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mercoledì 16 marzo 2016

VALDESI E RESISTENZA
di Franco Sarcinelli

Una lettura di due libri su Willy Jervis. Una figura di valdese
e di partigiano antifascista.

Cippo alla memoria di Jervis e altri partigiani

Continua anche agli inizi del nuovo millennio la pubblicazione di libri su figure protagoniste dell’antifascismo che aiutano ad approfondire la conoscenza di quell’evento quale la Resistenza, una svolta fondamentale nella storia del nostro paese. Ciò permette di mantenere i riflettori accesi su vicende e personaggi che il passar del tempo porta a dimenticare e, in ogni caso, a ridimensionare. È il caso di Willy Jervis, figura emblematica della resistenza piemontese. Ne parlano Lorenzo Tibaldo in Quando suonò la campana. Willy Jervis (1901-1944) del 2005 e  Federico Jahier in La guerra della Valli valdesi, del 2015, entrambi pubblicati dalla casa editrice Claudiana. Nato nel 1901, Jervis cresce in un ambiente familiare legata alla religione valdese,  segue le orme professionali del padre direttore tecnico della Lancia a Milano, si laurea in ingegneria meccanica.  Amante della cultura anglosassone ereditata dai suoi antenati inglesi, coniuga uno spirito eminentemente pratico ed un grande amore per la montagna - scala tra l’altro la parete Nord del Monviso -  con una assidua riflessione sui temi ispirati dalla fede. È membro attivo del movimento giovanile valdese come la moglie Lucilla Rochat, che sposa nel 1932, ed è coinvolto in prima persona nella rivista “Gioventù valdese”, che raccoglie il meglio della intellettualità valdese progressista sia sul campo teologico che politico fino alla sua soppressione da parte del regime fascista.   
Di poche parole, ma affabile con gli amici e gioviale in famiglia, vive una importante esperienza umana e di lavoro dal momento in cui comincia a lavorare dal 1934 presso la filiale di Bologna della Olivetti e  l’anno seguente ad Ivrea, dove  assumerà presto  il compito di capo del centro formazione meccanici. La fabbrica diventa nel tempo, come scrive Tibaldo “un cenacolo degli antifascisti”. Nel 1934 un fiduciario dell’Ovra infiltrato negli ambienti  antifascisti torinesi  annota: “La casa degli Olivetti a Ivrea è un  centro molto importante. Tutti gli Olivetti sono tarati”. Tibaldo sottolinea  lo stretto intreccio di Jervis con Adriano Olivetti per “un comune sentire di idee, convinzioni, valori”. Pertanto, raccontare la storia di Jervis entra a pieno titolo  entro il quadro di una fabbrica così significativa come la Olivetti  e di una famiglia di imprenditori che costituisce un “unicum”nella storia dell’industria italiana del ‘900. La situazione precipita con la caduta del fascismo e l’avvio della Repubblica sociale dopo l’8 Settembre.  

La copertina del libro di Lorenzo Tibaldo

Già il 9 di Settembre del 1943 Jervis aderisce in una riunione a Ivrea al primo nucleo di antifascisti pronti a promuovere la lotta armata antifascista e l’11 di settembre egli è tra coloro che in un ufficio della Olivetti dopo la giornata lavorativa  costituiscono il comitato  interpartitico che darà vita al CLN di Ivrea.  Jervis, sotto la copertura della direzione della fabbrica, inizia una intensa attività  per portare in salvo in Svizzera attraverso sentieri montani a lui ben conosciuti ebrei, antifascisti braccati dalla polizia e militari alleati fuggitivi  dopo la cattura da parte dei tedeschi. A Berna grazie al suo ottimo inglese entra in contatto con l’OSS ( Office of Strategic Service) diretto da Allen Dulles per ottenere lanci di armi e munizioni dagli aerei alleati a favore delle formazioni partigiane delle valli valdesi ( Val Pellice, Val Chisone, Val Germanasca). Ma il 10 Novembre è perseguito da un mandato di cattura che egli riesce a mandare a vuoto grazie l’ospitalità che Adriano Olivetti gli concede nella sua villa presso Ivrea, la Villa Ambrosetti. Presto deve abbandonarla per motivi di sicurezza e si rifugia in Val Pellice, dove si sente maggiormente protetto e dove può intensificare la sua attività partigiana.  Diventa il principale agente di collegamento delle formazioni di Giustizia e Libertà nell’arco che va dalla sua valle di residenza fino all’alta Val di Susa. La sua è una attività febbrile di sostegno e di spostamenti da un luogo all’altro, porta munizioni e messaggi, fa la spola tra le valli e Torino per diffondere i comandi che arrivano dal centro, dà vita con altri al giornale clandestino “Il Partigiano Alpino”. In particolare, Jervis sfrutta le sue competenze tecniche per trasportare e maneggiare candelotti di dinamite e già a fine del ’43 aveva dato disposizione in fabbrica di “progettare e costruire in azienda un dispositivo a pressione variabile per provocare l’esplosione di mine”. L’11 Marzo del 1944 è fermato mentre passa in motocicletta  al ponte di Bibiana, che segna l’accesso alla Val Pellice  e gli trovano  un tubo di esplosivo che aveva  preso in una miniera di talco e messaggi compromettenti, come  altro materiale di propaganda viene trovato nella successiva perquisizione nella sua casa, oltre che 10 sterline avute per il supporto da lui offerto ad Adriano Olivetti nel suo espatrio in Svizzera, particolare che non rivelerà mai nonostante le torture subite in carcere per farlo parlare. Portato nella caserma di Luserna e sottoposto a violenze di ogni genere senza che gli si cavi un solo nome di altri antifascisti è consegnato alla Gestapo di Torino. La direzione della Olivetti mette a disposizione una cifra assai consistente per avviare la sua liberazione ma non ottiene alcun risultato. Neppure lo scambio con un alto ufficiale tedesco prigioniero dei partigiani va in porto e le lunghe trattative terminano con un nulla di fatto. Come risposta ad un attacco partigiano del 3 Agosto 1944, i tedeschi avviano la operazione Nachtigall - letteralmente “usignolo” - nella valli valdesi mettendole a ferro e fuoco e seminando morti e rovine, diffusamente descritte e documentate con fotografie d’epoca nel libro di Federico Jahier. 

