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domenica 5 novembre 2017

UNA FAMIGLIA ETERNA NELL’UMANITÀ
di Chiara Pasetti

La copertina del libro

Alcune riflessioni concepite e scaturite dall’incontro su Carlo Cassola alla Casa della cultura di Milano del 19 ottobre 2017, per la presentazione del carteggio curato da Angelo Gaccione e Federico Migliorati Cassola e il disarmo. La letteratura non basta, Lettere 1977-1984. Con chi scrive erano presenti il curatore Angelo Gaccione, Giuseppe Oreste Pozzi, psicanalista, e Giuseppe Natale, presidente “Anpi” Crescenzago.

Prima di parlare del testo Cassola e il disarmo vorrei spendere due parole sul suo curatore e destinatario delle lettere, ossia Angelo Gaccione, senza il quale non avremmo potuto recuperare questo importantissimo carteggio. Di Angelo Gaccione, che conosco ormai da qualche anno e con cui collaboro non solo per le pagine da lui dirette di Odissea, ho immediatamente ammirato non solo la gentilezza, la libertà di spirito e l’enorme disponibilità nel dare consigli e concedere il proprio tempo a chiunque lo interpelli su questioni importanti, ma anche e soprattutto il grandissimo impegno civile, che da anni porta avanti con Odissea e con tutti i mezzi e nelle sedi in cui ne ha la possibilità, affiancato da un gruppo di intellettuali che stimo molto e che collaborano da sempre con lui. Tra i tanti nomino soltanto i professori Fulvio Papi e Gabriele Scaramuzza; a quest’ultimo in particolare sono legata anche da profondo affetto poiché è stato il mio correlatore di tesi di laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano. Di Angelo Gaccione ho ammirato anche l’entusiasmo, raro in una persona che ha combattuto tante battaglie e ha visto l’impoverimento progressivo della cultura nella propria nazione... Battaglie, valori, combats che sono oggi non più rimandabili; il messaggio che emerge dal libro e dal carteggio fra Gaccione e Cassola è appassionato e lucidissimo, e di estrema non solo importanza bensì urgenza.
 Prima di entrare nel vivo del testo, ancora due parole sul suo curatore per sottolineare che ogni volta in cui mi sono rivolta a lui presa dallo sconforto che una professione come la nostra spesso porta con sé, sconforto dovuto al fatto di confrontarsi con editori, collaboratori, redattori spesso distratti, e di ricevere compensi a dir poco esigui se paragonati all’impegno, al tempo e alla fatica che richiedono scrivere un saggio, una recensione, un libro, preparare conferenze e altro, lui mi ha sempre sostenuta e incoraggiata a «non mollare!».
Per me è un punto di riferimento importante; quasi tre anni fa, quando ho presentato in conferenza stampa l’Associazione culturale di cui sono presidente, Le Rêve et la vie (www.lereveetlavie.it), Angelo Gaccione è venuto a Novara per l’inaugurazione ufficiale e ha speso parole di grande affetto e stima nei miei confronti e nei confronti questa avventura in cui ho fortemente creduto e che lui ha appoggiato dall’inizio, essendo a sua volta un sognatore, per riprendere il nome che ho scelto per l’Associazione, il sogno e la vita.

