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venerdì 29 aprile 2016

25 aprile: rivolta e restaurazione
di Fulvio Papi


È sempre molto difficile tentare di disegnare il quadro etico di un paese -in specie come il nostro, dove sono molto accentuate le differenze locali- tuttavia vi sono fenomeni sociali che possono consentire alcune osservazioni di ordine generale abbastanza corrette. Per esempio è chiaro che in Austria esiste pressappoco il trenta per cento della popolazione che ha una posizione xenofoba perché teme che l'emigrazione possa essere un fattore che metta in crisi gli attuali equilibri sociali. Di fatto si può dire che questo è un comportamento razzista, ma sono convinto che per questa ampia parte dell'elettorato questo non sia assimilabile al razzismo di tradizione nazista. L'atteggiamento degli austriaci è un razzismo di difesa dei propri privilegi, non un razzismo di natura “teorica”: credo che essi avrebbero lo stesso atteggiamento se la migrazione venisse dall’Est invece che dal Sud, anche se gli effetti politici, comunque rilevanti, sono differenti. Una difesa ostinata dei propri privilegi non è la stessa cosa di una totale persecuzione.
Ho portato questo esempio per mostrare come sia del tutto possibile individuare importanti fenomeni sociali, dando però per scontato un livello di approssimazione. Da noi è interessante un analisi dei comportamenti politici e sociali in occasione del 25 aprile. È scontato che ormai sono pochi i viventi che in quella data possono ri-vivere alcuni sentimenti dominanti i giorni di aprile del 1945. Chi ha doti di scrittore o patrimonio di memoria potrebbe darne testimonianza, dato che il sapere storico, per sua natura di “genere”, non può ragionevolmente, affrontare queste prove. Ora veniamo all'oggi.
In due parole si può dire che il 25 aprile è diventata una data istituzionale per il potere politico; un’occasione di vacanza per larga parte della popolazione, indifferente alla storia, ma attenta alle occasione presenti; infine un momento eticamente molto rilevante per quella parte del paese forse minoritaria numericamente, ma molto importante non solo per la memoria (che pure ha un suo valore ideale) ma per il senso che possono avere le stesse strutture istituzionali.
Il Presidente Mattarella, recandosi per la celebrazione in Val Sesia (una delle valli piemontesi dove molto dura è stata la guerra partigiana), ha cercato con saggezza di tenere insieme i vari aspetti sociali che oggi interpretano la ricorrenza della Liberazione.
Non è affatto difficile capire come questa giornata diventi una situazione istituzionale. Non è solo una questione di “tempo” ma anche di cultura e di sedimentazione storico-politica. Basti pensare come nell'URSS veniva ricordata la rivoluzione di ottobre con una sfilata militare che voleva mostrare la potenza dello stato. Gli eventi successivi hanno mostrato che, al di là dell'ufficialità, le ragioni della rivoluzione, confuse ma pur sempre ideali, non avevano sedimentato nel paese.
Da noi non è così. In numerose città italiane organismi di base -l’ANPI in primo luogo, rinnovato dalla adesione dei giovani- spontaneamente hanno ricordato la Liberazione con grandi e festose manifestazioni popolari. C'è dunque una parte del paese che si riconosce in una eredità etica e storica che, a mio modo di vedere, non si consegna definitivamente alla Costituzione repubblicana, ma vuole mostrare una continuità di impegno civile e morale, un paradigma di stile etico che vale giorno per giorno per qualsiasi istituzione politica. Specie in un tempo come il nostro in cui l'intrigo tra potere politico e malaffare si è esteso dal centro a tutte (o quasi tutte) le periferie politiche che, al contrario delle aspettative, hanno dato una pessima prova di sé con uno sperpero di denaro pubblico che, da una parte o dall'altra, è andato a rafforzare clamorosi e profondamente ingiusti privilegi privati.
Se si tiene presente che oggi è questo “il male” che scredita la nostra repubblica (al 61º posto nel mondo tra i paesi più corrotti, penultima in Europa), allora possiamo anche dire che la celebrazione del 25 aprile con spontanee manifestazioni popolari è forse soprattutto un movimento di rivolta, la rinascita di uno spirito di resistenza contro una sopraffazione che da sotterranea è diventata quasi pubblica e tale che, con i suoi poteri, riesce a volgere a proprio favore le garanzie giuridiche del nostro ordine costituzionale, creando così un ulteriore e gravissimo elemento di scredito sociale. Quindi rivolta, ma anche restaurazione di un costume che, nell'immediato dopoguerra, consentì la ricostruzione del paese distrutto dalla guerra. Non era affatto una “ideologia” (come dicono gli stolti - in senso biblico - che non saprebbero nemmeno risalire al significato storico della parola), ma lo spirito di un'azione collettiva. Come invece è “ideologia”, nella sua natura essenziale, la dimensione del governare come management che, nella sua presunta razionalità, è, per lo più, una scelta nella direzione degli immediati interessi più potenti (o demagogici).