COLLETTE, SOLIDARIETA’
OPERAIA, MUTUALISMO,
LOTTA DI CLASSE
di Franco Astengo
La sopravvissuta piccola parte di
lavoratrici e lavoratori occupati nella residua industria savonese, falcidiata
negli ultimi decenni dalla tragedia delle dismissioni e dei fallimenti più o
meno “perfetti”, ha vissuto nella scorsa settimana episodi che possono ben
essere definiti d’altri tempi: le maestranze di Mondomarine hanno occupato il
cantiere, quelle della Piaggio hanno invaso la Città con un combattivo corteo.
A questo quadro che può essere ben definito come “di lotta” si è aggiunto lo
sciopero dei lavoratori portuali, categoria considerata un tempo quale nerbo
vitale della classe operaia savonese.
Il pensiero
è così tornato, per un attimo, agli anni’50, all’ILVA dai 3.500 donne e uomini
impiegati nella siderurgia, alla lotta da essi sviluppata tra il ’49 e il ’55
per difendere (vanamente) l’integrità dell’impianto o alla Scarpa e Magnano,
anche in questo caso tra gli anni’50 e l’inizio dei ’60 e a tante altre
occasioni di tante e tante altre aziende e opifici, Balbontin, Fialette, ACNA
di Cengio in eterna lotta tra ambiente e lavoro. Fino alla forma estrema dello
sciopero della fame organizzato dagli operai della Fornicoke a metà degli
anni’80. La Città, nel verificarsi di quei drammatici eventi di lotta, fornì
sempre il massimo di solidarietà da parte di tutti i suoi ceti sociali; furono
trascorsi Natali in Fabbrica, organizzate tante occasioni per alleviare – sia
pure parzialmente – i grandi disagi che toccavano alle famiglie in una Savona
effettivamente “operaia” che oggi, come ci è capitato tante volte di scrivere,
ha perduto la propria identità senza ritrovarne una minimamente alternativa.
Non è questo
però il punto dell’intervento.
Torniamo ai
giorni dell’occupazione dei cantieri di Mondomarine: una crisi dovuta una squallida storia di speculazione intrecciata addirittura – solo casualmente
almeno in apparenza – alla lotta di potere per la presidenza del Monte dei
Paschi di Siena.
Ebbene in
quei giorni (mentre si scrive questo testo sembra sia stato raggiunto un
accordo sindacale per un “affitto” di 6 mesi attraverso il quale si spera di
allontanare, almeno provvisoriamente, lo spettro della chiusura) stante appunto
l’occupazione il giovane consigliere comunale di Rifondazione Comunista propose
di effettuare una “colletta cittadina” per sostenere materialmente l’impegno
dei lavoratori e le difficoltà che ne sarebbero derivate per la vita quotidiana
delle loro famiglie. Forse inconsapevolmente il giovane consigliere comunale
proponeva , in sostanza, un vero e proprio “ritorno all’indietro”, com’ è purtroppo
ormai nello spirito del tempo. Non si tratta, infatti, di ritornare ai già più
volte citati anni’50 del XX secolo ma addirittura ancora più all’indietro ,
alla fase cioè del passaggio dall’associazionismo mutualistico interclassista
alla scoperta della lotta di classe.
Non si
tratta, da parte nostra, della ricerca di una capziosa distinzione tra un
periodo e l’altro, ma piuttosto di una non semplice definizione della natura
dello scontro sociale oggi come allora. Il tentativo, da parte nostra, è quello
di recuperare indispensabili spezzoni di memoria della lotta del movimento
operaio proprio per cercare di comprendere il punto di arretramento fin qui
verificatosi nel corso dell’ultimo periodo.
La
differenza con l’estesa solidarietà sociale che si dimostrava allora da parte
delle categorie economiche, i commercianti (alle famiglie dei lavoratori in
lotta era aperto il famoso “libretto”, nei negozi di generi alimentari: un
conto aperto che poi sarebbe stato saldato al momento del rientro al lavoro), i
semplici cittadini nel periodo degli anni’50, consisteva nella presenza alla
direzione del movimento di lotta di un sindacato che si muoveva nel solco della
concezione più alta della dimensione di classe.
È l’idea
della dimensione di classe che oggi si è smarrito avendo il sindacato ormai
perduto completamente questo filo rosso (salvo che nei sindacati di base alcuni
dei quali però appaiono in difetto sul terreno della confederalità nascendo
come “sindacati di categoria”) fin dall’epoca, almeno, della cosiddetta
“concertazione”.
Torniamo allora alle origini, proprio allo
scopo di recuperare la memoria.
Come si
verificò il passaggio dal mutualismo alla resistenza e, di conseguenza, alla
lotta di classe? Il passaggio dal mutualismo alla resistenza fu lungo e difficile,
avvenne attraverso tappe intermedie, simboleggiato dal sorgere della società di
“miglioramento”, ma più in generale attraverso una trasformazione interna delle
prime associazioni operaie, che presero col tempo ad affiancarsi al mutualismo
anche il miglioramento e la resistenza. Dopo l’abolizione delle corporazioni la
Società di Mutuo Soccorso rappresentarono la prima forma dell’associazionismo
operaio anche se non si poteva scorgere in esse un embrione dell’organizzazione
di classe. In quel tipo di società scriveva Gnocchi Viani (“Il Partito Operaio
Italiano 1882 – 1885”) “l’operaio non è che un infermo da sussidiare, un
invalido da pensionare, un cadavere da trasportare al cimitero; tutt’al più un
testatore che lascia un piccolo sussidio agli orfani e alle vedove. Non vi
figura mai come persona (uomo o donna)
che vive e lavora, come persona che ha facoltà e forze da sviluppare, bisogni
da soddisfare, diritti da rivendicare, come persona che insomma ha la dignità
umana da tenere alta”. Non stiamo forse ritornando a quell’epoca?
Questa la
domanda che ci si deve porre oggi, e sulla quale il movimento sindacale
esistente dovrebbe riflettere attentamente : viviamo in tempi di precariato e
di sfruttamento imperante a tutti i livelli nel mondo del lavoro (dai lavori
più umili, come quelli assegnati ai migranti o a quelli “fintamente”
manageriali: precariato e sfruttamento rappresentano il segno comune da
riconoscere), di finanziarizzazione imperante, di utilizzo dell’innovazione
tecnologica per sostituire arbitrariamente il lavoro vivo, di dilazione
infinita e arbitraria nel pensionamento di lavoratrici e lavoratori anziani, di
sottrazione concrete di diritti e di annullamento dello stato sociale. Stiamo
di nuovo davvero all’epoca in cui scriveva Gnocchi Viani, o forse è il caso di
intrecciare ancora l’idea della dignità del lavoro con la dimensione,
drammaticamente concreta nell’attualità, della lotta di classe.