LE MORTI "MISTERIOSE" CHE PARLANO
AL NOSTRO FUTURO
di Vittorio Agnoletto
La
notizia è una di quelle che non può scivolare via in silenzio: secondo l’Istat
nei primi otto mesi del 2015 in Italia vi sono stati 45.000 decessi in più di
quelli verificatisi durante lo stesso periodo nel 2014; se questo trend
continuerà il 2015 si concluderà con ben 67.000 morti in più dello scorso anno.
Gli esperti di statistica sostengono che un aumento comparabile si era
verificato, fino ad ora, solo nel 1943 in pieno periodo bellico. I dati forniti
dall’Istat risulterebbero, ad una prima osservazione, del tutto incomprensibili
anche perché nei due anni precedenti, tra il 2012 e il 2014 il numero dei
decessi/anno era diminuito: meno 4.000 tra il 2014 e il 2013. Non solo. Secondo
i dati forniti sempre dalla medesima fonte, l’attesa di vita nel nostro Paese
lo scorso anno era ancora aumentata, seppur leggermente, giungendo per gli
uomini a 80,2 anni e per le donne a 84,9; dato confermato da un recente
documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che colloca l’Italia al
secondo posto al mondo con un’aspettativa di vita media di 83 anni, dietro al
Giappone che raggiunge quota 84. Di fronte a questi dati, da più parti si è
ipotizzato un errore dell’Istat; ma alla vigilia di Natale la Toscana ha
comunicato che fino al 31 agosto i decessi negli ospedali della regione sono
aumentati del 7.5% rispetto a quelli verificatisi nel medesimo periodo lo
scorso anno, senza che contemporaneamente vi sia stata una diminuzione di
quelli extra-ospedalieri.
I decessi
ospedalieri sono utilizzati dall’Istat come un indicatore valido per
comprendere l’andamento della mortalità generale e sembrano confermare quanto
rilevato dai ricercatori a livello nazionale. Per cercare una spiegazione da
più parti si sono indicate due ragioni: un aumento del numero di coloro che,
spaventati dalle polemiche su un’ipotetica pericolosità, lo scorso inverno
hanno scelto di non sottoporsi alla
vaccinazione contro l’influenza stagionale; e una crescita della mortalità
connessa all’aumento del numero delle persone anziane viventi. Ma le medesime
fonti attribuiscono, al massimo, alle due ipotetiche cause citate
rispettivamente la responsabilità di 8.000 e 15.000 morti/anno in più; la loro
somma arriverebbe a giustificare circa un terzo dell’aumento totale di decessi
previsto al 31
dicembre 2015 . Rimarrebbe quindi il mistero.
Ma forse è possibile
trovare qualche spiegazione per comprendere quanto si sta verificando e se
queste fossero vere non ne discenderebbero buone nuove per il nostro futuro.
Infatti, secondo il rapporto dell’Ocse "Health at Glance 2015"
("Uno sguardo sulla salute nel 2015") in Italia “l’aspettativa di
vita in buona salute per la popolazione sopra i 65 anni” è tra le più basse tra
i Paesi analizzati. Questo indicatore, utilizzato da tutte le principali
agenzie internazionali attive nel settore della salute, indica gli anni che una
persona ultrasessantacinquenne può vivere senza avere limitazioni significative
nelle attività quotidiane; in sostanza ci dice per quanto tempo una persona,
superati i 65 anni, è ancora autonoma. In Italia per l’Ocse non solo questo
indicatore è estremamente basso, ma il suo trend nell’ultimo anno risulta in
caduta libera; dato confermato da altre recenti ricerche svolte a livello
nazionale.
Un
peggioramento della qualità di vita degli anziani implica un aumento del
fabbisogno di assistenza, dalla fisioterapia alle cure dentarie alle terapie
farmacologiche in campo neurologico, solo per fare degli esempi; ma secondo
diverse inchieste, non ultima quella realizzata da Altroconsumo, sono proprio
questi gli interventi medico-sanitari ai quali, sotto i colpi della crisi
economica, ha rinunciato il 46% delle famiglie italiane. Ma non è solo questo;
ci troviamo di fronte a un circolo vizioso: infatti non è difficile immaginare
che parte degli ultrasessantacinquenni, che hanno perso nell’ultimo anno la
loro autonomia nella vita quotidiana, non abbiano avuto la possibilità
economica di accedere a terapie che avrebbero permesso loro di permanere più a
lungo in una situazione di autosufficienza. Una situazione quindi che si
autoalimenta e destinata, in assenza di interventi correttivi, ad aggravarsi.
Se consideriamo che i dati Ocse, sul peggioramento delle condizioni di salute
degli ultrasessantacinquenni, fotografano la situazione del 2014, mentre quelli
Istat, sull’aumento della mortalità, si riferiscono ai primi otto mesi del 2015
non è azzardato, partendo da una successione temporale dei due rilevamenti,
immaginare anche una consequenzialità causale. L’analisi che l’Istat condurrà
nei prossimi mesi sulle cause dei decessi e sulla loro stratificazione per
fasce di popolazione ci forniranno delle spiegazioni più esaurienti, ma, se
l’ipotesi qui illustrata fosse confermata, staremmo assistendo ai primi
documentati effetti dell’impatto della crisi economica sullo stato di salute
della popolazione italiana, effetti destinati a peggiorare ulteriormente e ad
aggravarsi sotto l’incedere dei tagli alla sanità decisi dal governo.***