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lunedì 31 ottobre 2016

PER RIMANERE UMANI
A SOTTO IL MONTE (BERGAMO)
NELLA CASA DI PAPA GIOVANNI
PER TUROLDO



sabato 29 ottobre 2016

C’È CHI DICE NO!




Abbiamo vissuto una importante stagione di lotte, animati dai valori della pace, della libertà e della giustizia sociale per ogni essere umano e popolo del mondo. La democrazia superò i cancelli della fabbrica.
Ci siamo battuti per il diritto allo studio, nessuno escluso.
Furono anni di grandi utopie e appassionate speranze. E di conquiste importanti. La critica del femminismo al dominio maschile aprì nuove porte alla politica e nelle relazioni personali. Siamo stati una generazione fortunata. Senza rammarico alcuno, lo rivendichiamo con un certo orgoglio.
Oggi siamo impegnati nei movimenti o in altre forme di attività sociale, culturale e politica, la buona politica, per porre un argine al potere dei centri economici e finanziari, che impongono la loro feroce legge: quella del libero mercato, minacciando la democrazia e la stessa sopravvivenza del pianeta. E’ la denuncia contenuta nell’Enciclica Laudato si’.
Sappiamo che tutto è cambiato, non tentiamo, oggi, la scalata al cielo, ma non ci rassegniamo, non accettiamo le ingiustizie e le diseguaglianze, che crescono drammaticamente. Crediamo nei valori della Costituzione nata dalla Resistenza: la Costituzione va applicata, non manomessa gravemente. Va consegnata alle nuove generazioni come noi l’abbiamo ricevuta; anche migliorata, certo, ma l’attuale proposta di legge Renzi Boschi, la stravolge: il processo legislativo risulterebbe più complesso, i poteri verrebbero accentrati e menomata la democrazia partecipata, quella che definisce la distinzione tra la cittadinanza e la sudditanza. Noi difendiamo la sovranità popolare, la rappresentanza parlamentare, le forme del conflitto democratico costituzionalmente tutelate che sono state il riferimento per le lotte sociali e i movimenti.
L’obiettivo di tutta questa manovra è infatti lo Stato sociale di diritto: il diritto esigibile ad un lavoro, che è reddito e dignità, alla buona scuola, alla salute, all’accesso senza esclusione ai beni comuni. Applicare la Costituzione significa cambiare profondamente la nostra società, segnata oggi da tante sofferenze, significa solidarietà come visione del mondo che considera quello dei migranti dramma di tutta l’umanità. Dobbiamo offrire prospettive ai giovani, che non vedono un futuro. Dobbiamo restituir loro la speranza, quella che un tempo fu anche nostra.
Nulla di simile accadrà se vincerà il sì. Voteremo NO perché l’eguaglianza è tuttora un valore.
Chiediamo a quanti/e condividono queste poche e semplici righe, anche delle generazioni che seguirono, di aderire a questo appello e fare campagna attiva per il NO. Che nessuno sia indifferente.

Primi firmatari

Franco Calamida, Emilio Molinari, Basilio Rizzo, Luigi Vinci, Francesco Forcolini, Luigi Ferrajoli, Roberto Biorcio, Vittorio Bellavite, Maria Grazia Meriggi, Mario Agostinelli, Corradino Mineo, Claudio Lombardi, Concetta Mastrolonardo, Silvano Piccardi, Giovanni Russo Spena, Silvana Barbieri, Vittorio Agnoletto, Giuseppe Liverani, Rita Brivio, Sandro Barzaghi, Silvia Palombi, Erica Rodari, Antonio Lareno, Anita Sonego, Fulvio Aurora, Anna Miculan, Nadia Boaretto, Gabriella Buora, Giancarlo Peterlongo, Angelo Gaccione, Cataldo Russso, Francesco Piscitello, Filippo Gallipoli.


Per aderire: redchief@live.it
LO SGUARDO PRESBITE      
di Fulvio Papi



Qualche volta, persino come filosofo, dubito del mio modo di pensare, soprattutto mi sembra, come tutti, di non tener conto dell’imprevisto. A questo riguardo gli atteggiamenti sono due: o non ci si pensa nemmeno e sarà come sarà, o si proiettano nel futuro le condizioni del presente e se ne ricavano immagini intellettuali di tipo previsionale che, al minimo, devono condurre con sé un grande interrogativo. Confesserò che un pensiero di tale natura continua a tornarmi nella mente e, forse, condividendolo, con qualche lettore, finirà coll’apparirmi più chiaro.
Secondo i demografi nel giro di qualche decennio la popolazione mondiale potrà raggiungere i nove miliardi di persone, una cifra imparagonabile a quei due miliardi di persone scarsi che hanno costituito l’ambiente antropologico di quella che chiamiamo comunemente “la nostra storia”. Ora anche limitandoci al quadro europeo, molto limitato, ma quello che, per lo più, costituisce l’elemento materiale della nostra riflessione, questa è la situazione che si può immaginare. Il problema del lavoro sarà probabilmente più difficile, è troppo parziale parlare solo di investimenti, perché, in ogni caso, bisogna anche dire per produrre cosa, a che costi produttivi, e per quale mercato. E qui le cose si complicano in un quadro in cui mercato e produzione sono di proporzioni mondiali. D’altro canto molto spesso abbiamo notizie intorno all’ulteriore sviluppo tecnologico delle condizioni del lavoro. Attraverso la conoscenza di una lunga tradizione sappiamo che quanto più l’apparato tecnologico governa le condizioni del lavoro, tanto più è necessario un sapere operativo da parte dei lavoratori. E nello stesso tempo gli addetti necessari sono inferiori, anche se, ovviamente questo processo non è eguale per ogni settore produttivo. Ma nel complesso, contrariamente a quello che si sosteneva tempo fa, gli occupati nell’insieme dei servizi tecnologici non assorbono tutta la forza lavoro precedente, nonostante gli eventuali processi di riqualificazione.