Casa della Cultura: Chiara Pasetti accanto a Giuseppe O. Pozzi

Da subito mi è stato chiaro di avere a che fare con una persona simile a me: le anime simili si ri-conoscono… E quella che Pardini, giustamente, nell’introduzione al libro su Cassola chiama «missione dello scrittore», e mette tra parentesi «non lavoro, tale bisogna definirla, missione», ho capito immediatamente che era ed è anche quella di Angelo Gaccione, così come molto più umilmente è la mia. Quando mi chiedono “che lavoro fai?”, ho sempre difficoltà a rispondere… Giornalista, critica letteraria, filosofa, scrittrice… Non lo so, perché anche per me, come era per Carlo Cassola, per lui con risultati mirabili di cui è superfluo parlare perché sono sotto gli occhi di tutti, e per Angelo Gaccione, non si tratta di fare il lavoro dello scrittore, si tratta di essere scrittore. Per questo tante volte ci sentiamo dire, da chi scioccamente e superficialmente svilisce una delle più nobili attività umane, la letteratura, la scrittura, che non è un lavoro ma “un hobby”… No, è una vocazione, che diventa una missione, nel caso di Cassola e nel caso di Gaccione, quando accanto agli scritti intimi, creativi, ai romanzi, ai testi di finzione, ai testi per il teatro, che comunque nel caso di entrambi sono sempre fortemente ancorati alla realtà che si sono trovati e si trovano a vivere, alla realtà politica in senso lato, culturale, sociale, si affianca un impegno continuo, instancabile, spesso solitario e osteggiato, per difendere ideali e valori senza i quali la società stessa diventerebbe una barbarie, per citare il titolo del volume Disarmo o Barbarie degli stessi Cassola e Gaccione del 1984.
Mi ha fatto molto riflettere questa parola, barbarie, e mi ha fatto venire in mente una frase di uno scrittore francese in Italia molto poco conosciuto e letto, Romain Rolland. Egli, un anno prima della nascita di Cassola, nel 1916 ricevette il premio Nobel per la Letteratura, premio Nobel che colpevolmente non venne invece proposto, per la Pace, per Cassola. In un suo scritto del 1914 intitolato Al di sopra della mischia, in cui si rivolgeva «agli intellettuali dei Paesi belligeranti che usavano la loro penna e la loro parola per giustificare e propagandare la politica del loro Paese», uno scritto che andrebbe letto da tutti perché testimonia il suo grande impegno etico, politico, culturale, il suo senso della fratellanza e l’indipendenza da dogmatismi e ideologie, Rolland si rivolge agli intellettuali di ogni paese e religione, e scrive:

«In ogni Stato la ragione, la fede, la poesia, la scienza sono mobilitate e sono al servizio degli eserciti. Ma tutti noi, artisti e scrittori, preti e filosofi di ogni patria abbiamo un altro compito: anche nel corso di una guerra è un delitto per un’élite compromettere l’integrità del proprio pensiero. È vergognoso vedere un’élite al servizio di una puerile e mostruosa politica razziale. L’umanità è una sinfonia di grandi anime collettive, chi non è in grado di comprenderla e di amarla se non distruggendo una parte dei suoi elementi, dimostra di essere un barbaro».

A queste parole fa eco una luminosa affermazione di Gaccione nell’intervista condotta da Migliorati all’inizio del libro: «un vero artista celebra la vita e non può sopportarne la sua umiliazione o peggio la sua scomparsa».
Ritorna quindi anche nel pensiero di Rolland il termine e il richiamo alla barbarie. E mi piace moltissimo questa idea di Rolland dell’umanità come una sinfonia di anime collettive. Tra Gaccione, Cassola, e gli intellettuali, giornalisti, scrittori, filosofi, psicanalisti (c’era anche Cesare Musatti), artisti che aderirono alla Lega per il Disarmo dell’Italia, per il Disarmo Unilaterale, come Cassola voleva venisse chiamata la Lega, si formò davvero una sinfonia di anime collettive, che noi tutti abbiamo il compito e il dovere di portare avanti, di non fermare.

Casa della Cultura. In piedi accanto a Gaccione
da sinistra Piscitello e Nobile, a destra Natale

