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venerdì 16 giugno 2017

RIFLESSIONI SUL TEMA DELLA PACE
di Eleonora Colzani

A margine di un dibattito sul libro Cassola e il disarmo. 
La letteratura non basta. Alla Biblioteca Comunale di Desio, organizzata dalla Libreria di Desio di Emanuele Procacci.

La copertina del libro


Caro Emanuele,

grazie ancora per la presentazione di sabato: è stato veramente illuminante ed è stato veramente un dispiacere che non ci sia stata molta più gente ad assistere. È dalla fine della presentazione che mi interrogo sul perché dell'indifferenza dei giovani al tema della pace.
Per me è semplicistico, anche se reale, affermare che i giovani vivono in un'epoca in cui l'individualismo ha di gran lunga superato l'idea di "bene comune": è una risposta che non mi è bastata. I miei genitori, come del resto il professore, arrivavano da un dopoguerra di rinascita, di forti ideali, di cose in cui credere, dove la massa chiedeva e otteneva (a volte). C'erano esponenti politici forti, esponenti del mondo letterario importanti, persone a cui ispirarsi e in cui credere: oggi cosa ci resta? E come è possibile che noi, generazione di figli con padri e madri dagli ideali forti e precisi, siamo arrivati a non averne?
Dove si è inceppato l'ingranaggio?
La gente non crede più e non parlo solo da un punto di vista religioso: non crede più alle lotte, non crede più nella possibilità che la guerra venga a bussare alle sue porte, non crede agli esponenti politici di qualsiasi schieramento, non crede più nelle istituzioni ne nei valori che fanno un essere umano un "buon cittadino".
È una cosa inquietante a ragionarci bene: il benessere economico e fisico ha portato a un allontanamento delle persone. Non è che prima "si stava meglio": il disinteresse, le malelingue, lo scherno ci sono sempre stati. Allora perché se ci voltiamo indietro vediamo unioni d'intenti che ora non sono pensabili? "La sovranità appartiene al popolo" ma il popolo sembra non volerne sapere dato che avere la sovranità - un diritto - comporta tutta una serie di doveri da adempiere. Allora, meglio lasciare che se occupino "gli altri", che tanto "noi non veniamo considerati ".

Un momento dell'incontro

La scorsa estate, tornando da Bibione, ci siamo fermati alla torre di San Martino della Battaglia: se non ci sei mai stato, vacci, merita. È stata la prima volta che mi sono sentita Italiana e al contempo mi sono sentita uno schifo perché lì dentro c'era la dimostrazione che gli ideali grandi forti e puri sono esistiti e hanno mosso le masse, mentre ora non ci facciamo smuovere da nulla. Parlavo con un diciassettenne (molto intelligente e da voti altissimi), di una mia giornata lavorativa e del fatto che avessi parzialmente aiutato durante il carico di un macchinario ingombrante su un tir. Per me è stato normale: avevano bisogno di due occhi in più che guardassero gli impedimenti, o di due braccia che recuperassero la pellicola di imballo, e ho aiutato. La sua risposta è stata "ma scusa, perché l'hai fatto? rientra nelle tue mansioni?".

Il libro

Questa risposta mi ha lasciata basita: "No, ma se uno ha bisogno, tu non lo aiuti?" non ha risposto, ma la risposta negativa era sul limitare delle labbra. E lui è figlio del tempo in cui vive, non è "il solo" ne la "pecora nera". Anzi, lui almeno si lascia interrogare.
Esiste un antidoto, una soluzione all'epoca del "prima vengo io e degli altri non mi importa"? Non lo so. Non lo so se sto educando mia figlia nel modo corretto, non lo so se comunque queste basi resteranno o se verranno spazzate via dagli ambienti che frequenterà in futuro.
Ci penso, mi interrogo, mi lascio interrogare.
E provo a stimolare a fare altrettanto quelli che ho intorno.
Un saluto a te e a Paola e grazie ancora.
Eleonora