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mercoledì 3 febbraio 2016

Le memorie locali
di Giovanni Bianchi

La scia del 25 Aprile
Il settantesimo anniversario del 25 Aprile ha dato la stura al proliferare di una serie di interessanti memorie locali. Tra queste le autobiografie che, come ricordava mi pare Lalla Romano, si presentano in genere come delle bugie bene acconciate.
Non è il caso dei testi raccolti in memoria di Giovanni Orsi, personaggio eminente ai tempi della Prima Repubblica nella zona più operosa della Brianza dei mobilieri: quella che insiste tra Cantù, Mariano Comense, Meda e Cabiate. Orsi infatti è stato presidente dell’Associazione Artigiani di Cantù e Brianza e sindaco del comune di Cabiate, esponente della Democrazia Cristiana e della corrente della sinistra di Base, dove fece la conoscenza con il leader milanese Albertino Marcora e con l’attuale capacissimo presidente della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti. Erano tempi nei quali l’Italia della ricostruzione marciava verso il proprio futuro con una miriade di piccoli imprenditori (i “Brambilla” del Censis, di Aldo Bonomi e delle sociologie  in generale) i quali per esempio, come narra di sé proprio Giovanni Orsi, si recavano al proprio matrimonio in bicicletta. Grande saggezza dei curatori del volume, Felice Asnaghi e Angelo Orsi, è stata rintracciare tutta una serie di documenti autografi, perché l’Orsi si rivela, oltre che eminente imprenditore e politico, anche scrittore notevole.


Brianza cattolica e antifascista
Cosa narra Giovanni Orsi? Parla del “mondo cattolico” di Brianza. Una Brianza tutta bianca dove neppure il fascismo delle origini riesce a sfondare, arrivando a malapena nelle elezioni del 1924 a una percentuale del 18%, mentre i partiti democratici si attestano sul 60%.
Una “briantitudine” antifascista tra le meno rammemorate nel diluvio di commenti e discussioni che anche recentemente hanno accompagnato questa terra così bene raccontata dal Carlo Emilio Gadda di La cognizione del dolore.  Un “mondo cattolico” (oggi scomparso, ma allora c’era) che il grande domenicano francese Marie-Dominique Chenu così descriveva per comparazione:
“Noi francesi abbiamo avuto più cenacoli intellettuali e gruppi liturgici; voi italiani avete creato cooperative, forni sociali, Casse Rurali e Artigiane, molte associazioni: il vostro è un cattolicesimo eminentemente popolare e associativo”.
Di questo “mondo” l’Orsi scrive con una grande maestria, che può ricordare Piero Chiara, o anche l’odierno Andrea Vitali (Premiata Ditta Sorelle Ficcadenti). Ma anche e forse di più le sequenze dei films di Ermanno Olmi –da Il posto a L’albero degli zoccoli– con alcune puntate felliniane, come quella che troviamo a pagina 25 di queste Memorie di una vita. 1915 -1996, Cabiate, gennaio 2016.
Vi si parla di quel Galimberti della Ca’ Basa in questi termini:
“I vecchi Galimberti, soprannominati i Ca’ Basa, erano affittuari del conte Padulli. Lavoravano i campi dalla mattina alla sera. Un giorno, mentre erano in campagna, videro passare lungo la via per Mariano una carovana di zingari. Uno dei due fratelli, intento a zappare la terra, improvvisamente sbottò a dire: “Butto il forcone sul gelso, se scende vuol dire che devo rimanere qui, se invece rimane sulla pianta, significa che lascio tutto e mi unisco ai girovaghi”. L’attrezzo rimase impigliato fra i rami e lui prese la giacca, fece un cenno di saluto, corse sulla strada, raggiunse gli zingari e di lui non si seppe più nulla”.
Un personaggio e una scena così possono stare ne La strada di Fellini, tra Gelsomina e Zampanò.

