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sabato 30 settembre 2017

PER GIULIO QUESTI
di Fulvio Papi

Giulio Questi

Quando Fulvio Papi mi ha annunciato che avrebbe scritto un ricordo sul regista Giulio Questi, ho provato una immediata entusiastica gioia e gliene ho spiegato i perché. La sua idea ha provocato fulmineamente in me tutta una serie di “resurrezioni della memoria”, come Proust magnificamente le definisce nel settimo volume della sua monumentale opera. La mia mente è tornata di colpo in un luogo, in un tempo e in uno spazio, che erano stati completamente rimossi. E poiché tutto avviene e si determina in più dimensioni, ho ritrovato anche le sensazioni e i volti di quell’evento. Ho ritrovato l’atmosfera fumosa di un cinema, uno fra i primi aperti nella Calabria interna del Novecento, che si era chiamato per lungo tempo “Cinema Impero” e che di quel nome e di quell’epoca voleva evocare i fasti. Fasti che erano del tutto scomparsi quando negli anni Settanta del secolo scorso, cedendo alla “modernità” e “ristrutturato”, mutò nome da Impero a Moderno, e noi, giovani di belle speranze e dall’animo ribelle, lo utilizzammo come naturale contenitore di un Cineforum lungo una stimolante e vivace stagione di impegno intellettuale e civile, ahimè del tutto scomparsa. In quel lontano 1972 che Papi ha fatto affiorare in me, Giulio Questi era venuto ad Acri ed in quel Cinema, a proiettare e dibattere con noi, in anteprima, il suo film Arcana, girato proprio quell’anno. I motivi di quella scelta non risiedevano soltanto nella nostra passione per la settima arte, Acri era allora nota per il suo radicale fermento politico e i contatti esterni erano tantissimi, ma anche perché il film di Questi raccontava una vicenda di meridionali che aveva come ambientazione Milano, e questo ci interessava ovviamente come figli di quel Meridione.
Ero molto giovane a quel tempo, avevo 21 anni, e la giovinezza è quasi sempre spavalda e arrogante. Stupidi non lo eravamo, tutt'altro, ma l’arroganza spesso può essere più feroce e tragica della stupidità. Mi sono risuonate vivide come allora le critiche a quel film e a quel regista, che forse da noi si aspettava quell’attenzione e quella fraterna solidarietà ideale che gli rifiutammo. Molto più tardi seppi che egli era stato anche un valoroso partigiano e ne ebbi doppiamente rimorso. Quel rimorso è rimasto nel fondo di me stesso per ben 45 anni, e, seppure a una così grande distanza di tempo, sono grato all’amico filosofo che scrivendone un ricordo, mi permette di unire il mio risarcimento al regista e al partigiano. [Angelo Gaccione]   
  
La copertina del libro

Giulio Questi, dopo venti mesi, dal primo all’ultimo giorno, di guerra partigiana in una zona tra le più dure, abitava a Bergamo, la città che, in tempi più recenti, ha offerto alla cultura e alla politica del paese personalità di primo piano. Credo che ogni tanto Questi venisse a Milano e ne parlavano i compagni che avevano cinque o sei anni più di me. In ogni caso in questi incontri ero (giustamente) escluso come immaturo rispetto alle esperienze, ai ricordi, ai propositi che potevano costituire il tessuto di quegli incontri. A me arrivava un’eco che segnalava una personalità superiore e, forse, persino un po’ imbarazzante per gli interlocutori stessi. Seppi poi che era andato a Roma nell’ambiente del cinema dove sarebbe divenuto uno dei registi più importanti della nostra cinematografia. Una lontananza oceanica rispetto ai modi del mio crescere, e tuttavia il suo nome, per tutta la vita mi risuonò come un caso prezioso irrimediabilmente perduto. Non c’è quindi da stupirsi se quando, tempo fa, comparve da Einaudi un libro di Giulio Questi Uomini e comandanti cercai di leggerlo con grande cura. Non sapevo affatto che Questi avesse anche un’attitudine narrativa che, mi pare, portò in superficie un mondo autobiografico considerata sempre secondo una “bassa” essenzialità, un po’ come Fenoglio che aveva affettuosamente conosciuto e con il quale doveva anche fare un film, rimasto poi solo un proposito per la morte di Fenoglio. Questi aveva modificato il famoso libro Una questione privata (un testo “perfetto” come diceva Calvino). E a me sarebbe piaciuto sapere il “perché” delle modifiche, dato che in questa decisione potevano celarsi altri motivi importanti per Questi, soprattutto per la traduzione cinematografica. Ma questa “curiosità”, penso non futile, dovrà tacitarsi, come altre e a me non resterà che seguire, grato, notizie e interpretazioni del bellissimo saggio di Angelo Bendotti che appare come postfazione dell’opera di Questi. Due elementi nella lettura mi sarebbero parsi di vero interesse. L’uno il senso particolare del realismo resistenziale di Questi nel quadro classico del realismo letterario che Calvino teorizzò nella seconda edizione de Il sentiero dei nidi di ragno

Il regista in età più giovane

E poi una scrittura che s’inoltra sempre nel buio, nell’azione necessaria che, nel suo obbligo, non ignora la violenza, ma la seppellisce sotto la legge invisibile della realtà. Come altri, sono tutti desideri che restano vuoti. Del resto il saggio di Bendotti può supplire, certamente al meglio, ai miei impossibili desideri. In sostanza conoscere un personaggio importante per il suo lavoro cinematografico e letterario, di cui da un tempo lontanissimo conservo solo il fantasma mitico, sarebbe una bella prova della costruzione della memoria. Ci sono tuttavia due citazioni di Questi che derivo dal saggio di Bendotti che riferirò per intero, cercando di ricavarne una riflessione. Bendotti: “Nei frammenti di ‘Documenti’, angosciosi presagi di morte, il narratore fa i conti con una singolare processione funebre, con attori, quattro o cinque uomini, che portano una bara vuota,  non una bara vuota, scoperchiata, che aspetta solo lui:
I loro visi erano scarni, infossati. Malgrado ciò li riconobbi. Li avevo uccisi io negli ultimi giorni di guerra. Erano venuti a prendermi. Non mi pareva con astio. Semplicemente perché adesso toccava a me”. Il testo di Bendotti così prosegue: “In  ‘Visitors’ lo sparuto gruppo di uomini che portano la bara è costituito da affiliati a una singolare società, l’ANMA, Associazione Nazionale di Morti Ammazzati: loro compito è quello di far visita ai testimoni ancora viventi della guerra civile. A costoro viene recapitata una inquietante lettera elettronica dal protocollo ignoto: “Gentile superstite, dopo ricerche durate cinquant’anni, grazie alle nuove tecnologie siamo riusciti a trovare il suo indirizzo. Siamo un gruppo di fascisti che lei uccise con armi da fuoco negli anni lontani della nostra comune giovinezza, consumata in una guerra civile su fronti opposti. Finalmente l’abbiamo individuata. Le nostre assidue visitazioni a casa sua non vogliono essere intimidatorie, ma solo l’occasione per un incontro chiarificatore e forse un’accorata richiesta. Senza rancori,
ANMA”.
Giulio Questi


