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sabato 4 marzo 2017

MICHELE MASSARELLI: COSTRUTTORE DI PACE
in un ricordo di Laura Margherita Volante 


Copertina di uno dei libri di Massarelli

Ho avuto la fortuna di incontrare Michele Massarelli all’inizio degli anni ’90, che considero, grazie a lui, un periodo fervido di ideali, di passioni, di amore per l’arte, per la cultura, per il territorio e soprattutto per la libertà. Per me è stato un padre, infatti amava dirmi che quando entravo in casa loro entrava il sole, per quella figlia che non avevano avuto; la moglie, la poetessa Grazia De Pol, e lui avevano tre figli maschi. È stato pere me un maestro di vita con il quale ho condiviso l’impegno per l’Università della Pace “Ernesto Balducci”. Michele era un vero costruttore di pace, in ogni gesto e parola, nella quotidianità oltre che studioso, fine, profondo e attento critico, aperto al confronto e al dialogo con una onestà intellettuale rara, unica. Modesto e umile, ma fermo sui principi della coscienza e dell’etica. Come dimenticare Michele mentre si inchina davanti ad un disabile, proferendo queste inequivocabili parole: “di fronte a lei non ci si può che inchinare…. Aveva sempre parole giuste al momento giusto per tutti con quella fermezza che non ammette repliche. Era anche una persona ironica, che amava la convivialità e la buona cucina. Sapeva equilibrare le ragioni del cuore con la razionalità dei giusti. E che dire quando in veste di relatore reclamava l’orologio europeo per i ritardatari. Michele così attento alle date di fatti e avvenimenti storici, di vita e di morte dei grandi personaggi della letteratura e della cultura, amava la puntualità per il rispetto di regole come in uno spartito musicale, dove se si  sposta una nota o una pausa si perde la giusta armonia dei suoni e non solo. Infatti aspirava all’armonia anche fra le persone, i cui conflitti nascono proprio dalla mancanza del rispetto degli uni verso gli altri. Con lui ho condiviso anche l’impegno nel C.O.C. di Cesena (Collegio Operatori Culturali), dove avevo il compito di curare l’aspetto letterario. Il suo assioma per il C.O.C. era: “Noi per voi, noi con voi, noi come voi”. Scevro da qualsiasi ipocrisia le sue affermazioni erano sempre documentate e spiegate. Soleva dire che bisogna provare Il piacere di avere torto, “solo i bambini vogliono avere sempre ragione” diceva, ma con un sorriso divertito aggiungeva: “un piacere che nessuno è riuscito a farmi provare”. 


