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martedì 31 gennaio 2017

RACCONTO
Visto il contenuto abbiamo deciso di pubblicare in prima pagina
questo racconto di Vito Calabrese. 
I disegni illustrativi sono di Adamo Calabrese.

Passaggio a nord.                                                                                                     
Lui faceva il meccanico, sapeva aggiustare le cose rotte mentre lei, nera e selvaggia, sapeva infiammare gli animi e aggiustare i cuori, tranne il suo. Il suo era rotto per lei.




Il fatto è che Zema è sempre stata inquieta. Una volta giunta a Milano, accolta nella Casa della Carità, ha provato a seguire le regole, a fare l’immigrata utile e anche riconoscente, ma è durata poco. L’esperienza devastante dello stupro, subito in terra di Puglia, le aveva acuito la sensibilità. Era la paladina dei giovani immigrati, disorientati, che arrivavano in quel rifugio. Don Roberto la teneva d’occhio e le affidava compiti sempre più impegnativi e stimolanti. Ma a lei non bastava. L’aveva visto una sera di febbraio, una sera piena di pioggia, che entrava sbigottito nella Casa assieme a tre sbandati e chiedeva, più con lo sguardo che con le parole, di essere accolto. Omar dai riccioli neri, africano, scappato dal Sud Sudan, debole e sfatto dalle peripezie del viaggio, l’aveva amata come il sole. Omar aveva imparato a stare con lei, ad amarla come voleva lei, e non era facile. Lui faceva il meccanico, sapeva aggiustare le cose rotte mentre lei, nera e selvaggia, sapeva infiammare gli animi e aggiustare i cuori, tranne il suo. Il suo era rotto per lei. Poi avevano progettato di partire. Volevano andare in Francia, anzi lui voleva andare in UK. Zema era partita per Parigi, coi documenti in regola, e Omar era rimasto a Milano, in attesa. Ilaria, la sua amica di Milano, era insofferente. Mille pensieri le mulinavano nella testa, suscitati dalla telefonata di Zema. Le aveva risposto che ci avrebbe pensato ma non sapeva dove cercare aiuto. Il progetto di far passare Omar in Francia, aggirando i controlli, era troppo complicato. Forse doveva parlarne con Max, il suo amico del liceo. Quel viaggio è per lui, Omar lo sa. Gli amici di Ilaria si sono mobilitati per organizzare la sua partenza con l’intento di farlo passare dall’altra parte del confine. Poi dovrà arrangiarsi, ma saltare il primo ostacolo è fondamentale. Ilaria ha accettato la richiesta di Zema per aprire un passaggio verso nord, verso l’Inghilterra. Max ha messo insieme il gruppetto con Mathias, maggiorenne e autista della Qashqai, nonché suo compagno di squadra nella scuola giovanile dell’Inter. Doveva sembrare una gita per andare a Lanzerheide. Gigi, l’amico del nonno, che batteva da anni la zona, ricca di funghi porcini, l’aveva consigliata. Era il punto giusto per bucare il confine senza troppi problemi. Il passo dello Spluga era una porta aperta attraverso la Svizzera per salire fino a quella meta tanto sognata da Omar. E ce l’avevano fatta. Omar era poi arrivato a Parigi in treno. Zema aveva chiamato Ilaria, felice per essere insieme al suo ragazzo e felice di averla come amica. Lei aveva festeggiato con gli amici che avevano traghettato Omar di là dalla frontiera. Sembrava che tutto fosse filato via liscio, una storia col lieto fine. Dopo aver tentato invano di passare il Canale, i due giovani avevano ripiegato sulla Jungle, l’enorme tendopoli cresciuta disordinatamente a qualche chilometro da Calais. Vi erano parcheggiati forse diecimila migranti. Là c’era tutto il necessario per vivere, ristoranti, negozi, il teatro, la scuola, l’infermeria. Avevano ancora la speranza d’incontrare qualcuno capace di organizzare il passaggio del Canale. Il governo francese aveva promesso per l’ennesima volta di spazzar via le tende e trasferire tutti i migranti in altri centri controllati. E c’era di più. Gl’inglesi avrebbero finanziato la costruzione di un muro, ancora un muro! Proprio lì, al posto della Jungle, per scoraggiare i migranti. Quella sera il popolo della Jungle si era riunito nello spiazzo del teatro per preparare una grande manifestazione. 
Quel mattino di ottobre pioveva e tirava vento. L’alba diffondeva una luce grigia, fredda. Il popolo dei migranti usciva a fiotti dalla Jungle. Alla testa del corteo sfilava un grande striscione con la scritta rossa “NO BORDERS”. 