Sono citazioni di non facile comprensione. La prima mi pare affermi che quale sia stato il senso della vita di ognuno la morte istituisce un tipo di pareggio che, come vedremo, non è affatto un comune destino che eguaglia le differenti tracce mondane. La seconda citazione approfondisce il tema con un confronto tra la memoria dei defunti e dei superstiti di una guerra, e l’elaborazione storica, l’interpretazione che, incontra il terreno terribile dello scambio di morte, e costituisce un sapere e un’identità storica future. La memoria circoscrive i fatti, assegna loro lo spazio della soggettività, talora ha una sua verità che può diventare scrittura: è però il processo interpretativo della storia che seleziona il senso della vicenda, l’identità di chi non c’era, e deve vivere dopo la tragedia e l’ideale della partecipazione personale per uno scopo etico. È questa differenza che pure la morte comunque non può pareggiare. Non so Questi, ma temo che anche per la sua esperienza sia sopravvenuto, per i tempi grigi, un pareggiamento ingiusto dovuto alla dimenticanza sociale, alla doverosa consegna interpretativa ai custodi della storia. Ora però la scrittura - si dice – non muore per sempre, ed è qui, tra memoria e storia, che ho desiderato ricordare Giulio Questi, partigiano, uomo di cinema, scrittore.

giovedì 28 settembre 2017

LE CAMICIE SEGRETE DI VITTORIO SGARBI  
di La Penna Segreta*

Vittorio Sgarbi

Dopo oltre dieci anni di lavori di ristrutturazione ha finalmente e meritamente riaperto al pubblico a giugno di quest’anno il Castello Visconteo Sforzesco di Novara, in passato sede di un carcere dove esattamente cento anni fa il poeta Dino Campana veniva rinchiuso perché, arrivato alla stazione di Novara alla ricerca del suo grande amore, Sibilla Aleramo, veniva scambiato per un disertore o uno sbandato, forse per un tedesco, e messo in manette. Sarà la stessa Aleramo a intervenire per la sua liberazione, avvenuta il 14 settembre del 1917.
E l’estate appena conclusa ha visto il Castello novarese sede di una rassegna culturale e artistica che ha spaziato tra il teatro, la danza, i concerti, le presentazioni di libri. Ora la Fondazione Castello rilancia l’offerta culturale per valorizzare questo «fiore all’occhiello e scrigno storico della città» con una mostra a cura della Fondazione Cavallini Sgarbi, che ha inaugurato il 21 settembre e durerà fino al 14 gennaio 2018; l’esposizione comprende dipinti delle principali scuole pittoriche italiane (lombarda, marchigiana, veneta, emiliana e romagnola, toscana, romana, napoletana) dal 1400 al 1800, si tratta di oltre centoventi opere tra quadri, disegni e sculture, da Niccolò dell’Arca a Gaetano Previati. Il malizioso titolo scelto è “Dal Rinascimento al Neoclassicismo. Le stanze segrete di Vittorio Sgarbi”, il cui volto campeggia in locandina con sguardo ammaliato.
Attesissimo alla conferenza stampa di inaugurazione, naturalmente, lui… Vittorio Sgarbi. Il quale alla presenza del Sindaco della città, della Presidentessa della Fondazione Castello, del Presidente Regione Piemonte e di un foltissimo pubblico di giornalisti e personalità della città e non solo, accorsi per ascoltare il professore, ha intrattenuto con la sua consueta verve, intelligenza e arguzia i presenti, parlando per quasi un’ora… delle sue camicie! Eh sì, la presentazione di Vittorio Sgarbi si è ridotta a una serie di aneddoti personali, conditi da numerose parolacce che tanto hanno fatto divertire autorità e pubblico dati i numerosi applausi, durante la quale ha affermato che nella sua vita «tutto ciò che ho guadagnato, e ho guadagnato bene, l’ho speso in quadri, al punto da non avere più soldi neanche per comprarmi le camicie» (e per dimostrare la serietà delle sue parole si è tolto la giacca mostrando una camicia «di tre giorni», vero è che faceva un gran caldo in sala e così l’istrionico professore ha trovato un astuto stratagemma per levarsi di torno un indumento, e che non è dato sapere quante camicie abbia davvero nelle sue “stanze segrete”). 



