Indagato a Bari il businessman dei migranti
della città dello Stretto
di Antonio Mazzeo
Giuseppe Denti "Il banchetto dei corrotti" 2016 |
Frode in pubbliche forniture. E’ questo il reato
contestato dalla Procura della Repubblica di Bari a quattro noti imprenditori
del business accoglienza migranti e richiedenti asilo relativamente alla
gestione di uno dei centri d’accoglienza – lager più tristemente noti in Italia, il CARA di
Bari Palese. Secondo gli inquirenti, i responsabili dell’ente gestore che per
tre anni si è occupato del centro (la cooperativa Auxilium di Senise, Potenza),
avrebbero fatto lievitare a dismisura i costi dei servizi prestati. Gli
indagati sono i fratelli Pietro e Angelo Chiorazzo, responsabili di Auxilium,
l’ex amministratore delegato della Cascina Global Service Srl Salvatore Menolascina
(già arrestato nell’ambito dell’inchiesta Mafia capitale della procura di Roma)
e Camillo Aceto, ex componente del consiglio di amministrazione di Auxilium ed
ex vicepresidente de la Cascina.
Camillo Aceto, in qualità di presidente della Senis Hospes
- Società Cooperativa Sociale, anch’essa con sede a Senise, aveva firmato il 26
novembre 2015 con l’Amministrazione comunale di Messina la “Convenzione per la
prima accoglienza dei minori stranieri non accompagnati” nel Centro Ahmed,
istituito un anno prima mediante stipula di altra convenzione emergenziale con
la Prefettura. Sei giorni prima, dopo una lunga querelle con il Prefetto,
alcuni esperti del settore immigrazione e le associazioni di volontariato
locali, il sindaco Renato Accorinti aveva emesso un’ordinanza contingibile e
urgente con la quale disponeva che i minori stranieri già presenti presso il
Centro Ahmed venissero ospitati a cura dell’Amministrazione Comunale. Sino ad
allora, interpretando strumentalmente ed erroneamente una circolare ministeriale,
sindaco e dirigente generale comunale avevano invece ribadito che la
responsabilità della prima accoglienza dei minori stranieri non fosse di
competenza del Comune. “La città di Messina, a motivo della sua posizione
geografica, è interessata da un costante e cospicuo flusso di migranti, per i
quali rimane in capo all’Amministrazione Comunale la successiva gestione
dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati”, si legge
nell’ordinanza sindacale del 26 novembre scorso. “Pertanto il collocamento dei
minori suddetti in strutture di accoglienza accreditate comporta la loro presa
in carico da parte dei Servizi Sociali del Comune nel cui territorio le
strutture sono presenti e la richiesta di apertura della tutela nei loro
confronti. Poiché in atto, nella città di Messina, per l’accoglienza dei minori
stranieri non accompagnati è operativo il Centro Ahmed gestito dalla società
cooperativa sociale Senis Hospes, con una disponibilità di 160 posti e
autorizzato dalla Regione come ostello per giovani per 200 posti, si ordina che
i minori ivi ospitati al 25/11/2015, data di scadenza della convenzione con la
Prefettura, continuino ad essere ospitati a cura del Comune, presso la medesima
struttura, limitatamente al tempo strettamente necessario e documentato per il
loro inserimento in Centri specificatamente accreditati e, pertanto, la
presente ordinanza si intenderà revocata allorché la procedura di gara si
concluda con l’individuazione di idonee strutture e, in ogni caso, gli effetti
della presente verranno a cessare alla data del 30 giugno 2016”. Il giorno
dell’ordinanza, Senis Hospes non risultava ancora essere stata accreditata
dalla Regione per la gestione dei centri di prima accoglienza per i minori
stranieri ai sensi del D.P.R.S. n. 600/2014, accreditamento che sarebbe giunto
– secondo quanto riferito dai rappresentanti locali dell’ente gestore –proprio
lo stesso giorno della stipula della convenzione con il Comune di Messina. Nel
documento sottoscritto dalla dirigente comunale del Dipartimento Politiche
Sociali e dall’imprenditore Camillo Aceto si rileva però che “il centro Ahmed è
munito di SCIA come ostello per la gioventù con una disponibilità di 224 posti”
e che “gli effetti della presente convenzione avranno efficacia limitatamente
al tempo strettamente necessario al reperimento di ulteriori strutture idonee
all’accoglienza (primissima e di secondo livello) dei minori non accompagnati”.
