OMAGGIO ALLA BELLISSIMA GALLERIA
SALOTTO DI MILANO
di Paolo Maria Di Stefano
Una veduta della Galleria in tutto il suo splendore |
Una singolare esplorazione poetica e fotografica
sulla Galleria Vittorio Emanuele, di Paolo Maria Di Stefano
e della sua guida d’eccezione, Alessandra.
“Odissea” rivolge inoltre un pensiero affettuoso e di
ringraziamento
al direttore dell’Urban Center Alfredo Spaggiari,
che in Galleria ha la sua sede e che in questi anni,
con le sue mille diversificate iniziative culturali ed
artistiche,
ha reso ancora più vivo e vitale questo luogo così amato dai
milanesi e da milioni di visitatori di ogni dove. (A. G.)
150 Anni!
Auguri di costruttiva felicità
Auguri di costruttiva felicità
Alla Galleria ed a noi tutti
“Ho una
sorpresa per te” - dice Alessandra affidandomi all’architetto che cura
l’immagine di Milano dall’ Urban Center perché mi guidi in un itinerario di
scale dimenticate e in pessimo stato alternate a cancelletti grigi e corrosi –
“vi aspetto là” conclude, subito scomparendo come volatilizzata, anche
dimentica di specificare dove fosse quel “là”. E’ così da sempre. Fin da
piccolissima ad Alessandra piaceva stupire sua madre e me e rideva felice della
nostra sorpresa. Non ostante da venti anni lavori con gli altri architetti in
Cantiere a progettare le idee che fanno grande il mondo, ritorna ancora bambina
appena può e ancora si diverte all’immaginare il nostro stupore, pur sapendo
perfettamente che più di una volta è stata, la nostra, una finzione recitata
per farle piacere. E le piace accompagnarmi a conoscere Milano così come lei la
conosce, e ad amarla così come lei la ama. Almeno due volte ogni anno, a Pasqua
ed a Natale, fa in modo che le nostre ore siano anche le sue in modo
assolutamente reale, concreto, così ricostruendo il tempo nel quale noi tre
eravamo felici di essere il mondo intero. Ora, dopo venti anni, Alessandra è
sempre con me, forse più ancora di prima, e sempre mi sorride e mi consiglia e
mi ispira a fare qualcuna delle cose che il Cantiere progetta. E il pensiero di
lei è la mia forza e la spinta a vivere in modo che ella sia orgogliosa di me,
proprio come lo era quando aveva appena cinque anni e andavamo insieme a
“mangiare Milano”. L’ho incontrata prima del solito, quest’anno, e già questa è
stata una sorpresa, la migliore che potessi sperare: un mese intero da dedicare
alla Galleria nel centocinquantesimo anniversario anche partecipando al suo
preparare il Natale per i milanesi tutti, a tutti augurando felicità e
prosperità secondo tradizione. E la sorpresa di quest’ anno è la Galleria
stessa, che già sul finir di novembre ha cominciato a tradurre la sua musica e
i suoi pensieri nelle luci e nei decori che concreteranno ancora una volta il
gioiello brillante di Milano.
“Visto
che anche un luogo che la gente pensa dedicato in prevalenza agli acquisti ed
agli affari può render visibile a tutti la bellezza di una città in festa?” –
mi sussurra Alessandra indicandomi i riflessi nascenti dalle creazioni dei
vetrinisti.
“Comunque”
- prosegue – “c’è una sorpresa ancora più bella, un regalo che non ti aspetti.
Vi precedo e vi aspetto là” conclude.
Mi
trovo d’improvviso in una dimensione sconosciuta a me ed ai più, che subito si
disegna in gradini sconnessi, in cancelletti arrugginiti e corrosi, in qualche
gatto prudentemente curioso.
Sotto
di noi, le luci e le attività instancabili; poco più avanti, al vertice
dell’arco su piazza del Duomo, la sala spoglia e silente che mi lascia senza
respiro e dove Alessandra mi attende.