Inoltre abbiamo appreso che la sua città natale, Ferrara, che tempo fa gli conferì il prestigioso Premio Estense, «è ormai morta, a confronto Novara sembra Parigi» (davvero? Che meraviglia per i novaresi, forse non se ne erano resi conto ma ora grazie a Sgarbi lo sanno!), che Trieste sta al critico sui cosiddetti (ma lui non si è espresso così, è stato ben più esplicito, bontà sua, per chi non capisse i sottintesi), e che sempre lui (ma non si era al Castello per parlare di una mostra?) fa «figli come li fanno i preti» (i preti fanno figli? Chissà! E come? Come il Professor Sgarbi!). E ancora che «l’arte è di tutti», «l’affetto sovrasta il merito» (questo era evidente, almeno a Novara, ma nemmeno l’affetto era così lampante) e nei suoi quadri c’è la sua «anima e carne» (e le sue camicie).
Dei dipinti in mostra, alcuni davvero pregevoli (di Artemisia Gentileschi, Lorenzo Lotto, Guercino e altri grandi maestri dell’arte italiana) neanche una parola, ma forse il professore era accaldato, forse sapeva che lo attendeva un risotto al gorgonzola preparato da uno degli sponsor della mostra (le mostre costano, è risaputo, e nella cartella stampa sono riportate fedelmente tutte le aziende del territorio, parola amatissima nel territorio appunto!, che hanno potuto permettere di ospitare al Castello la mostra di quadri della Fondazione Cavallini Sgarbi… ah perché, avete pensato a un prestito per amore dell’arte?! L’arte è di tutti, è vero, ma se è di Sgarbi si paga eccome!), o forse semplicemente pensava di trovarsi davanti a un pubblico di beoti che necessitano, per riempirsi la giornata, di essere intrattenuti dal suo simpatico e scanzonato turpiloquio. Tant’è. Nessuno comunque sembrava urtato dai modi e dalle parole, dall’assenza assoluta di una seppur informale chiacchierata sul Bello, sull’arte, che è virata invece verso uno sproloquio personale in stile televisivo senza senso e senza rispetto; i più chattavano su facebook mentre il professore sciorinava le sue perle di sapienza e i bellissimi ritratti esposti, che stridevano nella loro delicatezza accanto a tanta, consapevole, grossolanità, erano muti e silenziosi, «sereni e incomprensibili», come direbbe Flaubert, misteriosi come tutti i capolavori (loro sì, le “stanze-stizze” di Sgarbi invece non erano più “segrete” per nessuno). La sola cosa che resta dell’inaugurazione novarese della mostra, dunque, e per fortuna, è l’arte, imperscrutabile, meravigliosa, eterna; arte che è armonia e bellezza, spesso decantate dal professore ma purtroppo non a Novara e che, come scriveva Foscolo, vince di mille secoli il silenzio. E le volgarità di Vittorio Sgarbi.
[*Nelle stanze di Vittorio Sgarbi]
POVERTÀ: LA DITTATURA DEGLI USA
di Franco Astengo


Il numero 5/2017 di Micromega dedicato a “Europa/USA : democrazia a rischio” ospita un importante saggio di Elisabetta Grande dedicato all’analisi della povertà negli Stati Uniti e pubblicato sotto il titolo: “ Togliere ai poveri per dare ai ricchi: la lezione americana da rifiutare”. Se può essere consentito un commento rivolto al titolo (redazionale?) si può affermare che non rispecchia, almeno nella seconda parte, il testo: altro che “da rifiutare”. La lezione americana deve essere completamente ribaltata almeno stando alle valutazioni di chi scrive e di chi legge. Il passaggio più importante di questo testo (il vero punto d’indicazione politica) è contenuto infatti all’inizio, in un passaggio che è proprio il caso di riportare per intero: “..Innanzitutto com’è possibile che una povertà così pervasiva e lacerante caratterizzi il paese più ricco del mondo, in cui la disoccupazione è, inoltre, in notevole discesa dal 2011 e oggi al di sotto del 5 per cento? Chi porta il peso di tale contraddizione? In secondo luogo per quale ragione l’imbarazzante arredo urbano di quei scintillanti paradisi dei consumi che sono le città americane, costituito da senzatetto buttati in ogni dove con il loro seguito di carrelli della spesa ricolmi di miseri averi, non produce un’immediata ribellione della gente? Com’è possibile, insomma, che l’ingiustizia visibile di una società, testimoniata dal crescente  numero di “visible poor”non scuota le coscienze?”. Aggiungiamo noi: non vale proprio più l’antico “Ribellarsi è giusto?”
Elisabetta Grande fornisce anche dati molto eloquenti a sostegno della sua analisi: ne riportiamo soltanto una piccola parte, la più significativa almeno a nostro giudizio: “ ..Nel 2014 (ultimo anno per il quale tutti i dati comparabili sono disponibili) la ricchezza negli USA  ammonta a 83 trilioni di dollari, aumentata a partire dal 2008 (quindi in un periodo che è stato anche di recessione) di ben 31,5 trilioni di dollari; il patrimonio pro capite degli americani, ossia ciò che ciascun adulto avrebbe se la ricchezza fosse equamente distribuita,  è, sempre al 2014, di ben 350.000 dollari, mentre il pil dell’Unione raggiunge per quell’anno  la notevolissima cifra di 17 trilioni di dollari. Ebbene, in tale ricchissimo Paese il numero dei poveri assoluti, secondo la stima al ribasso dello U.S. Census Bureau è, a quella data, di quasi 47 milioni d’individui, che diventano addirittura 105 milioni, cioè ben un terzo della popolazione americana, in base ai conti più realistici del Pew Charitable Trust. Non solo. Quasi 21 milioni di persone vivono al di sotto della metà della soglia di povertà federale, ossia quella stimata nella maniera più prudente e sono perciò in povertà estrema..”


