I LOMBROSO
GINA E PAOLA, LA CULTURA COMBATTIVA
DI DUE DONNE TRA OTTO E NOVECENTO
di Giorgio Colombo
La famiglia Lombroso. Da sin. Gina, Paola, Nina. seduto e col bastone Cesare |
Nella odierna confusione di alleanze e
spaccature, richieste gridate o volgarmente respinte, ingiurie politiche al
posto di ragionamenti e spiegazioni, penso che si possa opportunamente
riprendere la storia di Paola e Gina Lombroso, parte di un gruppo che si espose con tenacia e rischio
per difendere le ragioni della pacifica
e democratica convivenza, in un periodo, quello tra ottocento e novecento,
gravato da pesanti contrapposizioni, dittature e da ben due guerre mondiali. Ritorno
alla nota ch avevo scritto in relazione al professore Mario Carrara, marito di
Paola, alla sua destituzione dall’insegnamento universitario e da tutte le
cariche connesse, uno dei 12 che si era rifiutato di giurare fedeltà al regime
fascista (1931-32). È l’occasione per riprendere le vicende di una famiglia
saldamente unita intorno al patriarca Cesare Lombroso, seguendo la traccia
delle sue due figlie, a loro volta rare interpreti femminili di una cultura
critica che si ritrova a fare i conti con varie ondate di crisi sfociate infine
nella dittatura fascista.
Paola Lombroso |
Devo premettere che quando ho incontrato a New York
negli anni Ottanta del ‘900 Nina Raditza Ferrero, nipote di Lombroso, già avevo
pubblicato ed esposto il materiale lombrosiano che avevo raccolto e studiato. È
stata comunque una felice occasione di riparlare della madre, Gina, la figlia e
stretta collaboratrice del noto e discusso scienziato. Nina aveva sposato il
giornalista e storico croato Bogdan Raditza (che aveva scritto un libro di
‘colloqui’ con il padre di Nina, Guglielmo Ferrero, Lugano 1939) e insieme si
erano trasferiti negli USA nel 1940 allo scoppio della guerra.
Le due
figlie di Lombroso, Paola, nata del 1871 e Gina l’anno dopo, erano state
incluse, con la madre Nina, nella ‘fabbrica’ letteraria lombrosiana: la madre
nella trascrizione e correzione della pessima scrittura del marito, Gina,
laureata in lettere e in medicina, nell’assistenza e sviluppo delle teorie
paterne, Paola, più indipendente, nella letteratura per l’infanzia. Un gruppo
famigliare molto stretto e dipendente dalla guida maschile, sia per la
consuetudine dei tempi -il positivismo biologico e il destino della donna alla
maternità-, sia per una preoccupazione difensiva, proprio delle famiglie
ebraiche, verso un esterno sovente ostile. In ogni caso la consuetudine alla
scrittura e alla pubblicazione su giornali e riviste, una esposizione pubblica
non comune alla educazione femminile, diventa un carattere delle due sorelle. È
la via per raggiungere “un po’ di dignità e un po’ di indipendenza”, scrive
Paola in La vita è buona. L’incontro
con Anna Kuliscioff, a Torino nel 1894, segna l’ingresso del socialismo in casa
Lombroso. Paola e il padre scrivono su Il
grido del popolo, insieme a E.
Ferri, A. Loria, E. De Amicis, F. Turati, E. Mariani, M. Nordau. Ancora Paola,
nel 1908, progetta il Corriere dei
piccoli per il Corriere della sera, ma il direttore Luigi Albertini le rifiuta la
responsabilità direttiva, incompatibile con la sua condizione femminile. Sarà
ridotta a delle rubriche, tutte molto popolari, con la firma di zia Mariù, nome che adotterà anche in
seguito. Alla interruzione di questa
attività si dedicherà all’educazione scolastica e alla organizzazione delle Bibliotechine rurali per le scuole
povere di campagna.
Gina Lombroso |
Un accenno a Gina. Negli anni ’90 si laurea con un
soggetto già trattato dal padre, I
vantaggi della degenerazione: “Sono
i degenerati che alimentano la sacra face del progresso, ad essi è adibita la
funzione dell’evoluzione, dell’incivilimento”. La deviazione socio-biologica
non come malattia da estirpare, ma come riserva positiva di rottura e
modificazione della società. “Sono questi squilibrati, pazzi, fanatici,
lunatici, santi o genï che sfidando la impopolarità e le persecuzioni
diffondono e divulgano per ogni dove le nuove riforme politiche, i nuovi
prodotti industriali, commerciali, artistici e pratici, che sarebbero sepolti
là dove son nati, soffocati dal misoneismo della maggioranza che tanto è più
restìa alle innovazioni e ai cambiamenti, quanto più è equilibrata”(Ibd. p.
182). Ecco che un limite, un difetto della evoluzione (per il ‘Positivismo’ la
via maestra di ogni progresso) diventa un vantaggio per l’umanità.
Entrambe
le sorelle sposano i due Aiuti del padre -che muore nel 1909-, Paola, Mario
Carrara professore di medicina legale e Gina, Guglielmo Ferrero (storico, aveva collaborato su richiesta di Cesare
Lombroso a La donna delinquente, la
prostituta e la donna normale). Carrara, grazie alla sua attività di medico nelle carceri torinesi, ha modo di
conoscere molti oppositori del fascismo e la famiglia, avvicinandosi agli
ambienti di ‘Giustizia e libertà’, diventa un punto di contatto tra gli
antifascisti torinesi e quelli fuggiti all'estero. La destituzione e morte del marito non interrompe l’attività di Paola nello
studio e assistenza dell’infanzia, premessa di ogni adulta civiltà, anche
contro l’ingerenza sempre più ingombrante e intollerante dello stato fascista.
Nel 1930 Gina e Guglielmo Ferrero -osteggiato nella sua attività di storico
indipendente- riparano a Ginevra, centro dell’antifascismo
repubblicano-socialista, dove Guglielmo insegna all’Università. A Torino
s’infittiscono gli incontri e le trame dei Levi, i Segre, i Salvatorelli, i Mila,
gli Olivetti e del giovane Leone Ginsburg. I rischi aumentano. “Scoperto a
Torino un gruppo di antifascisti in combutta con i fuoriusciti di Parigi”... La
Paola Carrara diceva che bisognava mandare una lettera al “Zurnàl de Zenève”,
scrive in Lessico famigliare Natalia
Ginzburg. Nella crisi del ’43, Paola si rifugia a Ginevra, dalla sorella Gina,
che vi morirà però l’anno seguente. Tornata a Torino alla fine della guerra,
Paola riprende l’esperienza della Casa
del sole in aiuto ai bambini in difficoltà e la scrittura di fiabe per
l’infanzia. Nel 1950 le viene consegnata la medaglia d’oro dei benemeriti della
Pubblica Istruzione. Muore nel 1953 all’età di 83 anni.
Questi
miei pochi cenni vorrebbero soltanto riportare l’interesse per vicende e figure
che paiono lontane secoli dalle confusioni oggi dilaganti, allora, quando le
differenze, le caste, le autorità, le organizzazioni famigliari, i ruoli
sessuali erano rigidi, eppure “Essere
figlie di Lombroso” (come recita il bel libro di Delfina Dolza) ha comportato
assumersi una libertà, una responsabilità di rischiare, una capacità di
cambiare che può ancora confortare le nostre deboli speranze.