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giovedì 23 novembre 2017

ASTENSIONISMO E ALLEANZE
di Franco Astengo


Ostia rappresenterà sicuramente un microcosmo e l’esito elettorale di domenica 19 novembre riguardante il X municipio di Roma non risulterà particolarmente significativo.
L’esposizione mediatica cui è stata sottoposta la situazione relativa a questa elezione può però rendere significativo il dato anche sul piano generale, come esempio probante della crisi che sta pesantemente attraversando l’intero sistema politico. Per chi crede di aver vinto c’è molto poco da festeggiare considerato che l’istituzione che si intende governare non conserva sicuramente un dato sufficiente di credibilità e di consenso tale da renderla credibile di conseguenza, da rendere credibili le istanze che via via saranno adottate dalla Presidente e della sua maggioranza.
Cifre in breve: le cittadine e cittadini del X municipio di Roma chiamati a esprimere il loro voto assommavano a 185.661. Il 5 Novembre i voti validi furono 65.472 pari al 35,26% (dato già depurato dalle schede nulle, bianche e contestate). Il 19 novembre i voti validi sono scesi a 59.887 pari al 32, 25% con una flessione del 3,01% pari a 5.585 voti. La candidata del M5S che ha prevalso nel ballottaggio ha ottenuto 35.691 voti pari al 19,22% sul totale degli aventi diritto. La sua competitor dello schieramento di centro destra ne ha avuti 24.196 pari al 13,03%.
Fatta salva la particolarità del caso questi dati ci indicano almeno due problematiche:
1) La prima quella di una sconfitta generale di tipo sistemico. Ci troviamo, infatti, a quote di disaffezione tali per cui non vale l’antico richiamo all’astensionismo fisiologico (quindi chi sta a casa considera che tutto sommato la baracca vada bene così, come sostenevano autorevoli esponenti della sociologia politica statunitense fino a quale anno fa) ma non vale neppure la versione “crescita del voto di protesta” che aveva preso piede nel campo dell’analisi politologica in tempi più recenti. Ci troviamo probabilmente proprio all’interno di quel fenomeno “dell’impolitica”, così felicemente denominato recentissimamente da Gustavo Zagrebelsky.
2) La seconda problematica riguarda i produttori di sondaggi utilizzati strumentalmente in funzione dell’orientamento preventivo dell’elettorato: sarebbe bene, infatti, che la questione dell’astensionismo fosse ben considerata e tarata in modo da non trovarsi, al momento delle urne, di fronte a clamorose sorprese. In queste condizioni, infatti, il peso delle tre componenti del voto (appartenenza, opinione, scambio) potrebbe risultare assolutamente alterato in una dimensione ben più significativa rispetto al passato con eventuali infiltrazioni di diverso tipo fortemente facilitate nella fragilità del sistema.


Nella stessa giornata dello svolgimento del ballottaggio al X municipio di Roma si sono svolte, proprio in vista delle prossime elezioni legislative generali delle quali si ignora comunque ancora la data, tre importanti assemblee nazionali: quella di MdP, di SI, e di settori intenzionati a promuovere una lista “popolare” (abbiamo avuto in passato anche una “Lista di Lotta” organizzata paradossalmente da un ex – generale della NATO politicamente collocato su posizioni più o meno marxiste – leniniste) con la partecipazione di aree sociali che hanno ritenuto non ancora esaurito il cosiddetto movimento del Brancaccio.
L’analisi dell’andamento di queste assemblee, collegato con l’esito del ballottaggio di Ostia assunto come punto paradigmatico della situazione, suggerisce alcune considerazioni parziali, ma significative. La riduzione dell’agire politico all’elettoralismo e all’individualismo competitivo intesi come soli elementi nei quali si esaurisce la proposta politica appare sempre più evidente, ad esempio nel desolante agitarsi attorno al PD di improbabili candidature e di ancor più improbabili alleanze. La stagione della “vocazione maggioritaria”, della “rottamazione”, dell’autosufficienza è finita in coda di pesce facendo grandi danni all’intero sistema politico italiano dopo la fase della forzatura di un bipolarismo inventato sulla base di artificiosi sistemi elettorali. Adesso siamo di fronte soltanto all’esigenza di sopravvivere da parte dei presunti protagonisti di quella stagione nel corso della quale si era tentato addirittura di ridurre il sistema da forzatamente bipolare e forzamento bipartitico e  che era stata inaugurata (è bene ricordarlo) con la clamorosa sconfitta  del PD alle elezioni del 2008.
È poi evaporato anche il famoso 40% delle Europee 2014 (che ricordiamolo: altro non era che il 22% dell’intero corpo elettorale rappresentando una cifra in voti assoluti inferiore a quella ottenuta nell’occasione della già ricordata débacle del 2008).
Quella parte di esponenti politici che si ostinano a definire il loro schieramento come “centro-sinistra”  in realtà imperniano la loro narrazione su di un partito, il PD, a vocazione di destra.
Non c’è da esagerare sulla vocazione di destra del PD: prima di tutto perché “personalistico” poi avendo tentato questo partito di manomettere la Costituzione (operazione impedita dal voto popolare), promosso una strategia di guerra per bande in Africa al fine di fermare il flusso delle migrazioni, precarizzato ulteriormente il mondo del lavoro attraverso il job act, privatizzata la scuola, completamente fatto sparire il welfare, attaccate nuovamente le pensioni. Ebbene questa porzione di sistema politico oggi sembra ritornato ai bei tempi dell’Unione Prodiana: il PD cerca liste a destra e a sinistra e, alla fine, il suo schieramento elettorale potrebbe essere  composto almeno da sette o otto soggetti  auto- definentisi europeisti, centristi, socialisti, riformisti. Il  tutto senza alcuna sottolineatura di merito da parte dei grandi mezzi di comunicazione di massa che, indifferenti, si occupano soltanto di star dietro alla posizione personale di questo o di quello.