Un centro dunque che era ancora inidoneo all’accoglienza e ben distante dagli
standard normativi, strutturali e di gestione imposti dalle norme di legge
regionali. A ciò si aggiunge, inspiegabilmente, una crescita in soli sei giorni
dei posti letto “autorizzati” (da 200 a 224), che in termini finanziari, a 45
euro per ogni ospite al giorno pagati dal governo, consentono un fatturato
aggiuntivo per l’ente gestore di 302.400 euro al mese.
Sempre secondo quanto previsto dal D.P.R.S. n. 600/2014,
l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati nelle strutture di
primissima accoglienza non dovrebbe essere superiore ai 3 mesi; inoltre i
centri non dovrebbero accogliere complessivamente più di 60 ospiti
contemporaneamente, mentre l’équipe del personale impiegato dovrebbe possedere
una “formazione adeguata e specifica e competenze e capacità idonee” con un
numero ben definito di operatori e rispettive qualifiche. Obblighi di legge
che, come denunciato più volte in questi anni da difensori dei diritti umani,
volontari, ONG (Borderline Sicilia, Arci, Campagna LasciateCientrare, ecc), non
risultano essere stati rispettati a Messina, anche se a onor del vero, i
servizi offerti al Centro Ahmed sono certamente superiori a quelli di tante
altre strutture “d’accoglienza” sorte come funghi in tutta la Sicilia.
La struttura presso l’ex Ipab – Fondazione Conservatori
Riuniti di Messina venne aperta il 25 novembre 2014 dall’associazione
temporanea d’imprese con capofila la Senis Hospes di Potenza, compartecipi la
Cascina Global Service Srl e il Consorzio Sol.Co. - Società cooperativa sociale
onlus di Catania. La stessa Ati al tempo gestiva le strutture-lager per
migranti della tendopoli di Contrada Conca d’oro Annunziata (all’interno di un
centro sportivo dell’Università degli studi di Messina) e dell’ex caserma
“Gasparro” di Bisconte. Inizialmente, l’ex Ipab era stato destinato a centro di
primissima accoglienza dei cittadini stranieri richiedenti protezione
internazionale in vista dell’auspicata chiusura della tendopoli. A seguito però
di una denuncia sulla presenza nel lager dell’Annunziata di poco meno di un
centinaio di minori stranieri non accompagnati, in situazioni di promiscuità
con gli adulti, la Prefettura, con provvedimento straordinario del 31 ottobre
2014 ordinò il loro presso i locali che Senis & socie si erano incaricate a
ristrutturare per i richiedenti asilo adulti.
Ovviamente né la Prefettura né il Comune di Messina hanno
mai ritenuto perlomeno imbarazzante la gestione di buona parte del business
accoglienza migranti da soggetti finiti più volte nelle cronache giudiziarie.
Il 24 aprile 2014, all’associazione d’imprese Senis-Cascina-Sol.Co. (più il
consorzio di cooperative Sisifo di Palermo - LegaCoop, la società di
costruzioni Pizzarotti & C Spa di Parma e il comitato provinciale della
Croce Rossa Italiana di Catania) fu affidato il bando da 97 milioni di euro per
la gestione del mega CARA di Mineo, il più grande centro per richiedenti
d’asilo d’Europa. “Il bando per la gestione del CARA di Mineo ha alterato la
fisionomia dell’accordo pubblicistico delineato dall’art. 15 della Legge n.
241/1990”, ha denunciato in una relazione la Corte dei Conti. Ancora più duro
il giudizio dell’Associazione nazionale anticorruzione guidata da Raffaele
Cantone, secondo cui a Mineo sarebbero stati violati i principi di
“concorrenza, proporzionalità, trasparenza, imparzialità ed economicità”. La
gestione del CARA è stata stigmatizzata pure dagli inquirenti che indagano su
politica e affari nella città di Roma. Nella seconda ordinanza emessa dal Gip
capitolino, relativamente all’affaire Mineo, si parla espressamente di
“collusioni preventive, consistenti in accordi finalizzati alla
predeterminazione dei soggetti economici che si sarebbero aggiudicati le gare”,
nonché di “condotte fraudolente, consistenti nel concordare i contenuti dei
bandi di gara in modo da favorire il raggruppamento di imprese al quale
partecipavano imprese del gruppo La Cascina”. A seguito del terremoto
giudiziario che ha colpito il colosso della ristorazione, la Sezione Misure di
Prevenzione del Tribunale di Roma, con decreto n.102 del 27 luglio 2015 dispose
l’amministrazione giudiziaria per la Cascina Global Service.