Davanti a loro, la Police aveva preparato una barriera di militari schierati a file multiple con i loro enormi scudi di plastica. Gli altoparlanti della polizia intimavano ai manifestanti di tornare indietro. I migranti urlavano insulti in tutte le lingue ma su tutti dominava un grido selvaggio: Fuck off! Improvvisamente correva la voce che un reparto militare stesse entrando con le ruspe dall’altra parte della Jungle per spianare la tendopoli sguarnita. Prima lo stupore per essere stati fregati e poi l’ansia di non trovare più nulla, neanche il sacco a pelo, avevano smembrato il corpo della manifestazione. La Police avanzava, lo striscione dei “NO BORDERS era abbandonato a terra, calpestato, mentre le ruspe distruggevano le tende della Jungle. Zema era in testa al corteo e urlava per tenere insieme la prima fila, strattonando i suoi vicini. Le persone si sfilavano, scivolando via dalla stretta impotente delle sue mani. Omar era dietro e voleva risalire per raggiungerla ma stava per essere travolto dall’ondata di riflusso del corteo. Provò a tirarsi da parte, quando una massa enorme, scura, puzzolente di gasolio, lo investì. Un carro blindato della Police avanzava ruggendo, colpito da una bottiglia incendiaria. Un improvviso derapage lo aveva fatto slittare fino ad arenarsi in fiamme sul ciglio della strada, dove Omar era appena stato atterrato dalla folla urlante. L’urto era stato inevitabile. “Merda! Zema, amor mio, non ce la faccio. Ti amo” pensò Omar prima di finire stritolato dalle grosse ruote del carro. La folla dei refugees tornava sui suoi passi assiepandosi attorno al carro in fiamme, ormai abbandonato dai poliziotti. Zema si era messa a correre verso quel fuoco. Sentiva il cuore martellare ferocemente e un pensiero molesto le attraversava la mente. Arrivata alla prima fila, posato lo sguardo su quella figura abbattuta, aveva riconosciuto la sciarpa azzurra. Un urlo le era salito alla gola e con la voce rauca, stritolata dalle lacrime che le riempivano gli occhi e le impedivano di vedere il suo volto, ancora bello, si era gettata sul suo corpo e l’aveva abbracciato, come volesse trattenerlo: “amore, amore mio, no, no, non andartene. Lo baciava e lo accarezzava mentre gli altri si erano fermati e si erano tolti i berretti. Nel silenzio immobile di quella mattina si sentiva solo la pioggia cadere fitta e i singhiozzi di Zema che scuotevano la folla dei refugees più dei colpi della Police. Il carro bruciava sfrigolando, come fosse una lampada votiva. Ilaria attende l’arrivo del treno, sbirciando verso il marciapiede 17 dove è in frenata il convoglio TGV che viene da Parigi. Si sono aperte le portiere e un flusso compatto di gente scende lungo il marciapiede. Ilaria si sbraccia, si fa spintonare e chiama il nome dell’amica. Il cellulare trilla. Zema la sta cercando al piano di sotto. Si sono sfiorate senza vedersi. Ilaria corre giù per le scale col cuore in gola. Eccola, vicino al grande varco dell’entrata, che alza la mano e le fa segno. Ilaria allarga le braccia, buttandosi sulla ragazza nera, che ha fatto un passo d’incontro, e finalmente la stringe in un abbraccio affannato. Ora, Zema sa che non avrebbe mai potuto rinunciare alla lotta per mantenere vivo il sogno di Omar di sfondare i muri e dare ai migranti la possibilità di vivere come cittadini del mondo. Glielo doveva: no borders!

Vito Calabrese