Invece molto ci sarebbe da analizzare dal punto di vista della riflessione politica e non certo per una sorta di accanimento nel voler mostrare le incongruenze e le difficoltà della parte  raccolta attorno al PD. In realtà come si è già provato ad accennare, le difficoltà sono “sistemiche” e riguardano anche gli altri due poli, centro-destra e M5S.
Torniamo allora alla costante dimostrazione calo di partecipazione al voto.
Il fenomeno del calo della partecipazione al voto che si accompagna alla caduta di ruolo dei cosiddetti corpi intermedi (comprese sindacati e associazioni di categoria)  è necessario sia inteso come cartina di tornasole di una debolezza intrinseca.
Una debolezza intrinseca che finisce con il  rendere quanto mai effimero sul piano della concretezza quel dato di ricerca della “governabilità” che si è accompagnato – appunto – alla personalizzazione e all’idea balzana della “vocazione maggioritaria” nel provocare il vero e proprio disastro politico che stiamo vivendo in questa fase.
Il M5S si troverà probabilmente di fronte a questo tipo di questione  non risolvibile, nella dimensione data, con la democrazia diretta sul web e con il cinismo dell’autonomia del politico. Soprattutto si rileva un elemento da approfondire nel tentativo  di sviluppare un minimo di ragionamento su questi temi. L’elemento è quello della totale assenza di ricerca nel collegamento (che pure sarebbe necessario) tra la rappresentatività di tipo generale e la realtà delle contraddizioni sociali emergenti cui fornire interpretazione, voce, riconoscimento di soggettività.
La questione, infatti, nella modernità indotta dalla velocizzazione e dalla personalizzazione del messaggio comunicativo è quella di come realizzare una rappresentatività politica come espressione di identità che tenga assieme cioè una visione del futuro come prospettiva di trasformazione sociale e la quotidianità dell’agire politico a livello generale, ma anche  locale.
Come si realizza, oggi, un dato di rappresentatività politica attorno ad un progetto che insieme traguardi il medio periodo con una visione strategica e il corto respiro di una legislatura: questo manca completamente a livello di espressione della soggettività politica.
Una problematica di  decisivo interesse perché si pone in una società dove ormai la frequenza sui social network è diventata per molti esaustiva della partecipazione pubblica individuale, sostituendo (attraverso l’espressione della ridda di opinioni su Facebook, Twitter e quant’altro)  non soltanto la vecchia militanza ma addirittura la stessa espressione di voto (“Ho già detto la mia su tutto”: che bisogno c’è di andare a votare?).


Un fenomeno quest’ultimo ormai molto diffuso  che spiazza anche la stessa “democrazia del pubblico”, lasciando il tutto in mano alle espressioni di un individualismo facilmente condizionabile dal complesso sistema della pubblicità, beninteso non solo politica. A questo punto diventa una questione di vero e proprio “modello sociale”.
Tutto questo in un quadro generale di affastellamento di temi senza ordine, priorità, merito.
Così si sta consumando un fenomeno di totale regressione nel rapporto tra sistema politico e realtà sociale. Siccome la politica non ammette vuoti la  colmatura di questa regressione avviene o rispolverando vecchi miti oppure con la facilità delle proposte e degli slogan più facilmente identificabili dalla complessità dei bisogni di massa: da quello, cioè, che viene nemmeno troppo propriamente definito come “populismo”.
Rimane il vuoto di visione e di progettualità che un tempo la sinistra sapeva riempire con il richiamo alla logica ferrea della distinzione di classe e con l’espressione delle sue opzioni classiche della socialdemocrazia e della rivoluzione. Rivoluzione declinata, in Italia in particolare, attraverso un meccanismo specifico: quello della “doppiezza” integrata dalla strategia gramsciana delle “casematte”.
Su questo punto Lucio Magri aveva centrato, nel suo ultimo lavoro Il Sarto di Ulm il tema del “genoma Gramsci” come decisivo per l’assetto e l’identità della sinistra nel nostro paese.
Assetto e identità ancora validi, a mio giudizio, in tempi di confusa sovranazionalità e pericolosa regressione delle istanze globaliste.



È questo, pur esposto sommariamente, il quadro che si sta presentando in vista delle elezioni legislative 2018 e soprattutto nell’insieme della vicenda politica ben oltre le scadenze canoniche: toccherebbe alla sinistra ancora organizzata e posta fuori dal recinto del “personalismo velleitariamente governativista” e non ammaliata dal mito della democrazia diretta o del Tribuno che si rivolge direttamente alle masse, svolgere prima di tutto un’opera di vera e propria “controcultura” cercando anche di tirare una qualche somma in una dimensione di proposta rivolta non solo in termini di lista elettorale.