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martedì 10 aprile 2018


Teatro
LA MEDEA AL MASCHILE DI RONCONI  
di Leonardo Filaseta

Luca Ronconi

Dal 13 al 29/3 è andato in scena al Teatro Strehler la ripresa della Medea di Euripide con la regia di Ronconi, dopo 22 anni dalla prima. L’azione, in uno scenario essenziale, si svolge a Corinto, dove Giasone, Medea e i due figli, hanno preso dimora. Giasone rifiuta la barbara Medea e sposa la figlia del re Creonte, pensando alla successione. Il re ordina l’esilio a Medea. La quale si mostra rassegnata con Giasone, anzi invierà doni alla regina: una corona e un peplo. Un’insidia mortale: la regina nell’indossarli perisce. Il padre stramazza su di lei. Giasone va a cercare i propri figli e li trova uccisi dalla spietata Medea per vendetta.
La più complessa delle tragedie di Euripide nel progetto ronconiano di affidare Medea a un uomo è una visione geniale, dirompente. Viene calata in Franco Branciaroli come l’attore più adatto, direi unico, per capacità mimetiche, gesto glaciale e voce quasi siderale. Si sono fusi il talento raziocinante di Ronconi che viviseziona con crudele asciuttezza la materia incandescente con la pacata, straniata, impassibile, a tratti sorniona attitudine di Branciaroli.
Si è nella linea del teatro brechtiano dello straniamento condotto al parossismo col timbro asettico quasi metallico di Branciaroli: si guarda e racconta, disincantato e lucido, la vicenda che oltrepassa i millenni. È come se stesse aprendo il libro del processo umano dalla preistoria che continua e si proietta nel futuro con squadernamento naturale, asettico. È il gioco delle parti cosmico: il male è dell’essere umano – femminile e maschile – e la forza trascinante è in quel che c’è di virile in Medea virago. Sì, ci vuole determinatezza, cuore inaridito e crudeltà da guerrieri per esprimere al di là del tempo con trasparente evidenza, e quasi con naturalezza, la strage.
Infatti noi spettatori, non siamo agganciati emotivamente ma pensosi e riflessivi di fronte alla dimensione filosofica, metafisica della fabula. Sic necesse est.
Ci accora e ci attanaglia a tratti quando Branciaroli-Medea è lacerato da dubbi amletici, volendo districare l’oscura matassa dei timori diventati incubi. Inutile dire che lo stralunato e strabiliante Branciaroli divora la scena con la sua capacità camaleontica. Quando non c’è lui il tono cala. Chi può stare di fronte a un gigante che si appiomba nell’uditorio con L’asseveratezza di chi cerca l’assoluto, il vero? Impersona il mito con la possanza di chi per decenni con ogni cellula ha ricercato e “fissato con sguardi furenti,  come di leonessa fresca di parto”. Di chi ha  affilato lo sguardo allucinato verso l’infinito arrancare dell’uomo in ogni tempo, di sempre.

Franco Branciaroli

Tutti in abiti borghesi d’oggi, tranne Branciaroli ingabbiato in una tunica-corazza medievale che lo blocca simbolicamente: la statua del dolore? Creonte di Antonio Zanoletti e Giasone di Antonio Veneroso con la loro recitazione realistica risultano fiacchi. “All’implacata e orgogliosa” Medea si adegua la nutrice di Elena Polic Greco che con pathos materno, placante, “invoca/Temi che i voti consacra, e Zeus che dai mortali/ qual custode dei giuramenti è onorato”. Gran merito al coro che con cadenza risonante e vigorosa compassione s’intona con Medea: con equilibrata aura d’alta espressività. Altisonante si rivolge agli dèi: “O Zeus, o terra, o luce/qual gemito modula/la misera sposa?..., /perché deponga il tristo furore”. E plana dolente, con mano generosa: “Almeno non manchi agli amici la mia sollecitudine”, esprimendo l’eterno dolore: “Nessuno con la poesia e con l’armonia/trovò come placare nefasti affanni, onde nelle dimore/casi terribili si abbattono e morti”.
Grave arriva la fine con aura biblica: Branciaroli-Medea, piegata avanza verso di noi, conducendo i due bimbi insanguinati, piegato a compassione, come un Gesù Cristo nel calvario...
Tutti meditabondi su tale sempiterno mito: un po’ turbati, ma viepiù ammantati dall’aura d’interrogativi filosofici e incanalati dal rituale sacrale ad accettare l’umile pena di vivere: piccoli e in cammino. Scocca l’effetto quando ci rendiamo conto di aver partecipato a un raro rito di due grandi del teatro che – tutto vero, anche se crudele- ci ha squarciato l’intimo e… noi non siamo più come prima.