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venerdì 17 giugno 2016

PROCESSO THYSSENKRUPP


Sono passati 8 anni e più dal 5 dicembre 2007 quando alla  ThyssenKrupp di Torino, morirono sette operai. Nel rogo del 2007 i sette operai stavano lavorando in uno stabilimento in via di chiusura, dove gli impianti non si erano fermati, nonostante le norme sulla sicurezza non fossero più rispettate.
L’assenza sindacale, degli istituti di controllo come le ASL si possono evidenziare al punto che 12 estintori avevano il controllo semestrale scaduto sui 18 estintori dotati di cartellino.
La mancanza di personale costringeva inoltre a turni che poteva superare le dodici ore.
La moglie di una delle vittime aggiunge che i sindacati – che erano a conoscenza della situazione – avevano taciuto.
A fine giugno 2008 i familiari delle vittime hanno raggiunto un accordo con l'azienda ottenendo un risarcimento che sfiora i 13 milioni di euro, ma rinunciando a costituirsi parte civile.
 Il sostituto pg della Cassazione, Paola Filippi, aveva chiesto di annullare le condanne per omicidio colposo per tutti e sei gli imputati del processo Thyssen nel processo di appello bis per rideterminare le pene per i reati di omicidio colposo plurimo e per rivalutare il 'no' alle attenuanti per quattro degli imputati.
Per il pg doveva servire un terzo processo di appello.
Dopo aver ascoltato le richieste della procura della Cassazione, i familiari delle vittime del rogo alla Thyssen di Torino sono usciti dall'aula in segno di protesta.
Alcune madri, sorelle e moglie sono scoppiate in lacrime.
Altri hanno gridato 'venduti' all'indirizzo dei giudici e sono stati invitati alla calma da carabinieri e poliziotti.
Al contrario la Cassazione ha confermato le pene nei confronti dei sei imputati per il rogo di Torino nel quale, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, morirono sette operai.
La più alta è stata inflitta all'ad Harald Espenhahn.
La Cassazione ha infatti confermato le condanne dell'appello-bis nei confronti dei sei imputati per il rogo alla Thyssen nel quale, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, morirono 7 operai.
La pena più alta è di 9 anni e 8 mesi ed è stata inflitta all'ad Harald Espenhahn, quella più bassa, di 6 anni e 3 mesi per i manager Marco Pucci e Gerald Priegnitz.
Condannati anche gli altri dirigenti Daniele Moroni a 7 anni e 6 mesi, Raffaele Salerno a 7 anni e 2 mesi e Cosimo Cafueri a 6 anni e 8 mesi.
La Cassazione ha dunque confermato il verdetto della Corte d'Assise d'Appello di Torino del 29 maggio 2015 e bocciato la richiesta del procuratore generale Paola Filippi che aveva chiesto un terzo processo sollevando asprissime polemiche tra i famigliari delle vittime.
 Giustizia fatta?
In parte perché gli infortuni e i morti sul lavoro continuano ad aumentare, e annullando le condanne e rimandando il giudizio sarebbe stato come dare un segnale di tolleranza.
Perché le aziende spinte da un diffuso senso d’impunità vedono spesso nelle norme sulla sicurezza e nella formazione dei lavoratori solo un costo aggiuntivo; i lavoratori – soprattutto quelli più deboli – subiscono il ricatto del licenziamento e non vengono tutelati da sindacati referenziali ai partiti che, a loro volta, devono rispondere di finanziamenti e connivenze con il mondo dell’industria.
 Basta pensare al ferroviere Dante De Angelis: chiede spiegazioni sul malfunzionamento degli Eurostar, l’azienda, invece di rispondere, lo licenzia.
Ancor più clamoroso il caso di Giorgio Del Papa, titolare dell’azienda olearia Umbria Olii, contraddistintosi per la richiesta di risarcimento (35 milioni di euro) avanzata ai parenti dei quattro operai morti nello scoppio di un silos del proprio stabilimento nel novembre 2006, e al sopravvissuto Klaudio Demiri, per la presunta imperizia sul lavoro che avrebbe causato l’incidente.