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domenica 23 ottobre 2016

I procedimenti penali per i tumori professionali:
Giustizia o Ingiustizia?
di Michele Michelino (*)

Un momento del Convegno 

Al lavoro è peggio che in guerra.

L’Italia è il paese che, subito dopo l’incendio che uccise 7 lavoratori bruciati vivi nel 2007, ha visto gli industriali applaudire i dirigenti assassini della ThissenKrupp.
Pochi giorni fa (il 14 settembre) un operaio egiziano di 53 anni padre di 5 figli, che stava partecipando a un picchetto all'esterno di un'azienda di logistica a Piacenza, è stato assassinato, travolto e ucciso dall'autista di un TIR. Un assassinio premeditato che, da quanto riferiscono testimoni, è avvenuto su istigazione di un dirigente della logistica, che incitava l’autista ad avanzare nonostante il picchetto. Ennesima dimostrazione di una giustizia padronale, di classe, che protegge i diritti dei carnefici e assassini a scapito delle vittime, non a caso l’assassino - dopo una notte in questura a Piacenza - è stato prontamente rimesso in libertà: è indagato a piede libero per omicidio “stradale”
Ogni giorno si muore sul lavoro e di lavoro. Il 17 settembre proprio mentre si manifestava a Piacenza contro l’assassinio di Abd Elsalam Ahmed Eldanf, altri 3 lavoratori morivano sul lavoro e la lista si allunga ogni giorno.
Anche se la Costituzione afferma che l'operaio e il padrone sono uguali, entrambi “cittadini”, ed hanno stessi diritti, la condizione di completa subordinazione economica sancita dall'ordinamento giuridico fa sì che la "libertà" e la "uguaglianza" dei cittadini sia solo formale. In realtà, in una società divisa in classi, i lavoratori vivono una condizione astratta di uguaglianza giuridica, e da una situazione concreta, reale, di disuguaglianza sociale ed economica.
L’art. 32 della Costituzione recita che: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana".
In realtà, con la privatizzazione della sanità pubblica, quest’articolo – tuttora formalmente valido e mai abrogato - è ormai carta straccia. La tutela della salute è diventata un affare per le assicurazioni, per la sanità privata e per le multinazionali farmaceutiche a scapito del diritto alla salute dei cittadini.
Dietro le vuote parole della democrazia si nasconde la cruda realtà della dittatura del capitale fatta di violenza, licenziamenti, assassinii contro chi si oppone e ostacola la “libera accumulazione del profitto”.

Processi e Istituzioni: ruolo della magistratura, dell’ATS (ex ASL), dell’INAIL e INPS nei contenziosi con le vittime dell’amianto e delle malattie professionali

Il ruolo della magistratura nelle lotte operaie e popolari.
Verità storica e verità giuridica