Herbert Marcuse

Il filosofo tedesco-americano Marcuse, circa quarant’anni fa, scrisse un libro in cui sosteneva che il sistema delle macchine avrebbe richiesto meno tempo lavorativo e le persone, liberate da quella necessità, avrebbero potuto godere di una vita simile a uno stile ludico, per stare nei classici, di stile schilleriano. Non è successo, almeno pare, niente del genere. A meno che non si possa prendere l’affollamento dei giovani entusiasti ai concerti dei “poeti” popolari del nostro tempo, e paragonarlo a quanti di essi hanno, o stiano per avere, un proprio lavoro, piuttosto che dipendere da altre risorse lavorative o, addirittura, pensionistiche. Un’impresa però che si può solo immaginare. In ogni caso rimane la sproporzione tra la forza lavoro, anche qualificata, e la possibilità numerica del suo impiego. Naturalmente ci sono lavori, visibili anche oggi, che, come altrove, sono riservati alla popolazione povera, come quella dispersa nella “grande Londra” o quella collocata nella periferia di Parigi. Ma non è affatto una situazione così pacifica come venti o trent’anni fa, come tutti sanno possono nascere situazioni esplosive. Il dislivello e la sproporzione tra lavoratori e disoccupati sarà destinata a rimanere o ad aumentare, almeno se il disegno tracciato è plausibile. Inoltre ricordiamo che previsioni scientifiche secondo cui il riscaldamento globale provocherà un aumento della superficie delle acque, renderà necessario l’esodo di un miliardo di uomini. Come pensare il lavoro in quelle condizioni, e come pensare un equilibrio internazionale capace di governare una crisi di quelle proporzioni, se ora, di fronte a problemi seri ma meno rilevanti, non si riesce a trovare una equa soluzione?
Un caro amico di altri tempi mi diceva spesso che ero presbite, vedo da lontano o credo di vedere da lontano, ma sono in difficoltà con le cose vicine. O non sarà piuttosto che le forme dominanti di comunicazione che sono diventate “il mondo”, hanno distrutto il tempo?   

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PER RIMANERE UMANI

A Settimo Milanese con Bracigliano
presentano Russo e Gaccione


La locandina dell'incontro


mercoledì 26 ottobre 2016

L’autunno ed i suoi colori ad Acri, oggi...
prima del referendum
di Francesco Foggia


Una vita fa, ero ancora uno studente universitario, raccolsi firme e pubblicai articoli (“Gazzetta del Sud”, “Confronto”, “Umanità Nova”, ecc.) perché l’ex campo sportivo di questa città diventasse un giardino attrezzato dove anziani, donne, bambini, e non solo, potessero leggere in pace, rilassarsi, andare su uno scivolo e su un’altalena. Una decisione folle, poi sconfitta, voleva farci la stazione dei Pullman, e fino ad oggi questo lembo di verde nel cuore della città ha resistito, e come dimostrano queste foto, regala ai suoi abitanti questi meravigliosi struggenti colori. Ogni tanto qualche folle torna alla carica, Francesco Foggia con questo scritto ci mette tutti in guardia dalle loro grinfie. Quanto a me ho scritto più volte: “Meglio viva un albero che dieci imbecilli”. (A.G.)



Basta fermarci un po’ e riflettere su ciò che succede o guardarci attorno per percepire lo scorrere del tempo ed il cambio delle stagioni. In questo periodo le ore di luce solare diminuiscono, le temperature medie giornaliere si abbassano, le piogge aumentano di frequenza e le foglie incominciano ad ingiallirsi per abbandonare rami e rametti e depositarsi su terreni e prati erbosi.
In Acri, soprattutto nei giardini pubblici comunali ove è posto il gazebo (prolungamento di P.za V. Sprovieri), in questi giorni si possono osservare tutte le sfumature cromatiche autunnali: da un verde più o meno intenso delle piante sempreverdi (lecci e conifere) ad un giallo (o ad un rossiccio) fino ad un marroncino scolorito degli alberi a foglie caduche. 
Questo spettacolo è qui, alla nostra portata… proponiamolo anche agli occhi dei nostri bimbi, perché essi potrebbero non osservarlo più così da vicino, potrebbero non trovare più in questo spazio né gli alberi svettanti nell’azzurro dei cieli né il tappeto di foglie variopinte che si forma in ottobre alla loro base… altri personaggi, con alte funzioni di potere, potrebbero rivolgere la loro attenzione a quest’area di verde pubblico (ricavata - è bene ricordarlo - da uno spoglio rettangolo di calcio per volontà dell’Amministrazione Rocco) e procedere ad un suo “ammodernamento”, spazzando via, con drastica scelta personale (comodo farla passare per “dinamismo”) tutto ciò che non sia in armonia con i propri progetti e soprassedendo sulla volontà della popolazione acrese. 
Viene facile prevedere (per quanto ha caratterizzato finora - e tutte le volte che ha amministrato - questo assolutistico praticismo) che altre soluzioni (quali: campetti di calcetto, di tennis, di basket, finanche di bocce o di pelota, oltre ad un ipotetico campo attrezzato per skateboard e per pattinaggio) potrebbero trovare posto nell’attuale spazio verde, se le alte cariche pubbliche lo dovessero (malauguratamente) ritenere statico, non al passo dei tempi, ingombrante, antieconomico, inservibile e, perfino, insalubre (sic!).



Pensateci, gente di Acri… pensateci bene e consigliate le mamme a portarci i bambini ora, per  vedere i colori autunnali… prima che venga l’inverno, cioè prima che il referendum del 4 dicembre 2016 possa dare (nel caso vincesse il SÌ) più potere alle persone che “si danno alla politica” per velleità personali e possa zittire ulteriormente la voce dei cittadini!





lunedì 24 ottobre 2016

IL CENTENARIO DI CASSOLA
di Vincenzo Pardini

Il 17 marzo 2017 sarà il centenario della nascita dello scrittore Carlo Cassola. 
“Odissea” gli renderà onore come merita, con testimonianze e ricordi di quanti in vita ne hanno apprezzato le qualità letterarie e la sua rigorosa moralità. In suo messaggio antimilitarista e pacifista è sempre più attuale, soprattutto ora che i venti di guerra si fanno sempre più violenti. Lo scrittore Vincenzo Pardini ha accolto il nostro invito e questa è la sua testimonianza.


