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venerdì 30 giugno 2017

Strategia Nato della Tensione 
di Manlio Dinucci


Che cosa avverrebbe se l’aereo del segretario Usa alla Difesa Jim Mattis, in volo dalla California all’Alaska lungo un corridoio aereo sul Pacifico, venisse intercettato da un caccia russo dell’aeronautica cubana? La notizia occuperebbe le prime pagine, suscitando un’ondata di preoccupate reazioni politiche.
Non si è invece mossa foglia quando il 21 giugno l’aereo del ministro russo della Difesa Sergei Shoigu, in volo da Mosca all’enclave russa di Kaliningrad lungo l’apposito corridoio sul Mar Baltico, è stato intercettato da un caccia F-16 statunitense dell’aeronautica polacca che, dopo essersi minacciosamente avvicinato, si è dovuto allontanare per l’intervento di un caccia Sukhoi SU-27 russo. Una provocazione programmata, che rientra nella strategia Nato mirante ad accrescere in Europa, ogni giorno di più, la tensione con la Russia.
Dall’1 al 16 giugno si è svolta nel Mar Baltico, a ridosso del territorio russo ma con la motivazione ufficiale di difendere la regione dalla «minaccia russa», l’esercitazione Nato Baltops con la partecipazione di oltre 50 navi e 50 aerei da guerra di Stati uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, Polonia e altri paesi tra cui Svezia e Finlandia, non membri ma partner della Alleanza.
Contemporaneamente, dal 12 al 23 giugno, si è svolta in Lituania l’esercitazione Iron Wolf che ha visti impegnati, per la prima volta insieme, due gruppi di battaglia Nato «a presenza avanzata potenziata»: quello in Lituania sotto comando tedesco, comprendente truppe belghe, olandesi e norvegesi e, dal 2018, anche francesi, croate e ceche; quello in Polonia sotto comando Usa, comprendente truppe britanniche e rumene. Carrarmati Abrams della 3a Brigata corazzata Usa, trasferita in Polonia lo scorso gennaio, sono entrati in Lituania attraverso il Suwalki Gap, un tratto di terreno piatto lungo un centinaio di chilometri traKaliningrad e Bielorussia, unendosi ai carrarmati Leopard del battaglione tedesco 122 di fanteria meccanizzata. Il Suwalki Gap, avverte la Nato riesumando l’armamentario propagandistico della vecchia guerra fredda, «sarebbe un varco perfetto attraverso cui i carrarmati russi potrebbero invadere l’Europa».
In piena attività anche gli altri due gruppi di battaglia Nato: quello in Lettonia sotto comando canadese, comprendente truppe italiane, spagnole, polacche, slovene e albanesi; quello in Estonia sotto comando britannico, comprendente truppe francesi e dal 2018 anche danesi.
«Le nostre forze sono pronte e posizionate nel caso ce ne fosse bisogno per contrastare l’aggressione russa», assicura il generale Curtis Scaparrotti, capo del Comando europeo degli Stati uniti e allo stesso tempo Comandante supremo alleato in Europa. Ad essere mobilitati non sono solo i gruppi di battaglia Nato «a presenza avanzata potenziata». Dal 12 al 29 giugno si svolge al Centro Nato di addestramento delle forze congiunte, in Polonia, l’esercitazione Coalition Warrior il cui scopo è sperimentare le più avanzate tecnologie per dare alla Nato la massima prontezza einteroperabilità, in particolare nel confronto con la Russia. Vi partecipano oltre 1000 scienziati e ingegneri di 26 paesi, tra cui quelli del Centro Nato per la ricerca marittima e la sperimentazione con sede a La Spezia. Mosca, ovviamente, non sta con le mani in mano. Dopo che il presidente Trump sarà stato in visita in Polonia il 6 luglio, la Russia terrà nel Mar Baltico una grande esercitazione navale congiunta con la Cina. Chissà se a Washington conoscono l’antico proverbio «Chi semina vento, raccoglie tempesta».



ASTENSIONISMO                                                                                               di Franco Astengo


Il dibattito in corso nell’immediato post - ballottaggi al riguardo delle elezioni comunali del giugno 2017 ha raggiunto livelli di bizantinismo degni del Concilio di Nicea. Una volta per tutte deve essere chiarito che il livello delle diverse espressioni di “non voto” (diserzione dalle urbe, schede bianche e nulle) ha raggiunto una tale entità da rendere perfettamente inutile il ragionare se, nell’occasione del secondo turno,le elettrici e gli elettori che al primo turno avevano preferito candidati poi esclusi (in particolare elettrici ed elettori votanti i candidati presentati dal M5S) si fossero poi rivolti a candidati del centrodestra o del centrosinistra. In realtà, toccando i voti validi la quota del 43% (dopo che al primo turno di si era arrivati al 54%) non si può che dedurre che, in ogni caso, la quota di questa scostamenti è stata minima e del tutto irrilevante sul piano dell’analisi elettorale complessiva (che poi nel tal posto o nel tal altro si sia eletto un sindaco di un colore o di un altro costituisce un fatto che, sul piano generale, del tutto secondario). Si può quindi affermare che la gran parte dei successi ottenuti dai candidati eletti sia avvenuto “in discesa” e con percentuali complessive rispetto al totale degli aventi diritto al voto fortemente minoritarie. Il punto più importante che deve essere però messo in evidenza in questa occasione riguarda il fatto che il “non voto” appare in costante crescita da molti anni e che nessuna forza politica ,tanto meno il M5S, ha rappresentato una sorta di “argine” al fenomeno che, invece, si è fortemente dilatato in tutti i settori sociali, generazionali, di appartenenza geografica che compongono l’universo degli aventi diritto al voto.
Nel corso degli ultimi 10 anni, per prendere come riferimento un lasso di tempo definito, l’unica occasione nella quale la percentuale dei votanti è cresciuta rispetto alle precedenti occasioni di voto è stata quella del referendum costituzionale del 4 Dicembre 2016.