Una delle parole d’ordine che abbiamo sempre sostenuto in fabbrica fin dagli anni ‘70 è stata: “La salute non si paga – la nocività si elimina”. Per questo ci siamo scontrati con il padrone (che dava la paga di posto più alta per i lavori nocivi e mezzo litro di latte), con il sindacato che barattava salario e salute, e anche con alcuni nostri compagni di lavoro che vedevano nell’indennità di nocività la possibilità di arrotondare (anche se di poche lire) il salario, senza essere coscienti dei pericoli che correvano. Per il medico di fabbrica anche gli operai malati e quelli con problemi respiratori erano sempre “abili e arruolati” e costretti a lavorare in reparti e ambienti nocivi. Questa concezione è tuttora dominante.
Nei processi penali e civili si continua a monetizzare la salute e la vita umana.
I giudici se gli imputati risarciscono le parti civili - anche nei pochi casi in cui siano condannati e non intervenga la prescrizione - generalmente concedono le attenuanti generiche. In molti casi, i manager pur essendo stati riconosciuti colpevoli di omicidio colposo sono rimasti impuniti e nessuno di loro ha pagato.
Questa è la verità storica che emerge e la “verità giuridica” diventa una chimera, perché riconoscere questi fatti significherebbe mettere sotto accusa un intero sistema industriale, quello stesso sistema che oggi produce 1.000 morti sul lavoro, altre a decine di migliaia per malattie professionali, e un milione di infortuni ogni anno.
Il progresso sociale è lastricato di sangue proletario, del sangue di lavoratori e cittadini, esseri umani considerati come dei numeri o al più solo come una merce “usa e getta”.
Il mercato, la produttività, la competitività e soprattutto il profitto sono gli obiettivi di tutti i governi, delle multinazionali e della Confindustria. Questi obiettivi nella crisi si realizzano ancor più sulla pelle dei lavoratori e cittadini, annullando il diritto alla salute, alla sicurezza e alla vita. In Italia l’unico diritto riconosciuto, è quello di fare profitti, a questo sono subordinati tutti gli altri “diritti umani”. Le leggi, le norme, una giustizia di classe che protegge in ogni modo i padroni, i manager e un intero sistema economico, politico e sociale fondato sul capitalismo fa sì che la salute e vita umana, davanti ai profitti, passino in ultimo piano.
Ancora oggi nel 2016, nella” moderna e democratica” società capitalista, gli operai e i lavoratori continuano a morire di lavoro - e di non lavoro - come nell’Ottocento.
In questa guerra del capitale contro i lavoratori - negli ultimi anni sono in forte aumento anche i suicidi di lavoratori disoccupati, cassintegrati o colpiti dalla repressione e dal dispotismo padronale nel totale silenzio delle istituzioni e della stampa Tv, e non è un incidente di percorso o una dimenticanza il fatto che la magistratura non apra inchieste o sia di parte.
Il licenziamento di 5 operai della Fiat, licenziati per aver “impiccato” il fantoccio di Marchionne come protesta contro due suicidi di cassintegrati con il giudice che ragione all'azienda è un’ulteriore prova dell’imbarbarimento della società. Anche sui mesoteliomi ci sono problemi. Recentemente un’ex lavoratrice malata di mesotelioma di un palazzo del Comune di Milano, chiuso da circa 4 anni per amianto con un periodo lavorativo di esposizione all’amianto dal 1985 al 2010 presso il Comune di Milano, si è vista respingere la richiesta di malattia professionale prima dall’ATS (ex ASL) e poi dal P.M.
Il magistrato ha chiesto al GIP l’archiviazione, sostenendo che la signora durante le ferie (meno di un mese l’anno) andava in una località in cui c’e una forte presenza di eternit.
Per l’ATS e il P.M. la lavoratrice non si sarebbe ammalata nei 25 anni in cui era esposta alla sostanza cancerogena, ma quando andava in ferie.
La richiesta di archiviazione è arrivata ad agosto durante le ferie e ci sono solo dieci giorni per fare opposizione. In ogni caso il nostro Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Teritorio, insieme alla lavoratrice, a Medicina Democratica e l’Associazione Italiana Esposti Amianto che aveva fatto l’esposto - denuncia tramite la nostra avvocata Laura Mara è riuscito a presentare l’opposizione entro i termini e vedremo come finirà. Questo dimostra che a fianco di P.M competenti che svolgono indagini accurate ce ne sono altri incompetenti di orientamento diverso o peggio ancora.
Il nostro Comitato e tutte le associazioni che fanno parte del Coordinamento Nazionale Amianto da anni si battono in fabbrica e sul territorio per il rischio zero. Basta con l’ipocrisia di chi legittima e sostiene lo sfruttamento per realizzare maggiori profitti e poi in pubblico versa lacrime di coccodrillo.
Per noi ogni strage, anche una sola morte sul lavoro o malattia professionale sono intollerabili e vanno impedite. Per questo riteniamo molto grave e offensiva verso le vittime che il ministro dei trasporti Delrio commentando la richiesta di condanna dei P.M. a 16 anni di reclusione per l’ex amministratore delegato di Fs Mauro Moretti per la strage di Viareggio in cui morirono bruciati vivi 32 esseri umani abbia dichiarato: “E’ difficile pensare che l’amministratore delegato di Fs possa avere una responsabilità cosi enorme, questa richiesta va oltre la responsabilità individuale”.
Le lotte nelle fabbriche, nelle piazze e nei tribunali - con presidi e manifestazioni insieme alla presenza anche nelle aule giudiziarie dei lavoratori e dei cittadini - è determinante.
Noi abbiamo sperimentato che i risultati a favore delle vittime si ottengono quando anche i lavoratori diventano protagonisti del loro destino partecipando attivamente insieme alle procure, ad avvocati, medici del lavoro, consulenti e tecnici, nel rispetto dei ruoli, senza però delegare la difesa dei loro diritti e interessi ai soli “esperti” o ai politici .
Noi dobbiamo creare nel paese un movimento operaio e popolare di lotta per la salute, la sicurezza sui posti di lavoro e nel territorio. Insieme a magistrati, avvocati, medici, tecnici della salute e soprattutto a lavoratori e cittadini coscienti, per raggiungere l’obiettivo di impedire che si continui a morire per il profitto, per “costringere” il legislatore a varare una legge che sancisca che i disastri ambientali, gli infortuni, le morti sul lavoro e di malattie professionali non vadano mai in prescrizione e siano considerati crimini contro l’umanità. Il movimento operaio e popolare si deve battere per il rischio zero nei luoghi di lavoro e nel territorio.
Non possiamo accettare, sotto il ricatto del posto di lavoro, che le esigenze del “mercato” ci costringano a rimetterci la salute e la vita, e a ipotecare il futuro delle nuove generazioni inquinando il pianeta.

