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martedì 10 aprile 2018


I MOBILI NON MODERNI DI GARDELLA
di Angelo Gaccione

San Simpliciano

Piazza San Simpliciano è una armoniosa enclave del Corso Garibaldi, e deve il suo nome all’omonima splendida basilica: San Simpliciano è infatti una delle 7 - 8 magnifiche basiliche che Milano può vantare. È una piazza piccolina e la basilica le fa da fondale. Vicino ha alcuni “manufatti” di tutto rispetto: l’ottocentesco armonioso Teatro Fossati che dopo la ristrutturazione è divenuto Teatro Studio e dove Strehler ha operato fino alla morte. Forse molti non lo sanno, ma pare che il Fossati sia stato il primo teatro italiano ad essere illuminato dalla luce elettrica, e fra i tanti che vi hanno messo piede, c’è stato lo scrittore boemo Franz Kafka nel 1912. C’è, naturalmente, il Nuovo Piccolo, quello realizzato da Zanuso, mai sono riuscito a riconciliarmi con questa colata di cemento sgraziata e massiccia, e c’è, in un condominio abbastanza anonimo, la casa dove abitò il premio Nobel Salvatore Quasimodo. La lapide che lo ricorda non è visibile dall’esterno, e se non conoscete il numero è difficile che la vediate. È al numero 16, una mia logora rubrica riporta ancora indirizzo e telefono del figlio del poeta, l’amico Alessandro, che vi ha abitato per diverso tempo e dove ero andato a trovarlo ormai una marea di anni fa. Quasi di fronte c’è quello che per molti di noi è stato un luogo mitico: il Centro Sociale Garibaldi, che la restaurazione degli anni del disimpegno e dell’effimero ha trasformato nell’acronimo CAM, facendo sparire il termine Sociale, troppo popolare e troppo di sinistra. Fino alla morte c’è stato anche qualche metro più in là, il locale aperto da Pietro Valpreda dove ci siamo tante sere intossicati di fumo. Vi potrei parlare ancora delle numerose gallerie d’arte, dei laboratori artigiani, delle vinerie, delle librerie, di amici letterati e di giornalisti che scrivevano per il vicino "Corriere della Sera", e via enumerando. Ma restiamo alla Piazza. Oggi a resistere sin dal IV secolo è la Basilica, tutto il resto è stato, ed è, in continuo mutamento. Vi si è trasferita, da alcuni anni, la Libreria del Mondo Offeso, mentre la Galleria Lorenzo Vatalaro c’è più o meno da un ventennio. È una Galleria minuscola e raccolta e con i pavimenti ancora a lastroni antichi di basalto. In questa piccolina e fascinosa Galleria, il nostro collaboratore e amico architetto Jacopo Gardella, ha “messo in mostra” mercoledì 4 aprile 2018 (e lo resteranno fino a giorno 13), tre “Mobili” come è scritto nel catalogo. Si tratta di tre poltrone, la Edo, la Ero e la Eco da lui disegnate in periodi diversi. La Edo la conoscevo già per averla vista nella sua casa di via Verdi, e dove mi sono anche più volte seduto. Sono poltrone sobrie, calde, com’è calda la materia da cui prendono vita: il legno, e che hanno una forte attrazione su quelli che come me hanno un amore particolare per questo materiale. La loro bellezza e raffinatezza risiedono, a mio parere, nella sobria, controllata classicità del disegno, in quella loro antimodernità, di cui Gardella parla nel dialogo che qui riproduciamo. Sono “sedute” comode, piacevoli allo sguardo, capaci di conferire agli interni, un tocco di armoniosità.   

Poltrona Ero

Domanda. Che cosa ti racconta il progettista di questi mobili?
Risposta. Ci tiene subito a precisare che sono mobili non moderni.
D. Non moderni? Che significa?
R. Significa che sono una protesta contro tutto ciò che è moderno.
D. Contro il moderno? E perché? Spiegati meglio.
R. Tutto ciò che viene idolatrato perché moderno, attuale, contemporaneo non solo lascia perplesso il progettista, ma lo sconcerta e lo irrita.
D. Ho capito: la modernità non gli piace. Ma quale modernità?
R. La modernità oggi dilagante: architetture di altezze vertiginose; rivestite interamente di vetro contro ogni buon senso ecologico; ripetute in tutti i continenti sempre uguali a se stesse.
D. E poi?
R. Mobili di esasperata accentuazione tecnologica: costruiti con materiali artificiali e con prodotti sintetici: plastica, acciaio, plexiglass. Gelidi da toccare e poco invitanti se usati come sedute su cui riposare.
D. Il tuo amico progettista li disegnerebbe in modo diverso?
R. Sì. Preferisce materiali tradizionali collaudati da secoli: legno, tessuto, paglia di Vienna. Caldi da maneggiare ed accoglienti per chi vi si siede sopra.
D. Faresti qualche altro esempio di una modernità che lui disapprova?
R. Sì, cito alcuni oggetti di diffusissimo uso quotidiano.

Poltrona Edo

D. Dimmi quali.
R. Automobili con carrozzerie simili a corpi di squali: dotate di pinne taglienti, provviste di musi aggressivi simili a fanoni nella bocca di un cetaceo.
D. Ebbene, che male trovi in tutto ciò?
R. Trovo molti mali pericolosi: esibizionismo esasperato, gusto di sbalordire, ricerca dello stravagante.
D. Quindi, secondo te, i mobili qui esposti pretendono di opporsi al gusto estetico dominante?
R. Pretendono di opporsi al gusto contemporaneo ma soprattutto intendono condannare l’assenza di ogni interesse per il passato, la dilagante ignoranza della Storia, la assoluta indifferenza per la ricerca dell’essenziale.
D. Che cosa intendi per essenziale?
R. Il progettista intende per essenziale una forma a cui non si può  aggiungere né togliere niente se non si vuole che ne venga dispersa la intrinseca armonia.
D. Ma i mobili qui esposti ti sembrano esempi di armonia?
R. Se non di perfetta armonia almeno esempi di progettazione pensata, di esecuzione accurata, di disegno corretto.

Poltrona Eco

D. Non ti sembra che questi mobili, per il loro aspetto che l'autore definisce poco moderno, siano in realtà superati, obsoleti, privi di originalità, poveri di fantasia e di coraggio?
R. Mi sembra che siano mobili attenti al passato ed alla lezione che il passato ci trasmette; non bisogna credere tuttavia che essi siano concepiti per ricalcare una copia di ciò che è già stato fatto né per fare una pedestre imitazione dell’antico, ma soltanto per trarre dai maestri che ci hanno preceduti ispirazione ed insegnamento.
D. A questo punto ti faccio una domanda: credi che i mobili del tuo amico potranno essere capiti?
R. Purtroppo dubito: essi infatti non sono allineati con tutto ciò che adesso è di moda.
D. E ciò non gli dispiace?
R. Sì, gli dispiace: d’altra parte non vuole piegarsi a fare ciò che disapprova al solo scopo di accattivarsi la approvazione del pubblico.
D. Ma questo è masochismo!
R. No, è il semplice desiderio di esprimere liberamente le proprie idee.