Il militante
Oltre che buon scrittore Giovanni Orsi è militante e poi dirigente del mondo cattolico. Intellettuali organici di questo “mondo” erano i propagandisti e i preti. E infatti le figure dei parroci di Cabiate, come le racconta Giovanni Orsi, costituiscono una galleria indimenticabile. Cos’era infatti quel mondo cattolico? Un mondo di grandi fondamenti e di grande e generoso attivismo. A partire dal vertice della curia ambrosiana. Diceva del cardinale Schuster il suo amico arcivescovo di Parigi: “È un mal-vivant”… Che non si traduce malvivente, ma uno che vive male, perché lavora troppo, non mangia quasi nulla, dorme pochissimo e lavora sempre.
Altra figura eminente di questo mondo cattolico ambrosiano è monsignor Francesco Olgiati, più volte ricordato dall’Orsi. Olgiati, professore di filosofia del diritto all’Università Cattolica del Sacro Cuore, era un grande studioso che dedicava tutte le proprie attenzioni proprio all’educazione dei militanti cattolici.
I suoi numerosissimi libri, in particolare Il sillabario del cristianesimo e Il sillabario della morale cristiana, superarono le trenta edizioni, diventando ante litteram dei best sellers.
Tra questi intellettuali organici alla cattolicità ambrosiana -come l’Olgiati ricordato dall’Orsi- c’era il professor Giuseppe Lazzati, che diventerà nei decenni successivi rettore dell’Università Cattolica. Anche lui dedito all’educazione dei futuri dirigenti, a partire dagli “aspiranti” di Azione Cattolica. I suoi testi catechistici sono di un rigore e di una semplicità esemplari. Quando Giuseppe Lazzati si occupa del passo evangelico che paragona il credente ai tralci della vite, si ha l’impressione di leggere più una pagina di botanica che il catechismo.
Lazzati infatti -dimenticati i titoli accademici e la profondità dei propri studi patristici- tutto faceva pur di farsi capire.


Quale cultura diffusa
In questo clima nacquero in diocesi i “Corsi Dirigenti”, che si svolgevano la domenica mattina presso la sede diocesana dell’Azione Cattolica milanese in via Sant’Antonio. Qui era dato ascoltare insieme Giuseppe Lazzati e don Luigi Giussani, già allora detto don Gius, le cui vie saranno destinate più tardi a dividersi e divaricare.
Ci si rende difficilmente conto della preparazione dei militanti cattolici di allora.
Papà era un operaio addetto alla manutenzione dei forni dalla Falck Unione. Era iscritto alla Avanguardia Cattolica il cui motto risultava: “O Cristo o morte”. Una scritta che ancora si legge alla base della cupola della chiesa prepositurale di Santo Stefano a Sesto San Giovanni.
Vi erano sere in cui, rientrato dal lavoro, papà comunicava alla nonna:
“Serata di ritiro a Triuggio”, e usciva di corsa senza neppure avere cenato e dopo avere furtivamente messo sotto la giacca un nerbo di bue che gli sarebbe servito per fare a botte con i socialisti che si ponevano lungo il corso di una processione eucaristica in atteggiamento di sfida, o calcandosi il cappello sulla testa o sputando per terra.
Non era tuttavia un energumeno, ma un lavoratore molto professionale e molto preciso che possedeva una piccola biblioteca di testi dedicati alla formazione, e tra questi in particolare quelli dell’Olgiati, ivi compresa una biografia di Carlo Marx, evidentemente tutt’altro che celebrativa. La Brianza è uno degli epicentri di questo mondo cattolico, in particolare con i suoi circoli, che, come a Sesto San Giovanni, hanno progressivamente chiuso i battenti. Tutti: quelli cattolici, quelli comunisti, quelli socialisti.
È finita una stagione politica: quella delle grandi narrazioni ideologiche, e con essa sono finiti i militanti (il cui termine fu storpiato alla fine degli anni Ottanta in “militonto”).
Sono finiti i luoghi di ritrovo sociale, e chi ripercorre le vie dei nostri paesi troverà che i bar gestiti dai privati, che sono succeduti ai circoli familiari e cooperativi, risultano frequentati la mattina in particolare da mamme e nonne che sorbiscono il cappuccino dopo avere accompagnato i figli e i nipoti alla scuola, e nel pomeriggio le medesime per il tè con le amiche, dopo essere passate a ritirare figli e nipoti al termine delle lezioni.