La copertina del libro di Federico Jahier

Il 5 Agosto Jervis ed altri 4 partigiani vengono portati e  messi al muro nella piazza di Villar Pellice. Il racconto dell’evento lo si trova nel libro di Federico Jahier ed il protagonista è un ragazzino di 13 anni, Enrico, figlio del pastore valdese del paese che ha il giardino della abitazione prospiciente la Piazza. È lui, che sgattaiolando tra i soldati tedeschi passa davanti ai prigionieri e riceve un cenno da Jervis che vorrebbe parlargli ma ciò viene impedito dall’intervento rude di un militare delle SS. È sempre Enrico che il mattino dopo una nottata in cui si erano sentiti spari in continuazione per tutta la valle, guardando dal giardino intravvede un cadavere penzolante da un lampione, quello di Willy Jervis.  Poi verrà ricostruita la serie degli eventi: nella notte tra il 5 ed il 6 di Agosto dei 5 partigiani custoditi in piazza 4 erano stati fucilati ed il quinto era morto lanciandosi da un muretto nel tentativo di scappare. Successivamente i visi dei partigiani  già cadaveri erano stati deturpati e appesi con un laccio al collo, due dai lampioni della piazza, uno da olmo e il quarto da un balcone così da terrorizzare gli abitanti del posto. Il ritrovamento della Bibbia personale di Jervis  vicino  ad un muretto  favorisce il riconoscimento del suo  corpo. All’interno della copertina nera Jervis aveva inciso con uno spillo la seguente scritta:  “Dio vi benedica  e vi guardi. Ci rivedremo lassù. Bacia i bimbi per me poverini. Sii forte con loro. Il tuo Willy”.  Alla moglie Lucilla Jervis lascia tre figli, Giovanni (che diventerà uno dei più importanti psicoanalisti italiani), Letizia e Paola. Appena rientrato dalla Svizzera Adriano Olivetti spedisce a Lucilla in data 26 maggio  1945 una lettera in cui scrive: “Desidero con questa lettera assicurarLa che sia la società, che io personalmente considereremo un grande privilegio quello di poter dar prova dell’amicizia che ci legava a Willy. In linea di massima desideriamo provvedere interamente al mantenimento dei Suoi figlioli […]. Desideriamo inoltre di stabilire un quid annuo per Lei quale forma di integrazione alla liquidazione che  concorderemo con l’intesa che esso possa essere variato  a seconda dell’effettivo valore della moneta”. Il ricordo di Willy Jervis unisce ancor oggi  due località del Piemonte, Villar Pellice e Ivrea. A suo nome è intitolata la piazza del paese dove fu ucciso, a suo nome è intitolata la strada  di Ivrea dove si affacciano gli stabilimenti e gli uffici della Olivetti. Questo collega unisce idealmente due personalità, Willy Jervis  e Adriano Olivetti, che, come  altre nobili figure di quegli anni,  hanno dato in modi e ruoli diversi prestigio alla storia del nostro paese e che rappresentano la concreta incarnazione di valori troppo spesso trascurati e dimenticati, come se le pagine di quella storia fossero ormai ingiallite e destinate ad essere definitivamente messe da parte. Contro questa tendenza di negazione della memoria e di mistificata revisione di quei fatti storici i due libri di Lorenzo Tibaldo e di Federico Jahier  rappresentano una testimonianza preziosa per documentare il contesto vivo e concreto di quegli avvenimenti  e sottolineare il rigore morale ed ideale di  chi, come Willy Jervis, è stato in prima linea a combattere il nazi-fascismo fino al sacrificio dei suoi affetti familiari e della sua stessa vita.

Lorenzo Tibaldo
Quando suonò la campana. Willy Jervis (1901-1944)
Torino, Claudiana 2005
               
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Federico Jahier
La guerra nelle valli valdesi
Torino, Claudiana 2015.