Più avanti l’analisi prosegue così: “ La crescita insomma c’è stata, la torta nel tempo è diventata più grande, ma dal suo incremento si sono avvantaggiati esclusivamente i ricchi, quell’1 per cento che si è progressivamente appropriato di una fetta di ricchezza del Paese sempre più grande (che ha raggiunto nel 2012 addirittura il 41,8%) a scapito del 90% più povero la cui parte si è altrettanto progressivamente ridotta fino a rappresentare solo il 22,8% nel 2012, mentre era del 35% alla metà degli anni Ottanta. I ricchi, cioè, non solo non hanno fatto sgocciolare la loro ricchezza, ma ne hanno letteralmente portato via una parte agli altri, in particolare l’hanno portata via ai più miserabili, la cui miseria dal 1973 al 2014 è drammaticamente peggiorata”.
Quali possono essere allora le cause alle quali addebitare un’intollerabile situazione di questo tipo? La risposta fin qui fornita, se vogliamo, è ancora riduttiva: infatti le cause di questa enorme crescita della disparità sociale e della disuguaglianza economica è attribuita alle scelte di politica del diritto. Il diritto così come praticato negli USA ha un’enorme responsabilità in relazione tanto alla creazione della povertà quanto alla costruzione del povero come nemico sociale e alla conseguente assenza di reazione collettiva in sua difesa. Si può quindi affermare, in prima istanza, che l’esercizio del diritto negli Stati Uniti dapprima determina le condizioni per uno squilibrio strutturale fra capitale e lavoro, ossia fra ricchi e poveri, aprendo la via allo sfruttamento e all’impoverimento dei lavoratori meno qualificati e, in seguito, toglie addirittura ai più deboli le reti sociali che nel passato ne avevano impedito la caduta nell’abisso della miseria. È necessario però andare ancora più a fondo nell’analisi politica, proprio perché la configurazione del sistema americano (sostanzialmente bipolare, con le eventuali “terze forze”  comunque marginalizzate) tiene alla larga dal diritto di voto proprio le grandi masse povere, in una dimensione ben più ampia di quella compresa negli indici di povertà appena sopra indicati. Le stesse istanze neo (post) socialdemocratiche di Sanders non trovano sufficiente possibilità di espressione dal punto di vista della dinamica sociale e della conseguente traduzione elettorale proprio per il motivo della condizione praticamente sub umana di grandi masse. In pratica, ed è questa l’affermazione centrale che si intende sostenere in questa sede, quella degli USA è una “dittatura della ricchezza”, la peggior dittatura che si possa incontrare in un sistema politico i cui corifei, in più, pretenderebbero di esportarla sulla punta delle baionette com’è accaduto più volte negli ultimi 20 anni. L’americanizzazione della politica cui si è ispirata buona parte della progettualità di cambiamento istituzionale anche dalle nostre parti (personalizzazione, spettacolarizzazione, bipolarismo, maggioritario) si è via via accentuata nella sua caratteristica -appunto- di tipo dittatoriale, ed è questa la lezione che sarebbe necessario diffondere per evitare il pericolo di un’ulteriore trasmigrazione all’interno del nostro già tanto disastrato sistema sociale e politico. Una ragione in più, infine, per tenerci stretta la nostra Costituzione e reclamarne l’applicazione continua dei principi fondamentali contenuti nella sua prima parte.
ARTE, TEATRO E UN CONCORSO AL CENTRO BASAGLIA
DI QUARTO- GENOVA.
di Chiara Pasetti

La locandina degli eventi

Abbiamo già avuto occasione in passato di parlare su queste pagine dell’ex ospedale psichiatrico di Quarto-Genova, che ha sede in Via Giovanni Maggio 4.
Prima della Legge 180 di Franco Basaglia del 1978 il Presidio di Quarto ospitava centinaia di malati psichiatrici; in quell’anno arriva in ospedale nel ruolo di responsabile del Dipartimento di Salute Mentale lo psichiatra Antonio Slavich, uno dei più stretti collaboratori di Basaglia e uno dei grandi protagonisti della storia dell’istituzione manicomiale. E negli anni ’80 avviene l’incontro intellettuale e artistico fra il professor Slavich e il pittore e scultore Claudio Costa, che aveva trasferito in alcuni locali dell’ospedale il suo atelier. Insieme, nel 1988, decidono di fondare un’associazione di volontariato, sostenuti anche dalla critica d’arte Miriam Cristaldi, da Luigi Maccioni, psichiatra, e da Gianfranco Vendemiati, uno dei più fedeli e attivi collaboratori di Slavich: il nome dell’associazione, ispirato al “Museo do Incosciente” creato a Rio de Janeiro dalla psicoanalista Nise de Silveira, è “Istituto Materie e Forme Inconsapevoli” (I.M.F.I.). Il suo scopo, arduo e innovativo, era ed è quello di «promuovere, divulgare e ricercare creatività espressive (disegno, pittura, scultura, scrittura, teatro, musica e audiovisivi) attraverso l’incontro tra tecniche e culture diverse atte a favorire le reciproche conoscenze». Costa, con la collaborazione di volontari, insieme ai malati realizza moltissimi lavori (quadri, sculture) da solo o in gruppo, e soprattutto incoraggia il singolo artista ad esprimersi. Dal 1992 l’I.M.F.I. istituisce, grazie anche a molti artisti professionisti che si recano a Quarto per lavorare con i pazienti, il “Museattivo delle Forme Inconsapevoli”, il quale dalla scomparsa prematura di Costa (avvenuta nel 1995) viene chiamato “Museattivo Claudio Costa”. Il Museo, tuttora esistente, comprende oltre seicento opere. Molte sono di Claudio Costa, altre di artisti professionisti (l’elenco è lunghissimo, tra i tanti Daniel Spoerri, Davide Mansueto Raggio, Plinio Mesciulam, Aurelio Caminati, Alfonso Gialdini, Rocco Borrella, Stefano Grondona) e moltissime sono state (e vengono continuamente) realizzate dai pazienti. Importante la scelta di non indicare accanto all’opera il nome dell’autore: «secondo gli intenti originari di Slavich e Costa non abbiamo voluto separare le creazioni dei pazienti con problemi psicopatologici da quelle di artisti affermati, nella ferma convinzione che siano tutti accumunati dal profondo desiderio di comunicare, di partecipare il proprio universo interiore», spiega Vendemiati.
Lo scorso anno le opere create dai tanti artisti che hanno lavorato a Quarto insieme ai pazienti sono state ospitate a Palazzo Ducale, una delle sedi culturali ed espositive genovesi più prestigiose. La mostra, dal titolo QuartoArte, dovrebbe essere ospitata nel corso del 2018 anche nella città di chi scrive, Novara.
Ora QuartoPianeta, I.M.F.I. e il Centro Basaglia (che nel frattempo hanno ampliato i propri spazi espositivi recuperando mirabilmente locali da tempo dismessi e inutilizzati, grazie anche al costante e lodevole impegno, tra gli altri, di Massimo Casiccia e Rossella Soro, nonché dello stesso Vendemiati) propongono una nuova, interessante iniziativa, che inaugura venerdì 29 settembre. Si tratta della II edizione del Concorso d’Arte Contemporeanea: alle 17.30 ci sarà l’installazione del Collettivo Quarto Pianeta con il Gruppo Teatrando – Spazio 21 (ex cucine), la mostra delle opere in concorso, che verranno premiate mercoledì 11 ottobre alle 20.30, e alle ore 21 sempre del 29 settembre Le Officine Teatrali Bianchini presentano la lettura scenica  Ma fuori lo sanno che ci sono i poeti?” , in Sala Biblioteca.
Tutta l’iniziativa, compresa la serata di premiazione delle opere in concorso, è a ingresso libero e gratuito fino a esaurimento posti.
[Per info: www.imfi-ge.org | quartopianeta.arte@gmail.com | + 39 339 7228865 | IMFI - Centro Basaglia - via G. Maggio 4, Genova]
PER LA PACE ABOLIRE LE ARMI NUCLEARI
PER LA PACE ABOLIRE LE GUERRE
PER LA PACE RICONVERTIRE LE INDUSTRIE DELLE ARMI
IN PRODUZIONI DI BENI UTILI ALLA VITA-
di  Giuseppe Natale*

