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venerdì 26 febbraio 2016

ECO, CUGLIARI E I CRISANTEMI
di Angelo Gaccione

Umberto Eco

I lettori di questo giornale sanno quanto io ami le lingue madri dialettali, e come ne abbia preso sempre le difese sia scrivendone, sia organizzando incontri pubblici. Quanto agli aforismi, alle frasi secche e perentorie, ai detti, ai motti, ai proverbi, a lacerti, a frammenti, a riflessioni concentrate nella lunghezza di un distico, io ne sono letteralmente “ammorbato” e li vado raccogliendo da un tempo ormai lontano. Potrei citare il volume “Nero su bianco” che ho pubblicato nel lontano 2000; “Il calamaio di Richelieu” uscito addirittura nel 1989; la prima raccolta di aforismi della poetessa Alda Merini da me pubblicata e introdotta; i pensieri e le riflessioni del compianto amico scrittore Giuseppe Bonura pubblicati in un libretto della Piccola Biblioteca di Odissea; le raccolte di tanti altri autori di cui ho favorito la pubblicazione e che portano a volte la mia introduzione, a volte una secca e agile quarta di copertina a mia firma. Una raccolta di oltre 250 fra aforismi, riflessioni e pensieri, messa assieme dal 1977 al 2015 è in corso di stampa sotto il titolo “Il lato estremo” e presto sarà in circolazione. Per quel che riguarda “Odissea”, come ho dichiarato in una intervista a “Torino in Sintesi” -che è l’archivio internazionale di questo genere espressivo, oltre che il premio più prestigioso e rinomato- la nostra testata è stata in assoluto l’unico organo di stampa a tener desta in questi anni l’attenzione sull’aforisma e la riflessione breve, nell’indifferenza quasi generale. Come ben sappiamo, a volte nulla più di una frase secca, di una scheggia acuminata, di un cortocircuito, di un bagliore vivido dell’intelligenza che si condensa in una frase, in una breve proposizione, (non voglio scomodare qui né Karl Kraus né Wittgenstein), riesce a raggiungere l’efficacia e la verità di quanto vogliamo dire e significare. Di quanto vogliamo fotografare e fare imprimere nella mente e nella coscienza di chi ci legge o sta ad ascoltarci. Non stupitevi, dunque, se apro l’editoriale di prima pagina, partendo proprio da una di queste epifanie del pensiero, che ha una doppia virtù: essere riprodotta nella lingua dialettale della mia terra, e di appartenere al genere secco dell’aforisma da me tanto amato. È, come si vede, talmente chiara nella sua formulazione, che non ha bisogno di traduzione; tuttavia segnalo almeno la contrazione del verbo essere su’ (sono), per il lettore che si trovasse in difficoltà davanti a lemma su’ rimasti.

A Rosa è morta, su’ rimasti i spini: Renzi e Verdini”.

Antonio Cugliari

Ne è autore un intellettuale calabrese, Antonio Cugliari (Tonino per quelli che come me lo hanno conosciuto e frequentato), e che come noi, naviganti e sognatori di “Odissea”, non si è arreso, e ogni tanto, da vecchio leone, allunga la zampa sull’orrida e mefitica realtà che ci circonda, e prova a graffiare. Questa volta lo fa con una frase secca, sconsolata ma efficacissima, velata com’è da una amara ironia. Vediamola in dettaglio. La frase è dedicata a Umberto Eco e alla sua scomparsa. Personalmente non ero al funerale di Eco al Castello Sforzesco perché non stavo bene; ma se anche fossi stato in piena forma, non ci avrei messo piede per due ragioni. La prima, e ne ho più volte scritto su questo giornale, non amo i funerali che si trasformano in spettacolo con quella oscena passerella di Vip più o meno televisivi appartenenti alla cronaca rosa e nera. Ribadisco: ci deve essere un tempo per il dolore, il raccoglimento, il silenzio, la meditazione privata, e un tempo per la dimensione pubblica, lo spazio civile, che deve venire dopo, molto dopo. Su questa degenerazione che ha invaso ogni ambito privato per farsi spettacolo, ho scritto un duro e satirico racconto dal titolo “Siria”, e si trova a pagina 63 del libro “La signorina volentieri” uscito nel 2013. La seconda ragione è che non sopporto le Autorità che vi prendono parte, e tanto meno i loro messaggi (falsi e retorici) e le loro corone. Ai miei funerali non li gradirei. Vogliamo soffermarci sul golpe bianco dell’ex presidente della Repubblica Napolitano che affida il governo al bocconiano Monti esautorando di fatto Parlamento e corpo elettorale? Vogliamo soffermarci sullo svuotamento dei postulati resistenziali, ideali per i quali una generazione di uomini, donne e ragazzi (alcuni non avevano ancora vent’anni), si sono immolati, ad opera dei conducător della Nazione? O sull’oscena politica militare e guerrafondaia che ha dissanguato il Paese riducendo a zero l’impegno per la cultura, i beni culturali e ambientali, il paesaggio e il territorio? Che ha prodotto nel giro di un trentennio lo svuotamento di vastissime aree del Mezzogiorno, con flussi migratori di generazioni colte e istruite, e pauperizzandolo in maniera irreversibile del capitale umano, senza il quale nessun altro tipo di capitale è in grado di risollevarne le sorti? Chi ha un minimo di dimestichezza con la scrittura, i libri e le apparizioni pubbliche di Eco, sa benissimo che tutto ciò stride e fa a pugni con gli uomini che, a morte avvenuta, ne rivendicano l’accaparramento.

La Rosa a cui fa riferimento Cugliari è chiaramente “Il nome della rosa”, il celebre romanzo gotico di Eco. Con la morte del suo autore, ci vuole dire Cugliari, se n’è andato il profumo vivo della poesia, della creazione, della bellezza; la regina dei fiori, la più bella di essi, è appassita. Il suo giardino è rimasto brullo, cupo. Rovi e spine ne invadono il recinto, e sono rovi e spine nocive, mortifere, che imbruttiscono il paesaggio. Perché a dominare sono rimasti personaggi come Renzi e Verdini; l’accoppiata toscana vincente, gli emblemi del trasformismo e della menzogna; delle lobbies che si sono accaparrate le leve che contano e se ne servono bene. Anche Renzi è un prodotto “tossico” di Napolitano (l’amerikano, il nobile senza blasone, il suddista che non ha mosso un dito per il Sud e per questo sarà ricordato. Con lui presidente, le ferrovie meridionali sono tornate a com’erano prima dei Borbone): un presidente eletto da nessuno che modifica la sua maggioranza inglobando il gruppo inconsistente di voltagabbana di un bancarottiere che nasce berlusconiano e finisce renziano, senza che Mattarella batta un ciglio e ne chieda conto. La Rosa è morta, resta solo il lezzo dei crisantemi.