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lunedì 16 gennaio 2017

LOTTA ANTICAPITALISTA PER CLIMA,
TERRITORIO, AMBIENTE E SALUTE.
Per uscirne vivi

Disastri ambientali

I cambiamenti climatici, la distruzione del territorio e delle risorse naturali, l’inquinamento e le malattie generate dal modo di produrre capitalistico nell’industria e nell’agricoltura colpiscono da vari decenni l’intero pianeta. In Italia queste catastrofi sono aggravate dalla natura franosa e sismica di buona parte del territorio nazionale, dal dissesto idrogeologico, da 70 anni di malgoverno nell’uso del territorio (cementificazione eccessiva del suolo agricolo e delle rive e degli alvei dei fiumi, grandi opere infrastrutturali dannose oltre che inutili, trivellazioni in terra e in mare, abusi e condoni edilizi, ecc.), da una gestione della mobilità di persone e merci e da una produzione di energia subordinata ai grandi interessi industriali e petroliferi.
Occorre pertanto essere sempre più consapevoli che il modello di produzione capitalistico, imperniato sul maggior profitto possibile impresa per impresa e sull’accumulazione di tale profitto, tende a comprimere i costi di produzione non solo sfruttando il lavoro umano, ma anche distruggendo le risorse naturali e ambientali complessivamente intese, sia quelle utilizzate nei processi produttivi, sia a seguito delle emissioni nell’aria, nelle acque, sul suolo e nel sottosuolo, nei corpi degli esseri viventi.
Per contribuire a superare il capitalismo occorre agire in modo conseguente alla modificazione  radicale di alcuni paradigmi: 1) la “natura”, la terra in cui abitiamo, non deve più essere l’entità, inorganica ma imprevedibile, da controllare, da sottomettere con la tecnologia e da sfruttare, come l’aveva concepita la rivoluzione scientifica dell’ inizio del XVI secolo, funzionale all’inizio dell’accumulazione capitalistica: concezione che ancora prevale in occidente; 2) il territorio, contenitore di tutte le attività umane e supporto delle stesse condizioni di vita degli esseri viventi, deve diventare un bene collettivo , in quanto è sempre più scarso e non riproducibile; un bene da tutelare, anche riportando la produzione di cibo a una agricoltura ecosostenibile, e da usare con estrema accortezza, al di sopra della proprietà privata o pubblica di porzioni di suolo; 3) la produzione deve essere conseguente a una decisione collettiva sul che cosa, per chi, quanto e come produrre. Se i primi tre aspetti presuppongono una fase di superamento del capitalismo, meno difficile è operare fin da oggi sul come produrre, passando dalle energie di origine fossile a quelle rinnovabili, dall’uso di materiali e sostanze tossiche per l’ambiente e per la salute ad altre compatibili, a tecnologie risparmiatrici di acqua ed energia, a prodotti concepiti per durare nel tempo, riparabili, riusabili e riciclabili alla fine del loro ciclo di vita, senza produrre scarti e rifiuti.

Disastri ambientali

Quest’ultimo obiettivo comporterebbe perdite occupazionali in alcune attività industriali, da superare con la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, con la produzione di energia da fonti rinnovabili, con l’estensione delle attività di cura del territorio (rigenerazione socioeconomica delle zone collinari e montane, rinaturazione ove possibile delle sponde fluviali, rimboschimenti, ecc), delle città (recupero edilizio ed energetico degli edifici, riuso degli edifici vuoti, riqualificazione delle periferie e degli spazi aperti), dei borghi antichi e dell’immenso patrimonio storico/artistico/culturale di qualunque epoca e localizzazione, e delle persone (servizi pubblici di base di qualità a disposizione di tutti e tutte).  
Il cambiamento del modello di sviluppo è inoltre, per noi, terreno di lotta comune con il sindacato e con molti movimenti ambientalisti nazionali e comitati locali, spesso oggettivamente anticapitalisti anche se talora operano per un unico obiettivo o settore.