A proposito di questo fatto siano consentite tre considerazioni a margine:
1)Dai sostenitori del “SI”( nella loro arroganza e presunzione: fenomeni che stanno in buona misura alla base degli insuccessi del PD) è stato fortemente sottovalutato il formarsi di una vera e propria “coalizione sociale” nell’occasione del referendum sulle trivelle svoltosi pochi mesi prima senza raggiungere il quorum. In quel frangente, infatti, si consolidò (in particolare in alcune regioni del centro - sud) una sorta di fronte del “NO” trasversale e soprattutto comprendente quote rilevanti di astensionisti ormai abituali che hanno poi formato, anche in maniera inconsapevole, un vero e proprio “zoccolo duro” sulla base del cui allargamento ha poggiato, in parte consistente, l’affermazione del “NO” al 4 dicembre;
2)Al riguardo della vera e propria “fuga” di elettrici ed elettori che, negli anni passati, avevano votato per il PD e più complessivamente per l’autoproclamatosi (senza alcun titolo di contenuto, per la verità) centro sinistra, i dirigenti del PD hanno del tutto ignorato il forte calo di partecipazione alle “loro” primarie. Renzi, infatti, è stato confermato segretario con poco più di 1 milione di voti (altro che i 2 milioni rivendicati da Lotti) perdendo rispetto all’occasione precedente circa 600.000 voti.Un segnale molto importante ma non raccolto;
3)Nel corso della campagna referendario si svilupparono, sempre da parte della maggioranza renziana del PD, forti polemiche nei confronti dell’ANPI che si era schierata (con la CGIL e l’ARCI) per il “NO”. Una polemica che raggiunse toni particolarmente astiosi e fastidiosi in particolare con la faccenda, piuttosto ridicolo, dei “veri partigiani”. Sicuramente, alla fine, si potette constatare che attorno al “NO” i cosiddetti “corpi intermedi” svolsero sicuramente una funzione aggregante di una certa importanza. Ebbene, nel corso di questa campagna elettorale, a Genova (città che sempre aveva presentato determinate caratteristiche sociali e politiche, oggi ormai in gran parte smarrite) gli stessi corpi intermedi hanno preso posizione a favore del candidato appoggiato del PD (il quale soggettivamente vantava anche profonde radice nell’area di riferimento di ANPI, ARCI e CGIL). Ebbene : il risultato è stato di un rigetto quasi totale, come dimostrato dall’esito del voto dove,l’influenza di questi soggetti è sicuramente ancora rilevante. A dimostrazione che il problema, nella fattispecie genovese ma si può pensare più in generale, sia costituito proprio dall’incapacità di aggregazione dimostrata dal PD.


È necessario però approfondire queste affermazioni attraverso l’esposizione di alcuni dati.
Tra il 2008 ed oggi abbiamo avuto in Italia tre occasioni di elezioni generali riguardanti l’intero corpo elettorale: 2008, elezioni legislative; 2013, elezioni legislative, 2014 elezioni per i rappresentanti al Parlamento Europeo.
Elezioni nelle quali è entrato prepotentemente in corsa appunto il M5S che ha sempre rivendicato di aver corrisposto alla necessità di offrire una sponda ad elettrici ed elettori propensi al “non voto”.
Ciò non è assolutamente avvenuto.
Nel 2008, infatti, i voti validi (sul territorio nazionale) furono 36.457.254 su di un totale di iscritte/i (dato relativo soltanto all’Italia senza le circoscrizioni estero) di 47.041.814 per una percentuale del 77,49%.
Nel 2013 il dato dei voti validi (sempre riferito al territorio nazionale) è stato di 34.005.755 (quindi con una perdita di oltre 2.400.000 unità) su di 46.905.154 iscritte/i per una percentuale del 72,49% perdita secca del 5%.
Nel 2014 (Europee) il totale dei voti validi è stato di 27.371.747 (quindi 6.700.000 in meno rispetto al’anno precedente e di oltre 9.000.000 rispetto al 2008) considerando però che il  rapporto è da valutare con l’intero corpo elettorale compreso l’estero (non registrato a parte in questa occasione) ammontante a 49.256.169 unità per una percentuale del 55,57%.
Dati che ridimensionano molto, per quel che riguarda il 2014, il tanto vantato 40% del PD e che annullano del tutto la funzione “deterrente” vantata dal M5S: paradossalmente, volendo forzare, si potrebbe dire che proprio la presenza del M5S come novità nel panorama politico-elettorale ha causato la fuga di qualche milione di votanti. La situazione può essere ancora valutata meglio scendendo nel dettaglio di alcune situazioni regionali e locali di particolare significato. Ci si accorgerà che a tutti i livelli e in tutte le situazioni quando si presentano candidati e liste i voti validi decrescono. Alcuni esempi.