Questo era Michele. Giusto intelligente e arguto. Mi ha coinvolto a far parte del Comitato per la difesa della Costituzione. E molte serate furono dedicate allo studio sui Diritti Umani e sulle Dichiarazioni Internazionali con un gruppo di amici animati dallo stesso amore per la giustizia, l’uguaglianza e la pace. Affermava: “Non esiste libertà di fare il male, possiamo essere liberi solo nel fare il bene”. Spesso le sue parole, sostenute dalla conoscenza solida, assumevano il sapore di una legge, senza la quale erano il caos e la guerra. Michele scriveva con la macchina da scrivere Olivetti 22. Gli scritti di Michele e le sue lettere – ho un carteggio epistolare di grande valore umano, che per questioni private, non posso rivelare interamente, in quanto vanno a toccare persone care – rappresentano una testimonianza viva del suo essere, del suo impegno per la pace, che si costruisce solo sconfiggendo ogni forma di egoismo, attraverso l’apertura verso gli altri.  Michele Massarelli, da adolescente fu mandato dalla famiglia a frequentare il liceo classico presso i Salesiani di Alassio e quando gli feci incontrare il vice direttore del Collegio Don Bosco di Alassio, Don Rocco Coladonato, ospite a casa mia, fu per lui un momento di emozione e di commozione nel rinnovare ricordi significativi della sua giovinezza, per lui molisano trasferito per una esperienza di studio in Liguria, regione del nord. Così per soddisfare un suo desiderio accompagnai Michele con la moglie Grazia ad Alassio a trovare Don Rocco per visitare il collegio e i luoghi della sua acerba giovinezza. Naturalmente fummo ospiti a pranzo con tutti i Salesiani, ma il giorno prima facemmo una sosta presso la Comunità Giovanile di Savona, il cui responsabile Don Giovanni Ghilardi, ci ospitò a cena e per la notte. Giovanni era un mio carissimo amico che conobbi, appena laureatami a Genova, durante il mio incarico di insegnamento presso la Scuola Media Don Bosco di Varazze L.R. In seguito collaborai come pedagogista con la Comunità Giovanile (Tribunale dei minori di Genova) accogliendo nel mio nucleo familiare minori in difficoltà.  L’amicizia si cementò ancora di più con questo viaggio della memoria, fra gli amici di esperienze condivise. Michele amava affermare che fra amici non devono esserci segreti”. E a questo proposito riporto qui di seguito una lettera che scrisse a Don Rocco e che mi inviò per conoscenza (8 settembre 1994):  “Caro Don Rocco, innanzi tutto mi scuso se adopero la carta di Italia Nostra, ma essa può essere significativa, per la volontà di salvaguardia nei confronti di tutti i territori del Pianeta. Invierò la presente anche a Laura, come a seguitare i discorsi che facevamo da questo meraviglioso angolo di Romagna, da dove-io molisano-ricambio il tuo caro saluto di Gallipoli, datato 18/8….
Michele Massarelli, per il suo impegno attivo di salvaguardia nei confronti di tutti i territori del Pianeta, presidente onorario di Italia Nostra, in una lettera inviata a me e al Rev. Don Rocco Coladonato, scrive in data 8 settembre 1994: “…In questo pianeta, e ormai i problemi sono solo e sempre planetari, si deve difendere la dignità della persona e si debbono rispettare i fatti. Per quel che io penso la libertà è davvero infinita, ma solo nella direzione del bene. Non siamo liberi di fare il male!”  
Ernesto Balducci

Riguardo all’Università della Pace “E. Balducci, in risposta ad un mio testo “Quale pace?” mi scrive il 9 settembre 1994: “Abbiamo ricevuto l’invito, per l’Assemblea dell’Università della Pace, per le ore 20,30 del 13 settembre p.v., presso l’Assemblea dei Comuni e in quella sede vedremo meglio come affrontare il più ampio problema di una mafia che comprende anche coloro che fingono di combatterla.” “Sulle finalità del progetto di lavoro e ricerca, sull’atteggiamento fazioso nella realtà cesenate, effettivamente la cosa più importante resta il punto della identificazione degli elementi di base per una cultura non mafiosa. È certo infatti che, come si parla di nonviolenza, si può parlare di non mafiosità. Ma su questa strada ben presto ci accorgeremmo che un nonviolento è un non mafioso, ci accorgeremmo dunque che i due termini si identificano. …Ma il guaio è che una Carta di presenza e impegno non mafiosi, sarebbe, alla fine, affidata proprio agli Enti di potere, che si reggono nel sistema mafioso. Finiremmo dunque di affidare le pecore al lupo!”. Desidero aggiungere la sua ferma e ferrea opinione sulla funzione dell’insegnante, molto sentita da me in qualità di docente e, soprattutto in un momento in cui si parla tanto di una “buona scuola”, quale? 


Carlo Cassola

Così mi scrive:
Sono salito sulla cattedra, per la prima volta, nella mia vita, nel 1940, in una scuola fascista di avviamento, che era ad Anzio, vicino a Roma, dove frequentavo il quarto anno di giurisprudenza. Ritengo valido tutto quello che tu dici, ma sarei più duro nel giudizio conclusivo sulla scuola: essa o educa o corrompe. Non ha alternativa diversa. È bene, dal 1940, essa corrompe! L’insegnante, sono d’accordo, può essere un direttore d’orchestra, ma un direttore che faccia crescere e maturare le coscienze.
Da questi frammenti tratti dalle sue lettere si evince in Michele una chiarezza di parola e di pensiero senza mezzi termini, sulla difficoltà di avviare un programma di Educazione alla Pace e alla Legalità senza un profondo percorso culturale di cambiamento e di maturazione delle coscienze.
E ancora mi scrive il 21 luglio 1997 sul pentitismo: “La parola pentitismo sempre compatibile tra la generosità del forte e la fragilità del debole, ma la vita è pur sempre un passaggio fra stati di animo forti e stati d’animo deboli diventa pericolosa ogni volta che essa si costruisce oppure nella irrazionalità si accende. Oggi, nella vita politica italiana, il pentitismo ferisce la nostra dignità perché esso vive nel rapporto mafioso! Dobbiamo uscire dalla mafia senza l’aiuto dei pentiti. I pentiti ci portano dentro e non fuori dalla mafia. Chi non paga mai, anzi chi riscuote sempre, senza mai pagare, non può costituire per noi la figura esemplare”. Questa esemplarità spetta a Francesco d’Assisi oppure a Don Lorenzo Milan. Questi hanno sempre pagato senza mai riscuotere! E per questo tu dici molto bene quando citi uno di quelli, che ha pagato senza riscuotere, Padre Turoldo”. Da qui si evidenzia un’alta corrispondenza sul tema dell’Amare (testo di P.Turoldo ed. Paoline), sulla parabola del “buon samaritano”, da come segue:


Mi sono riletto il passo di Luca che tu indichi e mi sembra che il come abbia il significato rigoroso dello stesso modo, oppure compagno, tanto più che nel termine compagno c’è già il come  e il come stesso è nel sentimento di compassione con cui si chiude la meravigliosa parabola. Per quel che io penso, sono del parere che sin dal nostro nascere l’amore che ci muove altro non sia che l’egoismo, il sacro egoismo, che consente il vivere e il sopravvivere, e che ha una sua legittimazione totale nella natura prima e poi nella cultura. …Se non amiamo noi stessi non possiamo essere in grado di amare il prossimo. Ciò significa che il sacerdote e il levita hanno un amore di sé che va oltre lo stesso egoismo, diventa cioè amor proprio che ignora l’esistenza degli altri…resta soltanto amore irrelato… Il prossimo dunque è l’uomo che movendo da Gerusalemme a Gerico è assalito dai ladri. Dei tre che hanno incontrato il prossimo, solo il samaritano dimostra di essere in grado di amare se stesso perché si riconosce nell’uomo aggredito. Dinanzi a chi è aggredito tutti noi siamo aggrediti, nell’essere egoisti ed insieme altruisti. Il vero egoista è colui che non avverte l’altruismo come una forza, verso gli altri, che sia pari, verso quella che egli sente per se stesso. Il come evangelico significa eguale…Chi ama effettivamente se stesso evita ogni forma di conflitto, si sforza di essere mite, perché nella sua mansuetudine soltanto potrà trovare gli altri ed essere altruista.
In quegli anni ’90 la nostra amicizia si è consolidata sempre di più, tanto che trascorrevamo molte ore insieme a conversare nei termini sopra esposti e, non bastando, quando non ci si incontrava, scrivevamo i nostri pensieri, opinioni i cui temi erano le questioni, che praticavamo attivamente per la Pace la Cultura l’Arte. Lo ascoltavo senza mai stancarmi, perché era di una lucidità espressiva che catturava l’anima, e anche di quella leggerezza, che rende del tutto normale dialogare su argomenti di livello elevato e filosofico in ogni ambito che riguardasse l’essere “uomini”, ma soprattutto “persone”. Non mancava occasione che mi coinvolgesse per andare a Bologna, a Rimini per partecipare a convegni e seminari sui grandi problemi sociali: dall’ambiente alla scuola; dall’arte al patrimonio dei Beni Culturali, e così via. Naturalmente la maggior parte delle volte si era in gruppo con gli amici del C.O.C. e dell’Università della Pace, ecc… Periodo intenso che mi ha formata e trasformata in una persona più consapevole. Michele era una “flebo culturale”, una cura che ti entra dentro mentre ti forgia la coscienza. E mi scrive in seguito questo testo:


L’ATTENZIONE DEL CUORE
Nella mostra aperta nella Galleria Comunale d’Arte ex-pescheria dal 23 marzo al 9 aprile, con il titolo “Spalancate le porte al Cristo”, Pier Guido Raggini scrive una “Premessa”, nel bel catalogo realizzato per la Diocesi di Cesena-Sarsina, che gli consente di affrontare con grande impegno il rapporto Arte-Religione, inoltre un breve testo critico, per ogni artista che “ha avuto la grande sensibilità di aderire alla proposta di una Collettiva di scultura e pittura, in occasione della missione cittadina. Si tratta di diciannove artisti. Il Collegio Operatori Culturali che è ben lieto di vedere, fra di loro, alcuni associati al sodalizio, plaude alla iniziativa, cogliendo un particolare aspetto positivo, quello cioè di avere messo insieme ben quattro mostre, che ci danno un quadro completo del patrimonio artistico della città, considerando il passato e il presente, considerando le immagini del territorio e infine il contributo della generazione dei giovanissimi.” “…Con l’attenzione del cuore, portata nei confronti delle opere esposte, si arriva a sentire il beneficio, che ci viene dai tanti messaggi di apertura verso gli altri. In effetti di questo si tratta: non possiamo rimanere chiusi, perché nella chiusura altro non può crescere che l’egoismo, e l’egoismo non ci consente di godere con il poco, altro non può crescere che la solitudine nello squallore, quella solitudine che lungi di condurci alla beatitudine solo ci porta nella disperazione.
Michele Massarelli sulla “Nonviolenza” 6 aprile 2000:
Il 19 marzo u.s.,insieme a Giovanni Catti, Fulvio Lotti - venuto appositamente da Perugia - ho ricordato Aldo Capitini, nel Castello di Sorrivoli. Per essere un personaggio, con cui ho avuto un decennio di profondo rapporto di amicizia, a partire dal 1959, quando ci siamo incontrati a Livorno, per introdurre nella scuola l’educazione civica, la commemorazione mi è sembrata più commovente. Sono convinto che Aldo Capitini invocando la nonviolenza come rimedio dei mali del mondo, abbia detto ciò che è più valido. Se potessimo spogliarci della violenza, che veniamo acquistando nel contesto violento in cui viviamo, ogni problema sarebbe risolto. Il rapporto umano di pacifica convivenza, nell’ambito del genere umano, ha avuto il suo trionfo all’origine della nostra civiltà e della nostra cultura. C’è nella nostra memoria naturale il ricordo di quella “età dell’oro” quando gli dei abitavano fra di noi. Vico chiama questa prima età proprio come “età degli dei.


Michele Massarelli 4 maggio 2001 (Assemblea dell’Università della Pace E.Balducci):
La mia tesi di fondo è questa: La cultura della pace contiene la più assoluta e inesorabile condanna della guerra”. Posso dire di essermi sentito interamente in questa convinzione quando non avevo ancora venti anni, nel 1938. Ero a Roma per frequentare il secondo anno di Giurisprudenza e, il 7 maggio, Hitler compì a Roma una sua visita ufficiale, due mesi dopo aver occupato l’Austria, con lo scopo di rafforzare l’alleanza con il fascismo. Ricordo che per l’occasione quaranta bande musicali convennero a Roma. In quello scenario retorico ho scoperto in me una naturale ripugnanza, nei confronti del nazifascismo, per essere testimone del “vuoto” che esisteva in quella fatua orchestrazione di potere, che già faceva pensare alla guerra, che venne puntualmente, per l’Europa, nel 1 settembre 1939 e per l’Italia, il 10 giugno 1940. Terminato il mio corso universitario, il 12 novembre 1941, sono stato chiamato per il servizio di leva… …Ma torniamo al dopo guerra…nel 1953 ha avuto luogo il primo attacco alla struttura democratica popolare con la legge truffa che non è passata. Qualche anno dopo ho conosciuto Aldo Capitini che mi è stato d’esempio nel rigore con cui ha difeso la teoria della nonviolenza. Qualche anno dopo ho ritenuto valida la proposta di Carlo Cassola per la costituzione della Lega del Disarmo Unilaterale, di cui sono stato, negli anni settanta, segretario. Se si vuol eliminare la guerra si deve procedere al disarmo, all’abolizione degli eserciti. Questa cultura ha animato Don Lorenzo Milani, Don Ernesto Balducci, Riccardo Bauer”. …Tornando all’Assemblea dell’università della Pace E. Balducci ci sono stati alcuni interventi; Anch’io ho espresso la mia amarezza formulata nel dubbio che l’Associazione possa risultare funzionale al sistema.