Un
regalo assolutamente speciale, unico, inatteso: la percezione di quel “tempo
fermo” che par fantasia di poeti, qui reso concreto e in qualche modo visibile
dalla presenza immobile dello strumento che, tra lo stupore dei milanesi, dal
1893 ha coordinato la sinfonia degli orologi elettrici, oggi numerosi in ogni
parte della città, che ancora si sforzano di comunicare un’ora eguale per
tutti, non sempre riuscendoci, non ostante la tecnologia certamente molto più
avanzata di quella custodita nelle linee essenziali, semplicissime, del mobile
modesto e come schivo fino alla ritrosia.
Pure
orgoglioso, a me pare, dei suoi manometri e degli interruttori che gli hanno
concesso di dominare le ore, di originarle, di farle scorrere e di troncarle,
con questo dettando il ritmo della vita e del lavoro dei milanesi: essenza di
un potere rimasto intatto proprio per l’avvenuta cristallizzazione del tempo e
dunque per l’affermazione di quella libertà che sempre si esalta quando non
condizionata dal trascorrere delle ore.
Questa
sala, vuota e ferma, è la casa della ispirazione. Perché solo dal tempo
immobile l’ispirazione trae significato e forza e capacità di proiettarsi
all’infinito, insieme espandendosi fino a riempire di sé gli spazi tutti.
E
allora una città si conosce quando se ne conoscono i motivi ispiratori,
sublimazione dei sentimenti dei pensieri e delle opere di ciascuno e di tutti i
suoi abitanti.
“Qui”
– mi dice Alessandra – “è già tutto accaduto. Ora si tratta di renderlo
percettibile”.
Che
è un chiaro invito a provare a suggerire un uso concreto che possa anche
contribuire ad accrescere ancor di più l’immagine di una Milano nel mondo
diversa da ogni altra città.
E
potrebbe trattarsi di un laboratorio di preziosi cammei cesellati con la
musica, la pittura, la scultura, la poesia, la letteratura… le arti tutte colte
nei momenti più esaltanti.
Perduto
come sono in queste fantasticherie, seguo inconsciamente Alessandra che mi
guida verso la terrazza in alto prendendomi per mano, forse temendo ch’io possa
inciampare: la salita non è semplice e, ancora una volta, le piccole scale
avrebbero bisogno di interventi immediati.
La
vista è di suggestione assoluta.
A
cominciare dalla Galleria stessa, che da qui mostra insieme l’esterno e
l’interno e gioca con gli spazi come a ricordare la vena ironica che la
distingue.
E che le consente di giocare con le guglie del
Duomo, appena più sopra.
E
poi, la Milano dei tetti e delle gru, esposizione della città che ha fatto
dell’accoglienza e del lavoro le ragioni della sua vita.
E
che si mette in posa perché il pittore possa ritrarla e interpretarla, come
tutti gli artisti dicono di fare, secondo la propria sensibilità.
E
là in basso, la piazza del Duomo, dominata dalla Madonnina, che resta, anche se
dalla cima di uno dei nuovi grattacieli, la punta avanzata della corsa di
Milano verso il cielo. Ed anche rimane l’ispiratrice della canzone di Milano
per eccellenza, quella che il milanese Giovanni D’Anzi compose nel 1935 e che
tutt’ora racconta al mondo lo spirito della città. E forse non è un caso – mi ha fatto notare
Alessandra – che D’Anzi abbia scelto Santa Margherita Ligure per trascorrere i
suoi ultimi giorni: Santa – come la chiamano a Milano- è praticamente da sempre una sorta di sogno,
di mondo fantastico e pur possibile, per i milanesi così come lo è stata e
ancora lo è per Alessandra, che a Milano è nata e che di Milano è innamorata
persa.
E
un pensiero bambino ancora si impossessa di me: perché non portare in questa
sala i colori di Santa Margherita Ligure e ricordare Giovanni Danzi con la
collaborazione di compositori contemporanei impegnati nella trascrizione della
sua musica in una visione personale? Magari in occasione di una inaugurazione
che avrebbe anche il pregio della originalità oltre a dimostrare che la
Galleria a centocinquanta anni dalla sua costruzione è ancora vitale ed ha
ancora molto da dire alla sua gente.
Non
potrebbe essere, questo, un augurio creativo?