Raffronti tra le regionali 2010 e quelle 2015.
LIGURIA
2010 Iscritti 1.385.791 voti validi 813.176 pari al 58,67%.
2015 Iscritti 1.357.540 voti validi 658.171 pari al 48,48%. In fuga 155.005 voti validi pari al 10,19%. Qualcuno dovrebbe far sapere all’inventore del famoso “modello Toti” che nell’occasione della sua elezione i voti validi complessivi alla fine furono inferiori al 50%.
VENETO
2010 iscritti 3.962.272 voti validi 2.540.735 pari al 64,12%
2015 iscritti 4.018.497 voti validi 2.212.204 pari al 55,05% con un decremento del 9,07%
TOSCANA
2010 iscritti 3.009.673 voti validi 1.767.409 pari al 58,72%
2015 iscritti 2.985.690 voti validi 1.367.872 pari al 45,81% - 12,91%. Anche a Rossi, protagonista della rottura da sinistra del PD, andrebbe comunicato che la sua elezione avvenne con i voti validi al di sotto del 50%.
CAMPANIA
2010 iscritti 4.945.381 voti validi 2.924.360 pari al 59,13%
2015 iscritti 4.695.599 voti validi 2.400.782 pari al 51,12%. 8,01 in meno nell’occasione dell’elezione di De Luca.
PUGLIA
2010 iscritti 3.553.587 voti validi 2.128.974 pari al 59,91%
2015 iscritti 3.568.409 voti validi 1.684.669 pari al 47,21%. Anche per l’altro inventore di metodi Emiliano partecipazione al ribasso con un meno 12,70% corrispondente a 444.305 voti validi.
Un raffronto relativo alle elezioni comunali nelle grandi città.
MILANO
2011 iscritti 996.400 voti validi 657.379 pari al 65,97%
2016 iscritti 1.006.701 voti validi 537.584 pari al 53,40%  con un calo del 12,57%: Sala non esattamente un trascinatore, come il suo competitor Parisi
TORINO
2011 iscritti 707.817 voti validi 405.474 pari al 57,28%
2016 iscritti 659.740 voti validi 382.503 pari al 54,97%. Un calo del 2,31% nonostante ci fosse da votare una candidata M5S
GENOVA
2012 iscritti 503.752 voti validi 263.849 pari al 52,37%
2011 iscritti 491.167 voti validi 228.796 pari al 46,58%. Un balzo all’indietro del 5,79% per il “metodo Toti”.
BOLOGNA
2011 iscritti 301.934 voti validi 210.185 pari al 69,61%
2016 iscritti 300.586 voti validi 174.187 pari al 57,94% un meno 11,67
FIRENZE
2009 iscritti 293.173 voti validi 206.494 pari al 70,43%
2014 iscritti 288.971 voti validi 187.710 pari al 64,99% un calo del 5,44%
ROMA
2013 iscritti 2.359.119 voti validi 1.203.335 pari al 51,00%
2016 iscritti 2.363.779 voti validi 1.147.499 pari al 48, 54. Un calo del 2,46% nell’occasione delle candidature dei big Raggi, Giachetti, Marchini
NAPOLI
2011 iscritti 812.450 voti validi 466.174 pari al 57,37%
2016 iscritti 788.291 voti validi 403.311 pari al 51,16%. Calo del 6,21% in occasione delle rielezione di un altro inventore di metodi politici come De Magistris
BARI
2009 iscritti 282.880 voti validi 204.972 pari al 72,45%
2014 iscritti 279.803 voti validi 178.949 pari al 63,95% un arretramento del 8,50%.


Nella sostanza si può ben affermare che la tendenza al calo molto sensibile della partecipazione al voto rappresenti fenomeno diffuso in tutte le situazioni e occasioni di voto salvo quella referendaria del 2016. Grande attenzione quindi nel celebrare successi e ricercare flussi senza prima tener conto di questo fattore assolutamente determinante e al momento apparentemente incontrovertibile. Mancano i soggetti politici capaci di produrre progettualità, aggregazione, identità: per quel che riguarda la sinistra, in questo senso, si dimostra la perfetta inutilità dei raduni del 18 giugno e del prossimo 10 luglio incentrati sul tema “alleanze sì, alleanze no” del tutto arretrato rispetto alla drammatica realtà di un sistema che sta progressivamente arretrando nel senso comune di massa e si trova di fronte a contraddizioni, antiche ed inedite, che sembrano proprio irrisolvibili se non nella direzione di costruire altri drammi collettivi e costrizioni sociali.
In ogni caso, con buona pace dell’Istituto Cattaneo il vero flusso da prendere in considerazione all’interno di questo stato di cose è “voto/non voto”.


IN ALLEGATO I DATI DEL REFERENDUM DAL PUNTO DI VISTA DELL’ESPRESSIONE DEI VOTI VALIDI (dati riferiti al territorio nazionale. Nel totale degli iscritti non sono computati gli elettori all’estero). La comparazione, oltre al dato complessivo, è nello specifico quella con Regioni e Comuni di cui sopra.
Dato nazionale: iscritti 46.720.943 voti validi 31.734.789 pari al 67,92%
LIGURIA regione: iscritti 1.241.469 voti validi 858.448 pari al 69,14%
VENETO (regione) iscritti 3.725.400 voti validi 2.835.027 pari al 76,09%
TOSCANA (regione) iscritti 2.854.129 voti validi 2.1005.777 pari al 73,78%
CAMPANIA (regione) iscritti 4.566.905 voti validi 2.667.460 pari al 58,40%
PUGLIA (regione) iscritti 3.280.712 voti validi 2.007.927 pari al 61,20%
MILANO (città) iscritti 943.104 voti validi 677.077 pari al 71,79%
TORINO (città) iscritti 652.538 voti validi 462.381 pari al 70,85%
GENOVA (città) iscritti 460.004 voti validi 316.306 pari al 68,76%
BOLOGNA (città) iscritti 285.255 voti validi 215.304 pari al 75,47
FIRENZE (città) iscritti 748.871 voti validi 577.286 pari al 77,08%
ROMA (città) iscritti 2.091.633 voti validi 1.451.522 pari al 69,39%
NAPOLI (città) iscritti 750.709 voti validi 401.664 pari al 53,50%
BARI (città) iscritti 265.853 voti validi 166.935 pari al 62,79%


