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mercoledì 23 agosto 2017


DISARMO E DISARMO UNILATERALE
di Paolo Di Stefano
Prendendo le mosse dal dibattito aperto dal carteggio di Carlo Cassola: “Cassola e il disarmo. La letteratura non basta”, Paolo Di Stefano sviluppa questa serie di riflessioni.


Premessa
Devo ammettere di non essere mai stato un profondo conoscitore del Cassola politico. Di Cassola ho sempre apprezzato le qualità di scrittore e di giornalista, ho seguito -anche se non con particolare assiduità- il suo lavoro al Corriere, prima, e su altre diverse testate poi. Ma il Cassola politico mi è rimasto abbastanza lontano. Io vengo da un tempo in cui -ad esempio- era quanto meno disdicevole avere a che fare con personaggi definiti “pacifisti” (per esempio, Aldo Capitini a Perugia, dal quale un paio di volte sono andato, di nascosto soprattutto di mio padre magistrato, con il mio professore di Diritto Romano Guglielmo Nocera: era la seconda metà degli anni 50 del 1900, e di Cassola con Capitini non mi è mai capitato di parlare. Neppure ricordo un qualsiasi accenno da parte di Aldo Capitini. Eppure erano gli anni del Centro di orientamento religioso -COR- fondato con l’ottantenne inglese Emma Thomas e del convegno su la non violenza riguardo al mondo animale e vegetale (12 settembre 1953). Ricordo che la Chiesa a Perugia vietava la frequentazione del Centro di Orientamento religioso (COR) e nel 1955 mise all’indice dei libri proibiti l’appena pubblicato Religione Aperta. Il 24 settembre 1961 organizzò la marcia per la pace e la fratellanza dei popoli da Perugia ad Assisi. Il 21 ottobre 1968 a due giorni dalla morte di Capitini Pietro Nenni scrive nel suo diario: “Mi dice Pietro Longo che a Perugia era isolato e considerato stravagante. C’è sempre una punta di stravaganza ad andare contro corrente, e Aldo Capitini era andato contro corrente all’epoca del fascismo e nuovamente nell’epoca post-fascista. Forse troppo per una sola vita umana, ma bello.”
Che potrebbe essere una chiave di lettura della proposta di Cassola sul disarmo unilaterale: andare contro corrente per richiamare l’attenzione. L’altra chiave di lettura, potrebbe essere la volontà di fare ricorso alla dialettica degli opposti come mezzo per il raggiungimento, se non della verità, almeno di un accordo. Ecco allora che si oppone un estremo (disarmo unilaterale) al militarismo più radicale, in modo che si possa giungere ad un “corretto utilizzo delle armi”, male gravissimo ma inevitabile, le armi, con un “corretto uso delle armi attraverso una organizzazione militare corretta”.


