INGIUSTIZIA
di Franco Astengo
La lettura delle cronache, quelle
degli sgomberi, dei crolli, della miseria, delle tante falsità che attraversano
il nostro quotidiano, suggerisce un solo moto della coscienza: quello del senso
dell’ingiustizia che si sta perpetrando sulla povera gente. Un’ingiustizia
profonda che richiama alla ribellione. Una ribellione sacrosanta che trova
sulla sua strada, come di consueto, la repressione : la repressione più brutale
e insensata. Quella repressione che abbiamo conosciuto tante volte nella nostra
storia, sempre pronta a colpire chi soffre: operai, contadini, migranti, povera
gente. Piazza Indipendenza richiama Melissa, Montescaglioso, Modena, Reggio
Emilia: la cupa repressione dei terribili anni’50. Sembra tutto come sparito:
scomparse le idee dell’eguaglianza e dell’universalismo. Scomparsa la capacità
di partire dai principi per sviluppare anche soltanto un’ipotesi di nuova
pedagogia politica alternativa a quella dominante del considerare le masse come
merce o carne da bastonare senza pietà per “evitare che la protesta si
propaghi” come ha dichiarato qualcuno della polizia.
«È morale»,
diceva Emile Durkheim, «tutto ciò che è fonte di solidarietà, tutto ciò che
costringe l’uomo a tenere conto dell’altro, a regolare i propri movimenti su
qualcosa di diverso dagli impulsi del proprio egoismo». «Ciò spiega», aggiunge
Micheà, «che la rivolta dei primi socialisti contro un mondo fondato sul solo
calcolo egoistico sia stata così spesso sostenuta da un’esperienza morale». Si
pensi alla «virtù» celebrata da Jaurès, alla «morale sociale» di cui parlava
Benoît Malon. La «decenza comune», che è mille miglia lontana da ogni forma di
ordine morale o di puritanesimo moralizzatore, è, infatti, uno dei tratti
principali della «gente normale» ed è nel popolo che la si trova più
comunemente diffusa. Essa implica la generosità, il senso dell’onore, la
solidarietà ed è all’opera nella triplice obbligazione di «dare, ricevere e
restituire».
A partire da
essa, si è espressa in passato la protesta contro l’ingiustizia sociale, perché
permetteva di percepire l’immoralità di un mondo fondato esclusivamente sul
calcolo interessato e la trasgressione permanente di tutti i limiti. Dovrebbe
bastare questo punto del legare la morale alla politica per cercare di
ricostruire un’identità possibile, prima ancora del richiamare le logiche
ineludibili delle fratture di classe.
Senza questo
legame, essenziale, tra morale e politica saranno sempre i valori e/o i
disvalori degli “altri” a prevalere, facendoci smarrire completamente, come sta
accadendo, una qualsiasi visione del futuro e riducendoci ad affannati
amministratori di un drammatico presente. Ciò che sta avvenendo sui nodi
cruciali del conflitto non è morale e non potrà mai essere politica. Abbiamo
scritto tante volte che servirebbe proprio la politica. E’ necessario
aggiungere che il livello d’indignazione è ancora basso rispetto a ciò che sta
accadendo e che il motto dovrebbe essere quello di antica origine maoista
“Ribellarsi è giusto”.
Un compagno,
antico delegato dell'FLM, rispetto all'idea del ribellarsi è giusto mi ha posto
una domanda circa il significato che questo fatto assume oggi, in tempi di
cieco terrorismo, di razzismo, leghismo, qualunquismo, antipolitica. Ecco la
risposta: Oggi va bene anche affermarlo e basta, la ribellione è nostra, senza
retropensieri: è l'assalto al cielo della Comune di Parigi, sono i contadini
sassoni sterminati a Frankenhausen, gli schiavi di Spartaco. Tornare alle
radici per capire il peso dell’ingiustizia e trovare la forza della ribellione.
Solo così la morale potrà ancora incontrare la politica.