Kim Mi Mporta (Opera di Giuseppe Denti)

L’ONU ha dichiarato il 26 settembre “Giornata internazionale per la totale eliminazione delle armi nucleari”. Purtroppo l’evento è sepolto da un assordante silenzio dei mezzi di comunicazione. La data scelta vuole ricordare il giorno in cui, il 26 settembre 1983, l’ex colonnello sovietico Stanislav Petrov riuscì ad evitare un conflitto nucleare con gli USA accorgendosi del falso allarme comparso sul suo computer di controllo. Il pericolo nucleare mortale per l’intera umanità è sempre all’ordine del giorno, anche per errore, oggi più di ieri. Non basta più il trattato di non proliferazione, ma è necessario e urgente che tutti i Paesi del mondo concordino, firmino e s’impegnino ad eliminare tutte le armi nucleari.
 Sul disarmo  l’ONU, nella sessione del 15 giugno – 7 luglio 2017, ha definito le procedure di proibizione delle armi nucleari, in attuazione della Risoluzione dell’Assemblea Generale del 23/12/ 2016, votata da 113 stati, con 35 governi contrari.  Purtroppo, oltre ai Paesi detentori di ordigni nucleari (USA: 6.800 ordigni nucleari; Russia: 7.000; Francia: 300; Cina: 270; Gran Bretagna: 215;  India e Pakistan: 130 ciascuno; Israele: 80; Corea del Nord: 20-60) hanno votato contro gli stati aderenti alla NATO tra cui l’Italia. La posizione contraria del governo italiano al disarmo totale delle armi nucleari e  la nostra partecipazione in diverse zone di guerra contraddicono i dettami della nostra Costituzione (art. 11,  “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”). Diventano inoltre sempre più imbarazzanti e pericolose, anche per la nostra posizione geopolitica (e per un ruolo indipendente e pacifico dell’Europa) l’adesione alla NATO e l’accettazione di oltre 60 basi americane con armi nucleari.
 E che dire delle enormi spese militari che l’Italia sopporta e che potrebbe destinare per opere di pubblico interesse? Non possiamo accettare che si spendano 52 milioni di euro al giorno in armi e spese militari, che diventano 72 milioni secondo i dati dell’Istituto Internazionale per la Pace e che potrebbero aumentare a 100 milioni di euro al giorno, secondo gli impegni assunti dal governo italiano in ambito NATO e per soddisfare le ‘pazze’ pretese del presidente degli USA Donald Trump!
*Presidente ANPI Crescenzago Zona 2 Milano
La Nato boccia il disarmo nucleare  
di Manlio Dinucci


Il giorno dopo che il presidente Trump prospettava alle Nazioni Unite uno scenario di guerra nucleare, minacciando di «distruggere totalmente la Corea del Nord», si è aperta alle Nazioni Unite, il 20 settembre, la firma del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari. Votato da una maggioranza di 122 stati, esso impegna a non produrre né possedere armi nucleari, a non usarle né a minacciare di usarle, a non trasferirle né a riceverle direttamente o indirettamente, con l’obiettivo della loro totale eliminazione.
Il primo giorno il Trattato è stato firmato da 50 stati, tra cui Venezuela, Cuba, Brasile, Messico, Indonesia, Thailandia, Bangladesh,  Filippine, Stato di Palestina, Sudafrica, Nigeria, Congo, Algeria, Austria, Irlanda e Santa Sede (che l’ha ratificato il giorno stesso). Il Trattato entrerà in vigore se verrà ratificato da 50 stati. Ma il giorno stesso in cui è stato aperto alla firma, la Nato lo ha sonoramente bocciato. Il Consiglio nord-atlantico (formato dai rappresentanti dei 29 stati membri), nella dichiarazione  del 20 settembre, sostiene che «un trattato che non impegna nessuno degli stati in possesso di armi nucleari non sarà effettivo, non accrescerà la sicurezza né la pace internazionali, ma rischia di fare l’opposto creando divisioni e divergenze». Chiarisce quindi senza mezzi termini che «non accetteremo nessun argomento contenuto nel trattato».
Il Consiglio nord-atlantico esautora così i parlamenti nazionali dei paesi membri, privandoli della sovranità di decidere autonomamente se aderire o no al Trattato Onu sull’abolizione delle armi nucleari. Annuncia inoltre che «chiameremo i nostri partner e tutti i paesi intenzionati ad appoggiare il trattato a riflettere seriamente sulle sue implicazioni» (leggi: li ricatteremo perché non lo firmino né lo ratifichino). Il Consiglio nord-atlantico ribadisce che «scopo fondamentale della capacità nucleare della Nato è preservare la pace e scoraggiare l’aggressione» e che «finché esisteranno armi nucleari, la Nato resterà una alleanza nucleare». Assicura però «il forte impegno della Nato per la piena applicazione del Trattato di non-proliferazione nucleare».
Esso è invece violato, tra l’altro, dalle bombe nucleari statunitensi B61 schierate in cinque paesi non-nucleari – Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia. Le nuove bombe nucleari B61-12, che rimpiazzeranno dal 2020 le B61, sono in fase avanzata di realizzazione e, una volta schierate, potranno essere «trasportate da bombardieri pesanti e da aerei a duplice capacità» (non-nucleare e nucleare). La spesa Usa per le armi nucleari sale nel 2018 del 15% rispetto al 2017. Il Senato ha stanziato, il 18 settembre, per il budget 2018 del Pentagono circa 700 miliardi di dollari, 57 miliardi in più di quanto richiesto dall’amministrazione Trump.
Ciò grazie al voto bipartisan. I democratici, che criticano i toni bellicosi del presidente Trump, lo hanno scavalcato quando si è trattato di decidere la spesa per la guerra: al Senato il 90% dei rappresentanti democratici ha votato con i repubblicani per aumentare il budget del Pentagono più di quanto avesse richiesto Trump.
Dei 700 miliardi stanziati, 640 servono all’acquisto di nuove armi – soprattutto quelle strategiche per l’attacco nucleare – e alle aumentate paghe dei militari; 60 alle operazioni belliche in Afghanistan, Siria, Iraq e altrove.  L’escalation della spesa militare statunitense traina quella degli altri membri della Nato sotto comando Usa. Compresa l’Italia, la cui spesa militare, dagli attuali 70 milioni di euro al giorno, dovrà salire verso i 100. Democraticamente decisa, come negli Usa, con voto bipartisan.
CONSIDERAZIONI PROVVISORIE SUI NUMERI
DELLE ELEZIONI TEDESCHE
di Franco Astengo e Felice Besostri


