FERRARA DELLE DELIZIE
di Angelo Gaccione
|
Castello Estense |
Boiardo, Ariosto, Tasso, Bassani,
Frescobaldi, Antonioni, Florestano Vancini, Foà, Pazzi, De Pisis, Boldini,
Savonarola, Previati, Dossi, Cosmè Tura, Francesco Barbieri detto il Guercino,
Achille Funi, Biagio Rossetti, Dossi, Sebastiano Filippi detto il Bastianino… e potrei continuare questo elenco ancora per
diversi righi. Fra quelli che vi sono nati e quelli che vi hanno lavorato e
vissuto, Ferrara vanta un florilegio di nomi straordinari che hanno eccelso in
ogni campo. Se può bastarvene uno vi citerò Copernico che vi insegnò diritto
canonico, come ricorda la lapide affissa sul palazzo Arcivescovile di corso
Martiri della Libertà, che quasi tocca il fianco della Cattedrale e che dà il
nome alla piazza. Vi sono luoghi in cui si va e si ritorna come in pellegrinaggio, tanto sono carichi di simboli, di archetipi e di miti che hanno
alimentato ogni fibra della nostra immaginazione. Si sono sedimentati nella
nostra memoria come visioni incancellabili e ci è doloroso il solo pensiero che
potrebbero più non esistere. Sono stato in dubbio a lungo se scrivere o meno
questa nota: Ferrara è come Venezia, è stato detto tutto. E mentre l’incuria e
il terremoto di questi mesi e di queste ore, stanno cancellando vite umane e
pezzi straordinari del nostro patrimonio artistico e culturale, un nodo mi
serra la gola: e con la più impotente e sconsolata coscienza mi rendo conto di
quanto tutta questa preziosa bellezza sia fragile, vulnerabile, effimera. Di
quanto le istituzioni del mio Paese siano indifferenti ad essa, di quanto il
meglio di questa mia dolente patria sia a rischio di estinzione. Comprenderete dunque
con quale animo io possa raccontarvi le meraviglie di questa città dopo averla
esplorata con trepidazione da cima a fondo, e quale sia l’angoscia che mi
attanaglia per ogni sua possibile, irreparabile perdita.
|
La pianta murata di Ferrara |
Quanto sia rimasta
bella Ferrara lo si può vedere dalle sue mura. Per nostra fortuna ci sono
ancora delle città o dei piccoli borghi che le mura le hanno preservate: Lucca,
Montagnana, Palmanova, Sabbioneta, Bergamo alta, Monteriggioni, e tante altre
ancora che mi sono imposto di visitare prima di chiudere gli occhi, sperando
che il doppio terremoto (“morale e
geologico”), come ha ben sintetizzato in una telefonata il mio amico
pittore Filippo Gallipoli e che assedia la nostra bellissima, infausta Nazione,
ce ne lasci il tempo. Quasi 9 chilometri di mura la cingono e la contengono con
i loro baluardi a cuneo e i loro torrioni, ma quanto fosse stata ancora più suggestiva
lo attesta l’impianto antico riportato dalle carte, con i pontili a mattoni che
scavalcavano il Po. Cos’abbia fatto di magnifico l’architetto Biagio Rossetti
con la cosiddetta Addizione Erculea è visibile a ogni occhio che sa guardare. E
fortunatamente la città ha saputo mantenere la sua intelligente misura e ciò
che svetta verso l’alto sono solo le torri e i campanili. Persino le
architetture della fascistissima Ferrara sono state rispettose e conservano una
loro severa eleganza e nobiltà. Naturalmente a sedurre un impenitente appassionato
come me, è la Ferrara dei vicoli medievali, quella stupenda di via delle Volte,
quella dei magnifici portici che scorrono sui due lati di via san Romano, la
rettangolare piazza Trento e Trieste, un tempo più appropriatamente piazza
delle Erbe, con la bella Cattedrale di san Giorgio nel cui catino absidale
squillano i colori di un “Giudizio
Universale” affrescato dal Bastianino, la Loggia dei Merciai e la Torre
dell’Orologio, le vie del ghetto ebraico: via Mazzini, Vignatagliata, Torcicoda, via Vittoria… ed è
davvero un peccato che gli originali nomi spesso siano stati cambiati in
omaggio agli eventi della storia successiva.