Venendo al carteggio, tra le tante emozioni che mi ha suscitato la lettura di questo splendido libro, necessario, mi ha fatto molta tenerezza, e al contempo rabbia, constatare che anche uno scrittore del calibro di Cassola spesso si trovava alle prese con i miei stessi problemi. In una lettera del 30 agosto 1978  in cui comunica ad Angelo di inviare la sua quota volontaria per la Lega per il disarmo, Carlo Cassola scrive di essere in difficoltà economiche a causa del fisco (la lettera si trova a pag. 86 del testo). Non è cambiato nulla, per gli scrittori, per gli artisti; è ancora, tristemente, come scrisse Cassola in quelle righe.
E ci sono anche molte lettere in cui parla della sua decisione di non voler più scrivere per alcuni giornali con cui collaborava per le difficoltà che incontrava nel veder pubblicati i suoi articoli nel momento in cui aveva reso chiaro ed esplicito il suo pensiero anarchico e antimilitarista. Ci aveva «messo la faccia», come scrive Gaccione, e la cosa non gli veniva perdonata da certi intellettuali pavidi e opportunisti di cui era circondato (e di cui siamo tutti, ancora, circondati).
Ho trovato di grandissimo interesse queste lettere, per tanti motivi. Innanzitutto perché io conoscevo il Cassola scrittore de La ragazza di Bube, il partigiano, non certo il Cassola engagé e umanissimo che emerge dalle sue lettere. Personalmente, tra l’altro, adoro gli epistolari; il mio scrittore da sempre, colui a cui ho dedicato tutti i miei studi e le mie pubblicazioni, non a caso molto amato e citato nel carteggio fra Cassola e Gaccione, Gustave Flaubert, ha scritto più di 2600 lettere, che ho letto tutte in lingua francese, e ho capito che nelle lettere si trova l’uomo. André Gide definisce l’epistolario di Flaubert «il suo vero capolavoro», e in un certo senso, senza nulla togliere ai testi che amo, Madame Bovary sopra a tutti ma anche Salammbô, i Trois contes, o L’Éducation sentimentale, citata da Cassola in una lettera ad Angelo, Gide ha ragione. Perché per dirla con Baudelaire, nelle lettere di uno scrittore, come di qualsiasi essere umano, si vede e si sente il suo cuore messo a nudo. Il cuore di Cassola, la sua anima, esce con forza, tenerezza, coraggio in questo carteggio meraviglioso. Mi ha interessato moltissimo anche la prima parte del libro, l’intervista condotta da Federico Migliorati, in cui Gaccione racconta l’amico scrittore parlando della sua grande generosità, della sua ritrosia e riservatezza, dell’umiltà di chi, nonostante il successo e la fama ottenute soprattutto con La ragazza di Bube e il film che ne seguì con Claudia Cardinale, non si è mai atteggiato «a divo e ad artista, […], mai si è sottoposto, su rotocalchi e televisioni, al gioco effimero della vanità o a mettere in piazza il suo privato, in anni in cui tutti facevano a gara a confessare ogni più intimo risvolto; egli lo ha difeso con un rigore assoluto e anche in questo si distingueva dagli ambienti letterari culturali e dello spettacolo nel suo complesso» (a pag. 23 del testo). E le caratteristiche di umanità che possedeva hanno fatto di lui un vero artista e un vero intellettuale, che è tale non per mostrarlo o mostrarsi ma per quella missione di cui si parlava prima, che non aveva e non ha bisogno di lusinghe o riconoscimenti, che comunque inevitabilmente e meritatamente arrivarono, ma solo di lavoro, fatica, perseveranza e fiducia nel valore delle proprie idee e del proprio compito. Compito che non è mai stato facile, per Cassola, nemmeno all’interno di ambienti culturali che avrebbero dovuto appoggiarlo e invece, per timore di esporsi, opportunismi di sorta, giochi di potere, non lo aiutarono, fatta eccezione per pochi tra cui naturalmente Gaccione.
In una lettera del 1977 Cassola ribadisce la sua assoluta volontà di parlare, di agire. E lo fa con garbo ma fermezza, usando un’immagine che mi è parsa molto efficace, quella del «motorino di avviamento».
Casa della Cultura, da sinistra: Piscitello, Pasetti, Nobile,
Gaccione, Natale, Denti, Pozzi

