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martedì 13 febbraio 2018

SANTA TERRA
di Pierfrancesco Raineri


Pietre, droni iraniani, caccia israeliano abbattuto, il muro che sigilla Betlemme, e ancora, ancora…
Le notizie che arrivano dalla Terra Santa, da Israele, spesso e volentieri sono drammatiche. Eppure mi sento accinto con la mia famiglia a intraprendere un viaggio in quella Terra, con la Diocesi di Torino, in modo sereno e fiducioso. Ancora oggi, continuo a pensare alla straordinarietà di un popolo, di commercianti e intellettuali, come il popolo ebraico, che inizialmente attraverso il movimento dei Kibbutz, e poi con la nascita dello Stato di Israele, è riuscito a dissodare un deserto, e a ridare dignità a Gerusalemme, e ai luoghi sacri anche di altre religioni, ignorati per secoli dalla dominazione Bizantina e poi Ottomana. Certo, perché la Palestina e Gerusalemme sono state per secoli abbandonate a se stesse.
Il recupero a San Giovanni D’Acri dei luoghi templari, della città sotterranea, il ricordo dell’impresa (fallita) di Napoleone, Sephoris con i suoi mosaici, è storia riemersa negli ultimi decenni.
La Galilea culla del Cristianesimo con Cafarnao, Magdala, il Monte delle Beatitudini, il lago, il fiume Giordano, è oggi meta di pellegrinaggi, alle falde delle alture del Golan, della Siria, della guerra, ma nonostante tutto è terra i pace, di meditazione.
Masada e il Mar Morto, simboli della resistenza e della caparbietà del popolo ebraico nei secoli.
Il deserto del Negev e poi naturalmente Gerusalemme, Gerusalemme è la città vecchia di impianto Bizantino, e quindi non Suk arabo, crogiuolo di religioni monoteiste con i loro siti: il Santo Sepolcro, il Muro del Pianto, la Spianata delle Moschee.
Gerusalemme ovest, la capitale di Israele con la Knesset, il museo del Libro, le straordinarie collezioni pittoriche donate, lo Yad Yashem.
Lo Yad Yashem, è il luogo del ricordo della persecuzione e dello sterminio perpetrato dai nazisti.
Fra tanto orrore, mi è rimasta negli occhi una piccola foto di una ragazzina di diciassette anni, con la camicia bianca e una gonnellina a pieghe, appena impiccata con il collo storta e la soldataglia attorno che ride. Di fronte al Muro del Pianto non ho pregato né lasciato biglietti perché non sono una persona particolarmente religiosa, ma ho chiuso gli occhi e, toccando il muro ho riflettuto. Mi sono chiesto come fosse possibile dare giustizia a quella ragazzina almeno un poco. Per arrivare  a questo poco, credo si debba cominciare a difendere l’esistenza dello Stato di Israele, al di là delle opinione politiche. Difendere Israele  vuol dire difendere la giustizia e la libertà del nostro vivere, che proprio come Israele, è oggi sempre più minacciato, e onorare, almeno un poco, quella ragazzina…