Carlo Cassola

L’amico Angelo Gaccione, che di Carlo Cassola fu sodale, mi ha chiesto di scriverne un ricordo.
Non ho mai conosciuto di persona Carlo Cassola. Enzo Siciliano mi diceva  di fargli visita; avevano parlato di me. Sebbene mi fossi promesso di farlo, non lo feci. Anche perché sapevo che Cassola non stava bene di salute. Abitavamo assai vicini, specie da quando lui si era trasferito a Montecarlo, paese della Piana Lucchese, una piccola grande capitale del vino, e un luogo molto panoramico, che continua ad  emanare una sua antica atmosfera.
 Seguivo Cassola sui giornali, leggevo i suoi “Fogli di diario” sul Corriere e  i suoi libri. Ne avevo, insomma, una certa cognizione, perché un grande autore non si conosce mai del tutto. Ricordo di lui una foto nella cronaca di Lucca de La Nazione; era insieme ad un  cane di razza Pastore Tedesco, forse lo stesso che gli ispirò Il superstite, e  ricordo  che a una domanda del cronista riguardo Lucca, rispose di non poter dire nulla: non la conosceva bene.

Carlo Cassola con l'attrice Claudia Cardinale interprete del film
"La ragazza di Bube" 
tratto dal suo fortunatissimo romanzo

Un modo, credo, per non pronunciare cose sgradite, in quanto Lucca, in ambito culturale, è sempre stata apatica, ignorando i suoi artisti migliori. A cominciare da scrittori come Arrigo Benedetti, Gino Cesaretti, Mario Tobino e Guglielmo Petroni, e prima  di loro i musicisti Giacomo Puccini e Alfredo Catalani. Città bigotta e conservatrice, continua a portarsi appresso una ferrea tradizione fascista. 
Carlo Scorza, ultimo segretario del Partito Nazionale Fascista, vi risiedette per anni, combinandovi malefatte troppo lunghe da raccontare. Aspetti che, immagino, non  dovevano  essere sfuggiti a Cassola. Infatti non ho nessuna notizia che lui abbia frequentato la città, o abbia preso parte a qualche manifestazione.
Prima che a Montecarlo aveva abitato sulle Pizzorne, località montana della Lucchesia, dove aveva scritto il romanzo L’uomo e il cane, uscito  nel 1977. Ripubblicato nella collana Oscar Mondadori nel 2014, su invito di Alba Andreini, gli ho fatto la prefazione. Sulle Pizzorne, i suoi vicini di casa raccontavano  che non si vedeva quasi mai, e quando lo vedevano era sempre in compagnia della sua bella moglie. Ogni mattina, però, udivano il ticchettio di una macchina da scrivere.
Ma non è di questo che volevo parlare, bensì della ricorrenza del suo centenario dalla nascita (17 marzo 1917), per il quale, a Lucca, si stanno scaldando i motori. Al ministero sembra infatti sia in via di approvazione il finanziamento del progetto scientifico(50 mila euro) per valorizzare  la sua figura. Il progetto è stato presentato alla biblioteca statale di Lucca il 14 ottobre, dal sindaco di Montecarlo Vittorio Fantozzi, dal senatore Andrea Marcucci e dal segretario al Ministero dei beni e delle attività culturali, Antimo Cesaro.

Carlo Cassola

Ma più che parlare dello scrittore Cassola, Marcucci e Fantozzi hanno parlato di sé, elogiandosi a vicenda, ed elogiando, entrambi, la concessione del governo Renzi, che ha ripristinato i fondi a favore delle iniziative culturali, inibite dal governo di Mario Monti. Andrea Marcucci, senatore con alle spalle  esperienze in partiti diversi,( da liberale confluì nella Margherita, e da questa nel PD, fino a salire sul carro di Renzi), ha tra l'altro detto che Cassola, alla stregua di Pascoli, ha scelto di vivere in un borgo toscano, trovandovi buona accoglienza e ispirazione creativa. Poi osserva che Cassola fu un uomo e un intellettuale libero, che non si lasciava condizionare, e che con le sue scelte aprì gli occhi a molti ragazzi. Ma non ha accennato, forse perché lui gli non li ha mai aperti, che Cassola profuse molto del suo impegno a favore della pace, del disarmo nucleare, e della salvaguardia dell’ambiente, e altro. Come Pier Paolo Pasolini fu un profeta. Non a caso soleva dire che da una catastrofe nucleare si può riemergere, non da una catastrofe ecologica; e quanto è avvenuto (lo tsunami nel 2004 nell’Oceano Indiano) e sta avvenendo(cambiamenti climatici, dissesti idrogeologici e inondazioni anche sul nostro territorio ecc.) gli sta dando ragione.

Un primo piano dello scrittore Vincenzo Pardini

Se Marcucci, renziano della prima ora, è di una sinistra che non ha più una definizione, visto che  ha imbarcato anche Denis Verdini, Fantozzi è di una destra che guarda con nostalgica simpatia al famigerato ventennio mussoliniano, tanto da aver dato al suo cane il  nome di non ricordo quale evento fascista. Qualcuno potrebbe dirmi che, nonostante queste anomalie, non certo in sintonia col pensiero e l’opera di Cassola, questi due stanno facendo qualcosa. Un qualcosa che è meglio di niente. Sono d’accordo. Se non altro hanno avuto la buona volontà di voler festeggiare il centenario della nascita Cassola, che visse a Montecarlo in una solitudine quasi monacale. Gli bastavano le sue idee e la sua memoria, per svolgere un lavoro che forse lui, più che tale, sentiva una missione. La missione di voler salvare il mondo da catastrofi diverse e che, negli ultimi tempi gli valse  anche, perfino da parte dei giornali a cui collaborava da anni, emarginazione ed ostracismo. Tutto perché diceva la verità, la più dura e la più amara.

