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mercoledì 17 gennaio 2018

Gli ordigni nucleari come armi di distruzione climatica
di Alfonso Navarra  


L'inverno nucleare è lo scenario, di cui, tra gli altri, fu pioniere il famoso astrofisico Carl Sagan, che, leggiamo su Wikipedia, “conseguirebbe ad una ipotetica guerra termonucleare di estensione mondiale tra potenze, come la Russia, gli Stati Uniti, la Cina, la Francia, la Gran Bretagna e altri paesi in possesso di un arsenale di armamenti atomici dal potenziale distruttivo su scala globale”.
Gruppi di scienziati hanno elaborato nel corso degli anni diverse teorie riguardanti questo fenomeno: si sono basati  innanzitutto sugli effetti riscontrati durante le esplosioni atomiche avvenute a Hiroshima e Nagasaki (in Giappone) sul finire della Seconda Guerra Mondiale, poi sui vari esperimenti nucleari portati a termine da molti stati nel periodo post-bellico e della Guerra fredda; infine sugli effetti collaterali del disastro di Chernobyl.
La guerra nucleare andrebbe a formare, in virtù dei venti, delle particelle di materia carbonizzata, delle polveri radioattive e di qualsiasi altra sostanza in grado di alzarsi nell'aria, una barriera impermeabile ai raggi solari che farebbe crollare le temperature nell'atmosfera. La combinazione tra le temperature gelide, l'oscurità permanente e le radiazioni dovute alle esplosioni atomiche produrrebbero sconvolgimenti climatici tali da pregiudicare la sopravvivenza delle specie animali e vegetali e provocare effetti devastanti anche sullo strato di ozono. L'inverno nucleare deriverebbe dalla produzione di polveri fini in conseguenza dell'esplosione di testate nucleari su obiettivi civili (e quindi non sui mari o nei deserti come durante i test atomici). Lo scenario di impiego massiccio delle armi poggia sul fatto che al momento delle esplosioni un moto convettivo (il fungo atomico) trasporta rapidamente tutte le polveri verso strati più alti.


Spiega sempre Wikipedia: “Questo dovrebbe creare una uniforme nube di polvere e cenere radioattiva sospesa nell'aria fra i 1000 e i 2000 metri da terra. La nube accumulerebbe l'energia solare e farebbe salire le temperature degli strati della tropopausa e alta troposfera fino a 80 °C mentre la superficie della Terra rimarrebbe protetta dai raggi solari e si raffredderebbe in media di 40 °C”. Scusate se è poco!
Vi sono anche scenari di impiego più contenuto di armi “atomiche” che vanno sotto il titolo di “guerra nucleare locale”: vedi articolo allegato de Le Scienze (marzo 2010), autori Alan Robock e Owen Brian Toon, dal sottoscritto citato ne: “La follia del nucleare: come uscirne” (coautori Luigi Mosca e Mario Agostinelli – Mimesis Edizioni, 2016).
Questo il sottotitolo del pezzo: “Ci si preoccupa dei rapporti tra Stati Uniti e Russia, ma una guerra nucleare regionale tra India e Pakistan potrebbe offuscare il Sole e affamare buona parte dell’umanità”.

Qui la previsione diciamo ottimistica è di solo un miliardo di morti dopo una ventina di anni, a scalare dall'epicentro del conflitto.
Nel 2014 un altro studio su un possibile conflitto nucleare tra India e Pakistan è salito agli onori della cronaca: questo invece è stato pubblicato sulla rivista Earth's Future dell'American Geological Society (AGU).
Siamo sempre ad uno scambio di 50 missili a testa di 15 kilotoni l'uno ma i morti previsti raddoppiano con l'uso di nuovi modelli: 2 miliardi al posto di uno.
La stessa cifra viene fuori da uno studio dell' International Physicians for the Prevention of Nuclear War (si vada su: http://www.ippnw.org/nuclear-famine.html). Secondo quel lavoro, un conflitto nucleare su piccola scala potrebbe portare ad una diminuzione nella produzione di grano  di almeno il 10% per dieci anni, con picchi che raggiungerebbero il 20% nei momenti peggiori. Gli ordigni nucleari, se la teoria dell'inverno nucleare fosse pienamente comprovata, potrebbero secondo ogni logica essere inseriti a tutti gli effetti nella categoria delle armi di distruzione climatica: le catastrofi climatiche che possono provocare sono un effetto essenziale del loro impiego.


Arma direttamente climatica non è quindi, ad esempio, solo la tecnologia elettromagnetica usata militarmente per sconvolgere l'ambiente: è proprio l'arma nucleare, che produce onde d'urto, tempeste di fuoco, inquinamento radioattivo ed impatto elettromagnetico; ma, con un impiego relativamente allargato, anche il cosiddetto “inverno nucleare”.
Un attacco nucleare contro la Corea di poche decine di bombe H non farebbe solo milioni di morti subito su un territorio circoscritto: il cambiamento climatico e la destabilizzazione agricola ed ecologica investirebbero un'area molto più ampia (la Cina è vicina!) e nel periodo di un paio di decenni potrebbero causare, come si è visto, centinaia di milioni di morti.
Nel 1976, un'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una Convenzione internazionale (  Risoluzione 31/72 del 10 dicembre 1976) che ha vietato l'uso militare di tecniche di modifica dell'ambiente che hanno effetti diffusi, duraturi e gravi nel tempo.
Essa è nota come Convenzione ENMOD (Convention on the Prohibition of Military or Any Other Hostile Use of Environmental Modification Techniques), è stata aperta alla firma il 18 maggio 1977 a Ginevra ed è entrata in vigore il 5 ottobre 1978.
L'Italia ha firmato la Convenzione a Ginevra il 18 maggio 1977 e l'ha ratificata con la legge n. 962 del 29 novembre 1980.
(Per il suo testo andare alla URL: http://disarmament.un.org/treaties/t/enmod)
La Convenzione proibisce l'uso militare e ogni altro utilizzo ostile delle tecniche di modifiche ambientali aventi effetti estesi, duraturi o severi.
Il termine “tecniche di modifiche ambientali” si riferisce ad ogni tecnica finalizzata a cambiare – attraverso la manipolazione deliberata dei processi naturali – la dinamica, la composizione e la struttura della Terra, incluse la sua biosfera, litosfera, idrosfera e atmosfera, così come lo spazio esterno.