Una storia esemplare
Resta ancora una osservazione sull’atmosfera dell’antifascismo in Brianza. Le testimonianze di Orsi sono puntuali e gustose insieme. Basterà per tutte quella relativa a una spedizione punitiva dei fascisti.
Scrive l’Orsi: “La sera del 19 dicembre la popolazione era in subbuglio perché dovevano arrivare da Milano alcuni nazionalisti che avevano promesso il loro intervento per combinare l’apertura del circolo. Il parroco era andato dopo le 20 alla stazione ad accompagnare suo fratello. Fu visto dalla ronda fascista locale che aveva procurato anche l’intervento dei fascisti di Meda, i quali avevano scelto Cabiate come campo di loro azione e ribalderia. Quella sera chiamarono alla sede del Fascio un tal Battista Longoni a cui diedero una delle solite purghe. Alle 22.30 chiamarono il parroco, che già si trovava a letto. Fu invitato alla sede del Fascio, col pretesto che si dovesse discorrere circa il modo da usare per pacificare il paese. Introdotto il parroco tra questi ribaldi, forniti di manganelli e di moschetti, il ribaldo maggiore vomitò contro il parroco un sacco di infami calunnie: sabotatore, sovvertitore del popolo, intrigante, politicante, travisatore della religione e gli disse: “Promette di non sparlare del fascio e dei fascisti? Promette di non impicciarsi delle cose successe”? Il parroco rispose solo queste parole: “Prometto di essere e di fare solo il parroco di Cabiate”.”
Tutto era cominciato per l’iniziativa di un gruppo di giovani cabiatesi, che avevano alzato abbondantemente il gomito, di mettersi a cantare squarciagola “bandiera rossa”, provocando la reazione degli squadristi.

Il senso di una storia locale
La Brianza ha di questi scorci storici che meritano davvero di essere ripercorsi.
Ricordo la mia prima visita al circolo di Meda da presidente regionale delle Acli lombarde. Mi mise sull’avviso il presidente del circolo: “Ricorda Giovanni che la Brianza è particolare, ma Meda è più particolare ancora”.
Un giudizio sintetico che era insieme una mappa.
È questo il mondo narrato da Giovanni Orsi (Cabiate comincia dove Meda finisce). Un mondo laborioso, professionale, solidale, cattolico. Non mancano ovviamente i difetti e non vengono nascosti, ma il Noi la vince sempre sull’Io.
Nostalgia? No. Memoria storica. E la storia discende dalle domande che le rivolgiamo: che è la lezione di Le Goff e di Scoppola. Memoria di gente con la schiena diritta che il molto lavoro e il non poco guadagno non distraevano né dalla politica, non dalla ruminazione religiosa, e neppure dall’attenzione agli altri. Così toccò proprio a Giovanni Orsi, alla fondazione della Dc, tenutasi a Napoli nel 1947, tenere il discorso alla Costituente degli Artigiani. Perché questo era il militante cattolico di quegli anni, con nel portafoglio più tessere che soldi: la tessera dell’Azione Cattolica, delle Acli, della Cisl, della Dc, del circolo e della cooperativa familiare.
Un mondo composto da un popolo di contadini, artigiani, operai, militanti, propagandisti, sindacalisti, uomini di partito. Con per stella polare un bene comune che anche oggi sarebbe bene riscoprire. Un’etica di cittadinanza fondata sul Vangelo e sul lavoro.
Perché proprio l’artigianato è stato da queste parti fede nel lavoro e più ancora nella famiglia: in zone dove dilagava con una presenza tra il 36 e il 40%. Dove i giovani risultavano “apprendisti” in cerca di un lavoro, che riuscivano a trovare in fretta, e che li avrebbe accompagnati, così pensavano, per tutta la vita.
[Sesto San Giovanni -Milano-Febbraio 2016]