Il cyber-bullismo, da dove iniziare?
di Giuseppe Oreste Pozzi

Giuseppe Oreste Pozzi

Premessa
«Se hai mai amato il tuo tenero padre…Vendica il suo assassinio ignobile e mostruso!» (Atto I, scena 5). Chi parla è il Ghost che torna a domandare ad Amleto di pagare, al suo posto, il debito cha ha per il fatto di essere morto «falciato nel pieno fiore dei [suoi] peccati». Ciò che fa di questo padre (di Amleto) una vittima ma anche un bullo dei nostri giorni, per così dire, è il fatto che egli, in quanto padre, domanda vendetta. Un padre che lascia in eredità al figlio la responsabilità di una vendetta e di una rivendicazione radicale. Il padre si presenta come castrato (è addirittura morto), ma rifiuta di sopportarne lui stesso il prezzo di tale condizione. Lo spettro si mostra come un io ideale, come eroe tradito che rivendica giustizia per mano del figlio. Un eroe che non accetta i suoi limiti, i suoi peccati, i suoi sintomi, potremmo precisare, cioè la sua condizione di soggetto che parla, di soggetto nato come essere parlante e, quindi, come essere limitato.
Anche Caino, molto tempo prima del Ghost di Amleto, non vuole pagare il suo debito (di castrazione per i suoi peccati/sintomi). Preferisce, anzi, sceglie di uccidere il fratello Abele intento nel sacrificare a Dio in quanto consapevole del proprio limite, del proprio sintomo di essere umano e parlante, del proprio essere di soggetto mancante di qualche cosa.
Il nostro tempo non ha più niente a che vedere con il peccato (almeno sul piano sociale e politico), non ha più nulla a che vedere con la mancanza e con la privazione. La psicoanalisi potrebbe proporre di usare, al posto del termine peccato, il termine sintomo che per Freud va a braccetto con il godimento. Sintomo/Godimento costituiscono, quindi, il peccato sfacciato della modernità. Rimane il fatto che, l’odio e la vendetta, sono segnali chiari e sono lì a dimostrarci che le cose non stanno proprio così. Questo tempo non è passato affatto. Il peccato o meglio il sintomo esistenziale che testimonia del malessere dell’essere parlante, continua a mostrare il dis-agio della modernità e a esistere imperterrito anche se il paradigma sociale moderno appoggia la propria illusione sul “perché no?” per tutto quanto un tempo era proibito, non giusto etc.. Questo mi piace, quest’azione mi dà adrenalina, questo oggetto mi fa godere ed allora perché no?


La salita allo zenit dell’illusione del possesso dell’oggetto, avviene di pari passo con la salita allo zenit dell’illusione di avere tutte le libertà che si vogliono e anche con la così detta evaporazione del Padre. Un’evaporazione che arriva ad abolire il Sacro, arriva a far legiferare alcuni Stati che aboliscono il reato di blasfemia. In questa prospettiva, il rispetto per il soggetto (dell’inconscio) è già morto da tempo. Si tratta di una morte perseguita dalle istituzioni sociali quando tendono a articolarsi attorno alle ideologie del benessere, date dall’oggetto posseduto e/o da possedere, dagli standard, dai protocolli, dalla materialità dei benefici e dei risultati da ottenere a qualunque costo, al punto che sul trono c’è sempre un oggetto da volere e possedere per una qualche soddisfazione necessaria.
Il soggetto, totalmente fuso con il suo oggetto da consumare, rischia di venirne alienato o sepolto. Istituzioni mortifere e tombali che non riescono a dare spazio al soggetto pur essendo mosse dall’illusione di volerlo salvaguardare sotto l’egida della giustizia e del benessere uguale per tutti. 
Le istituzioni stesse, per altro, offrono e costituiscono il palcoscenico, il teatro, la palestra per l’esibizione del proprio sintomo/godimento, della propria volontà di potenza sugli altri. L’altro è spesso il diverso da me da vessare, da usare, da sfruttare al servizio del proprio interesse personale. Il battito desiderante del soggetto, come strumento per la costruzione del legame sociale e al servizio della pulsione di vita, lascerebbe il posto alla pulsione di morte che si è insinuata in tutte le istituzioni a partire dalla famiglia. Il principio dell’individualismo, dell’utilitarismo e del personalismo invece di cedere il passo all’interesse e al legame sociale contamina le istituzioni a partire dalla famiglia come istituzione che persegue in modo chiuso e radicale il proprio individualismo istituzionale.


La questione
Il bullismo è un fenomeno noto agli esseri parlanti dai tempi di Caino e Abele, sempre che non si voglia andare più indietro nella storia. Come il bullo moderno, di tale uccisione Caino non se ne fa carico, quando il Padre Eterno gli chiede dove sia suo fratello, lui nasconde la mano “non sono io custode di mio fratello”. Dio, diversamente dal Ghost, in questo caso, non viene a chiedere vendetta. Chiede semplicemente a Caino dove abbia messo la sua questione, cosa stia facendo con la sua stessa esistenza, chiede a Caino cosa abbia fatto del suo legame fraterno, del suo legame sociale! Sulla metafora di Caino e Abele, come struttura di base del Cyber-bullismo ci torneremo fra un istante.
Il Cyber bullismo sarebbe un’esperienza storica recente che si basa, tuttavia, su vecchi schemi e antichi modelli. Schemi e modelli molto noti non solo a tutti i sistemi mafiosi o di intelligence che, come noto, conoscono e praticano quotidianamente tale schema. Da quando, cioè, chi comanda e ordina la violenza contro qualcuno, non è la stessa persona che la agisce. Anche Caino nega l’esistenza di quella parte di sé che agisce la violenza per l’invidia e la gelosia che cova l’altra parte di sé. La rete internet favorisce questo sdoppiamento di personalità e diventa uno strumento potente e micidiale nascondendo o comunque tenendo nell’ombra chi schiaccia il bottone, chi preme il tasto. Un fenomeno molto noto e verificabile anche in tutte le famiglie e non c’è bisogno che ci siano tanti figli per capire come funziona la logica di questa operazione distruttiva. Si tratta sempre di una logica soggettiva anche se cerchiamo di affrontare la questione con strumenti sociali. È fin troppo noto l’esempio che riporta lo stesso Sant’Agostino quando racconta della grande rabbia del fratellino che ancora non parlava ma già si avventava contro il neonato percepito usurpatore della madre, cioè del proprio bene inalienabile. La madre come bene inalienabile nella percezione del bambino occorre che diventi interdetta dal padre e non dal bambino piccolo geloso e invidioso del neonato. 