|
La facciata del Duomo |
Il cuore comprende il celeberrimo
Castello Estense da cui non si può prescindere, e lungo il cosiddetto Muretto
dovete obbligatoriamente sostare, perché seppure non abbiate letto Bassani, una
lapide vi ricorderà gli undici martiri innocenti trucidati per rappresaglia dai
fascisti nel novembre del 1943. Il palazzo del Comune con il monumento equestre
di Borso d’Este, e più avanti una piazzuola armoniosa dove si erge un’altra
statua, quella con il volto corrucciato di un altro cittadino illustre, il
monaco Savonarola, che morirà arso vivo sul rogo. Tutto questo “cuore” è
affollato di edifici di grande fascino, ed io ho potuto godermelo alloggiando
in via dei Prati a pochi metri dal Castello, e mi sentivo bene perché quasi di
fronte, in via Lollio, c’è la casa della mia carissima amica Erminia Scaglioni,
e abbiamo scarpinato fino ad avere male ai piedi, e con un tempo che non ha
risparmiato di infierire. In un passato più lontano avevo tenuto una
dissertazione pacifista nella bella casa del prof. Masini il cui terrazzo si
affacciava proprio sul Castello, e quella sera avevo ricevuto l’onore della
preparazione di una ricetta medievale: un dolce, se la memoria non mi tradisce.
|
Prospettiva della Piazza Trento e Trieste |
|
Piazza Trento e Trieste |
Lungo il corso Ercole d’Este fino al Quadrivio degli Angeli si trovano tre
capolavori del rinascimento: il Palazzo dei Diamanti, il Palazzo Turchi di
Bagno e il Palazzo Prosperi-Sacrati, nati dall’intelligenza architettonica di
Biagio Rossetti. Non sovrastano, non opprimono e questo è un pregio in più. C’è
anche un enorme Palazzo Bevilacqua-Rossetti-Pallavicini lì attorno, dai nomi
delle tante famiglie che lo hanno abitato e posseduto; ha una strana forma a
ferro di cavallo e i suoi mattoni rossi si fanno notare. Cinquecentesco
anch’esso non regge però il confronto con un altro Palazzo
Bevilacqua-Costabili, situato in via Voltapaletto dalla facciata ricca di
decorazioni e oggi sede universitaria; sull’arco del portone due statue
sdraiate raffigurano la Concordia e la Verità, e tanto ce ne sarebbero davvero
bisogno ai tempi nostri. Anche piazza Torquato Tasso era a due passi dalla mia
residenza e la Chiesa del Gesù è stata una vera sorpresa: vi ho trovato un “Compianto su Cristo morto” che è un
dolente gruppo di otto statue policrome di terracotta, realizzate ad altezza
d’uomo e attribuito a Guido Mazzoni. Le figure sono disposte attorno al corpo
di Cristo disteso, con la Madonna al centro, addolorata e con le braccia aperte
a mostrare tutto il suo sgomento. L’intero gruppo, composto da Nicodemo,
Maddalena, Salomè, Giovanni, Giuseppe di Arimatea e Maria di Cleofa, partecipa
al dolore e si dispera. La disposizione scenografica e i gesti hanno una presa
emozionale fortissima, ed il realismo è tale che pare davvero di assistere ad
una scena funebre concreta davanti a noi.