Vincenzo Pardini durante un incontro letterario


Il giorno del suo funerale, mi hanno detto, pioveva e tirava vento. Forse sarà stato per questo che non vi parteciparono le istituzioni. Auguriamoci allora che almeno questa volta la politica si comporti in maniera corretta, rendendogli gli onori che merita, e non si scada nella solita, inutile retorica a favore dei notabili di turno. Sarebbe un’offesa alla memoria e al patrimonio culturale che Cassola ci ha lasciato. 

Carlo Cassola
Carlo Cassola al centro della foto, a sin. Angelo Gaccione, 
a des. padre David Maria Turoldo a Milano il 14 febbraio 1974
in occasione di un incontro sul tema della pace e del disarmo

domenica 23 ottobre 2016

ALLI BENIGNI LETTORI
Segnaliamo nella rubrica “Segnali di Fumo” 
il pezzo di Giovanni Bianchi:
“L’ossessione della governabilità”.
Nella rubrica “I Dossier di Odissea”,
il lungo documento del Comitato Sardo
 “Gettiamole basi”.
Nella rubrica “Officina” la conversazione
di Gabriele Scaramuzza con Chiara Pasetti.


I procedimenti penali per i tumori professionali:
Giustizia o Ingiustizia?
di Michele Michelino (*)

Un momento del Convegno 

Al lavoro è peggio che in guerra.

L’Italia è il paese che, subito dopo l’incendio che uccise 7 lavoratori bruciati vivi nel 2007, ha visto gli industriali applaudire i dirigenti assassini della ThissenKrupp.
Pochi giorni fa (il 14 settembre) un operaio egiziano di 53 anni padre di 5 figli, che stava partecipando a un picchetto all'esterno di un'azienda di logistica a Piacenza, è stato assassinato, travolto e ucciso dall'autista di un TIR. Un assassinio premeditato che, da quanto riferiscono testimoni, è avvenuto su istigazione di un dirigente della logistica, che incitava l’autista ad avanzare nonostante il picchetto. Ennesima dimostrazione di una giustizia padronale, di classe, che protegge i diritti dei carnefici e assassini a scapito delle vittime, non a caso l’assassino - dopo una notte in questura a Piacenza - è stato prontamente rimesso in libertà: è indagato a piede libero per omicidio “stradale”
Ogni giorno si muore sul lavoro e di lavoro. Il 17 settembre proprio mentre si manifestava a Piacenza contro l’assassinio di Abd Elsalam Ahmed Eldanf, altri 3 lavoratori morivano sul lavoro e la lista si allunga ogni giorno.
Anche se la Costituzione afferma che l'operaio e il padrone sono uguali, entrambi “cittadini”, ed hanno stessi diritti, la condizione di completa subordinazione economica sancita dall'ordinamento giuridico fa sì che la "libertà" e la "uguaglianza" dei cittadini sia solo formale. In realtà, in una società divisa in classi, i lavoratori vivono una condizione astratta di uguaglianza giuridica, e da una situazione concreta, reale, di disuguaglianza sociale ed economica.
L’art. 32 della Costituzione recita che: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".
In realtà, con la privatizzazione della sanità pubblica, quest’articolo – tuttora formalmente valido e mai abrogato - è ormai carta straccia. La tutela della salute è diventata un affare per le assicurazioni, per la sanità privata e per le multinazionali farmaceutiche a scapito del diritto alla salute dei cittadini.
Dietro le vuote parole della democrazia si nasconde la cruda realtà della dittatura del capitale fatta di violenza, licenziamenti, assassinii contro chi si oppone e ostacola la “libera accumulazione del profitto”.

Processi e Istituzioni: ruolo della magistratura, dell’ATS (ex ASL), dell’INAIL e INPS nei contenziosi con le vittime dell’amianto e delle malattie professionali

Il ruolo della magistratura nelle lotte operaie e popolari.
Verità storica e verità giuridica