Questa funzione interdittiva va costruita già nell’istituzione famiglia perché possa diventare l’elemento propulsore che, proprio nel momento in cui riesce a separare simbolicamente il bambino dalla madre, cioè a svezzarlo, riesce a organizzare e costruire il legame sociale. Il legame sociale come effetto dello svezzamento/separazione tra madre e bambino. Valorizzare la differenza tra soggetti significa proprio imparare ad andare oltre l’invidia e la gelosia per costruire un legame simbolico e, per questo, sociale. Dal momento in cui la madre riesce a distrarsi dal proprio bambino come oggetto di godimento questo stesso fatto costituisce la base perché il bambino impari a riconoscere che cosa sia un desiderio. La madre che desidera al di là del bambino permette al bambino di imparare a giocare. Il gioco della dialettica desiderante. Un gioco che passa dall’oggetto del desiderio, dall’oggetto artistico in quanto oggetto inventato per esplorare il funzionamento della dialettica desiderante. La serie infinita delle invenzioni e delle creatività artistiche sono già l’effetto di questa abilità del bambino al gioco simbolico.
Noi abbiamo deciso, allora, di utilizzare, nel nostro lavoro clinico, gli strumenti e gli oggetti messi a disposizione dall’arte. 
Il connubio arte e psicoanalisi è particolarmente fecondo. Forse più sorprendentemente fecondo del tentativo di far dialogare tra loro scienza e psicoanalisi, medicina e psicoanalisi. Non che queste differenti posizioni siano in antagonismo tra loro, ma certamente la scienza o meglio lo scientismo è molto più segregativo (come i sistemi burocratici) che non l’arte. Non è un caso che per J. Lacan e per S. Freud l’arte è sempre aventi un passo dalla psicoanalisi ed allora, noi psicoanalisti abbiamo deciso di fonare delle istituzioni (rette sul sistema burocratico) ma facendo praticare ai nostri ospiti esperienze ed incontri con l’arte, con l’espressività.
L’espressione artistica o il gioco simbolico-espressivo permettono al soggetto di presentarsi già con un suo discorso. “Senza l’arte ci sarebbero troppe cose da spiegare” si legge sui muri delle case di Pavia, nel centro storico. L’angoscia e il godimento non sono spiegabili ma testimoniabili in qualche modo perché vengono manifestati. Il fatto stesso di poterli testimoniare ed avere un luogo ed un tempo per poter esprimere in un atelier-laboratorio espressivo quanto si vorrebbe dire senza avere le parole per dirlo è già una esperienza di incontro pacificante per l’individuo.



Testimonianze di artisti
Perché utilizziamo l’arte anche per poter incontrare i così detti bulli ed aiutarli ad essere in grado di misurarsi con le loro paure e con le loro difese troppo distruttive?
Perché l’arte ha il valore della trasparenza simbolica favorendo lo slancio immaginario, per così dire, lo slancio creativo sia a livello delle forme sia livello dei contenuti. Per poter aiutare i ragazzi e gli adolescenti a non avere paura della vita e a superare i momenti di angoscia esistenziale che li disorienta, occorre che imparino a parlarne. Là dove la parola non riesce ancora a prendere corpo, l’azione espressiva può agevolare la domanda di aiuto, può aiutarli a testimoniare quanto urge dentro la loro condizione esistenziale insopportabile. Tutti i comportamenti distruttivi dei ragazzi, quelli contro sé stessi ed il proprio corpo e quelli contro gli altri e contro le regole sono una testimonianza evidente, attraverso i loro agiti scomposti, di una non preparazione a sentirsi accolti e riconosciuti nel loro discorso personale e anche perché non hanno ancora gli strumenti utili, opportuni e necessari, per poter essere loro stessi a pronunciare o a farsi degnamente rappresentare dal loro stesso discorso.
L’arte o gli atelier dell’espressività sono lì a disposizione per permettere ai ragazzi e agli adolescenti di potersi far rappresentare da un qualsiasi segno che loro stessi, tuttavia, decidono di proporre e di offrire. Ogni segno, ogni discorso è pur sempre una domanda rivolta all’Altro che potrà, quindi, accoglierlo. La domanda rivolta all’Altro è già un modo simbolico per evitare l’agito immaginario e difensivo. Quello che conta è che qualcuno sia lì ad accogliere questa domanda. Non si tratta, allora di diagnosticare chi sa quale bisogno da curare, ma di favorire l’espressione e la rappresentazione della domanda che urge dentro anche se non ci sono ancora le parole per pronunciarla, una domanda di aiuto possibile, riconoscibile e accoglibile.


Come insegnano Freud e Lacan, l’angoscia, quella esistenziale che attanaglia i ragazzi e gli adolescenti e non solo loro, è sempre una risposta alla libido. Un troppo di libido ci sommerge di angoscia ed è quindi la libido che deve essere, per così dire, negativizzata, contenuta, aggirata, limitata, circumnavigata, presa in giro, bordando il buco stesso di tale angoscia. Sì perché l’angoscia è un vero e proprio buco nero. Freud parlava di angoscia senza oggetto mentre per la stessa ragione Lacan parla dell’angoscia il cui oggetto è l’oggetto vuoto, il buco nero, appunto, l’urlo di Munch è, se vogliamo, una testimonianza esemplare di come possa prendere forma il buco nero dell’angoscia. L’arte è lo strumento principe per mettere al lavoro queste operazioni di aggiramento o meglio di circumnavigazione del buco nero dell’angoscia. Gli atelier-laboratori che organizziamo e sviluppiamo valorizzano ovviamente gli oggetti dell’arte.