Il ruolo dell’INAIL e dell’INPS
Da anni è in atto un contenzioso tra le vittime dell’amianto e delle malattie professionali contro l’INAIL e l’INPS. Questi enti si comportano con i lavoratori come se fossero degli istituti privati e non Enti pubblici.
L’INAIL sul territorio nazionale tende a respingere di solito le malattie professionali, in primis i mesoteliomi, costringendo i lavoratori a lunghe e costose cause legali che spesso giungono a compimento quando il lavoratore è ormai deceduto, causando danni economici anche agli stessi enti.
Anche l’INPS si comporta nello stesso modo. Molti dei nostri compagni e associati ex esposti amianto, che hanno un’aspettativa di vita media inferiore di 10 anni rispetto al resto della popolazione (circostanza riconosciuta dalla stessa legge), per far valere i loro diritti previsti dalla legge 257 del 1992 sia per i cosiddetti “benefici contributi” che per le malattie professionali, hanno dovuto aspettare i tre gradi di giudizio con tempi e costi elevati che spesso hanno vanificato i risultati positivi raggiunti.
In molti casi ormai i lavoratori non ricorrono neanche più al tribunale ma rinunciano a far valere i propri diritti perché, oltre al danno in caso di sconfitta legale, spesso subiscono anche la beffa di pagare le spese processuali e legali.
Noi - comitato e associazioni del Coordinamento Nazionale Amianto- da anni denunciamo il conflitto d’interessi di questi enti. In particolare dell’INAIL, un’assicurazione pubblica che deve certificare la malattia professionale, ad esempio l’esposizione all’amianto e altre sostanze cancerogene, e nello stesso tempo è l’ente che deve risarcirlo.
E’ assurdo che in reparti divisi solo da una striscia gialla per terra, dove è stata accertata la presenza di lavorazioni nocive (amianto, cromo, manganese ecc.) questi enti riconoscano la malattia professionale o i cosiddetti “benefici” - che sono invece un risarcimento - ad alcuni lavoratori e non ad altri che lavoravano nello stesso capannone a pochi metri di distanza, solo perché divisi da una riga gialla che determina l’appartenenza a un altro reparto della stessa azienda.
Nella nostra esperienza abbiamo sperimentato che la lotta paga. insieme alle cause legali, la cosa più importante per raggiungere un poco di giustizia, per quanto tardiva, è stata la mobilitazione e partecipazione delle vittime, la lotta dei lavoratori con manifestazioni e presidi davanti alle sedi di INAIL, INPS e ai tribunali.
Intervenire sul governo e sui ministri competenti, affinché INAIL e INPS riconoscano i diritti dei lavoratori e delle vittime esposte a sostanze cancerogene e nocive, perché sia un ente terzo e non l’INAIL quello che deve certificare la malattia (lasciando a questo ente solo il compito di indennizzarle come spetta all’assicurazione pubblica). Questo è l’obiettivo che oggi ci poniamo per risolvere il conflitto d’interessi dell’INAIL.

(*) Presidente del  Comitato per la Difesa della Salute
nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio-
Sesto San Giovanni (MI)
e-mail: cip.mi@tiscali.it