Una delle parole d’ordine che abbiamo sempre sostenuto in fabbrica fin dagli anni ‘70 è stata: “La salute non si paga – la nocività si elimina”. Per questo ci siamo scontrati con il padrone (che dava la paga di posto più alta per i lavori nocivi e mezzo litro di latte), con il sindacato che barattava salario e salute, e anche con alcuni nostri compagni di lavoro che vedevano nell’indennità di nocività la possibilità di arrotondare (anche se di poche lire) il salario, senza essere coscienti dei pericoli che correvano. Per il medico di fabbrica anche gli operai malati e quelli con problemi respiratori erano sempre “abili e arruolati” e costretti a lavorare in reparti e ambienti nocivi. Questa concezione è tuttora dominante.
Nei processi penali e civili si continua a monetizzare la salute e la vita umana.
I giudici se gli imputati risarciscono le parti civili - anche nei pochi casi in cui siano condannati e non intervenga la prescrizione - generalmente concedono le attenuanti generiche. In molti casi, i manager pur essendo stati riconosciuti colpevoli di omicidio colposo sono rimasti impuniti e nessuno di loro ha pagato.
Questa è la verità storica che emerge e la “verità giuridica” diventa una chimera, perché riconoscere questi fatti significherebbe mettere sotto accusa un intero sistema industriale, quello stesso sistema che oggi produce 1.000 morti sul lavoro, altre a decine di migliaia per malattie professionali, e un milione di infortuni ogni anno.
Il progresso sociale è lastricato di sangue proletario, del sangue di lavoratori e cittadini, esseri umani considerati come dei numeri o al più solo come una merce “usa e getta”.
Il mercato, la produttività, la competitività e soprattutto il profitto sono gli obiettivi di tutti i governi, delle multinazionali e della Confindustria. Questi obiettivi nella crisi si realizzano ancor più sulla pelle dei lavoratori e cittadini, annullando il diritto alla salute, alla sicurezza e alla vita. In Italia l’unico diritto riconosciuto, è quello di fare profitti, a questo sono subordinati tutti gli altri “diritti umani”. Le leggi, le norme, una giustizia di classe che protegge in ogni modo i padroni, i manager e un intero sistema economico, politico e sociale fondato sul capitalismo fa sì che la salute e vita umana, davanti ai profitti, passino in ultimo piano.
Ancora oggi nel 2016, nella” moderna e democratica” società capitalista, gli operai e i lavoratori continuano a morire di lavoro - e di non lavoro - come nell’Ottocento.
In questa guerra del capitale contro i lavoratori - negli ultimi anni sono in forte aumento anche i suicidi di lavoratori disoccupati, cassintegrati o colpiti dalla repressione e dal dispotismo padronale nel totale silenzio delle istituzioni e della stampa Tv, e non è un incidente di percorso o una dimenticanza il fatto che la magistratura non apra inchieste o sia di parte.
Il licenziamento di 5 operai della Fiat, licenziati per aver “impiccato” il fantoccio di Marchionne come protesta contro due suicidi di cassintegrati con il giudice che ragione all'azienda è un’ulteriore prova dell’imbarbarimento della società. Anche sui mesoteliomi ci sono problemi. Recentemente un’ex lavoratrice malata di mesotelioma di un palazzo del Comune di Milano, chiuso da circa 4 anni per amianto con un periodo lavorativo di esposizione all’amianto dal 1985 al 2010 presso il Comune di Milano, si è vista respingere la richiesta di malattia professionale prima dall’ATS (ex ASL) e poi dal P.M.
Il magistrato ha chiesto al GIP l’archiviazione, sostenendo che la signora durante le ferie (meno di un mese l’anno) andava in una località in cui c’e una forte presenza di eternit.
Per l’ATS e il P.M. la lavoratrice non si sarebbe ammalata nei 25 anni in cui era esposta alla sostanza cancerogena, ma quando andava in ferie.
La richiesta di archiviazione è arrivata ad agosto durante le ferie e ci sono solo dieci giorni per fare opposizione. In ogni caso il nostro Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Teritorio, insieme alla lavoratrice, a Medicina Democratica e l’Associazione Italiana Esposti Amianto che aveva fatto l’esposto - denuncia tramite la nostra avvocata Laura Mara è riuscito a presentare l’opposizione entro i termini e vedremo come finirà. Questo dimostra che a fianco di P.M competenti che svolgono indagini accurate ce ne sono altri incompetenti di orientamento diverso o peggio ancora.
Il nostro Comitato e tutte le associazioni che fanno parte del Coordinamento Nazionale Amianto da anni si battono in fabbrica e sul territorio per il rischio zero. Basta con l’ipocrisia di chi legittima e sostiene lo sfruttamento per realizzare maggiori profitti e poi in pubblico versa lacrime di coccodrillo.
Per noi ogni strage, anche una sola morte sul lavoro o malattia professionale sono intollerabili e vanno impedite. Per questo riteniamo molto grave e offensiva verso le vittime che il ministro dei trasporti Delrio commentando la richiesta di condanna dei P.M. a 16 anni di reclusione per l’ex amministratore delegato di Fs Mauro Moretti per la strage di Viareggio in cui morirono bruciati vivi 32 esseri umani abbia dichiarato: “E’ difficile pensare che l’amministratore delegato di Fs possa avere una responsabilità cosi enorme, questa richiesta va oltre la responsabilità individuale”.
Le lotte nelle fabbriche, nelle piazze e nei tribunali - con presidi e manifestazioni insieme alla presenza anche nelle aule giudiziarie dei lavoratori e dei cittadini - è determinante.
Noi abbiamo sperimentato che i risultati a favore delle vittime si ottengono quando anche i lavoratori diventano protagonisti del loro destino partecipando attivamente insieme alle procure, ad avvocati, medici del lavoro, consulenti e tecnici, nel rispetto dei ruoli, senza però delegare la difesa dei loro diritti e interessi ai soli “esperti” o ai politici .
Noi dobbiamo creare nel paese un movimento operaio e popolare di lotta per la salute, la sicurezza sui posti di lavoro e nel territorio. Insieme a magistrati, avvocati, medici, tecnici della salute e soprattutto a lavoratori e cittadini coscienti, per raggiungere l’obiettivo di impedire che si continui a morire per il profitto, per “costringere” il legislatore a varare una legge che sancisca che i disastri ambientali, gli infortuni, le morti sul lavoro e di malattie professionali non vadano mai in prescrizione e siano considerati crimini contro l’umanità. Il movimento operaio e popolare si deve battere per il rischio zero nei luoghi di lavoro e nel territorio.
Non possiamo accettare, sotto il ricatto del posto di lavoro, che le esigenze del “mercato” ci costringano a rimetterci la salute e la vita, e a ipotecare il futuro delle nuove generazioni inquinando il pianeta.