I criteri per la definizione di tali tecniche non sono definiti nel corpo della Convenzione ma nell'Intesa sull'Articolo I che, riportando quanto emerso in fase negoziale, esplicita i termini:
“esteso” come riferibile ad un'area di diverse centinaia di kilometri quadrati;
“duraturo” come riconducibile ad un periodo di mesi o di almeno una stagione;
“severo” come correlato ad un'azione che provoca danni seri o significativi alla vita umana, naturale alle risorse economiche o altre attività.
I primi due criteri sono valutati con parametri quantitativi e l'ultimo criterio con elementi qualitativi in parte riconducibili al concetto di sviluppo sostenibile.
Il divieto di guerra climatica, ovvero di utilizzo delle tecniche di modifica del clima o di geoingegneria con lo scopo di provocare danni o distruzioni, viene ripreso anche nella Convenzione sulla diversità biologica del 2010.
Vogliamo, dopo queste informazioni, a questo punto cercare il pelo nell'uovo?
La Convenzione ENMOD non tutelerebbe l'ambiente da qualunque danno provocato dalle azioni belliche o ostili ma vieterebbe solo quelle tecniche offensive che trasformano l'ambiente stesso in un'arma, ascrivibili alle tecniche di manipolazione ambientale.
In questo senso non vieterebbe l'uso di armi atomiche per distruggere – che so – Pyong Yang ed altre città coreane. Ma si dovrebbe anche considerare l'eventualità che l'attacco alle città di un Paese piccolo possa essere solo uno schermo che nasconde l'intenzione di provocare modifiche ambientali capaci di disorganizzare e portare alla fame un Paese più grande confinante.
Gli ordigni nucleari capaci di tali effetti potrebbero allora essere considerati proibiti ai sensi della citata Convenzione ENMOD e una conferenza di revisione convocata ad hoc dall'ONU potrebbe avallare un tale sviluppo innovativo del diritto internazionale.
Un'altra strada potrebbe essere quella di considerare, all'interno del percorso dell'accordo per contrastare il riscaldamento globale di Parigi del 12 dicembre 2015, la minaccia nucleare direttamente come una minaccia climatica, non solo un problema collegato alla seconda dalla potenzialità analoga di estinzione della specie umana.
La minaccia nucleare potrebbe essere vista come possibile minaccia climatica diretta, allo stesso modo dell'accumulo di gas serra.


Questo ragionamento costituirebbe un salto di paradigma anche per noi Disarmisti esigenti, che pure abbiamo lavorato sull'intreccio tra le due minacce sia a Parigi, sia a New York che a Bonn, cioé sia nel percorso disarmista che in quello climatico.
Preparare la guerra nucleare significa comunque preparare il più sconvolgente e repentino cataclisma climatico. Potrebbe avvenire non solo come effetto collaterale ma come risultato di una azione intenzionale.
Sembrerebbe quindi opportuno, anzi doveroso, che il percorso ONU delle COP climatiche (ora dalla COP 23 di Bonn si va alla COP 24 a Katowice in Polonia) ne prendesse consapevolezza e si cautelasse dall'inverno nucleare o da quanto altro potesse essere prodotto dalle armi nucleari come alterazione climatica deliberata.
La crisi coreana rende questi discorsi molto concreti per chiunque, nel momento in cui due leader statali – e disgraziatamente non si tratta di una barzelletta – fanno la gara a chi detiene il bottone nucleare più grosso!
Quanto sopra esposto dovrebbe comunque fare riflettere reti come la COALIZIONE PER IL CLIMA, che si sono costituite con l’obiettivo di costruire iniziative e mobilitazioni comuni, nazionali e territoriali, per raggiungere la massima sensibilizzazione possibile sulla lotta ai cambiamenti climatici, allo scopo di salvare il nostro Pianeta.
Se si ha a cuore il futuro dell'ecosistema globale bisogna adoperarsi per eliminare alla radice la minaccia nucleare, che oltretutto, come si è detto, potrebbe essere direttamente minaccia climatica.
Ne consegue la necessità di farsi partner attivo della Campagna ICAN (Abolizione delle armi nucleari), allo stesso modo in cui la Rete ICAN non farebbe male ad occuparsi dell'intreccio tra minaccia nucleare e minaccia climatica.
Non sarebbe affatto fuori tema “ecologista” la richiesta che, al di là delle singole organizzazioni aderenti, la COALIZIONE in quanto tale si facesse addirittura componente di ICAN in Italia, accogliendo l'appello di “SIAMO TUTTI PREMI NOBEL”, lanciato con la conferenza stampa al Senato dell'11 dicembre 2017.