Di seguito si trasmettono  alcune valutazioni sul risultato delle elezioni tedesche svoltesi il 24 Settembre, nel tentativo di verificare gli scostamenti sulla base delle cifre in numeri assoluti e non soltanto sulle percentuali.
1).Il primo dato che emerge riguarda la tenuta del sistema nel suo complesso, almeno del punto di vista della partecipazione elettorale. La Germania è attraversata da alcune contraddizioni di grandissimo rilievo, da quella riguardante il flusso dei migranti, all’emergere di un livello di disuguaglianza sociale molto forte al punto di verificare il fenomeno di un vero e proprio “abbandono” da parte dello stato sociale di interi strati di popolazione, al consolidarsi di forti differenze tra una parte e l’altra del Paese a distanza di oltre venticinque anni dalla riunificazione tra BDR e DDR. Ciò nonostante i tedeschi hanno partecipato al voto in misura massiccia, anche se il sistema elettorale tedesco non è costruito sull’idea (tanto agognata dalle nostre parti) che alla domenica sera si debba già sapere chi ha vinto, chi sarà il primo ministro che governerà per 5 anni.  Si è verificato, infatti, un incremento in valori assoluti e in percentuale del totale dei voti validi (riferimento di tutti i dati la parte proporzionale delle espressioni di voto). Data la partecipazione complessiva (inclusi coloro che hanno espresso voto bianco o nullo per un totale di 851.992 suffragi mancati) al 76,16%, i voti validi si sono incrementati tra il 2013 e il 2017 di 2.016.842 unità passando da 44.309.925 a 46.326.767;
2).Il secondo dato da rilevare è quello che riguarda la maggior concentrazione del voto sui 6 partiti maggiori.  Nel 2013, infatti, i voti dell’Unione tra CDU – CSU, SPD, Linke, Verdi, FDP e AFD assommarono  a 41.009.065 (92,55% sul totale dei voti validi) e FDP e AFD restarono esclusi dal Bundestag. Nel 2017 la somma di voti raccolti dai sei partiti in questione è stata di 44.002.541 pari al 94,98% del totale dei voti validi. Riscontriamo quindi una maggiore concentrazione nel voto in presenza di un allargamento nella presenza in Parlamento da 4 a 6 partiti. Altro dato che non pare spaventare i tedeschi almeno dal punto di vista del numero dei partiti partecipanti all’arco parlamentare. Altro paio di maniche ovviamente la valutazione politica relativa all’ingresso dell’AFD nella sfera parlamentare che suscita sicuramente inquietudine per la dimensione inusitatamente massiccia del voto;
3).Acclarata quindi la tenuta del sistema almeno dal punto di vista della partecipazione elettorale appare evidente, come notato dai tutti i commentatori davanti alla realtà delle cifre, il secco spostamento a destra, che meglio è evidenziato dalle cifre assolute. L’Unione tra Cristiano Democratici e Cristiano Sociali scende, infatti, da 18.165.446 voti a 15.315.576 segnando un meno 2.849.870 pari al 15,39% del proprio elettorato. Tra l’altro appare netto il calo della CSU in Baviera: il partito “storico”, che fu di Strauss, nel suo Lander d’elezione nel 2013 aveva ancora sfiorato la maggioranza assoluta con il 49% e adesso, invece, si restringe al di sotto del 40% con il 38,8%. Sul piano nazionale la SPD scenda da 11.252.215 suffragi a 9.358.367  con un meno 1.893.848 pari al 16,84% del proprio elettorato. Si può affermare, in sostanza che il calo delle due forze impegnate nel governo di “grossekoalition” è stato tutto sommato omogeneo tra di esse e non si rileva un particolare “crollo” dell’SPD in questo senso: il dato del calo della socialdemocrazia appare sicuramente enfatizzato dall’aver toccato in questo frangente il proprio minimo storico, dopo essere apparsa del tutto subalterna ai democristiani nell’azione di governo e aver propiziato – a suo tempo – guidando l’esecutivo il dramma della crisi dello stato sociale. Naturalmente il modesto incremento fatto segnare dalla Linke, che conferma la propria presenza a Est, non compensa assolutamente il calo della socialdemocrazia. La Linke, infatti, sale da 3.755.699 voti a 4.269.762 registrando un più 514.063, pari all’11,3% del proprio elettorato. I Verdi, che si apprestano a quanto pare a svolgere il ruolo della ruota di scorta del governo democristiano, hanno fatto registrare un lieve incremento da 3.694.057 a 4.157.164 pari a 463.107 voti in più, 12,53% sul proprio elettorato.
4).Passiamo dunque ad analizzare lo spostamento a destra, sicuramente il dato più eclatante emerso da questa competizione elettorale. Nei commentatori sta facendo scalpore l’ascesa dell’AFD. Nel 2013 il partito rappresentativo dell’estrema destra aveva raccolto 2.056.985 voti passando nel 2017 a 5.877.094 ed entrando trionfalmente al Bundestag con 94 deputati. L’incremento dell’AFD è quindi di 3.820.109 voti, pari al 185,71% di crescita, quasi due volte il proprio elettorato precedente. Inoltre l’AFD rompe il monopolio nei Lander conquistando la maggioranza in Sassonia: ed è questo un dato politico da tenere assolutamente in conto. Netta crescita anche per i liberali passati da 2.083.533 voti a 4.997.178, con un più 2.913.645. In totale AFD e FDP acquistano 6.733.754 voti in più rispetto al 2013, un incremento superiore alla somma delle perdite di CDU-CSU e SPD calcolate assieme (- 4.743.718). Se ne può dedurre che in particolare l’AFD sia penetrata sia nel bacino elettorale delle formazioni minori contribuendo in maniera decisiva a quella  superiore concentrazione nell’espressione di suffragio sui 6 partiti principali già segnalata in apertura di questo lavoro, sia sull’astensione. La presenza della destra, sia estrema, sia di matrice liberale, si dimostra quindi pervasiva dell’intero elettorato, sia dal punto di vista sociale, sia sotto l’aspetto geografico e non solo, quindi, si presenta come la grande novità episodica nella scena politica tedesca ma anche come  elemento strutturale del brusco riallineamento sistemico che le elezioni tedesche hanno presentato come risultato complessivo.
5).La crisi della democrazia liberale classica, ben evidente anche nel caso tedesco, non si dimostra però nella disaffezione alle urne (come avvenuto in Francia e continua progressivamente a palesarsi in Italia) e neppure nell’affermazione di un partito “antisistema”. Si ricolloca, invece, sull’antico asse destra/sinistra nella sua versione che proprio l’AFD, forza nazionalista conservatrice con forti venature razziste rappresenta. Dati che andranno meglio meditati avendo a disposizione un insieme di numeri maggiormente approfonditi in particolare rispetto alla dislocazione geografica del voto.
Al via da oggi su YouTube la campagna video “Ti ascolto!”
L’associazione offre ai ragazzi italiani ciò che tutti chiediamo, essere ascoltati, e lo fa sapere con un video realizzato dai ragazzi