Il ruolo dell’INAIL e dell’INPS
Da anni è in atto un contenzioso tra le vittime dell’amianto e delle malattie professionali contro l’INAIL e l’INPS. Questi enti si comportano con i lavoratori come se fossero degli istituti privati e non Enti pubblici.
L’INAIL sul territorio nazionale tende a respingere di solito le malattie professionali, in primis i mesoteliomi, costringendo i lavoratori a lunghe e costose cause legali che spesso giungono a compimento quando il lavoratore è ormai deceduto, causando danni economici anche agli stessi enti.
Anche l’INPS si comporta nello stesso modo. Molti dei nostri compagni e associati ex esposti amianto, che hanno un’aspettativa di vita media inferiore di 10 anni rispetto al resto della popolazione (circostanza riconosciuta dalla stessa legge), per far valere i loro diritti previsti dalla legge 257 del 1992 sia per i cosiddetti “benefici contributi” che per le malattie professionali, hanno dovuto aspettare i tre gradi di giudizio con tempi e costi elevati che spesso hanno vanificato i risultati positivi raggiunti.
In molti casi ormai i lavoratori non ricorrono neanche più al tribunale ma rinunciano a far valere i propri diritti perché, oltre al danno in caso di sconfitta legale, spesso subiscono anche la beffa di pagare le spese processuali e legali.
Noi - comitato e associazioni del Coordinamento Nazionale Amianto- da anni denunciamo il conflitto d’interessi di questi enti. In particolare dell’INAIL, un’assicurazione pubblica che deve certificare la malattia professionale, ad esempio l’esposizione all’amianto e altre sostanze cancerogene, e nello stesso tempo è l’ente che deve risarcirlo.
E’ assurdo che in reparti divisi solo da una striscia gialla per terra, dove è stata accertata la presenza di lavorazioni nocive (amianto, cromo, manganese ecc.) questi enti riconoscano la malattia professionale o i cosiddetti “benefici” - che sono invece un risarcimento - ad alcuni lavoratori e non ad altri che lavoravano nello stesso capannone a pochi metri di distanza, solo perché divisi da una riga gialla che determina l’appartenenza a un altro reparto della stessa azienda.
Nella nostra esperienza abbiamo sperimentato che la lotta paga. insieme alle cause legali, la cosa più importante per raggiungere un poco di giustizia, per quanto tardiva, è stata la mobilitazione e partecipazione delle vittime, la lotta dei lavoratori con manifestazioni e presidi davanti alle sedi di INAIL, INPS e ai tribunali.
Intervenire sul governo e sui ministri competenti, affinché INAIL e INPS riconoscano i diritti dei lavoratori e delle vittime esposte a sostanze cancerogene e nocive, perché sia un ente terzo e non l’INAIL quello che deve certificare la malattia (lasciando a questo ente solo il compito di indennizzarle come spetta all’assicurazione pubblica). Questo è l’obiettivo che oggi ci poniamo per risolvere il conflitto d’interessi dell’INAIL.

(*) Presidente del  Comitato per la Difesa della Salute
nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio-
Sesto San Giovanni (MI)
e-mail: cip.mi@tiscali.it                        


COME ERA E DOVE ERA
COMMEDIA DEL TERREMOTO
di Paolo Maria Di Stefano


Come è ormai abitudine di un numero sempre crescente di persone, almeno una “petite heure” -come dicono i francesi- due o più volte la settimana quasi tutti noi italiani la dedichiamo alla lettura della Commedia. Si tratta di una consuetudine che ci fa onore e che è d’esempio in tutto il mondo. A me recentemente sono capitati alcuni versi che mi sono parsi di particolare rilievo, in questi giorni di terremoti continui nell’Italia centrale che sembrano non volerne sapere di smettere di perseguitare una popolazione se non stremata, certamente sofferente e non poco. Durante di Alighiero degli Alighieri, in arte Dante, alla conclusione del terzo canto del suo Inferno (v.130-136), scrive “Finito questo, la buia campagnatremò sì forte, che dello spaventola mente di sudore ancor mi bagna. - La terra lagrimosa diede vento, -  che balenò una luce vermiglia - la qual mi vinse ciascun sentimento; - e caddi come l’uom che il sonno piglia.”; e, subito dopo, (si fa per dire) in Purgatorio, XX (v.127-141) descrive il terremoto che scoteva la montagna “quand’io senti’, come cosa che cada, - tremar lo monte; onde mi prese un gelo - qual prender suol colui ch’a morte vada. - Certo non si scotea si’ forte Delo - pria che Latona in lei facesse il nido - a parturire li due occhi del cielo. - Poi cominciò da tutte parti un grido - tal, che il maestro inverso me si feo, - dicendo non dubbiar mentr’io ti guido. - Gloria in excelsis tutti Deodicean per quel ch’io da vicin compresi, - onde intender lo grido si poteo. - Noi stavamo immobili e sospesi - come i pastor che prima udir quel canto, - fin che ‘l tremar cessò ed el compiési.



Nel rileggere gli endecasillabi che avevano tormentato la mia giovinezza e attorno ai quali e non solo avevo trascorso ore di pura disperazione, ho avuto come una folgorazione: tutto ho capito non solo sul terremoto ultimo, ma anche e forse soprattutto sul comportamento dei comunicatori, dei profeti, dei ricostruttori, dei Politici e, in modo indiretto, dell’animo delle vittime quando l’evento è, appunto, un terremoto. Poiché non mi è possibile elaborare un poema di interpretazione -non tanto e non solo per incapacità, quanto per indisponibilità dello spazio e del tempo da dedicare a quello che non potrebbe che essere un poema bis- meglio, in lingua d’ultima generazione, una Commedia 2.0-, devo limitarmi ad una sintesi estrema, sperando di danneggiare la chiarezza al minimo fisiologico. Il Sommo Poeta che tutto conosce dell’aldilà -e di conseguenza dell’aldiquà- è certo che i terremoti null’altro siano se non il soffiare impetuoso di un vento che scuote la terra dalla quale è generato preferibilmente di notte e in compagnia di fuochi e di fiamme. Meglio se accompagnato anche da una forte pioggia. Che di per sé giustifica in buona parte quel detto popolare che parla di “guaio di notte” per indicare il peggio del peggio. E che è più o meno esattamente quanto accade in genere ed è accaduto recentemente nelle terre del Centro Italia, dove quasi nulla ha retto alla furia degli elementi. La circostanza che il terremoto sia un forte vento tra l’altro suggerisce il dubbio che sia questa la ragione per la quale mai promessa di ricostruzione fu mantenuta e probabilmente mai lo sarà, concetto espresso in meravigliosa sintesi dall’espressione assolutamente generale “parole al vento” che nello specifico significa che quanto viene proclamato, detto, promesso, giurato quando ha per oggetto i terremoti è nutrimento del vento e del vento segue le sorti: s’en va più o meno rumorosamente null’altro lasciandosi dietro che indistinti rumori neppure comprensibili più che tanto a far da compagnia alle rovine. 