I quadri di Michele Miotto
Un esempio classico di come la questione soggettiva può essere messa in gioco a partire da un’esperienza di incontro con l’arte figurativa è quella che ci offre Michele Miotto che ha partecipato al festival dell’espressività Stanze di Psiche del 2016 il cui titolo era “Cosa Mangio e con chi Parlo?”. Di seguito qualche testimonianza di tale artista. Questo quadro porta il titolo “Il tormento di Ligabue”, per esempio ed è stato donato, dall’autore ad Artelier. Lo si può vedere, ora, esposto presso il Centro Diurno Antennina di Milano all’interno della Società Umanitaria di Milano. Il quadro “Senza nome” rimanda alla oscurità di un futuro ancora innominabile e, per questo, pieno di angoscia, di terrore e di attesa non conoscibile, non pensabile, non percepibile e, forse, ancora insostenibile.
Michele Miotto "Il tormento di Ligabue"

Dopo questi lavori espressivi l’autore ha capito che poteva rimettersi in viaggio e tornare alla sua terra. Riannodare la sua vita alle sue stesse radici invece che rimanere in Italia dove aveva potuto riprendere sì in mano la propria vita, ma senza riuscire a sentirsi a proprio agio, senza sentirsi a casa propria. La rabbia da esule si trasforma in energia per riprendere la propria strada nella propria terra, in Africa.

Michele Miotto "Senza titolo"


Autori famosi
Se ora decidiamo di accostare i prodotti artistici di autori famosi ci potremo rendere conto, molto semplicemente ed empiricamente, di come le questioni che vengono messe in evidenza e che rinviano alla elaborazione personale e soggettiva sono facilmente connesse con una modalità di elaborazione personale dell’angoscia indipendentemente dalle latitudini e dai tempi storici.
L’urlo”, realizzato a Oslo, da Eduard Munch è uno ei più famosi dipinti dell’espressionismo nordico. Angoscia e smarrimento non segnano solo il pittore norvegese, ma la vita di tutti gli esseri parlanti, anche se un artista, forse, è più sensibile dei comuni mortali. Potremmo usare come metafora significativa e suggestiva una delle tante spiegazioni di questo quadro che potrebbe essere la rappresentazione di un uomo il quale, nel vedere un tramonto rosso e così incantevole, si mette ad urlare il suo grande stupore, la sua grande meraviglia e la sua grande angoscia nel sentirsi troppo piccolo nell’immensità dell’universo in cui vive.

Munch "L'urlo"


La presenza partecipata e trasparente degli adulti
L’effetto pacificante delle opere, anche di quelle appena proposte, dipende sostanzialmente dal fatto che si riescano a realizzare e ad avere qualcuno che le riconosca, che le accetti. Accettare un oggetto realizzato da qualcuno significa accettare e riconoscere chi lo ha fatto, chi lo ha prodotto. Quando un’opera riesce a ben testimoniare il dramma soggettivo del suo ”artista” allora è possibile che raggiunga un effetto educativo perché rappresentativo del discorso del soggetto. Almeno per due ragioni:
L’autore, il soggetto, si concentra sul suo fare e sul suo esprimere quanto sente e questo ha già, come effetto una migliore gestione di quanto sente, di quanto percepisce;
Il soggetto, l’autore, realizza qualche cosa che ha a che fare con il suo desiderio esistenziale anche se non riesce a soddisfare o tacitare o calmare completamente quanto gli urge dentro (la pulsione  che gli “urla” dentro);
Le condizioni che gli permettono di fare quello che riesce a rappresentare lo distraggono sia della propria angoscia sia dalla propria paranoia ed odio esistenziale;
Le condizioni che gli permettono di fare quello che riesce a rappresentare lo trattengono anche dal praticare danni su di sé e sugli altri.



Il lavoro che ci troviamo a fare è di dedicare del tempo a coloro che si rivolgono a noi e ai loro familiari per capire meglio, non a partire da una diagnosi che di solito bisogna fare in fretta e usando schemi preconfezionati e rischia di diventare una grave etichetta sociale più che uno strumento clinico. Non per sottolineare e dare troppa importanza ai sintomi che sono di solito fin troppo evidenti, come aggressività, crisi reattive etc. Ci diamo del tempo per capire, caso mai, da dove vengono questi disturbi, che storia personale e familiare e sociale hanno questi sintomi. Si tratta di cogliere, allora, la questione preliminare e soggettiva ad ogni possibile trattamento clinico. C’è sempre una pista per cogliere una qualche congiuntura drammatica anche se negata dal soggetto, per incominciare a costruire quella fiducia di base da cui far nascere un percorso personalizzato e possibile. L’arte come strumento è certamente un mezzo. Diagnosi e cura sono la cadenza temporale di un discorso unico ed armonico e non un modo per separare il tempo ed il luogo di chi fa diagnosi da chi fa terapia, come succede in tutte le istituzioni sanitarie e scolastiche.


