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martedì 20 giugno 2017

La formazione del sé
di Ferdinando Vidoni

Gabriele Scaramuzza


La scrittura autobiografica conosce nuovi sviluppi, determinati da ricordi e riflessioni in cui l’elemento psicologico interiore si intreccia con quello letterario e attrae anche quello storico-sociale (ci sono consonanze a questo proposito con recenti lavori di Duccio Demetrio come L’interiorità maschile. La solitudine degli uomini, Milano, Cortina, 2010).
Gabriele Scaramuzza (già noto docente di estetica nelle Università di Padova, Verona, Sassari, Milano) si era già cimentato su questo terreno in un lavoro recente che saggiava queste tematiche sullo sfondo degli anni della fanciullezza, vissuta a Inzago (in provincia di Milano) negli ultimi anni della guerra - vedi il suo In fondo al giardino. Ritagli di memorie, Milano, Mimesis, 2014; a questo ora fa seguito Un’insostenibile voglia di vivere. Frammenti di memorie e riflessioni (Milano, Mimesis, 2017).
Terminato questo periodo, che aveva avuto anche momenti di agreste felicità, il ritorno a Milano avvenne in una città ancora sconvolta dai bombardamenti. Molte difficoltà investivano i ragazzi che dovevano portare avanti gli studi. Nelle elementari e medie ciò si svolse in modo precario, senza molte concessioni alle personalità degli alunni. In compenso Gabriele sviluppò il gusto della lettura, che si intensificò al liceo. Gli si fanno chiare le sue preferenze: Dostoevskij innanzitutto, fino a Pavese, fino a Kafka (su cui successivamente pubblicò Kafka a Milano. Le città, la testimonianza, la legge, Milano, Mimesis, 2013), tra gli altri. In campo musicale Mozart, Beethoven, Verdi (del quale sarebbe diventato uno studioso: vedi Il brutto all’opera. L’emancipazione del negativo nel teatro di Giuseppe Verdi, Milano, Mimesis, 2013) e tanta musica contemporanea.
Non lo soddisfaceva il tipo di ricerche fondate prevalentemente su prestazioni, si potrebbe dire, quantitative, basate più che altro su aggiornamenti e cumuli di informazioni dimostrative della verità della scienza intesa come dogmatica: vi era insomma “un modo di essere nella cultura che vivevo come profondamente estraneo, forzosamente imposto […]. Nella mia ottica un’estensione” di una forma di “cattivo obiettivismo” fu “il prevalere dei risultati sul cammino compiuto per giungere a essi” (p. 59). Del resto il giovane docente doveva respirare il clima di crisi accademica, culturale e politica che specialmente a Padova si fece sentire con dibattiti, contestazione e talora anche violenza.
Nonostante i suoi ricordi amari il tono determinante dello scritto è espresso in quello che chiama una “voglia di vivere” che cerca di ricavare dal passato nuove speranze e stimoli per aprirsi al futuro.