PRECISAZIONE SULLA
FORMULA ELETTORALE
di Franco Astengo
“La confusione sotto il cielo è
grande” recitava un vecchio motto maoista: definizione alquanto appropriata per
quanto riguarda la legge elettorale n.
165 del 3 novembre 1917 che stabilisce norme e formula sulla base delle quali
voteremo il prossimo 4 marzo. Nell’elettorato stanno, infatti, sorgendo molti
dubbi su punti cruciali del dispositivo in questione: sarà bene quindi chiarire
per quanto possibile, sollevando anche alcuni interrogativi circa la
costituzionalità della legge: costituzionalità che sicuramente sarà oggetto di
ricorso all’Alta Corte.
Andando per
ordine principiamo dalla suddivisione dei seggi tra collegi uninominali e
collegi plurinominali.
Alla Camera i 630 seggi saranno assegnati
così: 232 in collegi uninominali ( 6 riservati al Trentino – Alto Adige; 2 al
Molise; 1 alla Valle d’Aosta); 386 in collegi plurinominali (al massimo 8
candidati per lista in ogni collegio); 12 nella circoscrizione estero.
Al Senato i 315 seggi saranno così
assegnati; 109 in collegi uninominali ( 6 riservati al Trentino Alto Adige, 1
al Molise, 1 alla Valle d’Aosta), 200 in piccoli collegi uninominali, 6 nella
circoscrizione estero. Attenzione, dunque alle modalità di voto:
Si riceve una sola scheda per la
Camera e una sola scheda per il Senato.
Si può votare facendo un solo
segno, oppure due, basta che entrambi i segni siano fatti nell’area della
scheda che spetta a un’unica coalizione.
È possibile
votare un candidato all’uninominale e, con un secondo segno, scegliere una
delle liste che lo appoggiano.
Si può scegliere anche solo il
candidato all’uninominale o solo una delle liste, ma il voto sarà comunque
“trascinato” rispettivamente anche sulle liste o sul candidato.
Non si può votare una lista
diversa da quelle che appoggiano il candidato che abbiamo scelto.
Quindi, se
volete votare una coalizione ma non vi piace il candidato che la coalizione ha
presentato nel vostro collegio uninominale, l’unico modo che avete per non
votarlo è rinunciare e votare un’altra coalizione. Viceversa, se avete deciso
di votare per un candidato ma non vi piace uno dei partiti che lo appoggiano,
l’unico modo che avete per essere sicuri che il vostro voto non finisca a quel
partito è fare due croci, esprimendo anche una scelta per un partito che non
sia quello. Attenzione: deve essere parte della stessa coalizione, altrimenti
il vostro voto sarà annullato (l’abbiamo già detto?). Infine, non si possono
esprimere preferenze sui singoli candidati della lista plurinominale.
Quest’ultimo
caso è quello che maggiormente viene evidenziato in questo momento nel
dibattito tra i “media”, nel passaggio, ad esempio, tra il PD e la lista Più
Europa.
Cosa succede una volta votato?
Scegliendo
un candidato all’uninominale – o anche solo una delle liste che lo appoggiano
-, quel candidato riceverà quindi un voto all’interno di quel collegio. Al
termine dello scrutinio, il candidato che ha ricevuto anche solo un voto più
dei suoi avversari sarà eletto. Se insieme al candidato viene barrata anche la
casella di una delle liste proporzionali che lo appoggiano, quella lista allora
riceverà un voto (altrimenti vale il calcolo di distribuzione detto sopra). Su
base nazionale, grossomodo, ogni lista eleggerà un numero di parlamentari
proporzionale ai voti che ha ottenuto, ma come questi eletti saranno divisi nei
collegi è materia complessa. I candidati della lista proporzionale saranno
eletti nell’ordine in cui compaiono sulla scheda. La legge permette le
candidature multiple: si potrà essere candidati in un seggio uninominale e in
un massimo di cinque collegi proporzionali. In caso di elezione in più collegi
il candidato si ritiene eletto nel collegio uninominale, oppure nel collegio
proporzionale dove la sua lista ha ottenuto la percentuale minore di voti.