Il Presidente di Senis Hospes Camillo Aceto, al tempo
vicepresidente de La Cascina, venne arrestato nell’aprile 2003 a Bari
nell’ambito di un’inchiesta sulla fornitura del servizio pasti delle mense
ospedaliere e scolastiche. “Da vicepresidente della Cascina, anche Angelo
Chiorazzo di Auxiliu è stato coinvolto nella stessa indagine della magistratura
di Bari in cui era imputato Camillo Aceto, a sua volta ex membro del consiglio
di amministrazione di Auxilium”, riporta la giornalista Raffaella Cosentino.
“Anche Chiorazzo ha avuto la prescrizione in primo grado per i reati di falso e
frode nei confronti della pubblica amministrazione…”.
Quando nel novembre 2013 il quotidiano online
Tempostretto.it di Messina riprese la notizia sui trascorsi giudiziari di Aceto
e soci, il responsabile locale di Senis Hospes, Benedetto Bonaffini richiese la
pubblicazione di una rettifica. “Nel mese di settembre 2010 – scrisse Bonaffini
- con dispositivo di sentenza di primo
grado del Tribunale di Bari, il dott. Camillo Giuseppe Aceto è stato assolto
nel processo penale avviato nel 2003 con la formula piena perché il fatto non
sussiste da tutti i reati più gravi ed in particolare da tutti i capi di
imputazione relativi alla somministrazione di sostanze alimentari nocive e
dalla maggior parte dei reati relativi ai capi di imputazione di truffa e frode
nelle pubbliche forniture. La sentenza ha confermato altresì il puntuale ed
integrale pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali in favore dei
lavoratori. Per quanto attiene le residuali affermazioni di responsabilità, per
le quali è intervenuta la prescrizione, si precisa che le stesse sono state
appellate innanzi alla Corte d’Appello, con atto depositato in data 2 febbraio
2011, come da attestazione dell’Ufficio Deposito Sentenze ed Impugnazioni del
Tribunale di Bari. A riprova di quanto precede è possibile verificare i
contenuti del casellario giudiziale che non riporta alcuna sentenza di
condanna”.
Nell’inchiesta del 2003 della Procura di Bari finirono
agli arresti domiciliari oltre a Camillo Aceto quattro dirigenti de La Cascina
e tre fornitori della cooperativa. “Dal 1999 La Cascina avrebbe somministrato a
scuole ed ospedali baresi cibi scaduti, putrefatti o con alta carica
batterica”, si legge nell’ordinanza dei magistrati pugliesi. “Spesso i cibi
sono stati stoccati e manipolati in locali e con attrezzature prive dei minimi
requisiti di igiene (…) approfittando di circostanze di persona (malati in età
infantile ricoverati negli ospedali) tali da ostacolare la privata difesa”. Il
processo si concluse nel settembre del 2010 con 17 condanne a pene comprese tra
i sei mesi e i due anni e mezzo di reclusione (sui 32 imputati finiti a
processo) e il risarcimento per danni morali e materiali al Comune di Bari,
all’Asl e ad alcune associazioni di consumatori. “Le pene più alte (due anni e
mezzo di reclusione) sono state inflitte a Salvatore Menolascina ed Emilio
Roussier Fusco, all’epoca dei fatti amministratore di fatto e responsabile
commerciale della sede di Bari della Cascina”, riporta la Gazzetta del
Mezzogiorno del 21 settembre 2010. “A due anni e tre mesi sono stati condannati
i fornitori della cooperativa Luigi Partipilo, Rosario Mastrangelo e i
dirigenti della Cascina Gabriele Scotti e Ivan Perrone. A un anno e sei mesi
Luigi Grimaldi e Camillo Aceto, all’epoca vicepresidente della Cascina e
responsabile dell’ufficio amministrativo della società”. Per il quotidiano
pugliese, cioè, il verdetto per Aceto sarebbe stato diverso da quello narrato
dai collaboratori di Senis Hospes. Della pesante condanna in primo grado si
parla anche in una dettagliata interrogazione parlamentare sull’affaire Mineo,
presentata il 15 dicembre 2015 da diversi senatori del Movimento 5 Stelle, prima
firmataria Ornella Bertorotta. Condanna o prescrizione, poca importa. Per Senis
Hospes – La Cascina gli affari con pasti e migranti non sembrano dover finire
mai.