La questione affonda le sue radici, come del resto accade per tutte le attività umane, nella esistenza dei bisogni e nel loro disporsi secondo una scala di importanza e di intensità, da un lato, e, dall’altro, dall’essere le strutture sociali a loro volta portatrici di bisogni, anch’essi disposti secondo una scala di importanza e di intensità. Wilfredo Pareto, economista, è stato il primo a parlare di “scala di bisogni” ed a trarne conseguenze all’epoca dirompenti. La sistemazione dei bisogni più nota oggi sembra essere quella di Maslow -generalmente detta “piramide di Malslow”, secondo la quale alla base di tutto esistono i bisogni fisiologici o di sopravvivenza e, subito dopo, i bisogni relativi alla sicurezza. Tutte le altre categorie di bisogni seguono nell’ordine: appartenenza, stima, autorealizzazione. Importante ricordare come gli individui non passino alla soddisfazione dei bisogni di grado più elevato se non dopo aver soddisfatto quelli di livello inferiore, e ciò in ragione della importanza delle diverse categorie: vivere e sopravvivere è assolutamente essenziale, e la sicurezza segue precedendo gli altri. Significa in due parole che la cosa essenziale per l’individuo è vivere, subito seguita dalla categoria dei bisogni relativi alla sicurezza. E quando si parla di sicurezza, il primo aggancio è con la vita: sicurezza vuol dire innanzitutto “non vedere messa in pericolo la propria vita” ad opera di chicchessia. Il che immediatamente comporta il concetto di “difesa” e, a cascata, quelli di “difesa preventiva” e di “mezzi in grado di garantire la possibilità di difendersi e di reagire se necessario”.
Per soddisfare questi due bisogni -difesa e difesa preventiva- occorrono strumenti adatti innanzitutto a scoraggiare gli eventuali malintenzionati; poi a reagire ad azioni offensive; infine a prevenire attacchi. Se tutto questo è vero, almeno tre considerazioni:
La prima: quando si parla di “armi” in genere, si attinge alla base della scala dei bisogni degli individui;
La seconda: la sicurezza è assolutamente legata ai rapporti tra gli individui, e dunque non è ipotizzabile se non con estrema fatica una “sicurezza” che prescinda dai rapporti con gli altri.
La terza: la “piramide dei bisogni” si ripete per ogni gradino di quella che chiamiamo “scala sociale”.
E tutto quanto fin qui esposto vale per gli individui singoli e per gli individui collettivi, dunque per le persone fisiche e per i gruppi di persone i quali, proprio perché gruppi, non possono prescindere e di fatto non prescindono dal “bisogno di organizzazione” allo scopo di soddisfare i “bisogni della comunità”.


Allora, ecco tre annotazioni su quanto scrive Cassola a Gaccione (pag.70): “…L’articolo 52 (della Costituzione) nella prima e importante norma prescrive che la difesa della patria è sacro dovere del cittadino. Del cittadino, non dello Stato: per cui è inutile che lo Stato si prepari a un compito impossibile, la difesa del territorio nazionale in caso di invasione (…)”
1.Forse Cassola non ha considerato che se “la difesa della Patria” venisse demandata al singolo cittadino in quanto tale, salterebbe una parte importante della conquista costituita dal rifiuto della ragion fattasi, conquista di civiltà;
2.Forse, Cassola non ha chiari i compiti della organizzazione Statale, che nasce appunto per soddisfare i bisogni dei cittadini almeno per la parte coincidente con quelli dello Stato stesso;
3.Forse Cassola, avvalendosi anche della dialettica degli opposti, intende giungere ad un risultato: il riconoscimento della funzione del cittadino nella attività dello Stato, attività che non può attuarsi se il cittadino non collabora nella piena consapevolezza del suo “essere” lo Stato.
E una annotazione ulteriore su quel “disarmo unilaterale” più volte in queste lettere ribadito pervicacemente.
Pag.91, lettera del 21 ottobre 1978: “Salto le questioni teoriche su cui siamo d’accordo (del resto sono molto semplici: basta tenere ferma la proposta del disarmo unilaterale) …”
Pag.166, lettera del 7 settembre 1979: “…che al di fuori dell’antimilitarismo non c’è salvezza, e che il solo modo serio di fare l’antimilitarismo è quello di puntare al disarmo unilaterale. (…)”
Per ciò che concerne l’antimilitarismo, è forse opportuno ricordare che esso esprime il pensiero di coloro che si oppongono alla “prevalenza” delle forze armate sulla Politica, che è un modo per riaffermare il principio che la Politica “viene prima” della organizzazione e dei mezzi che è opportuno utilizzare affinché gli obbiettivi della Politica possano essere raggiunti.
Ingenuo

Nel diritto romano gli ingenui erano i figli dei cives -titolari della cittadinanza di Roma- e dunque nella pienezza dei diritti e quindi liberi: nati liberi e sempre rimasti liberi. Solo molto tempo più avanti, all’attributo “ingenuo” si è dato il significato che ha oggi di costantemente fiducioso o estremamente sprovveduto per un fondo di candore, semplicità o inesperienza.