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mercoledì 25 gennaio 2017

IL SECOLO DELL’ESILIO
di Angelo Gaccione

Eric Hobsbawm

Non conosco definizione più falsa e fuorviante di quella dello storico Eric Hobsbawm, fra quelle con cui viene designato il Novecento: “secolo breve”. Di breve questo secolo non ha avuto nulla. Non lo è stato per le guerre: due interminabili guerre mondiali e centinaia di conflitti e colpi di stato in ogni parte dello scacchiere mondiale, dall’Africa al Sudest asiatico, dall’America Latina al Medioriente, con un bilancio di morti, feriti, profughi e distruzioni inenarrabili, che non trovano eguali in altre epoche storiche. Per nessuno dei trucidati nei campi di sterminio, dei violati del Vietnam, dei separati del Sudafrica, dei desaparecidos dell’America Latina, il tempo della tragedia è stato breve. Non lo è stato per le persecuzioni razziali, il neocolonialismo, la guerra fredda, le ideologie totalitarie, così come non lo è stato per le lotte di liberazione, i diritti civili, quelli delle donne.
Al contrario, la definizione più pertinente, più precisa, più veritiera e che lo rivela nella sua profondità più acuta, è quella di Jean-Claude Carrière che ha magistralmente definito il XX secolo come “secolo dell’esilio”. E come giustamente afferma in un libro conversazione del 1994 con il Dalai Lama: La force du bouddhisme, pubblicato l’anno successivo in Italia con il titolo: La compassione e la purezza, “nessun secolo mai strappò tante radici”.

Jean-Claude Carrière

Non c’è alcun dubbio che il Novecento è stato il secolo dell’esilio. Non possediamo le cifre complessive e forse una stima globale non sarà mai possibile, ma fra esilio “volontario” ed esilio forzato (emigrazione economica, politica, razziale, religiosa, ambientale, di guerra), hanno varcato oceani, terre, confini, milioni, milioni e milioni di persone di ogni età. Da quel grande esilio che è stata l’emigrazione europea verso le Americhe e l’Australia; all’esilio interno ai vari Paesi con la fuga dalle aree industrialmente depresse e rurali, verso quelle dello sviluppo e del boom economico, che ha desertificato popoli e regioni. Così all’ingrosso, e senza rispetto per la cronologia della storia e il mappamondo, possiamo metterci dentro luoghi del mondo fra i più diversi: Tibet, India, Pakistan, ex Persia dello scià Reza Palhevi, Palestina, Corno d’Africa e di gran parte di questo immenso continente, Magreb, Repubbliche sovietiche, ex Jugoslavia e altro ancora. Dai Pieds-noirs fino ai boat people, ai deportati, ai figli senza più patria delle guerre interminabili di ogni dove. Un esodo biblico dalle proporzioni incalcolabili.

Profughi


Se confrontiamo la carta geografica del mondo degli ultimi cento anni, rimaniamo storditi nel rilevare quanti confini sono stati spostati, quanti stati hanno cambiato nome, quanti regimi si sono succeduti. Se gli storici e i commentatori assumessero questa definizione di Carrière, forse comprenderemmo meglio un secolo che per conto mio non si è ancora concluso, perché tutte le ferite che il Novecento ha lasciato aperte, le ha trasferite intatte o più virulente nel primo quindicennio del nuovo secolo. E perdurano, conferendo allo sradicamento e all’esilio di interi popoli o di parti di essi, proporzioni che non avremmo neppure immaginato.