Sui social tutti parlano e il oggi, lunedì 25 settembre Il Sorriso Telefono Giovani lancia su YouTube la campagna “Ti ascolto!”, realizzata con il patrocinio di Fondazione Cariplo per far sapere a quanti più ragazzi possibile che c’è qualcuno pronto ad ascoltarli via telefono, email, forum, Facebook e, dal 13 novembre, anche via chat.

“Grazie mille per il benvenuto e per la comprensione, è incredibile come faccia star meglio un solo vostro messaggio” scrive un 19enne sul forum del Sorriso, associazione milanese operante da 24 anni in tutta Italia/su tutto il territorio nazionale.
“E se girassimo una videostoria in cui i ragazzi dicono cosa sentono e cosa vogliono? - si è chiesta una volontaria rispondendo all’appello - Possiamo rivolgerci all’Amico Charly! Conosco bene quell’associazione, sono a Milano come noi e hanno un sacco di laboratori artistici!”
Detto fatto, con la co-conduzione sperimentale Sorriso-Charly, i ragazzi del laboratorio di canto hanno espresso in musica e parole le loro emozioni e sensazioni, paure e desideri, e persino contraddizioni e vittorie. Con la guida di un esperto di videstorytelling, hanno poi concepito l’idea su cui costruire una videostoria cantata.
Diretti e filmati da una giovanissima troupe, i ragazzi di Charly diventano così i migliori testimonial dell’efficacia dell’ascolto attivo, sensibilizzando anche gli adulti su questo tema.
Il tutto con un budget molto basso e tanta, tanta passione.

Ma è bellissimo! Ho ascoltato attentamente le parole e mi stavo commuovendo" - ha dichiarato una volontaria - sembrano proprio le parole che i ragazzi ci scrivono nei post...”.

Aforismi 
di Laura Margherita Volante


Ieri il medico andava a casa del paziente in caso di malattia.
Oggi il malato va in sala d’attesa dell’ambulatorio medico, centro di contagio.
La generosità non è virtù dell’incapace…
Caduta nel ridicolo. Poeti filosofi artisti del nulla molto compresi nella propria parte.
Ieri il genio era incompreso. Oggi c’è chi s’ingegna per sentirsi compreso da se stesso…
Leonardo e gli omini.
Il genio e… chi non ha nemmeno consapevolezza di sé.
Talenti.
Intellettuali e artisti al di fuori dei media, molto al di sopra…dei media.
Il nulla avvolge quando non succede nulla… per il cambiamento.
Il buon gusto aiuta a essere migliori. Il mondo dove tutto è possibile toglie la forza per fronteggiare i compiti di sviluppo nel rispetto di sé e di un termine in disuso: dignità!
Sindrome di Lucifero.
La bellezza è una strega affamata di poter e di denaro.
L’anima generatrice di odio muore del suo veleno…
La maleducazione e la vigliaccheria prendono di mira i mansueti.
Matrimoni.
Ieri si cercava la taglia in dote. Oggi si cerca chi è dotata di taglia
a misura di maniaco…impotente!
I giovani cantano e gareggiano, i politici gareggiano senza cantare…
Mondo piccino.
Non per le distanze ravvicinate ma per la caduta nel vuoto cosmico di isole… 
La mancanza di abilità e di competenza sociale spalanca grandi spazi
a comportamenti scomposti e inopportuni fra maleducazione e prepotenza. 
La cultura è quel nutrimento che viene dal basso e che la politica fa cadere…dall’alto!
Alberi.
Le loro radici sono le nostre radici. Abbattere un albero è distruggere un valore.
L’età è un numero che non rispetta i tempi.
Il tempo non è altro che una parentesi di chi sa vivere con amore
nell’amore per amore.
Chi possiede qualità umane non è gradito nemmeno in famiglia… dagli inetti!
I più intelligenti sensibili e geniali anticipano gli umori del tempo
pagandolo un caro prezzo…
Pensare rende creativa la dimensione interiore.
Ieri “4 amici al bar” per salvare il mondo. Oggi milioni di nemici davanti al computer
per distruggerlo!
Il senso di colpa porta alla negazione del vivere.
Bulimia di immagini. Sempre lo stesso copione di una patologia collettiva,
che si materializza a catena come un virus ad alto rischio dipendenza.
Bulimia di informazioni è dare a raffica la combinazione della cassaforte
a potenziali criminali.
Il sogno è la sublimazione del desiderio.
Sarà il sogno il mio cuscino su cui addormentarmi…
verso l’infinito che ho dentro come linfa che non muore…
Mai far conoscere un avaro ad un generoso, va in depressione.
L'avaro porta tristezza al generoso che di contro gli migliora l'umore.
Ecco la mia tristezza: è dovuta agli avari che attraggo come una calamita...
gli avari sono una calamità sociale e mai socialmente utili... nemmeno per concimare un orto!

martedì 26 settembre 2017

TEATRO. 
PER RIMANERE UMANI

Ricordiamo ai lettori genovesi e non.

