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mercoledì 23 agosto 2017

Sui rapporti tra popoli
di Fabrizio Amadori


Ho sempre sospettato che ci sia un legame tra la politica estera di una nazione e i suoi rapporti col terrorismo. La Francia - e arrivo al dunque - ha sempre trattato l'Africa mediterranea e quella subsahariana come un proprio dominio dove spostare uomini e mezzi militari, nonché interessi economici, spesso a in maniera sbagliata. Ora, la Francia è forse il paese europeo più colpito dal terrorismo. E allora mi chiedo se non ci sia un legame tra simili atti sul suo territorio e quelli che essa fa sul territorio altrui. Mi chiedo insomma se i terroristi non colpiscano soprattutto quei paesi che suscitano maggiore odio da parte di coorti di giovani africani: i quali possono vivere benissimo in Europa, ma non per questo non mantengono contatti forti con i paesi d'origine da cui ricevono notizie di umiliazioni e soprusi da sommare alle discriminazioni che personalmente possono vivere a Parigi o a Bruxelles. Insomma, il giochino dei Governi nostrani di fare rivendicazioni morali, e dire che il terrorismo si combatte per difendere i valori occidentali non funziona più, se mai ha funzionato: la Francia sostiene Haftar non perché intenda appoggiare la democrazia in Libia ma per l'esatto opposto, per sostenere l'uomo forte che diventi un altro Gheddafi alle sue dipendenze. Da sempre le potenze occidentali - a partire dagli Usa - preferiscono le dittature alle democrazie nei paesi periferici del mondo perché le prime sono più facili da controllare. Da sempre i governi delle potenze occidentali non difendono gli interessi dei popoli periferici, ma di quelli occidentali a cui devono garantire il benessere a cui sono abituati, nonché rispondere al momento del voto. Celebre la frase ricorrente di Bush junior per cui il tenore di vita degli statunitensi, il popolo più "sprecone" del pianeta, andasse salvaguardato senza "se" e senza "ma" - leggi: sulla pelle degli altri -. In questo senso una lotta di popoli c'è, sebbene mediata.
Una lotta che perde ogni mediazione, poi, e assume i fulgidi toni della retorica è quella in atto in Occidente per evitare di spostare stabilimenti industriali fuori dai Paesi avanzati, di delocalizzare, facendo appello alle conquiste sindacali, dimenticandosi che tali conquiste sono avvenute col tempo in Occidente, passo dopo passo, e lo stesso non può non avvenire nei paesi poveri: gli occidentali, insomma, non stanno lottando perché gli altri abbiano i loro stessi diritti in modo che ci possa essere una competizione corretta tra i lavoratori del mondo. No, stanno lottando per impedirglielo, perché pretendere che gli altri ottengano sull'istante gli stessi diritti sindacali significa negare il principio di realtà: più semplicemente, non si ha alcun interesse a che gli altri facciano il nostro stesso percorso. E' il nostro percorso che va salvaguardato, non il loro.



La conclusione è che un giovane magrebino potrebbe benissimo pensare di non commettere un delitto ad ammazzare gli occidentali, che considera suoi aguzzini, i quali stanno - dispiace dirlo - pure tra la folla inerme della passeggiata di una Nizza qualsiasi, anche (e soprattutto?) se fatta di "semplici" lavoratori, perché tale folla in realtà tanto "inerme" - o disinteressata -, ai suoi occhi, non è. E del resto i suoi diretti concorrenti sono proprio questi, i semplici lavoratori, non i milionari, e tantomeno i miliardari, i quali anzi potrebbero suscitare in lui il fascino di quelli di casa sua, i ricchissimi arabi - egiziani, sauditi, etc -complici degli occidentali in molti casi, e non per questo, però, ritenuti responsabili quanto loro.
Il giovane magrebino ha ragione a pensare una cosa del genere, a non considerare cioè inermi i popoli - e gli individui - occidentali rispetto a lui? Rispondere con un no senza appello secondo me è frettoloso. Forse è il caso di lasciare ai posteri l'ardua sentenza...