Sono previste soglie di
sbarramento:La soglia di
sbarramento nella quota proporzionale è fissata al 3% su base nazionale, sia al
Senato sia alla Camera, con l’eccezione delle liste relative alle minoranze
linguistiche per le quali la soglia è al 20% per la regione di riferimento. In
aggiunta alla soglia del 3% è prevista anche una soglia minima del 10% per le
coalizioni (all’interno delle quali però almeno una lista deve aver superato il
3%).
Il candidato
di un partito escluso dal riparto dei seggi perché non ha raggiunto il 3% ma
eletto nel maggioritario ovviamente manterrà il suo seggio.
Applicazione del proporzionale
alla Camera e al Senato
Un’importante
differenza, stabilita dalla Costituzione, tra Camera e Senato è che il Senato
deve essere eletto su base regionale. La nuova legge elettorale prevede che la
ripartizione dei seggi tra le liste alla Camera sia effettuata su base
nazionale mentre il riparto al Senato sarà regionale: fermo restando che le
soglie del 3% e del 10% saranno comunque calcolate su base nazionale.
I punti dolenti della
costituzionalità
Giudizio del
tutto personale: nonostante i listini “corti” (come da indicazione della
Consulta nella sentenza di bocciatura della legge del 2005) ci troviamo di
fronte ad una quota di “nominati” intollerabile. Come ha dimostrato la rissa
scatenatasi in tutti i partiti per la posizione dei candidati nel listino.
Inoltre, anche per la quota uninominale, le indicazioni dei vari “gigli o
cerchi magici” hanno portato ad imporre nelle situazione locali candidature
anomale rispetto al territorio: candidature per lo più garantite da una
pluralità di presenze in diversi collegi nella parte plurinominale creando di
fatto delle “blindature” insuperabili.
L’altro
punto è sicuramente quello del trasferimento del voto delle liste ferme tra
l’1% e il 3% alle forze della coalizione che avranno superato la soglia. A
prescindere dalla possibilità non remota di sorprese da questo punto di vista,
rimane una violazione del voto personale perché – con il trasferimento – si
potrebbe verificare il caso di elezioni non indicate dalla volontà
dell’elettrice o dell’elettore (il voto trasferibile all’italiana, tra l’altro
è un caso unico al mondo ben diverso dal voto trasferibile “classico” usato in
Irlanda e in Australia, dove è l’elettrice o l’elettore che indica a quale
candidato trasferire il proprio voto attraverso un’espressione subordinata di
suffragio).
Una precisazione ulteriore
La vicenda
relativa alla composizione delle liste del Movimento 5 Stelle ha fatto scattare
una surreale discussione sulle eventuali dimissioni di un candidato eletto. Non
occorre il parere di raffinati giuristi. Le dimissioni dal Parlamento debbono
essere motivate e votate dal ramo cui appartiene il dimissionario/a. Non esiste
alcun automatismo. Precisando nel caso che le dimissioni di un eletto nel
collegio uninominale portano a elezioni suppletive nello stesso collegio mentre
dimissioni di un eletto nel collegio plurinominale portano al subentro del
primo candidato escluso.
Infine sulla “quantificazione”
del quorum
Quanto può
valere, in termini di voti assoluti, il superamento del quorum del 3%.
I flussi di
partecipazione al voto negli ultimi 2 anni (amministrative 2015, 2016, 2017,
referendum 2016) indicano la possibilità che, escluse le circoscrizioni estero,
si possano contare tra 28/30 milioni di voti validi. Il quorum si collocherebbe
quindi tra 850.000/900.000 voti. Una quota di sicurezza (nel caso di un maggior
numero di espressione di voti validi) si può collocare tra 1 milione, un
1milione e centomila voti.