Pagine

mercoledì 14 febbraio 2018

PRECISAZIONE SULLA FORMULA ELETTORALE
di Franco Astengo


“La confusione sotto il cielo è grande” recitava un vecchio motto maoista: definizione alquanto appropriata per quanto riguarda la legge elettorale  n. 165 del 3 novembre 1917 che stabilisce norme e formula sulla base delle quali voteremo il prossimo 4 marzo. Nell’elettorato stanno, infatti, sorgendo molti dubbi su punti cruciali del dispositivo in questione: sarà bene quindi chiarire per quanto possibile, sollevando anche alcuni interrogativi circa la costituzionalità della legge: costituzionalità che sicuramente sarà oggetto di ricorso all’Alta Corte.
Andando per ordine principiamo dalla suddivisione dei seggi tra collegi uninominali e collegi plurinominali.
Alla Camera i 630 seggi saranno assegnati così: 232 in collegi uninominali ( 6 riservati al Trentino – Alto Adige; 2 al Molise; 1 alla Valle d’Aosta); 386 in collegi plurinominali (al massimo 8 candidati per lista in ogni collegio); 12 nella circoscrizione estero.
Al Senato i 315 seggi saranno così assegnati; 109 in collegi uninominali ( 6 riservati al Trentino Alto Adige, 1 al Molise, 1 alla Valle d’Aosta), 200 in piccoli collegi uninominali, 6 nella circoscrizione estero. Attenzione, dunque alle modalità di voto:
Si riceve una sola scheda per la Camera e una sola scheda per il Senato.
Si può votare facendo un solo segno, oppure due, basta che entrambi i segni siano fatti nell’area della scheda che spetta a un’unica coalizione.
È possibile votare un candidato all’uninominale e, con un secondo segno, scegliere una delle liste che lo appoggiano.
Si può scegliere anche solo il candidato all’uninominale o solo una delle liste, ma il voto sarà comunque “trascinato” rispettivamente anche sulle liste o sul candidato.
Non si può votare una lista diversa da quelle che appoggiano il candidato che abbiamo scelto.
Quindi, se volete votare una coalizione ma non vi piace il candidato che la coalizione ha presentato nel vostro collegio uninominale, l’unico modo che avete per non votarlo è rinunciare e votare un’altra coalizione. Viceversa, se avete deciso di votare per un candidato ma non vi piace uno dei partiti che lo appoggiano, l’unico modo che avete per essere sicuri che il vostro voto non finisca a quel partito è fare due croci, esprimendo anche una scelta per un partito che non sia quello. Attenzione: deve essere parte della stessa coalizione, altrimenti il vostro voto sarà annullato (l’abbiamo già detto?). Infine, non si possono esprimere preferenze sui singoli candidati della lista plurinominale.
Quest’ultimo caso è quello che maggiormente viene evidenziato in questo momento nel dibattito tra i “media”, nel passaggio, ad esempio, tra il PD e la lista Più Europa.


Cosa succede una volta votato?
Scegliendo un candidato all’uninominale – o anche solo una delle liste che lo appoggiano -, quel candidato riceverà quindi un voto all’interno di quel collegio. Al termine dello scrutinio, il candidato che ha ricevuto anche solo un voto più dei suoi avversari sarà eletto. Se insieme al candidato viene barrata anche la casella di una delle liste proporzionali che lo appoggiano, quella lista allora riceverà un voto (altrimenti vale il calcolo di distribuzione detto sopra). Su base nazionale, grossomodo, ogni lista eleggerà un numero di parlamentari proporzionale ai voti che ha ottenuto, ma come questi eletti saranno divisi nei collegi è materia complessa. I candidati della lista proporzionale saranno eletti nell’ordine in cui compaiono sulla scheda. La legge permette le candidature multiple: si potrà essere candidati in un seggio uninominale e in un massimo di cinque collegi proporzionali. In caso di elezione in più collegi il candidato si ritiene eletto nel collegio uninominale, oppure nel collegio proporzionale dove la sua lista ha ottenuto la percentuale minore di voti.
Sono previste soglie di sbarramento:La soglia di sbarramento nella quota proporzionale è fissata al 3% su base nazionale, sia al Senato sia alla Camera, con l’eccezione delle liste relative alle minoranze linguistiche per le quali la soglia è al 20% per la regione di riferimento. In aggiunta alla soglia del 3% è prevista anche una soglia minima del 10% per le coalizioni (all’interno delle quali però almeno una lista deve aver superato il 3%).
Il candidato di un partito escluso dal riparto dei seggi perché non ha raggiunto il 3% ma eletto nel maggioritario ovviamente manterrà il suo seggio.
Applicazione del proporzionale alla Camera e al Senato
Un’importante differenza, stabilita dalla Costituzione, tra Camera e Senato è che il Senato deve essere eletto su base regionale. La nuova legge elettorale prevede che la ripartizione dei seggi tra le liste alla Camera sia effettuata su base nazionale mentre il riparto al Senato sarà regionale: fermo restando che le soglie del 3% e del 10% saranno comunque calcolate su base nazionale.


I punti dolenti della costituzionalità
Giudizio del tutto personale: nonostante i listini “corti” (come da indicazione della Consulta nella sentenza di bocciatura della legge del 2005) ci troviamo di fronte ad una quota di “nominati” intollerabile. Come ha dimostrato la rissa scatenatasi in tutti i partiti per la posizione dei candidati nel listino. Inoltre, anche per la quota uninominale, le indicazioni dei vari “gigli o cerchi magici” hanno portato ad imporre nelle situazione locali candidature anomale rispetto al territorio: candidature per lo più garantite da una pluralità di presenze in diversi collegi nella parte plurinominale creando di fatto delle “blindature” insuperabili.
L’altro punto è sicuramente quello del trasferimento del voto delle liste ferme tra l’1% e il 3% alle forze della coalizione che avranno superato la soglia. A prescindere dalla possibilità non remota di sorprese da questo punto di vista, rimane una violazione del voto personale perché – con il trasferimento – si potrebbe verificare il caso di elezioni non indicate dalla volontà dell’elettrice o dell’elettore (il voto trasferibile all’italiana, tra l’altro è un caso unico al mondo ben diverso dal voto trasferibile “classico” usato in Irlanda e in Australia, dove è l’elettrice o l’elettore che indica a quale candidato trasferire il proprio voto attraverso un’espressione subordinata di suffragio).
Una precisazione ulteriore
La vicenda relativa alla composizione delle liste del Movimento 5 Stelle ha fatto scattare una surreale discussione sulle eventuali dimissioni di un candidato eletto. Non occorre il parere di raffinati giuristi. Le dimissioni dal Parlamento debbono essere motivate e votate dal ramo cui appartiene il dimissionario/a. Non esiste alcun automatismo. Precisando nel caso che le dimissioni di un eletto nel collegio uninominale portano a elezioni suppletive nello stesso collegio mentre dimissioni di un eletto nel collegio plurinominale portano al subentro del primo candidato escluso.


Infine sulla “quantificazione” del quorum
Quanto può valere, in termini di voti assoluti, il superamento del quorum del 3%.
I flussi di partecipazione al voto negli ultimi 2 anni (amministrative 2015, 2016, 2017, referendum 2016) indicano la possibilità che, escluse le circoscrizioni estero, si possano contare tra 28/30 milioni di voti validi. Il quorum si collocherebbe quindi tra 850.000/900.000 voti. Una quota di sicurezza (nel caso di un maggior numero di espressione di voti validi) si può collocare tra 1 milione, un 1milione e centomila voti.