PACE E AMICIZIA
Michele, Cesena 8 maggio 2001 scrive a Don Giovanni Catti, Rettore dell’Università 
della Pace E.Balducci”.
Caro Giovanni, mi attengo all’impegno che ho assunto di scriverti e lo voglio fare a tuo modo, scrivendo di pugno. Nella tua bella relazione, letta nell’Assemblea del 3 maggio u.s. tu incominci con il chiederti: “Siamo Università degli Studi? Siamo Università di scolari? Dove sono i nostri studi? Dove sono i nostri scolari? E chiedendoti questo suggerisci poi non tanto di rispondere quanto di metterci insieme a cercare una risposta. Sono perfettamente d’accordo su questa tua posizione. Quando ci siamo messi insieme, nella Università della Pace, in memoria di Ernesto Balducci abbiamo voluto essere tutti insieme non altro che “amici” Un gruppo di persone dunque che avrebbe professato l’amicizia, considerandola pregiudiziale all’essere pacifisti, con il rifiuto, nella costruzione della convivenza armonica fra tutti gli esseri umani, di ogni forma di sfruttamento, di ogni forma di profitto, di ogni forma di competizione. La competizione sarebbe ammissibile nel suo significato di “chiedere insieme”, cumpetere, e non “chiedere contro”. Ma ormai è da dire che tutto è stato stravolto, nella nostra stessa cultura! Indubbiamente l’Assemblea avrebbe dovuto discutere la tua relazione unitamente a quella di Coordinatore. Io per primo mi sono lasciato trascinare unicamente ad esternare la mia amarezza, nei confronti di una società divenuta, in questo ultimo decennio progressivamente più violenta, più consumista, più ipocrita, più tecnologica, più complessa, più discriminatoria, più capitalistica. Se questa è la foce del “fiume” il risalire alla sua sorgente non potrà avere luogo che con la radicale negazione della violenza, del consumismo…nella sua “sorgente”. l’Essere Umano è disponibile (Rousseau diceva buono) a vivere amichevolmente, ponendo a se stesso “il limite” come consapevolezza di se stesso e come comprensione sacrale della realtà  proprio per essere libero. Nella sua “sorgente” l’Essere Umano è uguale a tutti gli altri Esseri Umani, per essere singolare ed irripetibile, nella sua originale diversità. Siamo liberi ed uguali proprio perché siamo capaci di porci il limite, nel vivere l’amicizia. L’Università della Pace sia dunque l’Università dell’Amicizia, dove “maestri” e “scolari” siano amici e quindi abbiano un profondo rispetto reciproco che sia valido di eliminare ogni forma di privilegio, nell’esaltazione stessa dell’uguaglianza e della libertà. Chi non si reputa eguale, chi crede di poter conseguire privilegi, chi ritiene di essere libero di fare quello che vuole, appartiene alla guerra…!”.


Desidero concludere con una sua dichiarazione motivata dalla fervida fede nella pace nell’uguaglianza e giustizia, per cui si è tanto battuto sia come pensatore sia come costruttore di pace.
Mi voglio subito dichiarare sovversivo. …Dicevano gli antichi conosci te stesso. Volendo dare un significato politico a questo monito, potremmo dire “governa te stesso”…C’è anche l’agostiniana raccomandazione di non uscire fuori, di tornare dentro te stesso, il che significa di non affidarti alle Istituzioni, perché l’unica Istituzione valida non può essere che quella che è dentro di noi. L’Istituzione infatti non si preoccupa di persuadere ma solo d’imporre la sua normativa. Certamente fra le Istituzioni la più pericolosa, perché primaria e centrale, è la Scuola. In questa Istituzione si fa coincidere l’educazione con la violenza. …In essa infatti si celebra quella violenza ingannatrice, sofisticata, ambigua, capace di ribaltare le situazioni come usa fare il favoloso lupo, quando accusa l’agnello di essere violento. Era lui che stabat superior, per cui non poteva che essere lui l’inquinatore dell’acqua. Diceva Giordano Bruno che il bambino vede le cose meglio di noi perché ce lo mettiamo sulle nostre spalle. Ma chi mette il bambino sulle sue spalle, lo tiene nel cuore. In questo senso non possiamo che essere sovversivi. Sovversivi dunque, non eversivi, non distruggendo dunque ma mettendo le Istituzioni dentro di noi, eliminandole”.

Una lettera inedita di M. Massarelli a Laura M. Volante