Un caro amico psichiatra, psicoanalista e organista che lavora da anni  con i criminali del Carcere di massima sicurezza di Catania ha trovato come valorizzare la musica per un lavoro clinico efficace con loro. Sono molto interessanti i suoi racconti e i suoi articoli che descrivono come sia riuscito a costruire, tra quelle mura e con tali personaggi apparentemente incalliti del crimine, delle condizioni favorevoli sul piano clinico per la riabilitazione dei condannati per pene molto gravi. Si trova, cioè, ad ascoltare le crisi di pianto di questi criminali incalliti che dimostrano di non avere paura a mostrarsi a piangere davanti a brani musicali particolarmente toccanti.  È, per loro, la porta di ingresso per incominciare a testimoniare un proprio discorso soggettivo di elaborazione possibile dei loro misfatti che né loro, né il direttore del carcere non pensavano certo di incontrare in questo luogo.

Un breve esempio clinico
Non si tratta di usare un sapere valido per tutti.
Si tratta di capire come usare il sapere al servizio del soggetto, uno per uno e non per tradurlo in una tecnica “standard” valida per tutti.
Avendo da gestire Comunità terapeutiche residenziali per minori e centri diurni per minori, adolescenti e giovani adulti, dove ovviamente abbiamo dovuto installare Pc ed internet ci troviamo anche noi esposti a questioni delicate e da gestire nel regolamentare l’uso di tali strumenti. Il caso che vi presento tuttavia non è preso dalla questione con internet perché credo riesca a mostrare più facilmente il sistema come intervento clinico da pensare.
Vi propongo, quindi, un esempio la cui dinamica è evidente agli operatori che se ne occupano sapendo che il format di tale dinamica è analoga a quella che stiamo ascoltando oggi sul tema del Cyber Bullismo.


Due ragazzi uno che mostra tutta la sua forza e la sua violenza contro chiunque ed un altro ragazzo che, invece, si presenta come pulito ben educato e intelligente. Abbiamo bisogno di un po’ di tempo per capire che, insieme, costituiscono una coppia devastante nei confronti del  gruppo in cui si trovano inseriti, all’interno di uno dei nostri  Centri Diurni.
1. Quando abbiamo capito che Renzo (il ragazzo che fa il bullo) è semplicemente la mano armata di Luciano (la mente che decide come utilizzare la mano), decidiamo che si deve affrontare la questione con molta delicatezza ma anche con grande trasparenza e nel rispetto di tutti. Facciamo allora una riunione con i due ragazzi dichiarando apertamente quello che ci pare di capire che avvenga tra loro ed il gruppo che in certi momenti sembra proprio ostaggio della coppia, benché nessuno riesca a cogliere immediatamente il legame  che c’è tra Renzo e Luciano.
2. I due ragazzi, prima incontrati a tu per tu e poi insieme, non hanno difficoltà ad ammettere. Con il loro assenso decidiamo che è necessario stabilire un accordo e proponiamo loro delle ipotesi. Ci penseranno una settimana e nel frattempo concordiamo di informare anche i loro familiari;
3. I familiari concordano sulla proposta;
4. Incontriamo nuovamente i due ragazzi per stabilire i termini dell’accordo che viene scritto e sottoscritto dai ragazzi stessi: il Centro Diurno organizzerà sempre due tipi di atelier-laboratori: mentre tutti i ragazzi potranno decidere a quale laboratorio iscriversi per loro, la scelta, sarà obbligata nel senso che il laboratorio frequentato dall’uno non potrà essere frequentato anche dall’altro. Il nuovo programma avrà una durata di due mesi e poi si rifarà il punto della situazione insieme, ragazzi ed operatori;
5. Il monitoraggio ha subito mostrato una maggiore possibilità di gestione dei due ragazzi. I tempi del monitoraggio sono diventati i tempi di una scansione clinica che mostra che è possibile. Il delirio a due che si era innescato è stato spezza a favore di una costruzione simbolica difficile ma possibile.


Per un legame sociale costruttivo
Se le guerre si fanno sempre in due, nel nostro caso tra una vittima e un carnefice, la pace la si costruisce e la si raggiunge da soli, possiamo dire. Che cosa significa?
Le guerre sono figlie dell’immaginario che funziona come luogo della fuga in una vita inautentica come dice Carlo Sini. La vita inautentica è una questione di tutti, accompagna la vita di tutti. Non ho mai conosciuto una persona che possa dire di essere completamente soddisfatta -continua Carlo Sini- Non abbiamo ragioni molto valide per argomentare questa insoddisfazione di una vita inautentica (1).
Peer questo è necessario quello che chiamiamo il lavoro simbolico del soggetto, uno per uno. Si tratta di un lavoro, appunto. Come tutti i lavori richiede impegno, costanza, applicazione personali e si può incominciare, anzi conviene incominciare ad esercitarsi, in questo lavoro simbolico, a partire dal un battito desiderante che di solito si produce in tutti gli esseri parlanti! Non si tratta di un divertimento prêt á porter, per così dire. Si tratta di un lavoro che passa certo attraverso il gioco, il gioco simbolico, appunto, e richiede esercizio, non una fuga.
Carlo Sini, rivolgendosi ai giovani, li esorta in modo forte: “Prendi coscienza della tua non originalità” (citando Sartre) “incomincia a pensare che quello che pensi non è proprio affare tuo – la rivoluzioni che pensi di essere l’originale interprete non è proprio tutta tua etc.”
La prima forma di vita inautentica è il furore e l’odio di vivere, sottolinea Carlo Sini. L’odio e il furore che vengono tramandati e che non vengono elaborati sarebbero la prima forma di vita inautentica per l’essere parlante.


