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domenica 10 settembre 2017

INGIUSTIZIA
di Franco Astengo



La lettura delle cronache, quelle degli sgomberi, dei crolli, della miseria, delle tante falsità che attraversano il nostro quotidiano, suggerisce un solo moto della coscienza: quello del senso dell’ingiustizia che si sta perpetrando sulla povera gente. Un’ingiustizia profonda che richiama alla ribellione. Una ribellione sacrosanta che trova sulla sua strada, come di consueto, la repressione : la repressione più brutale e insensata. Quella repressione che abbiamo conosciuto tante volte nella nostra storia, sempre pronta a colpire chi soffre: operai, contadini, migranti, povera gente. Piazza Indipendenza richiama Melissa, Montescaglioso, Modena, Reggio Emilia: la cupa repressione dei terribili anni’50. Sembra tutto come sparito: scomparse le idee dell’eguaglianza e dell’universalismo. Scomparsa la capacità di partire dai principi per sviluppare anche soltanto un’ipotesi di nuova pedagogia politica alternativa a quella dominante del considerare le masse come merce o carne da bastonare senza pietà per “evitare che la protesta si propaghi” come ha dichiarato qualcuno della polizia.
«È morale», diceva Emile Durkheim, «tutto ciò che è fonte di solidarietà, tutto ciò che costringe l’uomo a tenere conto dell’altro, a regolare i propri movimenti su qualcosa di diverso dagli impulsi del proprio egoismo». «Ciò spiega», aggiunge Micheà, «che la rivolta dei primi socialisti contro un mondo fondato sul solo calcolo egoistico sia stata così spesso sostenuta da un’esperienza morale». Si pensi alla «virtù» celebrata da Jaurès, alla «morale sociale» di cui parlava Benoît Malon. La «decenza comune», che è mille miglia lontana da ogni forma di ordine morale o di puritanesimo moralizzatore, è, infatti, uno dei tratti principali della «gente normale» ed è nel popolo che la si trova più comunemente diffusa. Essa implica la generosità, il senso dell’onore, la solidarietà ed è all’opera nella triplice obbligazione di «dare, ricevere e restituire».
A partire da essa, si è espressa in passato la protesta contro l’ingiustizia sociale, perché permetteva di percepire l’immoralità di un mondo fondato esclusivamente sul calcolo interessato e la trasgressione permanente di tutti i limiti. Dovrebbe bastare questo punto del legare la morale alla politica per cercare di ricostruire un’identità possibile, prima ancora del richiamare le logiche ineludibili delle fratture di classe.
Senza questo legame, essenziale, tra morale e politica saranno sempre i valori e/o i disvalori degli “altri” a prevalere, facendoci smarrire completamente, come sta accadendo, una qualsiasi visione del futuro e riducendoci ad affannati amministratori di un drammatico presente. Ciò che sta avvenendo sui nodi cruciali del conflitto non è morale e non potrà mai essere politica. Abbiamo scritto tante volte che servirebbe proprio la politica. E’ necessario aggiungere che il livello d’indignazione è ancora basso rispetto a ciò che sta accadendo e che il motto dovrebbe essere quello di antica origine maoista “Ribellarsi è giusto”.
Un compagno, antico delegato dell'FLM, rispetto all'idea del ribellarsi è giusto mi ha posto una domanda circa il significato che questo fatto assume oggi, in tempi di cieco terrorismo, di razzismo, leghismo, qualunquismo, antipolitica. Ecco la risposta: Oggi va bene anche affermarlo e basta, la ribellione è nostra, senza retropensieri: è l'assalto al cielo della Comune di Parigi, sono i contadini sassoni sterminati a Frankenhausen, gli schiavi di Spartaco. Tornare alle radici per capire il peso dell’ingiustizia e trovare la forza della ribellione. Solo così la morale potrà ancora incontrare la politica.