Scrive infatti a pagina 40 del testo: «Io intendo fare solo da motorino di avviamento: mettere in moto qualcosa di molto più vasto, che poi dovrebbe organizzarsi per conto suo. Ma fare da motorino di avviamento permanente, perché non mi stancherei mai di predicare il disarmo unilaterale dell’Italia».
Molto forte questa espressione, «motorino di avviamento permanente», qualcosa che non si spegne e non si spegnerà mai.
La gentilezza, unita alla fermezza, di Cassola di cui parla Gaccione nell’intervista che apre il libro e che emerge dalle lettere mi ha richiamato alla mente un’altra grandissima figura sempre francese, Germaine Tillion, nata nel 1907, dieci anni prima di Carlo Cassola, e morta a 101 anni nel 2008. Germaine Tillion venne internata nel campo di concentramento femminile di Ravensbrück nel 1943 accusata di attività di resistenza, insieme alla madre che morirà nelle camere a gas. Lei, Germaine, verrà invece fortunatamente liberata nel 1945 dalla Croce Rossa sovietica e da quel momento fino alla fine della sua vita si impegnerà alla ricerca del «vero e del giusto», come recita il titolo di un suo testo scritto con Tzvetan Todorov nel 2001, per la conservazione della memoria dei crimini del Nazismo e dello Stalinismo e della guerra in Algeria, e per combattere a favore dei diritti delle donne. Dopo la liberazione dal campo di concentramento, insieme al dolore Germaine scoprirà anche un altro sentimento che non la abbandonerà più, la pietà, perfino nei confronti dei «boia» nazisti, ed esprime così il suo pensiero a riguardo: «dalla conoscenza nasce la compassione e dalla compassione la conoscenza», scriverà, «non potevo impedirmi, pur odiando i miei boia, di provare pietà per loro». Grande e universale lezione, una fra le tante che ci ha lasciato in eredità, che sono certa Cassola avrebbe amato e condiviso. Tillion lotterà anche per denunciare l’uso della tortura in Irak e per chiedere agli Stati Uniti e al mondo intero di riflettere sul terrorismo, che a suo avviso non andava combattuto con operazioni militari ma «con il dialogo universale, con la gentilezza, esaminando le aree più deboli del pianeta per localizzare la sofferenza, alleviarla e infine sradicarla». Credo che in questa sede in cui stiamo parlando sì di Cassola, ma più in generale di pace, il pensiero e la figura di Germaine Tillion vadano onorate e ricordate.
Tornando al carteggio, in una lettera sempre del 1977 Cassola indica già Angelo Gaccione, a Milano, come punto di riferimento del nascente comitato, movimento o come poi si chiamerà, Lega antimilitarista o Lega per il Disarmo. Cassola credeva profondamente in questa azione, che voleva restasse «anarchica o per lo meno libertaria», come afferma, ed era consapevole che avrebbe incontrato molte difficoltà. Ma quanto è carica di forza, convinzione, speranza questa sua frase: « bisogna persuaderci che è una lotta che ha con sé l’avvenire. Se da principio saremo pochi, a partire da un certo momento crescere a valanga» (pag. 45 del testo).
Seguono poi tante lettere a Gaccione con indirizzi e nominativi di persone che avrebbero potuto aderire alla Lega per il disarmo, e tra queste figura anche Padre David Maria Turoldo, frate e poeta, nonché filosofo e teologo, che fu molto legato a Gaccione. Lettere in cui si capisce che la Lega si stava allargando di città in città. E questo grazie alla fama di Cassola, ma anche, è giusto dirlo e riconoscerlo, al lavoro continuo di Gaccione e delle persone a lui vicine che da Milano tenevano le fila del movimento. Cassola in quegli anni, verso il 1978-79, cominciava ad avere dei problemi di salute e si spostava di rado, erano gli amici e i collaboratori a muoversi per lui, a cercare sostenitori, a parlare della Lega per il disarmo ovunque ne fosse data loro la possibilità.
Naturalmente, da persona che scrive e da studiosa, vorrei dire “allieva”,  di Flaubert, ho amato molto, nel testo, anche le lettere in cui si parla di letteratura, di narrativa, che Cassola definisce a pag. 97 del libro in una lettera del 1978 «il supremo genere letterario».

