Per il
partigiano Vincenzo Gigante
di Fulvio Papi
Vincenzo Gigante |
È da leggere come
testimonianza, quasi vivente, di una bambina e della sua famiglia durante il
periodo della persecuzione fascista, il libro Mai più lontani. Antifascismo e Resistenza visti con gli occhi di una
bambina. Ricordo di Vincenzo Gigante (Mimesis ed. 2016). Gli occhi
della bambina sono di Miuccia Gigante coautrice del libro di ricordi del padre
Vincenzo, militante attivo socialista e poi comunista, e poi impegnato nella
Resistenza, dopo aver scontato quasi dieci anni di carcere inflittogli dal
Tribunale speciale fascista. Un personaggio di cui qualcosa dirò, ma ora che
ricordo per l’impegno morale, il progetto educativo sociale e familiare, la
valorizzazione del sapere e della conoscenza: sarebbe piaciuto molto a Gramsci
e a Pertini. Sulla capacità dell’autrice, la figlia, ormai di tutt’altra età,
di riprodurre il suo sguardo infantile, la sua passione bambina, si può capire
qualcosa solo leggendo con cura le sue pagine dove il padre è un’assenza piena
di vita. La seconda autrice Patrizia Pozzi a me è nota per i suoi studi
specialistici su Spinoza e per il suo costante impegno sui temi etici,
metodologici e storici della Resistenza. Patrizia, più giovane di me di molti
anni, ha frequentato il mio stesso (amato) liceo classico Carducci e ha la mia
stessa memoria dei professori impegnati nella Resistenza: la signora Maria
Arata, moglie del prof. Masaniello, Giorgio Cabibbe (della sezione D con
Vittorio Sereni) ai quali aggiungerei don Locati, già parroco a Lambrate, e
alcuni ragazzi come Mantegazza e Lusiardi che Patrizia non poteva conoscere. Ma
nell’ottobre del ’45 quando capitai al liceo non c’era purtroppo una memoria
entusiasta della Resistenza, la maggioranza, ragazze e ragazzi era, di una
borghesia della “zona grigia”, conformisti, e con in bocca le parole che già
allora ne oscuravano il senso. Ma un gruppetto c’era: comunisti, socialisti,
azionisti, repubblicani che si conoscevano tra loro e avevano qualche seguito.
Patrizia, nel suo saggio finale, discute temi teorici, metodologici, storici
particolarmente segnati giustamente contro quel “negazionismo” che è riuscito,
almeno in parte, a oscurare la pluralità di significati della Resistenza
italiana. Non erano certo tutti uguali: i “badogliani” delle Langhe non erano
gli azionisti del Cuneense, e così i garibaldini della Val Sesia, e gli
autonomi dell’Amiata o della Val Cannobina, i democristiani della Val Toce o i
socialisti della Matteotti. Sono cose che tutti sanno. Ma chi c’era, sa che
tutti, quali che fossero le prospettive politiche, erano in campo per la
libertà e la giustizia contro i fascisti e per la liberazione contro
l’occupazione tedesca le cui nefandezze, indegne di un onore militare, sono
state nascoste per anni per pura opportunità politica. Se qualcuno in Germania
ha dubbi lo posso dire in tedesco. Aggiungerò solo che le “categorie” storiche
non sono affatto categorie teoriche, ma forme di pensiero combattivo che
portano l’usura dei contrasti, delle mutazioni e del tempo. Proviamo a fare
l’esperimento con la “Rivoluzione francese”. Per questo mi pare importante
portare testimonianze memoriali, tentare di ri-vivere gli eventi. Quanto allo
storico revisionista Nolte, premi a parte, è di una notevole mediocrità, il suo
uso del dato empirico è acritico, banale, ideologico. Quanto a Heidegger è un
nazista antisemita senza alcun dubbio e tale va moralmente considerato.
Tuttavia Essere e Tempo della fine
degli anni Venti è un libro fondamentale della filosofia del Novecento, bisogna
saperlo leggere. E queste divaricazioni sono ben note a chi sa che “criticare”
vuol dire saper “distinguere” (circostanze, letture, influssi, propositi,
consensi, desideri, ecc.).
Vengo
al libro. Il protagonista non è mai visibile. La sua figura intrepida di
radicale oppositore al regime e le sue tragiche vicende risultano sempre dalla
fantasia, dall’emozione, dalla trepidazione e dalla esperienza della bambina
Minuccia. E il suo fantasma più o meno accentuato, secondo l’età della bambina,
come nei discorsi di casa . il nonno, la nonna, la mamma, la zia, gli amici, i
compagni politici che frequentano la casa. Ciascuno di essi esce dalle pagine
con una sua tipica raffigurazione che appartiene, nella memoria, tutta ai segni
del tempo. La memoria di Miuccia sa percorrere antichi sentieri, e la scrittura
sa determinare la configurazione e il limite con lo sfondo sempre presente di
Vincenzo Gigante, il papà perduto che, nel silenzio e nelle poche immagini,
segna tuttavia un destino. A parte la memoria morale, una preziosa prova
narratologica.
I
fatti: dopo quasi dieci anni di carcere, Gigante dopo l’8 settembre riprende la
sua attività nella Resistenza e il partito comunista lo manda a Trieste a
organizzare lo scontro con i nazifascisti. Trieste, per chi ne conosce la
storia (vengo da lì) è uno dei luoghi più difficili per un resistente comunista
e italiano. Nell’ottobre del 1944 una delazione lo mette in mano ai nazisti e
il 22 novembre viene ucciso nella tragicamente celebre Risiera di San Sabba.
Ebbe la medaglio d’oro con una motivazione di Concetto Marchesi. La famosa
Risiera, unico luogo di forni crematori in Italia, luogo infame rimosso per
lunghi anni dalla memoria di Trieste come ha scritto Claudio Magris (e io
stesso sapevo). Sempre Magris mi disse che a Monaco dove insegnava avrebbe
voluto almeno vedere in faccia il birraio che era stato il responsabile
militare e politico di San Saba, e ora passava una tranquilla vita da oste.
Ebbene, c’è ingiustizia a questo mondo. Ma c’è anche onore, dignità, passione,
giustizia come escono dalle belle pagine proprio del libro di Gigante-Pozzi sul
suo perduto papà.