Soprattutto quando dovessero essere, quelle parole, risposte a precise domande, simili a queste: Ai danni attribuiti ai terremoti negli ultimi anni in quasi tutta l’Italia, in Sicilia come in Abruzzo, nelle Marche, nel Lazio, in Umbria non si potrebbe in qualche modo porre un minimo di rimedio dirottando (anche) i fondi previsti per la ormai mitica costruzione del ponte? E il farlo non creerebbe posti di lavoro? E non si potrebbe immaginare un sistema di manutenzione del territorio (e delle costruzioni e dei monumenti e delle opere d’arte) in grado non di prevedere i terremoti, ma certamente di limitarne i danni? E obbligare a costruire con quei seri criteri antisismici di cui non mancano esempi nel mondo in una con l’istituire un sistema di controllo su ogni e qualsiasi intervento umano, causa prima di quei danni? Non si potrebbe, ad esempio, impedire l’uso del polistirolo al posto del cemento armato? E non si potrebbe, sempre per esempio, intervenire nella produzione di quest’ ultimo in modo che non si riveli sabbia appena mascherata? No? Ma perché? Perché no.


E soprattutto: dopo ogni terremoto non si perde occasione per rassicurare gli abitanti delle località distrutte che tutto sarà ricostruito come era e dove era. Certo, in tempi non brevissimi, ma tutto tornerà come prima. Intanto, ci si rassegni a passare il tempo che è necessario nelle tende, sapendo che tra sette-otto mesi saranno pronte casette di legno più confortevoli, nelle quali ci si potrà persino curare delle polmoniti guadagnate nell’inverno imminente, attendendo con fiducia quel “dove era e come era”, paradigma delle impossibilità. Certo, le promesse la Politica deve farle. Perché? Perché sì. Altrimenti, che Politica sarebbe? E deve anche mantenerle? No. Perché? Perché no. Altrimenti, che Politica sarebbe? L’uso nella retorica del perché sì e del perché no meriterebbe ben altra trattazione, e non è detto che sul tema non si ritorni. Qui basti ricordare che perché sì e perché no sono il massimo delle risposte “conclusive”, quelle che troncano e chiudono ogni argomento. Ma c’è di più, forse ignorato o forse - e sarebbe cosa peggiore - ben conosciuto almeno dai nostri Politici.


Il terremoto che scuote il monte del Purgatorio è dovuto alla circostanza che la terra si muove ogniqualvolta un’anima -scontata la pena prevista- viene assunta in Paradiso. In questo caso, al fragore proprio del fenomeno si aggiunge quello del canto del “Gloria” intonato da una sterminata moltitudine di coristi. E dunque, i Politici che tutto sanno e che hanno a cuore il benessere della umanità intera (o almeno quello della propria gente) sono talmente certi che un terremoto sia il benvenuto da esaltare come un successo il numero delle vittime: i trecento morti dell’ultimo terremoto sono quei privilegiati che hanno raggiunto un mondo ed una vita migliore di gran lunga di quella trascorsa in uno qualsiasi dei paesi e delle città colpite. E in quanto privilegiati, si aggiungono alle schiere delle vittime dei terremoti del Belice, di quello dell’Aquila, di quello del Friuli, di quello dell’Irpinia…


Chi siamo noi -si chiedono i Politici- per privare quelle persone della eterna felicità, cosa che inevitabilmente accadrebbe se non solo fossimo in grado di prevedere il terremoto, ma anche e forse soprattutto se ci preoccupassimo di costruire e manutenere con sani ed onesti criteri antisismici le costruzioni? Ancora: noi spendiamo risorse ingenti proprio per cercare di prevedere i terremoti e per tentare di imporre la costruzione di edifici con criteri antisismici, anche frutto di studi impegnativi quanto costosi. Ebbene: sono soldi gettati al vento. Perché Dante ha ragione: il terremoto altro non è che vento della terra. Ma la gente che questo non sa deve credere in una azione concreta da parte nostra, e dunque qualcosa bisogna pur fare! Con l’aiuto di padre Dante, magari, di cui i più attenti di noi ricordano quel “Gloria in excelsis tutti Deo- dicean per quel ch’io da vicin compresi,- (…).
E, concludono i Politici, a prova di interesse e di creatività, e di cultura, dappoiché il popolo canta veramente male, soprattutto in Chiesa durante le funzioni, proponiamo di istituire nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università corsi obbligatori di canto corale: quel Gloria evocato da Dante sarà sì, allora, anche per noi inno di gioia e gioverà all’immagine di una Italia efficiente, creativa e moderna. Ovviamente, il Politici non sono i soli a preoccuparsi del bene della nazione e dunque anche dei terremotati. In quest’opera più che meritoria sono aiutati dagli operatori della comunicazione, tutti, senza distinzione di mezzi.



Questi, i comunicatori di professione, in base al sacro principio che, dopo un po’ di tempo, i fatti non fanno più notizia, tendono a far scendere il silenzio, anche pietosi e preoccupati di non girare il coltello nelle piaghe delle vittime. In questa opera assolutamente meritoria incontrano, però, la non collaborazione della natura la quale, quando meno te l’aspetti, si muove di nuovo e costringe i comunicatori a prendere atto che la terra trema ancora. Ovvio che, dal momento che pare sia obbligatorio “stare sulla notizia”, il giornalista è quasi costretto a parlarne e scriverne, ma questo fa sempre più mal volentieri. E non perché, come si potrebbe pensare, “la notizia è ormai vecchia e priva di attrattiva”, quanto perché avvertono la forza di un altro dei principi su cui si basa la psiche umana: occhio non vede, cuore non duole. Meno se ne parla, più vicine sono la rassegnazione e la pace. E un popolo rassegnato e in pace è senza dubbio un popolo felice. Tutto questo è stato colto e descritto non solo meglio delle mie parole, ma di ogni e qualsiasi discorso, da questa fotografia scattata da me nel 1992, a circa trenta anni dal terremoto che distrusse Gibellina. Narra del risultato dell’impegno di ricostruire la cittadina “come era e dove era”, ed è memoriale delle speranze della gente. Ancora una volta, la concretizzazione di uno dei sacri principi fondamentali della Politica: mettiamoci una pietra sopra.
Acri. Centro storico: stato fisico e prevenzione antisismica
di Francesco Foggia*