L’effetto delle bugie dei grandi
“La lotta per il diritto ad avere dei segreti non condivisi dai genitori è uno dei più importanti fattori della formazione dell’Io, della delimitazione e realizzazione di una volontà propria” (2), scrive Viktor Tausk, 1879, psicoanalista morto nel 1919 giovane e poco noto e anche forse un po’ scomodo per quello che scopriva con le sue ricerche ma non meno importante nel movimento del pensiero psicoanalitico, scrive un testo straordinario sulla schizofrenia descrivendo il funzionamento della così detta “macchina influenzante”. In una nota a pag. 163, del testo citato, arriva a puntualizzare come avviene il passaggio dall’epoca in cui il bambino non dubita ancora del fatto che i genitori e gli educatori siano onniscienti all’epoca invece in cui scopre l’importanza del diritto alla bugia. La prima bugia riuscita segna uno spartiacque importante e il periodo delle bugie inizia molto presto, fin dal primo anno di vita. “Le ho osservate soprattutto in bambini che resistono alla rigida regolamentazione dell’attività escretoria... preferendo fare i loro bisogni nel letto piuttosto che nel vaso. Quando un bambino ha interesse a mentire per difendere un piacere proibito, l’educatore, che in questo caso si lascia ingannare, per salvare la propria autorità e costringere il bambino a dire la verità, può appellarsi soltanto all’onniscienza divina (siamo tra l’800 e i primo del ‘900). L’introduzione di un Dio onnisciente nel progetto educativo diventa tanto più necessaria in quanto i bambini imparano a dire bugie proprio dagli educatori”. L’alibi della divinità che sa tutto non esiste più da molto tempo ma anche allora i bambini anche molto piccoli riuscivano a “smascherare in Dio il fantasma del potere genitoriale detronizzato, prima di tutto quello paterno.” 
Il fatto che prima il bambino crede che i grandi possano conoscere i suoi pensieri e poi che lui stesso riesca a imbrogliare i grandi avendo imparato da loro appartiene al fatto di essere soggetti di parola e figli di esseri parlanti. È proprio il ricorso alla parola, tuttavia, che può sempre offrire una via di uscita all’impasse esistenziale a condizione che si tratti di parola svelante l’azione e il pensiero del soggetto anche se è impossibile poter conoscere tutta la verità soggettiva. Anche se è impossibile contenere con la parola le pulsioni che agitano il soggetto, anche se è impossibile eliminare, con la parola, il godimento mortifero di certe azioni del soggetto. Pur non avendo, la parola simbolica un potere così grande da contenere tutte le pulsioni e pacificare definitivamente il soggetto è pur vero che l’arte come forma simbolica educabile ha un valore ed una potenzialità clinico-culturale significativa. È importante allora, come educatori, come clinici, come genitori, essere alla ricerca delle condizioni che permettono l’incontro con l’oggetto dei propri interessi, quanto meno per contribuire a far nascere quel battito desiderante che può dare uno scopo ed un orientamento alla pulsione. Un orientamento che può trasformare l’energia della pulsione da distruttiva a costruttiva di un legame sociale possibile.


L’insegnamento dei fratelli Caino e Abele e Amleto con suo padre
Platone definisce l’uomo Mortale e parlante. L’essere di linguaggio si definisce per la sua finitezza, per il suo limite mortale. I miti di Caino e Abele e anche quello di Amleto sono rappresentazioni drammatiche di tale realtà. Il desiderio, come forma di vita e di speranza per l’essere parlante, per il soggetto, rischiano come insegnano questi miti, di soffocare e di non produrre gli opportuni effetti di piacere esistenziale a causa della pulsione di morte che attacca il desiderio alla radice. Il desiderio vitale di ciascuno è attraversato costantemente dalla pulsione di morte, a meno che il soggetto non incominci a lavorare con sé stesso, per elaborare la propria condizione di essere mortale imparando a incontrare e accettare, in questo modo, il proprio destino. Accettare e incontrare il proprio destino è il lavoro necessario per pacificarsi nella propria esistenza e gioire della propria vita quotidiana. Senza questo lavoro utile e necessario si è più facilmente esposti all’eredità della vendetta personale, familiare e sociale. Una vendetta che assieme alla noia esistenziale troppo spesso sono alla base dei fenomeni di bullismo che invadono scuole e strade di ogni città. Ogni forma di aggressione può essere considerata come un modo per difendersi illusoriamente della mancanza strutturale che ci appartiene fin dalla nascita. L’illusione di onnipotenza, l’illusione di potere avere tutto quello che si vuole, sono le seduzioni più semplici e più disastrose per ciascuno di noi. Queste illusioni sono le vere bugie che il soggetto si racconta anche per giustificare il proprio comportamento quando non riesce a gestirsi la propria condizione di malessere di base.
Sono proprio questi miti che abbiamo rievocato a insegnarci la necessità di diventare coscienti della nostra limitatezza personale e sociale, della nostra condizione di esseri finiti e mancanti. Forse è proprio questa la prospettiva attraverso la quale la coscienza dell’inauteticità di cui siamo affetti, può diventare la nostra opportunità di autenticità.


Il paradosso e la sfida più utile e opportuna sono dati dalla condizione necessaria per diventare soggetto autentico in quanto desiderante. È a partire da ciò che non ho, accettandolo, che occorre imparare a muoversi nel mondo. La tentazione, invece, è quella di darsi da fare per rivendicare quello che vogliamo, con odio e con la rivoluzione.
Meglio, allora, trovare il modo di conquistare la propria posizione nel mondo con invenzione e creatività, sempre incompleta e insoddisfacente ma pragmatica e concreta. Non l’assimilazione a un modello come quello offerto dall’odio e dalla vendetta ma la creatività soggettiva dell’uno per uno e, in questo, l’espressività e l’arte sono strumenti, non obiettivi, ma tali da poter finalmente offrire il modo per incontrare la propria autenticità, la propria follia d’amore per la vita accettata e riconosciuta. Testimoni e attori del proprio destino incontrato e incontrabile ogni giorno.

Note
1).Si possono trovare queste questioni nella sua conferenza
Come si diventa ciò che si è?  Su YouTube
2). Tausk Victor, Scritti psicoanalitici, Astrolabio, 1979, pag. 163