Casa della Cultura. Natale e Pozzi con la signora

Interessantissimi gli scambi di pareri tra Gaccione e Cassola a proposito dei testi di Gaccione che Cassola, con grande dolcezza, generosità e intelligenza, commentava. E quando tratta di letteratura, compare sempre Flaubert; questo naturalmente non può non avermi colpito ed entusiasmato perché per me Flaubert è il maestro assoluto in campo letterario. Acutissimo per esempio il riferimento a Flaubert e all’Educazione sentimentale nella lettera del 20 novembre del 1978 dove Cassola, parlando della legittimità, per uno scrittore, di compiere salti in avanti o indietro nel tempo, come fa appunto Flaubert in quel romanzo in cui, come scrive Cassola, «in poche righe fa passare dieci anni», egli aggiunge: «ma l’accelerazione va giustificata letterariamente. In altre parole ci vuole arte». Arte che, come giustamente gli risponde Angelo, lusingato dai complimenti per il suo romanzo Abitare il cielo, quello che Cassola commentava citando Flaubert, «si impara col tempo e affinando il mestiere». Questo è sempre stato anche il pensiero di Flaubert. Si nasce scrittori, ma ci vuole tempo, pazienza, «lavoro di lima e di scalpello», «mestiere». Immaginare questi due grandi, Cassola già affermato, riconosciuto e stimato e un giovane uomo ma non per questo di poco talento, Angelo Gaccione, che si scambiano commenti e pareri, è molto istruttivo e anche emozionante: sembra davvero di entrare nell’officina di lavoro, di creazione, dell’uno e dell’altro.
E vorrei concludere con una lettera, la stessa che ho scelto per l’anticipazione del libro che ho potuto scrivere per Il Fatto quotidiano a marzo di quest’anno.
È una lettera che Carlo Cassola ha inviato a Gaccione l’otto marzo 1979, in cui parla di questioni teoriche legate alla letteratura che, dice, «in questo momento mi interessano di più». E si domanda, e domanda a Gaccione:
«La concezione letteraria e artistica propria del Novecento è giusta o sbagliata? […]. Forse nel Novecento siamo stati troppo sbrigativi quando abbiamo separato il “génie” dalla “bêtise”, cioè la poesia dalla retorica: forse sono inseparabili, e chi ha rifiutato la seconda si è condannato alla sterilità. Come Baudelaire e Flaubert, noi sentiamo d’istinto la grandezza di un Victor Hugo, di un Dickens, di un Pascoli: ma non è un’impresa disperata cercar di separare il grano dal loglio, vale a dire la poesia dalla retorica?» (pag. 152 e pag. 154).

Casa della Cultura. Il momento degli autografi.
In primo piano Nobile e Piscitello

Ha ragione Cassola? Dal punto di vista strettamente letterario, è un’impresa impossibile «separare il grano dal loglio», ossia «la poesia dalla retorica»? E mi chiedo ancora, siamo ora in un’altra epoca, in cui forse, e lo dico con provocazione, non esistono più né l’uno né l’altro, né poesia né retorica? E se è così, come possiamo, noi che scriviamo, tornare a riunirle?
C’è una splendida frase di Flaubert tratta dal suo epistolario, che spesso mi è capitato, tra le tante che ha scritto, di citare.

«Penso spesso, con profonda tenerezza, ai tanti esseri sconosciuti, che ancora devono nascere, stranieri, che si commuovono o si commuoveranno per le stesse cose che commuovono me. Un libro, è questo ciò che crea una famiglia eterna nell’umanità. Tutti coloro che vivranno del nostro pensiero sono come tanti bambini seduti alla nostra tavola. Per questo ho così tanta riconoscenza, io, nei confronti di quei poveri vecchi prodi di cui ci si rimpinza fino a scoppiarne, che sembra di aver conosciuto e ai quali si pensa come fossero amici defunti!»

Casa della Cultura. Il violinista Raffaele Nobile
mentre dedica a Cassola una ballata contro la guerra.

Io penso ora a Carlo Cassola come Flaubert pensava ai «vecchi prodi» che «sembra di aver conosciuto», e posso farlo grazie al libro curato da Angelo Gaccione e Federico Migliorati, che ringrazio per avermi permesso di conoscere un aspetto fondamentale di Cassola e di aver pubblicato un testo che, come scrive Flaubert, se ben ascoltato e diffuso può davvero creare una famiglia eterna nell’umanità. Una famiglia di spiriti liberi, coraggiosi, contro la guerra e la barbarie in ogni loro atroce manifestazione ed espressione.

Cassola e il disarmo. 
La letteratura non basta. Lettere a Gaccione 1977-1984
a cura di Federico Migliorati e Angelo Gaccione, 
TralerigheLibri, Lucca, pagg. 272, euro 18.