Il terremoto, verificatosi il 24 agosto scorso nelle province di Rieti, Ascoli Piceno e Perugia, ha messo in evidenza, ancora una volta, la fragilità dei nostri centri storici. Le parti più antiche dei circa 8.000 comuni italiani costituiscono un patrimonio storico-culturale accumulatosi nei secoli: un fiore all’occhiello e un’identità per ciascun dei suoi abitanti da andarne fiero, ma che, di contro, richiede una particolare volontà collettiva per la sua conservazione e tutela (nonché politici lungimiranti).
Se le scalinate e le anguste vie fra i palazzi e le case dovessero essere poco “apprezzate” da coloro che le vivono quotidianamente per i disagi ed i problemi che pongono, evidenzieranno, invece, tutto il loro valore alla nazione e al mondo intero se una calamità naturale (specialmente un sisma) dovesse ridurli ad un cumulo di macerie. È quello che è successo ultimamente ai centri storici di Amatrice (RI), Accumuli (RI) e Pescara del Tronto (AP), ove un sisma di magnitudo 6,0 ± 0,3 è stato mal sopportato dalle strutture murarie e dalle tecniche costruttive di un lontano passato, provocando la morte di 296 persone e gettando migliaia di famiglie nello sconforto più totale (come in precedenza era successo nella provincia dell’Aquila nel 2009, in Emilia nel 2012, in Molise/Puglia nel 2002, in Umbria e Marche nel 1997, per analizzare i terremoti di magnitudo fra 5,4 e 6,0 dell’ultimo ventennio).
Le conoscenze sullo stato fisico degli edifici e la valutazione della loro capacità a sopportare una determinata sollecitazione dinamica diventano, allora, indispensabili,  per programmare interventi alle strutture abitative per una prevenzione antisismica. 

Acri. Veduta panoramica

Per il centro storico di Acri esiste, dall’agosto del 1982 (per quanto mi riguarda), uno studio geologico, geomorfologico e geologico-tecnico (riportante anche le risposte sismiche dei terreni, nonché lo stato fisico di tutti gli edifici e gli interventi consigliati per il risanamento degli stessi e dei ripidi versanti, per attenuare gli effetti di un ipotetico sisma) redatto dal sottoscritto insieme al collega geologo, dott. Gioacchino Lena, nell’ambito del Piano di Recupero del Centro Storico (commissionato dalla Giunta Municipale con sindaco Santo Giudice e con assessori comunali Emilio Belsito, Gino Trematerra, Giuseppe Caiaro, Antonio Audia, in ottemperanza alla Legge 2/2/74, n. 64, art. 13).
In relazione a questo studio “ne è scaturita una carta, alla scala 1:500, in cui sono divise le unità abitative in tre gruppi” (oltre ad una quarta comprendente i ruderi), riepilogate nella seguente tabella:

Tab. n. 4  -  Numero degli edifici con lesioni alle strutture murarie, per unità abitative

totale
di cui in stato di stabilità precaria
di cui tali
da demolire
Edifici con lesioni per cause geomorfologiche
29
29
---
Edifici con lesioni per tecniche approssimate
in relazione ai siti di fondazione
27
2
6
Edifici con lesioni per vetustà
325
17
11
Ruderi
4
4


Totale


385

52

17

Nelle Considerazioni conclusive del suddetto studio si affermava che “La caratteristica più preponderante … è la stretta dipendenza della struttura urbanistica con le condizioni morfologiche che ne hanno condizionato da sempre l’espansione”.
Le condizioni morfologiche del nucleo storico di Acri, infatti, risentono della storia geologica passata e recente, alla quale “si associano cause occasionali molteplici ed imprevedibili e fra di esse non vanno trascurate l’azione antropica, i sismi, le precipitazioni meteoriche ...  Da questo scaturisce la necessità di programmare gli interventi in due direzioni: a) risanamento del patrimonio edilizio esistente; b) risanamento dei versanti.”

Provvedimento di consolidamento

È ovvio che  per tutti i fabbricati (ad eccezione di quelli che nel frattempo hanno subìto adeguate ristrutturazioni, secondo la normativa vigente) occorre programmare interventi di consolidamento antisismico, data l’allarmante classificazione sismica dell’intera Calabria e la frequenza in Italia di terremoti con magnitudo 5,5-6,0 (con i danni che essi provocano ai centri storici prossimi agli ipocentri). 
Questo scritto vuole far ricordare alla comunità acrese l’esistenza del suddetto studio specialistico (per volontà degli amministratori di allora), già segnalata, nel febbraio 1983, in una pagina del periodico “Confronto” (a. IX, n. 2. “Acri – Centro storico. Risanamento idrogeologico e innanzitutto antisismico”) a mo’ di succinto estratto divulgativo.
Rimango, infatti, dell’opinione che si debba favorire in ogni modo la diffusione delle conoscenze sul territorio, che, se pur commissionate dagli amministratori di turno, sono pagate da ciascun cittadino.
Le risultanze del suddetto studio geologico, comunque,  non possono ritenersi esaustive ma possono rappresentare una base da utilizzare per indagini puntuali sulle sedi dei fabbricati e per l’applicazione delle tecniche più aggiornate, atte ad  aumentare la resistenza delle strutture murarie.
[*geologo]

DOCUMENTAZIONE CARTOGRAFICO-FOTOGRAFICA


Carta della stabilità



Carta della risposta sismica



 
Carta dello stato degli edifici


Carta degli interventi

Palazzo Giannone lato W



Palazzo Giannone lato E









Palazzo Giannone (particolare)




Via Regina Elena 
 


Via Regina Elena


Via Regina Elena

Casa Gallo


Municipio (particolare)

Panorama da Nord

Panorama da Sud