extracomunitari nel sistema culturale nazionale. Il problema è ovviamente aperto anche in altre situazioni nazionali. L’integrazione con l’autorità, la legge, la lingua, il costume, l’educazione possono creare un “io” che abbia sufficienti ragioni per relazioni dirette con l’ambiente sociale in cui è entrato. Ma questo “io” può anche apparire nella relazione che ciascuno ha con se stesso, insufficiente, passivo e frustrante, incapace di agire secondo una qualsiasi persuasiva finalità. Ora è propria questa caratteristica che appare fondamentale per trovare un “soggetto” il quale, e qui è il tema essenziale, può nascere solo dalle “macerie dell’io”. Il che significa che l’io, così com’è stato costituito, appare, nell’esame di sé a se stesso, come un artificio, una maschera, una falsificazione. Una esperienza del vuoto di sé che è derivato dalla disintegrazione dell’ “io” che ora consente solo la nascita di una figura esistenziale di un “soggetto” vuoto. Questa analisi mi pare particolarmente pertinente oggi quando vediamo giovani immigrati di seconda o terza generazione di fronte all’impossibilità o alla incapacità di costruire un “io”, e di incontrare la propria libertà solo nella relazione negativa con sé stessi. È facile inferire che sia proprio questa situazione individuale, condivisa da altri, a creare le condizioni per una ribellione radicale che trova il suo “agire” solo nella violenza e nel gioco crudele del dare la morte. Probabilmente sono in questa prospettiva le ragioni esistenziali ed eversive che conducono alla adesione a forme religiose totalizzanti che sostengono la negazione assoluta del mondo occidentale, quella società che ha impedito il formarsi di un “io” conforme a se stessi. La credenza religiosa, in questi “soggetti”, nei quali l’occidentalizzazione è fallita nella formazione dell’identità, è una decisione parallela. Una analisi come questa che rimette nel discorso, con un nuovo significato, il concetto, un poco arcaico, di “soggetto”, mette di fronte a una situazione che non lascia sbocchi positivi alla nostra tradizione. Il “soggetto”, qui nasce dalla inesistenza di un “io”, dalla identità vuota di se stesso che può trovare “io” e “identità” solo nella distruzione dell’assoluto altro da sé che è il contenuto vitale, opposto al proprio vuoto, nelle sue forme compiute personali e sociali. Il fanatismo e la crudeltà hanno la loro radice nel modo distruttivo in cui si è costruita questa forma sociale di “soggetto”. Nel mondo contemporaneo questa è una, la più drammatica, delle possibilità dell’incontro tra culture diverse che trovano nel mondo occidentale “soggetti” disponibili alla radicalizzazione “ideologica” del loro confronto. Ma, ripeto, nei “convertiti” occidentali la radice è quel “soggetto” che nasce dalla devastazione dell’ “io” che conduce nell’aggressione mortale al ritrovamento di una identità.  È un problema tragico che con meno fiducia nella positività universale della nostra cultura, si poteva forse immaginare e quindi temere. Ma ora non è né una questione di superficie e tanto meno di chiacchiere. 

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