La locandina dell'evento

EVENTI. CHIARA PASETTI SEGNALA
AI LETTORI DI ODISSEA

La locandina degli eventi

ARTE E PERTURBANTE
DUE MOSTRE, UN CONVEGNO, UN CONCORSO
L’articolato progetto “Arte e Perturbante” -  due mostre, un convegno e un concorso - nasce da un’idea di Mara Folini, scaturita da incontri, condivisioni e ricerche di questi ultimi due anni. Realizzato ad Ascona, tra Casa Serodine e Monte Verità, riporta in questo territorio un tema, indagato da tempo a partire da Freud nel suo fondamentale saggio del 1919 Il perturbante, ancora di grandissima attualità e di grande fascino.
In occasione della prima edizione del Concorso Arte Ascona 2017-18, si inaugura a casa Serodine giovedì 28 settembre alle ore 18, 30 la mostra tematica Arte e Perturbante, a cura di Mara Folini e Viana Conti, con gli artisti Jane McAdam Freud, Giuliano Galletta, Mauro Ghiglione, Chantal Michel, Mariateresa Sartori.
Dal comunicato stampa:
Si tratta di un progetto articolato in due mostre, un convegno e un concorso, promosso dal Museo Comunale d’Arte Moderna della città, con la collaborazione della Fondazione Monte Verità e dell’Associazione Visarte Ticino. Il titolo Arte e Perturbante intende esprimere una condizione emozionale, del soggetto creativo e dell’opera che lo rappresenta, non solo ambivalente, ma spesso anche contraddittoria. In tedesco il termine Heimlich, per la sua radice Heim, rinvia alla dimora, alla piccola patria, colorandosi psicologicamente, tuttavia, anche del significato opposto Unheimlich, estraneo, alieno.
Nell’ampio scenario multimediale della mostra, la proiezione video dialoga con l’installazione, la fotografia digitale, la citazione filmica e letteraria, sia visuale che acustico-musicale. Tra estetica e ricerca, la mostra mette in opera un campo di interazione dell’arte con la scienza, tramite il riferimento alla Neuroestetica del ricercatore britannico Semir Zeki, con la psicologia sul terreno delle rimozioni infantili, dell’insicurezza, della mancanza di referenti rassicuranti, di deriva nell’onirico, con la ricerca di identità motivata da spaesamento geografico, sradicamento idiomatico, incertezza di appartenenza etno/antropologica, con slittamenti tra reale e virtuale, con paradossi percettivi, cognitivi, comunicativi tra un soggetto fisico e l’automa, tra animato e inanimato, tra carica libidica e deprivazione emotiva, tra scrittura semantica, asemantica e automatica, tra coscienza e subconscio. La selezione di artisti internazionali (Gran Bretagna, Italia, Svizzera) riflette le connotazioni e le motivazioni del Perturbante freudiano nell’Arte, in un contesto, come quello di Ascona e Monte Verità, che ha avuto come suo imprescindibile interlocutore Carl Gustav Jung.
L’evento culturale prosegue venerdì 29 settembre a Monte Verità, con un convegno/laboratorio aperto al pubblico, che prevede gli interventi di Viana Conti, giornalista, critica d’arte e curatrice, di Francesca Rigotti, filosofa, docente di Dottrine Politiche all’Università della Svizzera Italiana di Lugano, di Riccardo Bernardini, psicoterapeuta e segretario scientifico della Fondazione Eranos, di Massimo Pastorelli, compositore e di Mario Perniola, filosofo e già docente di Estetica all’Università di Tor Vergata di Roma. Nell’ambito di questo incontro, verrà proposta la lettura scenica dell’attrice milanese Marika Pensa sul testo “24 ore” di Mario Perniola, pubblicato nel catalogo della mostra Dall’oggi al domani. 24 ore nell’arte contemporanea (Macro, Roma 2016). La rassegna si concluderà con la mostra–concorso Arte e Perturbante – Visarte Ticino (26 novembre – 28 gennaio) e la premiazione (3 febbraio) a cura di una giuria accreditata, convocata in occasione di questa prima edizione del Concorso Arte Ascona 2017-18, ideato come un auspicabile appuntamento periodico.

Foto: Galletta

Artisti in mostra
Jane McAdam Freud
Giuliano Galletta
Mauro Ghiglione,
Chantal Michel
Mariaterasa Sartori
Mostra Arte e Perturbante
a cura di: Viana Conti e Mara Folini
sede: Casa Serodine (Piazza San Pietro), Ascona CH
date: 29 settembre – 12 novembre 2017
inaugurazione: 28 settembre ore 18,30
Workshop sul Perturbante
sede: Sala Balint, Monte Verità
date: 29 settembre: dalle ore 10 alle 17
Informazioni:
tel. +41 (0)91 759 81 40; museo@ascona.ch
Sito internet:
www.museoascona.ch
Comunicato stampa e immagini:
www.museoascona.ch/it/mcam/press-area
Comunicazione:
Nicoletta Mongini +41(0)91.7598144 - +41(0)79.3706339; nicoletta.mongini@ascona.ch
Ingresso
Intero 7 fr.; ridotto 5 fr.;
gratuito per ragazzi sino ai 18 anni.
È possibile pagare in euro.


lunedì 25 settembre 2017

POESIA.
"PREMIO NAZIONALE ANTICA SULMO" 2017


Giacomo Leopardi

 
Pagina 1 del Regolamento



Walt Whitman

Pagina 2 del Regolamento

Emily Dickinson

Pagina 3 del Regolamento



Per ulteriori informazioni scrivere a 
LORENZO PICCIRILLO
piccirillolor_1959@libero.it
Segreteria: 339 - 3571958