|
Compianto sul Cristo Morto |
La piazza Ariostea meriterebbe di
essere vista dall’alto per cogliere nella sua interezza la forma ovale che
Biagio Rossetti gli ha conferito. È vasta e oltremodo suggestiva, ma pioveva e faceva
freddo e, come ho detto, va goduta con una migliore atmosfera. Vagando da
traversa in traversa, da angolo ad angolo, da cantone a cantone, mi sono messo
sulle tracce della casa di Frescobaldi che è puntualmente comparsa nella via
che porta il suo nome, e poi il Conservatorio che gli è stato dedicato. E, mito
dopo mito, non potevo non approdare in via Cisterna del Follo al numero uno:
qui una lapide ricorda la casa dove lo scrittore Giorgio Bassani ha trascorso
la sua infanzia. Come sappiamo Bassani era nato a Bologna, ma i suoi genitori
erano ferraresi; a Ferrara ha dedicato romanzi, racconti, poesie e per un
periodo vi ha anche insegnato. Ha voluto esservi seppellito, e riposa nel
cimitero ebraico di via delle Vigne. Per mancanza di tempo non sono riuscito a
visitarlo e dunque è un appuntamento solo rimandato.
|
Piazza Ariostea |
|
Uno scorcio di Piazza Ariostea |
|
La lapide per Bassani |
|
Palazzo dei Diamanti |
Ho percorso però Corso
della Giovecca fino alla Punta della Giovecca, fino a piazza Medaglie d’Oro,
visitando tutto ciò che ho potuto. Mi sono infilato dentro chiese e chiostri,
in cortili e in palazzi; ho scoperto angoli magici di cui non ricordo più il
nome perché i miei appunti si sono bagnati con la pioggia, ed ora la memoria mi
tradisce. Ma ho scoperto che gli Ardighieri erano gli antenati di Dante, che la
cioccolateria Rizzati è bella, ma troppo cara per i miei gusti; che la ciupèta, il pane ferrarese a bastoncini
attorcigliati che ricorda una rudimentale bambola per bambini, si vende anche
nel mio quartiere in Porta Romana a Milano; che il Teatro Comunale della città
ora dedicato a Claudio Abbado che per un certo tempo lo diresse, ha un
vestibolo dalla forma circolare denominata Rotonda Antonio Foschini. Realizzato
tra il 1773 e il 1797 da Foschini e da Cosimo Morelli, il teatro si trova a due
passi dal Castello, in via Martiri della Liberta, sotto i portici. La sua splendida
Rotonda che si innalza verso il cielo
è come un occhio spalancato, ed è stato un appuntamento quotidiano per levare
lo sguardo verso l’alto e fotografare dentro quel cerchio, le nubi minacciose e
gravide di pioggia, o catturare gli sprazzi di azzurro che si aprivano.
|
La Rotonda Foschini |
|
Teatro Comunale e Rotonda Foschini |
In via
Ariosto n. 67 c’è la casa del poeta e non me la sono persa. È in quella parte di città chiamata
Arianuova e che il Rossetti riordinò con la cosiddetta “Addizione” voluta da
Ercole d’Este. È una casa solida a mattoni, sobria e formata da un piano terra e un piano
nobile. Non è sfarzosa, ma ha il privilegio di avere un giardino interno, e già
mi immagino il poeta nella quiete più riposante e nel silenzio più denso,
lontano dagli affanni diplomatici e dallo stridore delle armi, seduto ad un
tavolo, a limare il suo celebre capolavoro “L’Orlando
Furioso”.
|
Casa Ariosto |
Vi ha fatto incidere una
scritta in latino che corre lungo la fascia che divide il piano terra dal primo
che così recita: “Parva, sed apta mihi,
sed nulli obnoxia, sed non sordida, parta meo, sed tamen aere domus”.
Tradotta vuol dire che l’ha comprata solo col suo denaro, non deve nulla a
nessuno e non è gravata da canoni. In più è pulita, decorosa, adatta alla sua
persona e dunque ha quanto basta per vivervi bene. Purtroppo la godrà per soli
4 anni: vi era andato a vivere con il figlio alla fine di settembre del 1529,
ma il 6 luglio del 1533, all’età di appena 58 anni, Ludovico Ariosto si
spegnerà. Tra le tante cose preziose presenti nella casa-museo, un libro con le
firme di visitatori illustri di ogni dove. Seppure meno illustre, ho lasciato
anche la mia.
|
Prospettiva di Corso Giovecca |